sabato 30 aprile 2011

IL MATRIMONIO O LA BOIATA DEL SECOLO?

Sono basito per la soverchiante ed invadente campagna mediatica sul matrimonio che sapete. Ieri mattina, mi trovavo in macchina verso le 11 del mattino e, come faccio abitualmente, ho acceso la radio sui canali RAI (non tollero quella mescolanza di musica e pubblicità dei vari canali privati). Ebbene, per quanto ciò possa apparire incomprensibile, tutti e tre principali canali RAI trasmettevano tutti quanti una diretta di questo cavolo di matrimonio, e neanche sintonizzati tra loro mi pare: dall'ascolto di pochi istanti di tali programmi, mi sembra si trattasse di teams giornalistici differenti. Mi pare la minima manifestazione di buon senso chiedere perchè sequestrare l'intera programmazione, cosa sarewbbe cambiato se un unico canale fosse stato dedicato all'evento.
Mi chiedo che speranze le società europee abbiano, se tanta programmazione radiofonica (non so quella televisiva) viene destinata a un evento di nessun interesse obiettivo. In Libia, in Siria, come in Afghanistan, la gente muore sotto le bombe, e popoli del tutto inebetiti hanno come loro esclusivo o almeno prevalente interesse la toelette della sposa, e tutta la scenografia più o meno gradevole di questo evento mondano.

giovedì 28 aprile 2011

L'OPPOSIZIONE SALVERA' IL GOVERNO BERLUSCONI?

La richiesta della Lega di portare nelle aule parlamentari le nuove decisioni sull’intervento militare in Libia ha almeno due aspetti molto interessanti.

Il primo è quello di una certa resa dei conti all’interno della maggioranza tra Lega e PDL.

In effetti, a molti le conclusioni dell’incontro Berlusconi – Sarkozy sono apparse come un totale cedimento italiano, come del resto è certo almeno per quanto riguarda Parmalat. Anche sulle modalità dell’intervento in Libia, è evidente che abbiamo totalmente sposato la posizione francese. Cosa l’Italia abbia ottenuto in cambio, non appare per niente chiaro, anche se taluni sostengono che la Francia non interferirà sugli interessi italiani petroliferi in quella nazione, storicamente forti e preponderanti rispetto al resto dell’Europa, ma non ho potuto trovare conferme ufficiali su questo punto.

Ora, la proposta strategica della Lega su questa questione non è chiara, anche se è evidente il suo interesse primario a scoraggiare le migrazioni verso l’Italia. Anche dando per scontato questo fine, non si capisce davvero perché i bombardamenti da parte di aerei italiani dovrebbero influenzare gli arrivi indesiderati.

Sembra allora ovvio far discendere questo atteggiamento così fermo da un’ispirazione proveniente da Tremonti, che risulta il grande sconfitto per quanto attiene Parmalat.

Bisogna considerare che Tremonti è un tizietto che non dimentica i torti che ritiene di avere subito, e le esternazioni di Galan, tra l’altro riecheggiate da parte della Santanchè e da parte di Sallusti, non possono costituire un capitolo chiuso, sanato nell’incontro con il premier. Egli capisce, come noi del resto, che tali dichiarazioni sono ispirate dallo stesso Berlusconi, il quale ha evidentemente scelto questa tattica, quella di animare gli scontri all’interno del PDL. Sembrerebbe una tattica suicida, ma se pensiamo che comunque egli non è in discussione, che nessuno, tranne Tremonti che però è un finto iscritto al PDL, oserebbe mettere il dubbio la sua leadership, allora questi scontri servono a depotenziare qualunque possibile aggregazione nel partito: in una lotta di tutti contro tutti, escono tutti perdenti tranne lui stesso, almeno fino a quando godrà ancora del proprio consenso elettorale.

Tutto questo ha una sua perversa logica, ma ciò che davvero non si riesce a capire è dove Tremonti e Lega vogliano andare a parare. Se sembrerebbe del tutto improbabile andare ad una crisi di governo prima delle amministrative, il che sarebbe una tattica suicida, ci si chiede dove intendano fermarsi, quanto a lungo questo scontro potrà essere sostenuto senza distruggere in pochi giorni la strategia adottata dalla Lega ormai da parecchi mesi di sorreggere il governo a qualsiasi costo. Lo sgarbo è stato certamente compiuto da Berlusconi, ma in ogni caso non si vede la logica di mettere in crisi lo stesso governo, se non perché hanno percepito una manovra ostile da parte dell’alleato, cosa a noi del tutto ignota.

Ma c’è un secondo aspetto che non sarebbe saggio trascurare, la sfida per l’opposizione e per il PD in particolare della discussione parlamentare sui fatti di Libia.

Pensiamo all’ipotesi di un voto parlamentare in cui la Lega dichiari il proprio voto contrario: in altre parole, un voto contrario compatto dell’opposizione determinerebbe una crisi di governo di fatto, che Napolitano potrebbe cogliere al volo per sciogliere le camere.

Ciò però richiederebbe che i partiti dell’opposizione votino contro sé stessi, contro le posizioni europee e statunitensi che hanno sempre condiviso, e la vedo davvero duretta. Si potrebbe così assistere ad uno scenario in cui il governo viene salvato da tutta o da una parte dell’opposizione, permettendo alla Lega di incassare un risultato politico estremamente positivo: partito di governo sì, ma la momento opportuno partito di lotta, capace di andare anche contro il proprio stesso governo, e nello stesso l’opposizione ne uscirebbe con le ossa rotte, apparendo all’opinione pubblica come i salvatori di quello stesso governo così osteggiato a parole.

