Giorno dopo giorno, si moltiplicano i casi di suicidio di persone che hanno perso la loro fonte di sostentamento, sia che si tratti del loro posto di lavoro, che di imprenditori la cui azienda fallisca.
Certamente, ritrovarsi senza questa capacità di provvedere a sè stessi ed ai propri cari, alle persone che a noi si erano affidate, è un evento tragico il cui effetto dirompente sui propri equilibri psicologici non può essere sottovalutata.
Tuttavia, a un'angoscia così profonda e così giustificata, si dovrebbe opporre una forza altrettanto intensa, quella dovuta al nostro istinto di sopravvivenza, a questa tendenza così connaturata alla vita a volere prolungare sè stessa.
Vi confesso che in presenza di primi casi di suicidio collegati a problemi di natura economica, ero portato a spiegarli sulla base di problemi psicologici, forme latenti di psicosi che scoppiavano in condizioni propizie dando luogo a queste tragiche azioni.
Oggi, vedendo la moltiplicazione dei casi, questo tipo di spiegazione non sembra reggere, non si può sapiegare tutto sulla base di problemi psicologici individuali, nei casi di fenomeni di massa è buona norma invocare spiegazioni di tipo culturale...
C'è insomma un'influenza di natura sociale che probabilmente si innesta su soggetti psicologicamente particolarmente predisposti.
Questo aspetto culturale è collegato ai valori di cui si nutre questa società, sulla considerazione sociale così strettamente correlata alla propria capacità di spesa, all'importanza se non di essere ricchi, almeno di non essere poveri o poverissimi.
Ciò che voglio qui sostenere è che questa è una cultura da respingere, una cultura distruttiva, e da' ulteriori evidenze di quanto la cultura possa influenzare profondamente i comportamenti umani.
C'è in effetti qualcosa di paradossale in questi suicidi, dal mio punto di vista troverei più naturale il suicidio di gente troppo ricca, ma qui il discorso ci porterebbe lontano. In ogni caso, l'aspetto che trovo paradossale può essere illustrato con un esempio, come se una persona che non trova cibo, e che quindi rischia di non avere mezzi di sussistenza, decida di digiunare, cioè di portare alle estreme conseguenze quel pericolo che è la causa stessa della sua angoscia. In genere, come andamento comparativo del fenomeno del suicidio, esso è più diffuso proprio nei paesi con redditi più alti, proprio perchè chi rischia di morire di fame non ha ragione apparente per assecondare il rischio che pure costituisce il motivo della propria afflizione.
Proprio in base a queste considerazioni, non bisogna più tacere, non bisogna assumere un atteggiamento quasi di solidarietà con questi suicidi per motivi economici, sarebbe sotto una certa visuale una forma di complicità. Voglio perciò denunciare quanto ci sia di stupido in questa cultura che tende a dare un'importanza così fondamentale agli aspetti economici.
Vorrei che la grande stampa lo dicesse quanto è stupido suicidarsi perchè si fallisce, invece di fare di costoro dei martiri. E' evidente che la compassione umana c'è per tutti i nostri simili, ma ciò può portare a considerarli per quelli che sono, dei deboli che hanno ceduto a una mentalità dominante malata. Se però vogliamo denunciare quanto tale mentalità sia patologica, e come vada superata, allora non dobbiamo farne degli eroi che hanno difeso sino in fondo il lavoro dei propri dipendenti: non sono eroi, sono delle persone certo sensibili che però hanno capovolto l'ordine naturale dei valori, ponendo un fattore sociale, l'economia, al di sopra dello stesso valore della vita, un esempio da non imitare, ma anche una lezione per l'intera società che dovrebbe emanciparsi da tale dipendenza patologica da un fattore tutto sommato marginale, quello della nostra capacità di spesa.
Ah no, questa volta non sono proprio d'accordo con te. Qui non si tratta semplicemente di capacità di spesa ridotta al minimo o pratricamente a niente. Qui non si tratta di mettere la cosidetta "economia" al di sopra dello stesso valore della vita. Qui non si tratta di concetti filosofici. Qui si tratta della DIGNITA' di un essere umano costretto casomai ad elemosinare l'aiuto di parenti, o chi per essi, per poter da mangiare ai propri figli! E tu me lo chiami "fattore tutto sommato marginale"? Per me salvaguardare la propria dignità viene al primo posto, perchè a me non interessa vivere per vivere, non interessa la "quantità" della vita ma la "qualità"! E per qualità di vita non intendo certo una vita fatta di agi e ricchezze, la "qualità" viene data dalla dignità che conferisce l'aver un lavoro, pur umile, che mi permetta di non dovermi umiliare e prostituire per la mia sopravvivenza e quella dei miei figli!
