domenica 30 maggio 2010

DICHIARAZIONI AD OROLOGERIA?

Qualcosa di nuovo si muove nell’arena politica italiana, non si sa perché, né se l’obiettivo che alcuni si pongono sarà raggiunto, ma si tratta comunque di qualcosa di molto significativo. Prima il procuratore nazionale antimafia, poi l’ex capo dello stato Ciampi, parlano degli attentati del ’93. Anzi Ciampi racconta come ha vissuto in prima persona quei giorni, riportando particolari raccapriccianti, come la circostanza dell’isolamento telefonico niente meno che di Palazzo Chigi, il vero centro del potere statuale.

La domanda che sorge spontanea è perché Ciampi ha taciuto tanto a lungo su circostanze così gravi? Allo stesso modo, perché Grasso parla solo adesso di riscontri ottenuti dall’attività investigativa sin dal ’98. Tiro ad indovinare, forse sarebbe utile che nel ’98 c’era un governo di centrosinistra, ed era la stagione della bicamerale, cioè del disegno politico portato avanti in prima persona da D’Alema, che intendeva rafforzare Berlusconi nel centrodestra, a svantaggio di Fini. Questo fine stratega politico come ancora taluni lo considerano, giudicava Berlusconi un avversario politico debole, con cui si sarebbe sempre vinto, e l’Italia paga ancora oggi il disastro politico, sociale, economico e civile dovuto allo stesso Berlusconi per la dabbenaggine di un mediocre politico come D’Alema, che ci propone ancora oggi ipotesi suicide come il ricandidare in Calabria Loielo, o lavorare per la sostituzione di Vendola in Puglia. Insomma, i collegamenti tra comportamenti della mafia e le vicende del sorgere di “Forza Italia” non andavano sollevati, si potrebbe dedurre, quando la presenza in politica di Berlusconi veniva considerato un vantaggio da certi poteri forti. Se questa tesi fosse vera, allora la conclusione logica sarebbe che oggi questi stessi poteri forti cominciano a muoversi massicciamente per dare il colpo di grazia a Berlusconi, un premier già fortemente indebolito dai risultati delle regionali e dal peso elettorale crescente della Lega che tramite l’alleato Tremonti ha assunto con decisione il ruolo decisionale all’interno del governo. Il terremoto attorno alla protezione civile e alla famigerata cricca costituisce un attacco se non alla sua persona al suo entourage, senza cui egli non conterebbe più nulla: da seguire in particolare la posizione di Gianni Letta.

L’ultimo episodio riguardante l’Assemblea di Confindustria, col rifiuto della Marcegaglia di entrare nel governo, con la conferma che anche il corpo della Confindustria ritiene giusto tenersi ben fuori dal governo come evidenziato dal gelido silenzio seguito all’invito di Berlusconi di manifestare il consenso verso la sua proposta, e la sprezzante dichiarazione di Geronzi, uno degli uomini più potenti d’Italia, mostra che già chi conta tende a mantenersi ben distante dal premier. Siamo già al clima del “io non lo conosco”, scaricato da tanti e chiamato a firmare leggi sotto dettatura. Di questi tempi, non gliene riesce neanche una, anche l’escamotage di far sapere che avrebbe firmato il DL economico dopo Napolitano, si è risolto nella ennesima smentita. Non c’è certo da cantare vittoria, sia perché Berlusconi ha dimostrato di essere come i gatti, di avere cioè sette vite, e sia perché non sappiamo cosa ci aspetta nel dopo Berlusconi, ma lo scenario mi pare quello che vi ho illustrato.

giovedì 27 maggio 2010

I GIORNI DEL RITROVATO CAPITALISMO PIU' SPIETATO

Ecco, penso che oggi il capitalismo torni a mostrare il suo volto più feroce, più spietato. Generalmente si dice che per l’economia la svolta sarebbe stata rappresentata dalla crisi del 1929. Si ignora così che per almeno altri nove anni, nessuna riforma strutturale del capitalismo fu introdotta (parlo degli Stati Uniti per il ruolo rilevante svolto già allora sull’economia mondiale). Poi, quando qualche provvedimento cominciò ad essere introdotto sulla base delle teorie avanzate da un giovane economista che aveva perso tutto in borsa, un certo Keynes, intervenne il secondo conflitto mondiale, mentre sempre più rilevante diventava il ruolo giocato dall’Unione Sovietica. Insomma, è difficile stabilire cosa stimolò di più la svolta riformista del capitalismo, se la perdurante povertà degli anni trenta, se un governo illuminato che seppe sposare teorie economiche più umane, o se alla fine tutto si risolse paradossalmente per l’aggravamento tragico della situazione a seguito del conflitto mondiale. Quelli della mia generazione in ogni caso hanno trascorso la gioventù in un sistema economico internazionale dominato dalle teorie keynesiane, dove l’intervento dello Stato sull’economia veniva considerato determinante.