lunedì 25 aprile 2011

L'ECONOMIA COME DESPOTA NEI CONFRONTI DELLA POLITICA

Più tempo passa, e più mi convinco che il punto fondamentale, quello che mette in crisi il mondo, è lo spodestamento della politica da parte dell'economia. E' una caratteristica dell'età moderna, iniziata proprio agli albori della modernità, sotto la spinta preponderante delle scoperte geografiche e delle innovazioni tecnologiche, che il fattore economico assuma un ruolo preponderante: faccio notare solo per inciso perchè la questione ci porterebbe lontano e meriterebbe ben più spazio, che l'uomo non nasce come la teoria classica liberale afferma come uomo economico perchè la lotta per procurarsi i mezzi di sussistenza non configura affatto un'attività economica: solo quando nasce lo scambio e soprattutto quando viene introdotto l'uso del denaro, nasce l'economia. L'economia quindi non fa parte della natura dell'uomo, ma soltanto della sua cultura.
E' stato acutamente fatto notare come il liberalismo nasca ben più tardi rispetto al capitalismo, che cioè già nel 1600 le prime teorie liberali certificassero una realtà di fatto, di un'economia sempre più capitalista come oggi la definiamo. Questo ordine cronologico, capitalismo prima, e liberalismo che di fatto giustificava una realtà già in gran parte affermatasi, è una sorta di peccato originale delle teorie liberali, che mai più riusciranno ad affrancarsi da questo aspetto con la conseguenza che davo in premessa di condannare la politica ad un ruolo ancillare rispetto all'economia.
Ciò ovviamente non significa che il liberalismo non abbia svolto un ruolo determinante nelle concezioni moderne, perchè ancora nell'ottocento il concetto di nobiltà, di un destino sociale legato alla famiglia di nascita, esisteva. Senza quindi scardinare questa discriminazione per nascita, il capitalismo non si sarebbe potuto affermare come lo vediamo oggi, doveva diventare un dogma che la collocazione nella società delle persone dipendesse esclusivamente dalla quantità di ricchezze possedute.
Se guardiamo allo sviluppo della politica negli ultimi secoli, marxismo incluso, vediamo che c'è un consenso generale sul desiderare una società sempre più ricca, in cui lo sviluppo tecnologico possa garantire a tutti gli uomini una vita libera dal condizionamento dai bisogni primari. Naturalmente le ricette per raggiungere questo stadio dell'umanità differiscono tra loro, ma è curioso osservare come a partire da quell'obiettivo, l'economia scalza la politica dal primo posto, ci obbliga a misurarci come questioni preminenti su questioni come la distribuzione della ricchezza, su come è possibile definire giusta una società proprio usando come criterio di giudizio la destinazione della ricchezza prodotta.
Infine, è sbalorditivo osservare che perfino le teorie che vorrebbero scardinare il principio della ricchezza crescente come obiettivo sociale prioritario, e mi riferisco ovviamente alle varie teorie sulla decrescita, siano anch'esse culturalmente succubi di questa cultura economico-centrica, in quanto utilizzano anch'esse, seppure a segno invertito, la ricchezza come criterio di riferimento, anche se esse vogliono che essa diminuisca.
Riprenderò il tema in un prossimo post, tentando di evidenziare quanto certi concetti che la nostra cultura pretende siano ovvii, non lo siano per niente.

giovedì 21 aprile 2011

LE CRICCHE DEL NUCLEARE

I recenti provvedimenti governativi in merito alle centrali nucleari sembrano confermare ciò che, non certo io soltanto, avevo predetto: ci sono interessi di natura economica particolarmente robusti nella fase di messa a punto dello sviluppo dell’industria termonucleare nel nostro paese.

Mi riferisco alle misure di sospensione nella definizione degli specifici siti di costruzione delle centrali termonucleari che ieri il governo ha emanato: la cosa interessante in questo provvedimento non sta in ciò che sospende, ma appunto in ciò che invece ribadisce, la continuazione della fase di studio preliminare.

Come temo molti non sappiano, tale fase di studio non consiste nell’anadare in una biblioteca e leggere attentamente le riviste lì presenti, la fase di studio di cui si parla riguarda operazioni sperimentali che comportano l’esecuzione di prove tecniche a volte molto costose, con le relative spese connesse di utilizzo di locali, di trasferte, di gettoni di presenza e così via di seguito dicendo. Insomma,una pioggia di denaro da distribuire ai soliti noti, alle cricche che crescono come parassiti del bilancio statale, come è avvenuto in maniera più clamorosa per il progetto di costruzione del ponte sullo stretto di Messina.

E a proposito di cricche, mi pare che l’attenzione da parte dell’opposizione sulla famosa cricca della protezione civile si sia pericolosamente attenuata: credo si dovrebbero tenere i fari ben accesi.

Ebbene, quello che mi pare se ne debba desumere, è che il nutrimento di queste cricche, di queste escrescenze statali, sia un elemento vitale per mantenere al potere chi c’è l’ha, che insomma si tratti di un puntello essenziale per chi governa.

Faccio osservare che, malgrado le dichiarazioni del ministro Romano che pretende che non si celebri il referendum nucleare, si tratti in realtà di un ‘ipotesi del tutto infondata in quanto l’annullamento di un referendum richiede che ciò che il quesito richiede venga integralmente soddisfatto, e questo ovviamente non avviene nel caso in esame. Dando adesso per scontato che una triplice sconfitta nei tre referendum proposti per la stessa data se il quorum venisse raggiunto costituirebbe una sconfitta forse decisiva per l’attuale maggioranza, ci si poteva attendere una decisione più drastica, la messa a bando dell’energia nucleare da subito con conseguente, stavolta sì, annullamento di quel quesito e col probabile risultato del non raggiungimento del quorum, la salvezza in altre parole del governo a giugno. Questa mezza decisione che può servire solo a depotenziare la forza del quesito tentando di demotivare alcuni ad andare a votare, sembrerebbe potere essere spiegata solo se dovuta ad un interesse prevalente, in questo caso appunto il foraggiamento di clientele di ogni tipo, tanto da risultare più importante perfino dell’eventualità di una debacle sui referendum.

martedì 19 aprile 2011

I NUOVI EQUILIBRI GEOPOLITICI MONDIALI

Il mondo sta cambiando intorno a noi, e noi neanche ce ne accorgiamo. Qui in Italia, tutti presi da un buffone che condiziona tutta la politica italiana con i propri problemi personali, non prestiamo l’attenzione che sarebbe necessaria alle grandi trasformazioni che avvengono in tutto il globo, e che cambiano gli equilibri geopolitici.