RispondiEliminaEsiste certamente un altro aspetto: la mancata presa di coscienza "dei suicidi" della condizione di sfruttamento ambivalente che questo sistema impone. D'altro canto, con lo spegnimento dei valori di solidarietà sociale (che in questo sistema non si comprendono affatto), è difficile per "i suicidi" e quelli "in procinto di..." ribaltare la condizione se non intervengono radicali sovvertimenti culturali e sociali, a partire anche da una concausa come "il suicidio per manifesta impotenza indotta".
RispondiEliminasecondo me erano semplicemente stanchi di combattere ed avevano raggiunto un punto di non ritorno, di fronte a certi suicidi mi sono sempre chiesta come fossero arrivati a compiere questo gesto estremo e ogni volta mi rendo conto che non c'è nessuna risposta, penso a MOnicelli, a Lucentini, a Levi, persone che avevano superato momenti terribili, chi era sopravvissuto ad una malattia chi addirittura ad un campo di concentramento, erano comuque arrivati alla fine della loro vita e hanno deciso di battere la morte.
RispondiEliminaPenso alla mia amica che dopo una vita di psicofarmaci che comunque le garantivano una certa stabilità emotiva si è buttata dalla finestra il giorno del suo 58 compleanno, e quindi non riesco ad avere un pensiero così "crudo" come il tuo nemmeno versi questi altri che si suicidano a causa del lavoro, o meglio delle preoccupazioni economiche
@Ornella
RispondiEliminaMa guarda che siamo d'accordo quasi su tutto, tranne in un passaggio fondamentale, a riguardo di cosa sia degno e indegno per una persona. Ora, perdere il posto di lavoro o che la propria azienda fallisca non mi pare che debba pregiudicare la nostra dignità. Tu dici di sì, ed in un certo senso hai ragione, perchè riporti la mentalità dominante, ma non bisognerebbe mai permettere ad un ambito culturale di prevalere su un ambito naturale, ci sono dei passaggi cruciali nelle nostre vite in cui non dovremmo farci condizionare da cosa gli altri pensano.
Se per un periodo limitato di tempo, dovremo dipendere dalla carità altrui, o dai parenti ed amici, o da organizzazioni che svolgono questo ruolo, non lo trovo per niente disdicevole, nulla di cui vergognarsi, perchè la vergogna può derivare solo da un nostro comportamento colpevole, non può essere legato a un mancato successo. Eppoi, io andrei a vivere perfino in antartide se lì trovassi un sostentamento, mai e poi mai mi darei per vinto, si 'può sempre ricominciare nella vita, altro che suicidarmi per questi motivi!
@riverinflood
RispondiEliminaSì, ma si torna sempre a motivazioni culturali. Io non dico che sia facile sfuggirvi, nè che ci sia colpa nell'esserne soggiogati, ma se non diamo comunque un giudizio negativo, come di una scelta appunto stupida (tanto per rendere più colorita la connotazione, altrimenti scialba di "sbagliata"), allora significa che asecondiamo la cultura dominante, e questo non possiamo proprio permetterlo.
@zefirina
RispondiEliminaVeramente, io non stavo affrontando il tem del suicidio in generale, ma un suo aspetto specifico legato all'attualità.
Visto che tu hai allargato la disucssione, ti dirò senz'altro che considero il suiciudio una delle scelte possibili nella vita, ed anzi trovo il gesto di Monicelli, uno degli esempi che porti, come un gesto anche condivisibile. Una persona che abbia superato la novantina e che ha chiaro di non potere più badare a sè stesso, sta cioè entrando nel tunnel senza uscita (se non la morte) delle dipendenza totale dagli altri, può anche scegliere di darsi la morte, anche se ce ne vuole tanto di coraggio (buttandosi nel vuoto poi...)
I motivi che possono portare al suicidio sono più di uno e vedo che negli interventi sono stati sollevati casi diversi. C'è il suicidio per un forte dolore insopportabile, il suicidio per scelta esistenziale e il suicidio per reagire alla esclusione sociale ed affettiva. Chi non trova lavoro e non ha mezzi viene escluso dal pane sociale, anche chi si trova di fronte al fallimento economico si sente un escluso. L'esclusione dagli altri è uno dei motivi che può portare al suicidio. Capisco il tuo intervento che vuole combattere i fenomeni imitativi che ci possono essere nell'atto, ma la strada non può essere una condanna bensì fare in modo di eliminare l'esclusione.