Gli anni ottanta dominati dalla spinta neoliberista da parte di Reagan e della Thatcher hanno imposto una svolta alle politiche economiche dei governi occidentali, e a distanza di trent’anni dall’inizio di quella svolta prima di tutto ideologica, vediamo i suoi frutti, i frutti amari di una recessione economica mondiale di una gravità e profondità che non si vide neanche nella crisi del ’73, innescata dalla decisione dell’OPEC di aumentare di colpo il prezzo del greggio. L’unico paragone appropriato sembra quello con il ’29.

Ebbene, quelle grandi istituzioni finanziarie internazionali che hanno innescato la bolla speculativa, quelle stesse che i contribuenti di tutto il mondo occidentale hanno salvato trasferendo i loro debiti sulle casse statali, oggi tornano imperterriti a dominare i mercati, e tramite questi l’economia nel suo complesso. E’ il mercato, si dice, e il mercato è il nostro dio. Come un buon cattolico non metterebbe mai in dubbio che debba prevalere la volontà di dio, così un buon cittadino occidentale non metterà mai in dubbio che debba prevalere la volontà del mercato. Il mercato è il padre di famiglia che ci punisce e ci premia sulla base dei nostri comportamenti: alla fine, l’uomo ragiona secondo schemi consueti, trasferendoli da un ambito ad un altro. Strano però che banche e finanzieri d’assalto che hanno caricato i contribuenti di debiti che a partire da oggi scateneranno spinte inflattive di una dimensione ancora non prevedibile, non siano stati affatto puniti, e che presumibilmente mai lo saranno. Se però si accetta che ci siano soggetti non sanzionabili, impuniti sulla base della loro forza, del ricatto che se essi crollassero, crollerebbe tutto dietro loro, allora questo corrisponde a dare loro la licenza di uccidere, il renderli onnipotenti. Ebbene, non v’è dubbio che gli Stati hanno accettato di stare sotto ricatto, ed è questa la decisione infausta, perché i ricattatori non intendono interrompere la loro attività ricattatoria, e sempre nuovo denaro essi richiedono a Stati imbelli, e che implicitamente hanno accettato che esistano entità più potenti di loro, violando così il patto sociale ipotizzato quale base della stessa costituzione degli Stati.

Volevo qui sottolineare un aspetto che non mi sembra secondario. Sarà solo un caso che le teorie keynesiane, che hanno consentito all’occidente per svariati decenni di vivere in un sistema economico capitalistico meno feroce coincidano temporalmente con l’esistenza dell’Unione Sovietica? Non sarà che uno dei frutti, uno dei più positivi della cosiddetta guerra fredda sia stato questo capitalismo più umano, e che esso sia stato in parte dettato dall’esigenza di competere meglio con i sistemi del socialismo reale? E’ un’ipotesi che getto lì, senza essere in grado di meglio supportarla.

Fatto sta che oggi sembra che si vada verso un clima economico più simile a quello ottocentesco che non a quello della seconda metà del novecento. Io mi chiedo se ci rendiamo conto di cosa significa lasciare che l’ideologia del mercato sia quella che domina nelle menti oggi. Davvero, mi chiedo, siamo pronti ad accettare che l’istinto proprietario, l’insensata voglia di accumulare ricchezze da parte dei soliti potenti determini così profondamente le nostre esistenze. Se rifiutiamo tutto ciò, non possiamo che rispondere a livello sovrastrutturale, direbbe Marx, capovolgendo cioè le priorità rispetto a come i media ce li propongono. Rimettiamo allora al centro l’uomo, e ricordiamo che tutte le realizzazioni tecnologiche ed economiche vanno ricondotte a un criterio umano, che li riposizioni, li ricollochi al loro giusto posto. Una volta ristabilito questo criterio che dovrebbe essere ovvio, ma che oggi appare rivoluzionario, anzi addirittura utopico, e tutto poi seguirà, direi automaticamente.

martedì 25 maggio 2010

PERCHE' LETTA SI ESPONE

Di questi tempi, leggendo la stampa, non capisco più se i giornalisti siano diventati tutti matti, se facciano i finti tonti, o se io devo sentirmi incredibilmente stupido o geniale.