Vorrei qui riprendere una mia convinzione già espressa in precedenti occasioni che vede un esproprio sempre più evidente delle sovranità nazionali. Tradizionalmente, il punto di vista marxista è che esista l’impero del male, gli USA naturalmente, e che l’espropriazione delle sovranità consista appunto nelle esigenze imperialiste USA che non possono consentire che ogni nazione con le proprie scelte vada a confliggere con gli interessi capitalistici che gli USA rappresentano. Ciò che io credo è che questa fase politica è stata superata, che sul solco della lunga onda neoliberista partita negli anni ottanta, i grandi capitalisti hanno deciso di strutturarsi a livello mondiale, saltando la mediazione degli stati nazionali, in quella che io chiamo cupola affaristico-mafiosa. La crisi economica mondiale ha origini finanziarie, e quindi è tutta interna al mondo dei grandi capitali, è una loro creatura, quella di un mondo affaristico prigioniero del mito del profitto, e che in ossequio a questo criterio, ha consapevolmente cavalcato il rischio facendo precipitare l’intero mondo in una crisi dei mercati finanziari senza precedenti (paragonabile a quella, di tutt’altra origine, del ’29).

In questa scelta di arraffare tutto l’arraffabile senza curarsi degli squilibri che così si venivano a creare, si è andata costituendo questa cupola, come appunto la manifestazione di una pretesa del capitale di saltare la mediazione statale. Poco importa in questa prospettiva che perché ciò avvenisse, lo stato inteso nel duplice senso di governo e di organismi di controllo dei mercati siano stati complici, che funzionari infedeli abbiano consentito questa eutanasia dello stato, ciò che conta è la scelta fatta dai capitalisti di sbarazzarsi dell’ingombro del potere ufficiale, non considerato più neanche complice ma collocato in una posizione chiaramente subalterna.

Ma è stato soprattutto il modo in cui si è deciso di uscire dalla crisi, che ha certificato la svolta, nel momento in cui i governi, quello USA in testa, hanno accettato di subire il ricatto da parte delle banche, lanciando una colossale operazione di salvataggio il cui esito economico è ancora sospeso. Nel momento in cui il salvataggio dal fallimento delle banche è diventato un interesse nazionale prioritario, è evidente che il vero potere si trasferisce dalle aule parlamentari alle segrete stanze di banche e finanziarie varie che hanno acquisito l’impunibilità: qualunque cosa facciano, anche la più indegna e rovinosa per il mondo, non ne pagheranno mai le conseguenze. E’ il meccanismo infernale del ricatto, una volta accettato, non c’è modo di uscirne.

Le notizie più recenti confermano questa situazione, con le grandi istituzioni finanziarie che adesso mettono sotto il loro mirino lo stesso bilancio USA. Non era mai successo prima, e la reazione stizzita di Obama dimostra come il conflitto non sia fittizio.

L’Europa da parte sua attraversa una fase di grande debolezza da cui, alla luce degli atti politici osservati, non si capisce come possa uscire. Prevalgono i piccoli interessi nazionali come l’episodio alla frontiera di Ventimiglia mostrano, prevale un clima culturale xenofobo anche lì dove mai precedentemente si era manifestato, come dimostrano i risultati delle elezioni finlandesi, la scelta poi di privilegiare la stabilità dei conti piuttosto che la crescita mostra la grande paura delle istituzioni europee per i colpi che potremmo subire dalla cupola affaristico-finanziaria: un quadro di grande fragilità che non può che preoccuparci.

Dall’altra parte del mondo, i paesi emergenti da una parte, svariati paesi arabi, dall’altro, irrompono prepotentemente sulla scena del mondo pretendendo di occuparne il centro, e mettendo quello che fu il primo mondo in difficoltà: altro che complotto capitalista contro Gheddafi, qui questi vanno a rimorchio degli avvenimenti, tentando a loro modo di attutire l’effetto delle novità. In tutto ciò, sarebbe bene tenere a mente i problemi di natura ecologica che una sconsiderata attività umana mette giornalmente a repentaglio, e che fa da sfondo al quadro più propriamente politico.

Come finirà, a quali nuovi equilibri geopolitici approderemo, certo oggi nessuno può saperlo, ma una conclusione si potrebbe trarre, che la cupola affaristico-mafiosa ha stravinto contro i governi nazionali del primo mondo, dove un’opinione pubblica corrotta da un certo livello di benessere e dal mondo fittizio delle TV è stata totalmente inebetita e assiste sgomenta ed impotente a tutto ciò che va accdendo. D’altra parte, le contraddizioni oggettive che una certa conduzione dell’economia a livello globale ha generato, crea un fronte oggettivamente antagonista a questa cupola: è lì l’opposizione a questo mondo ingiusto e assurdo per la futilità dei propri obiettivi.

lunedì 18 aprile 2011

DISSENSI SULLA SENTENZA THYSSEN

Posso essere fuori dal coro sulla sentenza del processo Thyssen? Non parlo, sia chiaro, della severità della pena comminata all'AD dell'azienda, le cui responsabilità sono gravissime.
Tuttavia, non capisco attraverso quale processo logico l'omissione di misure di sicurezza possano configurare l'ipotesi di "omicidio volontario". Se come credo sia evidente a tutti nessuno voleva uccidere i lavoratori, se mancava questa intenzionalità, allora davvero la sentenza è incomprensibile.
Si dice che si tratti di "dolo eventuale". In sostanza, i dirigenti di quell'azienda hanno deciso di far correre il rischio ai lavoratori per risparmiare in misure di sicurezza visto che lo stabilimento era in corso di dismissione. Quindi, una intenzionalità si è espressa, quella di rischiare sulla vita degli altri, di coloro che ti sono affidati in virtù del tuo ruolo dirigente. Ciò potrebbe configurare la fattispecie di rischio volontario, ma non di omicidio volontario, che presuppone la volontà di uccidere, in questo caso mancante.
Altri dicono che l'omicidio colposo declasserebbe la responsabilità a quella che si attribuisce a comportamenti di guida impropri. Ebbene, anche lì molte volte c'è da parte del responsabile del reato la scelta consapevole del rischio. Questa è appunto la natura della colpa nell'omicidio colposo, non semplicemente un errore inconsapevole, ma anche e soprattutto un comportamento colpevolmente rischioso.
Non conosco quali siano le pene previste per l'omicidio colposo (ricordavo una pena massima di venti anni di reclusione, ma non ne sono per niente certo), ma il volere comminare una pena adeguata alla gravità dell'accaduto non dovrebbe tradursi nella violazione di norme logiche: semmai chiediamo un livello massimo di pena più alta per tale reato, ma trovo preoccupante questo scivolamento verso interpretazioni troppo elastiche del diritto, questo adattare il codice a una giustizia sostanziale che si vuole sovrapporre alla giustizia, quella formale, l'unica insomma che dovrebbe uscire dalle aule di un tribunale.