RispondiEliminaChi ha doveri pubblici deve combattere i fenomeni di esclusione e ci sono strumenti ben precisi: reddito minimo di sopravvivenza, liste di collocamento al lavoro pubbliche per il lavoro con obbligo alle imprese di farne uso. Rispetto ai comportamenti individuali penso che vada rivalutata tanto l'amicizia. Il mio intervento e certo un po' affrettato sulla questione lo studio di Durkeim penso che dica molto. ciao
@Francesco
RispondiEliminaCertamente come tu dici, bisognerebbe predisporre dei mezzi adeguati ad affrontare situazioni così tragiche.
Tuttavia, io penso che esista una specificità di ordine culturale su cui mi sono soffermato.
Come sai, ho scritto un libro che ho appunto impostato sul bisogno di una rivoluzione culturale, proprio perchè sono convinto che alla fine ciò che più conta è quanto abbiamo nel nostro cervello, i modelli culturali che abbiamo interiorizzato.
Così, malgrado io possa sentirmi umanamente vicino a chi è così disperato da giungere ad u8na decisione così drammatica ed irreversibile, non mi posso tuttavia spingere fino al punto di ignorare in base a quali valori sociali egli identifica la mancanza di risorse economiche con una situazione non più degna di essere vissuta. Quindi, considerare stupidi questi gesti estremi serve non soltanto a ridurne la frequenza, ma anche a porre sul tappeto il tema del rapporto che abbiamo con il benessere economico, e non certo soltanto in chi arriva sulla soglia del suicidio, ma anche in coloro che vivono seguendo i miti della ricchezza, la religione degli oggetti, magari anche emarginando chi è povero. Non potrei mai considerare come la soluzione ottimale quella pura e semplice di eliminare le situazioni di povertà, ciò è necessario, ma il problema rimane più vasto.
Io ho perso il lavoro nel dicembre del 2011(ho 41 anni), mia moglie non lavorava, ho una bimba di 6 anni e un mutuo sulle spalle da 600 euro al mese.
RispondiEliminaSapete cosa ho fatto ?
Ho trasformato quella che e'la mia passione, la musica, in un lavoro, diciamo che gia' lo facevamo io e mia moglie per raggranellare qualche euro in piu', ma dopo la perdita del lavoro abbiamo concentrato tutte le nostre energie su questo, e cosi' oggi io non solo campo abbastanza bene economicamente, ma la qualita' della vita e' migliorata alla grande, non ho piu' padroni e colleghi ruffiani da sorbirmi, ho un casino di tempo libero che trascorro con la famiglia e soprattutto in mezzo alla natura.
Sapete, abbiamo il duo di piano bar piu' ricercato della mia zona, ci vogliono ristoranti, feste private matrimoni, compleanni, cene aziendali, feste di paese, a volte mi tocca passare le mie serate ad altri perche' non ce la faccio a farle tutte.
Certamente siamo bravi perche' io e' da quando avevo 16 anni che suono e canto, mia moglie ha una bellissima voce, e siamo molto professionali.
Pero' sapete una cosa...io ho tirato fuori le palle e di suicidarmi non ne avevo per niente voglia, piuttosto andrei a suonare la chitarra in qualche stazione ferroviaria.
@Anonimo
RispondiEliminaGrazie del tuo contributo che riporta un esempio concreto, Anch'io, come avevo scritto avrei piuttosto preferito chiedere l'elemosina o andarmene nel posto più inospitale del pianeta pur di trovare una qualche forma di sostentamento, suicidarmi probabilmente potrei farlo per motivi medici, ma mai per motivi economici.
Caro Vincenzo, penso che la vita sia imprevedibile, io fino a 2 anni fa' credevo di avere il lavoro piu' intoccabile del mondo e invece l'ho perduto malamente, licenziato per un capriccio del direttore che mi ha letteralmente fatto fuori con mezzi a dir poco ignobili.
RispondiEliminaIo prima ho sbagliato a scrivere 2011, in realta' sono stato licenziato nel dicembre 2010.
Vorrei tanto gridare al mondo la mia storia perche' e' stata una tremenda ingiustizia la mia, ho pregato tanto, ho sempre cercato di non far pesare la cosa alla bimba e a mia moglie, penso che se un Dio esiste abbia capito che doveva darmi una mano, cosi' il lavoro ''musicale'' ha iniziato da subito a filare come un treno.
Vorrei dire a chi ha perso il lavoro, che bisogna fasi forza e cercare vie alternative, anche a costo di andare via da questo pazzo paese, ma mai darla vinta a chi ci ha ridotto in questo stato.
Vedo che non hai capito un cazzo dalla vita. Bravo.
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