Mi riferisco in particolare a ciò che si legge stamane sui giornali a riguardo delle dichiarazioni di Letta che, contrariamente a Berlusconi, non indora la pillola dei provvedimenti anticrisi, che saranno definiti proprio oggi.

Tra i vari gruppi di potere interni al centrodestra, non vi è dubbio che ci siano il gruppo Tremonti, poco influente all’interno del PDL, ma sostenuto a spada tratta dalla Lega, e il gruppo Gianni Letta, probabilmente il più influente dentro il PDL, e con legami di ferro con ambienti vaticani e certi settori della grande finanza italiana.

Ebbene, l’asse Tremonti – Bossi ha lanciato nello scorso mese un attacco frontale al gruppo che potremmo chiamare per intenderci della protezione civile, e di cui ha fatto finora le spese più di tutti Scajola. Dicevo, ma mi pare che tanti mi abbiano seguito anche sulla grande stampa, che il vero obiettivo di Tremonti fosse lo stesso Gianni Letta. La conclusione ovvia è che esiste in questi giorni una sorda e violentissima lotta di potere che potremmo riassumere Tremonti – Letta, l’un contro l’altro armato. Se le cose stanno così, non dovrebbe essere difficile arguire che l’uscita di Letta, così alieno dall’occupare in prima persona il palcoscenico dei media, sia stato un atto indispensabile per colpire lo stesso Tremonti. In altre parole, Letta, nel sottolineare i sacrifici impliciti nella manovra economica del governo, contrasta quella linea minimizzatrice di Tremonti, che ancora poche settimane fa sosteneva la possibilità di evitare manovre sui conti pubblici, e fino addirittura a pochi giorni fa diceva che si trattava di provvedimenti da attuare nei prossimi due anni, che quindi non avrebbero modificato i conti dell’anno corrente.

Qui, Berlusconi, come ho già sottolineato altrove, gioca il ruolo non del capo, di colui quindi che assume le decisioni, ma di colui che prende atto, più che mediare, tra coloro che davvero assumono le decisioni, e contemporaneamente del comunicatore, di colui quindi che riesce, magari raccontando barzellette, ad attrarre voti e consensi. Letta ha stretto con Berlusconi un patto di ferro, che implicava però l’essere il gruppo dominante. Nel momento in cui un gruppo alleato entra di fatto in competizione, proponendosi come gruppo egemone, questo pato viene messo in crisi. Come ho detto più volte, i leghisti hanno bisogno di Berlusconi che costituisce il parafulmine e una figura simbolica che aggrega consensi in aree che essi non controllano. Il loro fine è però quello di depotenziarlo, di lasciarlo nel ruolo sempre più palese di burattino da ostentare al pubblico, mentre l’esistenza di un “deus ex machina” quale Gianni Letta da’ troppo fastidio, è troppo ingombrante. Così, è come se i due gruppi si sparassero mentre Berlusconi si trova in mezzo, e per quanto entrambi i contendenti facciano di tutto per non colpirlo, il livello della lotta è tale che qualche rischio lo corre anche lui. Dopo gli attacchi alla protezione civile da parte di Lega e accoliti, adesso tocca a Letta sparare le proprie cartucce, denunziando la pesantezza della manovra che Tremonti ha interesse a far passare in maniera soft. Sa come lo sapeva la Lega, che così mette a rischio lo stesso Berlusconi, ma è un rischio che deve correre, mentre Berlusconi diventa, malgrado il proprio ruolo istituzionale, sempre più marginale.

domenica 23 maggio 2010

LOTTA ALLE MAFIE

Nell’anniversario del tragico attentato a Falcone, non possiamo evitare di fare un bilancio della lotta contro le criminalità organizzate. Il plurale è d’obbligo, visto che ormai, considerando solo le organizzazioni italiane, camorra e n’drangheta hanno ormai un potere paragonabile a quello della mafia, ed anzi qualcuno dice apertamente che la n’drangheta è ormai diventata la più potente delle tre.