Aggiungerei infine che tali sentenze quasi certamente si areneranno in Cassazione che non mi pare un collegio così pronto ad innovazioni così improvvisate, soprattutto se logicamente non fondate: servono allora al protagonismo di qualche magistrato?

domenica 17 aprile 2011

IL GOLPE ISTITUZIONALE COME NUOVO ESITO DEI REGIMI DEMOCRATICI

Ma se il premier, invece di Berlusconi, fosse Provenzano, potrebbe sostenere qualcosa realmente differente da lui per difendersi dai rigori della legge? Qui, di fronte a platee, magari prezzolate, ma in ogni caso inebetite, un vecchio ormai preda delle sue ossessioni travestite da barzellette, sta celebrando la morte dello stato.
Basta quindi un unico potente più o meno psicotico, più o meno coinvolto in truffe varie, per mettere in crisi il sistema democratico? Certamente c'è di fronte il complesso di una classe dirigente inetta e collusa, prigioniera dei suoi meccanismi di autodifesa ed autoperpetuazione infinita, ma qualcosa che non va nella stessa struttura istituzionale dev'esserci.
Non credo di esagerare nel considerare quello che va costruendosi e che ieri ha trovato una sua accelerazione, un golpe condotto senza violare le regole formali: e questo è allora possibile? Come può un sistema istituzionale non possedere gli strumenti adeguati a garantire la propria difesa dal primo potente golpista che segue le regole formali?
Non si può a questo punto evitare di considerare il parlamento nella sua composizione attuale come un organismo non più democratico, senza legittimazione sostanziale a rappresentare la nazione. Possiamo almeno andare a nuove elezioni? Vorrà Napolitano sciogliere le camere oggi stesso senza più tergiversare?

sabato 16 aprile 2011

GLI ERRORI DI ASOR ROSA

Un recente articolo di Asor Rosa sul Manifesto ha fatto scalpore. In particolare, si è molto discusso, anche in maniera scopertamente strumentale, di ciò che appariva una specie di sollecitazione a un non meglio specificato intervento dall'alto e da parte delle forze dell'ordine per restituire legalità alle istituzioni sottraendole all'usurpatore, chi altri se non Berlusconi?
Questo più o meno esplicito invito a un intervento fuori delle regole costituzionali è stato giustificato dalla stessa redazione del manifesto come se si trattasse di una provocazione, ma dovrebbe essere chiaro che anche delle provocazioni bisognerebbe prendersi le responsabilità.
Personalmente, questa invocazione dell'intervento provvidenziale di un potere buono più che altro mi appare patetico, e non meriterebbe in sè di dedicarvi grande attenzione.
Me ne occupo perchè questo articolo mi sembra, in maniera direi emblematica, rappresentare la confusione che regna a sinistra, perfino a livello di intellettuali.
Due sono i punti che mi sembrano del tutto ignorati da Asor Rosa.
Il primo è che Berlusconi non è la causa della crisi della politica italiana, ma ne è piuttosto l'effetto più clamoroso, e il secondo, in qualche misura collegato al primo, che non esiste nella politica italiana una tale separazione e contrapposizione tra buoni e cattivi politici.
Berlusconi appare sulla scena politica dopo che la sinistra europea si era già del tutto arresa al liberismo della Thatcher e di Reagan, in cui, a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989, c'è stato Occhetto e la sua bolognina: poichè la natura abborrisce il vuoto, quel vuoto prima di tutto ideale di quegli anni furono riempiti dai messaggi pubblicitari di Berlusconi che furono perfino coltivati dai vari D'Alema allora con il progetto della bicamerale e perfino con dichiarazioni esplicite di non toccargli le TV, in quanto risorse fondamentali dell'Italia. Cito questi eventi non tanto nell'aspetto fallimentare a livello tattico, ma quanto piuttosto come manifestazione di una certa concezione della politica di questi dirigenti.
E difatti, ed andiamo così al secondo punto, questa grande differenza che alcuni considerano addirittura di tipo antropologico, tra politici berlusconiiani e gli altri, è del tutto infondata, come dovrebbe essere dimostrato eloquentemente dal fatto che tanti eletti nelle file del centrosinistra fanno ora parte della maggioranza, e che ancora pochi giorni fa nel segreto dell'urna ben sei parlamentari dell'opposizione hanno votato a favore della maggioranza.
Se le cose stanno così, non basta un intervento salvifico di Napolitano (quello stesso che ha fortemente influenzato il rinvio della mozione di sfiducia a dopo l'approvazione della legge di bilancio, concedendo un mese decisivo a Berlusconi per salvarsi), e neanche il golpe buono dei carabinieri, è la società italiana che deve guarire da una malattia gravissima che l'ha colpito e che gli fa tollerare una simile classe politica indegna.
La mia personale opinione alcuni tra i più assidui di voi la dovrebbero già conoscere, ciò che è entrato in crisi è un certo sistema democratico-parlamentare, come si può concludere osservando ciò che sta avvenendo in tutta Europa, ma per queste questioni di carattere più generale vi rinvio al mio libro.

giovedì 14 aprile 2011

PARLAMENTO INDEGNO DEL PROPRIO RUOLO

A livello parlamentare, la notizia di ieri non è l’approvazione della prescrizione breve, notizia scontata da tempo.

La mezza notizia è l’apparentemente definitivo siluramento di Alfano da parte di Berlusconi che, indicandolo esplicitamente come suo delfino, non fa che aprire, direi ufficialmente, il suo impallinamento da parte dei colleghi di partito con simili aspirazioni. Visto che i tempi sono medio-lunghi, si parla di almeno due anni pieni, le beghe all’interno del PDL anche in presenza dell’acclarato sovrano assoluto, non faranno che moltiplicarsi a dismisura in vista dell’annunciata successione, ed è prevedibile che i numerosi interessi contrastanti nel PDL possano trovare un’aggregazione temporanea proprio nell’opposizione ad Alfano. Se davvero Berlusconi lo voleva come suo successore, avrebbe dovuto dirlo solo il giorno stesso del suo pensionamento, anche se il dubbio sulla possibilità di acquisire questa leadership per successione è più che lecito.