Ci chiediamo dunque quale sia lo stato in quest’ambito, quanto l’azione dello stato sia stata incisiva nel contrastare l’attività di queste organizzazioni criminali. A sentire il governo, ma vedo che l’opposizione non sembra manifestare un’opinione contraria, abbiamo in Maroni un grande ministro degli interni. E’ interessante sapere da cosa derivino questi giudizi così perentori. Ad esempio, per motivi che qui non dettaglio, so per certo che per rilasciare un permesso di soggiorno, che credo abbia una validità biennale se non più breve, alla Polizia non bastano sedici mesi: non so se mi spiego, per mettere una firma e un bollo su un documento di una pagina, che in Germania richiede al massimo una settimana, alla polizia italiana occorrono almeno settanta settimane. Adesso, il ministro di polizia è proprio Maroni. E’ troppo chiedere che egli trovi una maniera per accorciare questi tempi? Come si può definire civile un paese che costringe questa gente a queste attese così assurdamente lunghe? Conoscendo la politica della Lega verso l’immigrazione, è facile arguire che questa inefficienza sia deliberata. Se così fosse però, la cosa sarebbe ancora più grave, e cioè che un organo amministrativo usa il suo potere per rendere inefficace una legga dello stesso stato che essa dovrebbe rappresentare e sostenere con la propria azione. Non vedo però né politici né stampa che reagiscano o denuncino questa situazione che è poco definire vergognosa.

Tornando all’argomento principale, c’è questa voce ricorrente, così tanto ricorrente che ci si intimidisce a chiedere le pezze d’appoggio a tale voce, che giudica molto positivamente l’azione di Maroni. Bisogna essere impertinenti come me per farsela la domanda, ma, a parte la richiesta di motivare i giudizi su politici e governanti, e ammettendo a puro livello di ipotesi che siano state tante le azioni di repressione dell’azione delle mafie, possiamo in ogni caso dire che c’è un’evoluzione positiva in questo settore? Se qualcuno adesso mi snocciola il numero dei latitanti catturati, le proprietà immobiliari sequestrate, e così via, io mi permetterei di fare una piccola osservazione. Direi dunque che questo criterio di valutazione dell’azione antimafia è insoddisfacente. D’accordo, ne catturano criminali, ma quanto ne rimangono ancora in giro? Non sarebbe questo importante nel fare conti, sapere che percentuale del totale siano quelli assicurati alla giustizia?

Il punto però che mi sembra più importante è la capacità che le mafie mostrano, di incidere sulla vita sociale di ogni giorno. Se le estorsioni continuano in maniera generalizzata in vaste aree del nostro paese, se lo spaccio di droghe della più diversa natura è tale e tanto che i luoghi ove esso viene esercitato sono di pubblico dominio, se le mani delle mafie sulle aziende continua, ed anzi si incrementa, allora in che senso si può dire che il bilancio sia positivo? Ed ancora più importante è l’atteggiamento mentale delle persone, di come esse si pongano nei confronti delle attività criminali. Tralasciando l’atteggiamento apertamente solidale col crimine, che in definitiva viene da ambienti anch’essi criminali o comunque con esso collusi, si può dire che la lotta antimafia sia un sentimento generalizzato, si può dire che le persone esprimano una capacità e una volontà di ribellione verso piccole e grandi angherie subite da parte dei grandi criminali? A me pare proprio di no, e certo il corteo per ricordare Borsellino l’anno passato a Palermo, a partecipazione numericamente così modesta, mostra non dico un allargamento del consenso alle mafie, ma sicuramente una caduta della speranza, di chi, non vedendo possibilità di sconfiggerli, finisce per cercare piuttosto un modo di convivenza, e quindi per queste vie finisce per accettare la loro presenza e il loro potere.

Oggi ci sarebbe bisogno, innanzitutto da parte della politica, di una chiamata alla lotta collettiva, una mobilitazione della parte sana del paese per superare le infamie che paralizzano questo sventurato paese, che lo tirano sempre giù quando si vorrebbe rialzare, e la prima tra queste infamie è certamente lo strapotere, checché ne dica il governo, delle grandi organizzazioni criminali.

Viceversa, il messaggio che viene dai nostri governanti è del tipo “ragazzino fammi lavorare”, il modello di un cittadino che somiglia sempre più ad un suddito, che quindi deve limitarsi a infilare di tanto in tanto una scheda in un’urna.

E’ proprio da qui che bisogna ripartire, permettendo attraverso una campagna culturale, di rimettere l’uomo al centro, l’uomo comune che riprenda nelle sue proprie mani il proprio destino lottando da sé a favore delle cose in cui crede e contro i grandi mali sociali del nostro tempo.

martedì 18 maggio 2010

DICHIARAZIONE

Dal blog di Alessandro Tauro, riprendo il seguente testo, invitando tutti a volerlo riprodurre sul proprio blog.

COMUNICATO

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi,
in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".
Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

SCENARI POLITICI OCCULTI

Ma cosa sta succedendo alla politica italiana? Se si guardasse senza retropensieri alle dichiarazioni rilasciate dai politici di ogni colore, li si dovrebbe definire impazziti senza alcuna possibilità di rinsavimento. Poiché però non risulta che ci sia stata alcuna influenza virale ad effetto neurotossico, allora ciò che conta dev’essere ciò che non si dice perché non si può o non conviene dire. Proprio le ultime notizie di stampa relative a ieri danno una misura di qualcosa di grosso che si va muovendo dietro le quinte delle dichiarazioni ufficiali, e questo, dopo anni di presunto vacillare di Berlusconi che per molti di noi, me compreso, doveva già stare fuori dalla politica, fa pensare che stavolta davvero ci siamo, che non ritratta di una piccola frattura rimarginabile mantenendo il quadro politico attuale. Cominciamo da Franceschini, quello che per intenderci fino a solo una settimana fa litigava con D’Alema opponendosi all’inciucio con l’UDC di Casini, ed ora, udite udite, per fronteggiare la crisi finanziaria internazionale (sic!) è disposto a governare perfino con Berlusconi. Sarebbe indiscreto chiedergli cosa sia cambiato così tanto nella finanza internazionale in questa settimana da giustificare addirittura il sedersi in CdM con l’avversario di sempre? Solo domenica Franceschini ancora scagliava un attacco allo stesso Berlusconi dicendo una cosa davvero incomprensibile, che se questi voleva le elezioni anticipate, allora, di fronte ad un atto così estremo, era giustificata una coalizione che fosse la più larga possibile. Ma dico, andare ad elezioni anticipate, per Franceschini corrisponderebbe a una specie di golpe? Mi pare una procedura normalissima nelle democrazie parlamentari, come le si può identificare come un’emergenza che richiede alleanze improbabili? Adesso pare che addirittura non disdegni un governo assieme a Berlusconi: qui, davvero cercare una logica, diventa un esercizio impossibile.

Altrettanto dicasi del tentativo di Berlusconi di allargare l’alleanza alla sua sinistra, sia attraverso l’inserimento di un ministro di quell’area centrista, sia di coinvolgere lo stesso UDC. Voglio dire, se uno ha una maggioranza parlamentare già schiacciante, chi mai gliela fa fare di mettersi in casa un partner di cui conosce la riottosità e la pericolosità? Dove sta la logica? Tanti giornalisti dicono che è per depotenziare Fini, ma qui sarebbe il contrario, sarebbe facile per Fini e Casini fare causa comune e davvero creare problemi giganteschi al governo. Se non si ammette che ci sono motivazioni occulte, si potrebbe dire che Berlusconi abbia perso la ragione.

Il punto centrale però rimane quello di capire chi ha messo in giro le liste di Anemone: è evidente a chi ragioni onestamente che per diffondere tale lista, si deve trattare di qualcuno che l’aveva a disposizione, e chi potrebbe averla a disposizione se non chi era più vicino alle persone lì nominate? Capire questo, è capire chi ha interesse a sconvolgere gli attuali equilibri politici, e potrebbe aiutare a capire quale sarebbe il progetto. La voce più accreditata, esplicitamente avanzata dalla Annunziata, è che sia Tremonti, e dietro di lui la Lega, ad avere scatenato questa offensiva. Certamente, come dice la Annunziata, il fatto che il fuoco si sia concentrato sulla protezione civile, non sembrerebbe casuale. Se la corruzione vale in Italia 60 miliardi l’anno, allora di cricche come quella agli onori della cronaca ce ne dovrebbero essere tantissime, e colpire proprio il settore più prossimo a Berlusconi, il suo feudo, la cerchia dei suoi fedelissimi, qualcosa dovrebbe significare. Ma cosa esattamente, è questo il punto. Partendo quindi dal presupposto ipotetico che l’iniziativa sia leghista, si possono formulare due distinte ipotesi. L’una è che Berlusconi non sia l’effettivo bersaglio dell’operazione: deve soffrire un po’, ma probabilmente il vero obiettivo sarebbe Gianni Letta. Effettivamente, se qualcuno ha interesse a distruggere l’enorme potere che Letta detiene, il premier deve necessariamente essere almeno sfiorato. La riservatezza ostentata dai leghisti in questi giorni a far fare il corso alla giustizia, sembra in questo contesto un modo astuto per non assumersi responsabilità, mantenere un’immagine di solidarietà al premier, in altre parole, colpire un unico bersaglio senza distruggere il bersaglio grosso che, come ho motivato in post precedenti, con tutta evidenza la Lega ha vantaggio a non danneggiare. In questa ipotesi, rimane ancora oscura la motivazione di quest’attacco così spietato ed anche, ovviamente così rischioso per chi lo lancia. Però qui la difficoltà sta nel fatto che noi, semplici osservatori, non conosciamo cosa transita giornalmente sulla scrivania di Gianni Letta. Un’ipotesi che mi appare sensata, potrebbe essere la partita sulle istituzioni bancarie e finanziarie. Se mettiamo assieme che Tremonti è il ministro dell’economia, che la Lega rivendica più poter nelle banche, che d’altra parte Letta ha rapporti strettissimi con banchieri quali un Geronzi sempre più in sella malgrado tutte le vicende poco chiare in cui è stato implicato, allora potrebbe ben darsi che sia una questione di “argent”, di potere finanziario. Ciò spiegherebbe la richiesta d’aiuto a Casini, notoriamente abbastanza vicino a quegli ambienti che ruptano attorno a Geronzi. Come si collochi poi il PD in tutto questo, davvero non so, ma anch’essi potrebbero far parte di una cordata finanziaria.