La vera notizia però è un’altra ancora, è costituita dai sei voti che Berlusconi ha avuto in più quando la votazione si è svolta nel segreto, senza voto palese. Questa è una notizia molto rilevante che io non attribuirei a defezioni all’interno del FLI. Difatti, questi voti non erano affatto determinanti, e quindi non si capisce quale fosse lo scopo di coloro che parte della stampa indica come i probabili franchi tiratori (dell’opposizione), e cioè il gruppo Urso – Ronchi. Troppo facile pensare a loro, perché essi, senza un’esigenza davvero prioritaria, si esponessero così tanto. Certo, non lo si può escludere, magari si tratta di un messaggio di fedeltà mandato a Berlusconi, ma troppo rischioso, troppo ovvio pensare a loro, perché essi si spingessero a tanto. Io penso a cose ben più meschine, sostanzialmente finalizzate a favorire il proseguimento della legislatura per non smettere di essere parlamentari.

Si potrebbe anche pensare a manovre torbide da parte di qualche potente dell’opposizione, la cui logica sfugge a noi, ma potrebbe trattarsi di un messaggio inviato in codice forse all’interno stesso dell’opposizione, o ancora con la finalità di gettare confusione e scompiglio, magari all’interno del cosiddetto terzo polo.

E’ molto probabile che non sapremo mai con precisione l’identità di questi galantuomini, ma una cosa non possiamo più fare a meno di sapere, e riguarda la crisi del parlamento. Qui ormai non si tratta più della sola maggioranza del parlamento, qui non possiamo più ignorare che è l’intero stesso parlamento, opposizione inclusa, che risulta indegno del ruolo a cui sarebbe chiamato. Come possiamo ignorare che la maggioranza raccogliticcia ottenuta da Berlusconi sia stata ottenuta attraverso un’operazione di acquisto di parlamentari che le abili (sic!) segreterie dei partiti dell’opposizione avevano designato nelle loro liste? E quali ancora oscure presenze ci sono tra i parlamentari dell’opposizione per spiegare i sei voti che nel segreto dell’urna si sono aggregati a questa indegna maggioranza? Si può liquidare tutto come errori contingenti, come piccole macchie all’interno di un’opposizione dura e pura?

Ebbene, se vogliamo che il principio di responsabilità continui ad esistere, bisogna mandare a casa tutti questi dirigenti dell’opposizione assieme a quelli della maggioranza, nel migliore dei casi per manifesta incapacità, nel peggiore per più o meno evidente collusione con l’avversario: ancora ieri sera vedevo ad “Exit” La Torre che evidentemente si fa ancora vedere in giro senza vergognarsi del pizzino dato all’avversario politico per colpire il proprio compagno di partito. Se un partito non riesce a fare pulizia in casa propria, è pressoché impossibile che possa godere della fiducia dei cittadini.

Io credo che questo parlamento, ormai praticamente nella sua interezza vada sciolto, che oggi il titolo di parlamentare, di questo specifico parlamento con la sua specifica composizione, dovrebbe essere considerato come un’infamità, che queste persone dovrebbero vergognarsi di far parte di un simile consesso. Ancora alcuni mesi fa mi ponevo il problema di come conciliare l’alta funzione istituzionale del parlamento con il concreto dei suoi atti: ora sono del tutto convinto che questa conciliazione è del tutto impossibile, e che urge mandare a casa questi personaggi in gran parte indegni del ruolo che dovrebbero ricoprire, anche in tanata parte della stessa opposizione, per sostituirli con una nuova classe parlamentare che sia in grado di restituire a queste istituzioni il ruolo che meriterebbero.

Mi pongo in chiusura una domanda su una questione di cui non sono certo: ma se i voti palesi a favore del provvedimento non sono mai risultati superiori a 310, e quindi inferiori alla maggioranza assoluta della Camera (316 voti, mi pare), non sarebbe stato ovvio che tutti i parlamentari dell’opposizione uscissero dall’aula al momento della votazione per fare mancare il numero legale?

martedì 12 aprile 2011

CHE MARONI SI DIMETTA

Maroni ha gestito sin dal primo giorno nella maniera peggiore possibile la vicenda dei migranti.

Egli inizialmente riteneva di potere controllare il fenomeno violando le più elementari regole che ciascun paese dovrebbe seguire nel garantire il minimo di ospitalità a qualsiasi essere umano, Temo, questo paese ha purtroppo memoria corta, che pochi ricorderanno che in occasione dei primissimi sbarchi a Lampedusa, non è neanche stato aperto il centro di prima accoglienza nell’isola che pure era vuoto e in condizioni di funzionare. Per giorni e giorni, i residenti hanno dovuto assistere all’invasione delle loro strade e piazze non solo nella fase di maggiore afflusso, ma anche nei primi giorni, quando i migranti erano in numero abbastanza basso da potere alloggiare in quella struttura.

Con la stessa logica, quella di disincentivare l’afflusso mostrando quanto eravamo inospitali, in seguito non ha organizzato lo smistamento dall’isola nel resto della nazione. Nella visione distorta del ministro, i tunisini si sottoponevano a spese per loro molto ingenti ed a traversate a pericolo della loro stessa vita senza motivazioni così forti che la prospettiva di dover dormire all’addiaccio avrebbe funzionato da efficace deterrente. Gli mancava il senso della prospettiva, non era cioè in grado di mettersi nei loro panni.

E’ evidente che se per settimane tu mostri di rifiutare l’accoglienza, perfino coi mezzi più infami come il lasciarli senza le condizioni minime di sopravvivenza, il concedere poi i permessi temporanei di soggiorno assume l’ovvio significato di un mezzo per costringere i paesi UE ad accoglierli loro. In tali condizioni, la decisione pressoché unanime di ieri della UE di non riconoscere a tali migranti la libera circolazione prevista dal trattato di Schengen era direi scontata, in quanto si qualificava esplicitamente come un mezzuccio per inguaiare gli altri per favorire te stesso. Mi sembrano ragionamenti elementari che anche un ministro dovrebbe essere in grado di fare, ce lo dovremmo aspettare che capisca anche lui, no?

Caro Maroni, hai fallito nella tua dissennata gestione della vicenda, hai fallito completamente, e la reazione di chiederti cosa ci stiamo a fare in Europa ha qualcosa di pericolosamente infantile, come se un brutto voto a scuola fa venire il dubbio sulla stessa scelta di frequentare la scuola. Maroni, ti devi applicare di più, e vedrai che qualcosa riuscirai a fare, ma stavolta hai fallito e devi dimetterti.

Naturalmente, non credo affatto che Maroni si dimetta, come non si dimette Berlusconi: in Italia, nessuno si dimette, perché si è totalmente perso il criterio della responsabilità. Sono cose che ho già detto, e che del resto molti dicono, ma è necessario ribadirlo ancora una volta: in Italia, devi diventare un potente, e se usi il potere che ti è stato conferito contro l’interesse generale, se lo usi per farti amici e complici di ogni genere, allora chi ti molla più, diventerai un potente a vita, e probabilmente anche i tuoi discendenti erediteranno un po’ di quel potere. Nulla importa se hai danneggiato la comunità che pure ti aveva conferito quel potere, avrai comunque complici di ogni genere che ti sosterranno, aspettando la restituzione del favore a tempo debito.

Allo stesso modo, Maroni ha fallito completamente, ha dimostrato di non comprendere la dimensione della posta in gioco e, invece di prendersela con chi gli ha scoperto le carte, dovrebbe dimettersi, non è mestiere per lui fare il ministro, e meno che mai il ministro dell’interno.

Ciò naturalmente non significa che io assolva la UE, che consideri l’atteggiamento di quei paesi come accettabile. La malattia di Sarcozy e compagni è analogo a quello di Maroni, ognuno lotta per i propri, con l’aggravante che lì la malattia è uno spirito nazionale soverchiante quello collettivo, mentre per Maroni si tratta di favorire gli abitanti di quell’entità inventata che sarebbe la Padania, invece di come ci si dovrebbe aspettare di tutta la nazione che egli teoricamente dovrebbe rappresentare.

Non si può però sfidare a pugilato un avversario e poi piangere quando si finisce al tappeto.

La UE dovrebbe avere una coerente politica comune sulle migrazioni, e non gestire le emergenze in modo improvvisato e raffazzonato, come invece si pratica adesso, e il problema è ovviamente la carenza di spirito europeo. Paradossalmente, l’unica gestione davvero comune è quella della politica monetaria, quella su cui la stessa Europa non manifesta alcuna reale autonomia, scrivendo le regole sotto la dettatura della cupola mafioso-affaristica di cui ho ripetutamente parlato, una UE insomma che si riduce a passiva esecutrice di scelte eterodirette.

lunedì 11 aprile 2011

CONTRO IL LAVORO PRECARIO

Intervengo in ritardo sulla questione del precariato che sabato scorso ha visto una serie di manifestazioni nelle varie città italiane.

Premetto che io sono per un’economia pianificata, che però non richiede esplicitamente l’eliminazione dell’imprenditoria privata. Non credo pertanto che sia possibile non dico arrivare a una società ideale, ma anche soltanto una società che sia compatibile con le scelte ambientali dell’oggi se permettiamo a qualsiasi soggetto privato di determinare pesantemente la vita dei suoi simili attraverso le sue scelte orientate esclusivamente a criteri di profitto.

A partire da questo mio punto di vista, penso che l’eliminazione del precariato non risolva del tutto i problemi di una società capitalista. Ne consegue che tale problematica vada affrontata con una politica che, senza proibire rapporti lavorativi a tempo determinato, la disincentivi. Ciò potrebbe essere ottenuto attraverso l’imposizione per legge di costi più alti da parte delle imprese che intendono ricorrervi.

In altre parole, visto che in un regime precario il lavoratore non può riuscire a lavorare con continuità, bisognerebbe caricare sul datore di lavoro sia i buchi di reddito che così si creano, sia il mancato sviluppo di carriera, si ancora i mancati versamenti previdenziali. Si dovrebbe quindi pensare, a parità di mansione, a un salario per lavoro precario consistentemente superiore a quello per i lavoratori a tempo indeterminato, così come un prelievo previdenziale più alto che possa comunque garantire ai precari una dignitosa pensione nella vecchiaia.

Insomma, si tratta di una versione specifica del considerare gli aspetti occulti di una certa questione, cosa del tutto ignorata nella nostra società, aspetti che si manifestano ad esempio anche nei costi ambientali che colpevolmente non vengono comunemente tenuti in alcuna considerazione.

E’ così difficile almeno convenire su dei provvedimenti che anche il politico più conservatore potrebbe condividere? Che il salario di un dipendente precario sia più alto di uno non precario è cosa scontata in altri paesi come gli USA che abitualmente vogliamo scimmiottare, ma nel farlo, ne diamo sempre una versione peggiorativa.

venerdì 8 aprile 2011

PACIFISMO ED ARMAMENTI

Le questioni libiche hanno sollevato delle questioni nuove che a mio parere mettono in crisi le nostre certezze.

A sinistra, c’è stata la spaccatura tra interventisti e non-interventisti, anche se naturalmente, credo che molti di coloro che vengono inclusi tra gli interventisti difficilmente avrebbero deciso in quel senso avendo responsabilità governative. Sarebbe saggio ricordare che stiamo parlando di opinioni, e pertanto le motivazioni sono più che altro legate a speranze per il prossimo futuro, a quale situazione può aprire migliori prospettive future.

Ad ogni modo, non v’è dubbio che il pacifismo sia la prima vittima di questi eventi, nel senso che diventa sempre più difficile essere pacifista ai nostri tempi, e forse lo è ancora di più nella ricca Europa. In un mondo in cui il criterio della forza domina su tutti gli equilibri politico-economici globali, in cui le grandi potenze si sentono implicate in tutto ciò che avviene nel mondo, anche nei più remoti e derelitti luoghi, il pacifismo può diventare o può apparire come una manifestazione d’indifferenza. In altre parole, in un mondo profondamente ingiusto, il non usare la propria forza militare per raddrizzare ciò che appare palesemente storto, può, a torto o a ragione, apparire come un atteggiamento di colpevole indifferenza.

So naturalmente che esistono tante organizzazioni non governative che svolgono un ruolo fondamentale per alleviare i problemi di sopravvivenza di popolazioni condannate a una povertà eterna dagli equilibri mondiali, ma rimane il problema di come opporsi efficacemente alla violenza scatenata contro persone inermi anche localmente da capetti sanguinari che riescono agevolmente col denaro a raccogliere pattuglie di combattenti, a volte con l’aggravante di coinvolgere minori pronti a tutto pur di sopravvivere.

Sul ruolo dell’ONU e di qualsiasi organizzazione internazionale non credo che si possa fare affidamento, nel momento in cui è evidente la pretestuosità delle decisioni assunte su una concezione del diritto internazionale estremamente elastica.

A me pare, e capisco di non dire nulla di realmente originale, che il punto fondamentale sta negli armamenti. Uno dei più fiorenti settori economici è costituito da quello della produzione di armi, un settore che non vive cicli di crisi perché, forse assieme a quello alimentare, le armi si vendono sempre. Chi produce armi, deve venderle, e se i conflitti armati languono, non esiterà a suscitarne con tutti i mezzi per raggiungere il proprio scopo, appunto quello di dare lavoro alle proprie fabbriche. Tutti i mezzi includono il condizionamento delle politiche dei vari paesi, come pure la capillare diffusione di armamenti a vantaggio di soggetti irresponsabili, a cui ciascuno di noi non affiderebbe neanche una pietra o un bastone.

La mia opinione, ad esempio che la guerra in Afghanistan abbia proprio come principale motivazione il foraggiamento dell’industria bellica.

Ecco, il problema della produzione di armi a me pare il problema centrale di come si possa praticare un autentico pacifismo. Senza produzione di armi, cesserebbe la possibilità di sparute minoranze di prepotenti di imporre il proprio arbitrio ad intere popolazioni.

Non sono cioè i conflitti in sé il vero problema, ma il fatto che lo sviluppo tecnologico e gli enormi margini di profitto del settore armamenti hanno reso agevole l’accesso ad ordigni di potenza distruttiva enorme e che a loro volta rendono i conflitti estremamente sanguinosi, e il loro esito sostanzialmente indipendente dalla consistenza numerica delle parti in conflitto.

Mi rendo conto che si tratta di considerazioni perfino banali, ma non vedo nel mondo un fronte così compatto verso anche solo una puntuale regolamentazione del settore degli armamenti, dalla loro produzione fino alla loro diffusione.

Di fronte a queste richieste del tutto ragionevoli, si solleva la questione della sovranità nazionale, dell’esigenza di ciascuna nazione di difendere i propri confini ed i propri interessi. Tutto ciò è paradossale, in un mondo in cui gli stati nazionali hanno di fatto abdicato alla propria autorità a favore del mercato finanziario e alla sua cupola di stampo mafioso che detta alle nazioni la politica economica. Perfino per quanto riguarda la politica militare, dovrebbe essere evidente a tutti che è proprio questa cupola mafioso-affaristica che impone ai governi i propri diktat, come io credo avvenga per l’Afghanistan. Insomma, sono proprio gli interessi economici delle multinazionali degli armamenti che hanno sequestrato le sovranità nazionali, invocate poi strumentalmente per giustificare le enormi spese per armamenti.

In conclusione, io credo che un criterio di forza nel dirimere i conflitti sia inevitabile, ma è proprio l’entità della forza esercitabile che rende questo mondo così ingiusto e così inospitale per tanta parte dell’umanità, ed è perciò sul primo anello della catena, lì insomma dove le armi si producono, che bisogna intervenire. Domande su chi sia autorizzato a produrle, chi sia autorizzato ad acquistarle, credo sia oggi ineludibile.

giovedì 7 aprile 2011

CHE BRUTTA LA PRIMA PAGINA DEL MANIFESTO DI OGGI!

Devo dire che la prima pagina de “Il Manifesto” di stamani non mi è affatto piaciuta. Mi pare mescoli impropriamente elementi che sarebbe stato saggio, ma forse anche corretto, tenere ben separati.

I tragici eventi delle prime ore di ieri con l’inabissarsi dell’imbarcazione coi numerosi profughi libici sono stati mescolati con la nota e pornografica frase di Bossi, e fin qui questo accostamento ci stava, lo trovo appropriato, con l’espressione “effetti collaterali”.

Badate, io trovo giusto stigmatizzare in sé l’espressione “effetti collaterali”, cioè il tentativo da parte di chi è intervenuto in Libia di depotenziare le conseguenze tragiche della guerra che si protrae in quelle terre.

No, la mia obiezione riguarda l’applicazione di questa espressione. Se i redattori di questo quotidiano avessero accostato questa espressione all’immagine dei civili trucidati dalle incursioni aeree, allora tale accostamento sarebbe stato perfettamente appropriato, del tutto giustificato. Qui però, l’accostamento viene fatto, e secondo me in maniera scorretta, con il naufragio.

Cosa in sostanza sottintende questo accostamento? Che questi poveri profughi avessero affrontato questa pericolosa traversata a causa delle incursioni aeree. Su questo occorre allora riflettere per fare un po’ di chiarezza. Davvero crediamo che senza l’intervento occidentale non ci sarebbero stati tentativi disperati di fuga da quel paese? Secondo me, questa è una tesi errata. Vorrei ricordare che prima ancora che il primo bombardiere francese si sollevasse verso i cieli della Libia, si registrava già un esodo di dimensioni immani verso i confini tunisini, ed anche lì si erano verificate le prime morti di profughi.

C’è in sostanza a mio parere il solito equivoco di fondo: la guerra in Libia preesisteva all’intervento aereo, e quelli tra noi che ritengono questa situazione, per quanto tragica, comunque migliore di un non intervento, non lo fanno certo perché sono così stupidi da non comprendere i vili interessi occidentali nella vicenda, ma perché riconoscono che i morti per eventi bellici c’erano già prima. Se come io percepisco gli eventi, ai morti per l’intervento di ricostituzione della sua autorità da parte di Gheddafi si sono sostituiti i morti per i bombardamenti da parte dei “volenterosi”, non rimane che giudicare i fatti sulla base di ciò che potrà venire fuori da questi tragici eventi, se si apriranno prospettive nuove in un mondo dominato da un gruppo affaristico-mafioso che mette a rischio la stessa sopravvivenza dell’umanità.

Pertanto, riportare con tanta evidenza un accostamento improprio tra esodo dei libici ed “effetti collaterali”, con l’aggravante così di confondere l’opinione leghista con quella di Sarkozy, come se si trattasse della stessa opinione, è un’operazione scorretta e che va stigmatizzata.

Da "Il Manifesto" potrebbro anche rispondere che l'espressione "effetti collaterali" si riferisse soltanto alle parole di Bossi, ma anche in questo caso la confusione sarebbe stata inevitabile per come finora l'espressione è stata utilizzata.

martedì 5 aprile 2011

TORNA IL BUCO DELL'OZONO

Leggo oggi che nel mese di marzo appena trascorso si è verificato al polo Nord un buco molto esteso nell'ozonosfera, pari o forse superiore a quello verificatosi quattordici anni fa.
Non resta che aggiornare la triste lista dei disastri ambientali, perchè di speranze che l'umanità affronti i problemi che essa stessa ha creato non sembra esserci speranza.
Mi chiedo quale disastro, di quali immani dimensioni, dovrebbe verificarsi perchè la sveglia suoni.
E nel frattempo che il futile trionfi tra un litigio in TV e un ordinario imbroglio a danno dei contribuenti.

sabato 2 aprile 2011

DELLA PAURA, DELL'INGANNO, E DELL'ONORE

Ieri, dalla Gruber era ospite Andreoli. Del suo discorso, ho trovato particolarmente interessante la sottolineatura della paura che pervade la nostra società. Questa paura è l'elemento fondamentale che sostiene un potere iniquo ed arbitrario, in quanto non rivolto all'ìinteresse generale.
Devo dire che si tratta di un'analisi che mi convince, la paura attorno a me è un'esperienza quotidiana. Particolarmente evidente è sui luoghi di lavoro, almeno è certamente così nell'Università dove io opero. La paura porta al silenzio, ed è nel silenzio che le trame più vergognose possono svolgersi e realizzarsi.
Per farvi intendere il livello di protervia e di raffinatezza che in questi ambienti si può raggiungere, potrei citarvi il caso di un collega la cui produzione scientifica gli offriva ottime possibilità di promozione. Egli però aveva manifestato una certa indisciplina verso il proprio "capo", che non gradiva pertanto che fosse promosso. Bene, questo capetto cosa fa per silurare il proprio allievo senza averne contraccolpi? Si mette d'accordo con l'altro docente influente in quella disciplina, e fanno finta di essere tra loro in disaccordo. Questo secondo capetto evidentemente in combutta col primo, avvicina il candidato e gli dice che lo appoggerà lui, ma, per fare andare a buon fine questa promozione, è necessario che tutto avvenga nel più completo silenzio. Purtroppo, questo collega si attiene a queste istruzioni, col risultato che viene bocciato, e alla fine risulta che era lui, la reale vittima del raggiro, ad avere tentato di raggirare il suo capo operando di nascosto da lui, mentre i due capetti imbroglioni ne escono entrambi bene, l'uno perchè si era tentato di raggirarlo, e l'altro perchè. avendo ottenuto un completo silenzio sull'operazione, non può essere accusato di nulla.
Certo, la paura, soprattutto la paura di perdere qualcosa, ci distrugge l'esistenza, perchè quel qualcosa che abbiamo paura di perdere difatti in un certo senso lo perdiamo già per il fatto stesso di temere di perderlo. Ciò vale per la nostra stessa vita perchè la paura di morire può condizionare i nostri comportamenti, obbligandoci a rinuncie, a prudenze esagerate.
Da questo punto di vista, mi sono sempre ritenuto un diverso, vedendo che questo mio operare senza eccessive paure, crea un certo isolamento nei miei confronti perchè evidentemente suscito un effetto di paura in chi mi sta attorno, onesto e senza paure capisco che costituisco una mina vagante nella società di inciuci e di silenzi in cui viviamo.
Malgrado la paura così diffusa spieghi tante cose della nostra società, bisognerebbe pure capire perchè dovrebbe essere precipua del nostro tempo. Io non lo penso, credo che la paura, che poi è essenzialmente paura di rimanere soli, ci sia sempre stata. Oggi, la paura è quella di perdere il benessere, in una società in cui il successo, espresso in denaro, è la misura di tutte le cose.
Le testimonianze che abbiamo ci dicono che anche solo un secolo fa, ma probabilmente anche più recentemente, le cose non erano così.
Un filosofo della politica Charles Taylor, affronta la questione del concetto di onore, e del suo dissolvimento nella società contemporanea. Egli confronta tale concetto a quello di dignità, dicendo in sostanza che il secondo ha soppiantato il primo. La differenza tra i due concetti è che la dignità è un valore paritario, i sacri principi parlano di un'uguale dignità umana. L'onore al contrario, è un concetto riferito a una data posizione sociale, ed è quindi imtrinsecamente discriminante. Tipicamente, i romanzi dell'ottocento parlano dell'onore di un ufficiale che andava difeso in duello anche a costo della propria stessa vita. Così, quell'individuo non difendeva la propria dignità umana, ma il proprio onore di ufficiale, onore differente, anzi manifestamente superiore, a quello di un ciabattino ad esempio.
Mi chiedo, e capisco che è una riflessione non politicamente corretta, se sotto il concetto di dgnità umana che abbiamo di default per il fatto stesso di essere nati, non si nasconde un'insidia, di avere trasferito quelle differenze, che erano incluse nel concetto di onore, nel denaro, col risultato che un comportamento onorevole non è più di moda, è "out", perchè l'importante è raggiungere un certo livello di ricchezza, non importa come. Non è insomma il nostro modo di comportarci che viene considerato come fondamentale, ma piuttosto il risultato che otteniamo.