La seconda ipotesi è molto più grave, sarebbe che la Lega abbia scelto la secessione, come del resto recita tuttora il primo articolo del suo statuto. Immaginiamo dunque che la situazione finanziaria internazionale, i conti stessi fatti da Tremonti, impediscano di fatto di fare il federalismo fiscale. Si potrebbe ipotizzare che la Lega, stretta dalle circostanze obiettive non possa procedere a quella iniziativa che rappresenta in un certo senso il suo stesso motivo di esistere. Potrebbe allora essere tentata di ribaltare lo stesso tavolo su cui sta giocando, e ciò passerebbe attraverso la messa in crisi di quei circoli riservati che potrebbero costituire un ostacolo decisivo a un piano separatista. Cito questa ipotesi che potrebbe costituire fantapolitica proprio perché è difficile riconoscere segni di un chiaro e razionale disegno politico nelle attuali circostanze.

lunedì 17 maggio 2010

EUROPA INETTA

Ieri, su “La Stampa”, Barbara Spinelli c’ha regalato un’altra perla, un articolo che potrei sottoscrivere parola per parola.

Ciò che mi pare però che vada aggiunto, è che questo stallo dell’ Unione Europea è ben più della ritrosia ad andare avanti verso un processo di unificazione politica europea, è piuttosto l’immagine della crisi della politica europea. L’Europa dal punto di vista politico è stata essenzialmente l’Europa delle socialdemocrazie. E’ vero che molti governi conservatori si sono alternati a quelli socialdemocratici nei vari paesi, ma chi “tirava la carretta”, chi è stato in grado di avanzare proposte innovative, è stata questa forma inedita di sinistra, tutta interna ai sistemi di democrazia parlamentare. L’offensiva neoliberista che possiamo far risalire a Ronald Reagan negli USA ed a Margerith Thatcher nel Regno Unito ha modificato lo stesso modo di concepirsi della gente, il Weltanschauung, come si dice in ambito filosofico. Ciononostante, l’insediamento di tali formazioni politiche era così ben radicato, che ci sono voluti più di due decenni perché entrasse in una crisi così evidente ed apparentemente irreversibile come la osserviamo ai nostri giorni.

Voglio dire cioè che è certo vero che c’è una palese ritrosia verso un'operazione coraggiosa di maggiore unione, della creazione dell'Europa come uno stato federale multinazionale, ma questa stessa unificazione non avanza perchè dietro questo progetto occorre avere una politica, quella stessa che manca non soltanto a livello continentale, ma anche nelle singole nazioni. Oggi, in Europa, ma un po’ in tutto il mondo occidentale, l’immagine non è più del Titanic in cui si va incontro alla catastrofe danzando allegramente in saloni lussuosamente addobbati. L’immagine che vedo, rimanendo nell’ambito della navigazione marittima, è quella di una cabina di comando affollata di gente che non sa che comandi dare, se svoltare a destra o sinistra, se accelerare o rallentare, ma ingombra quegli spazi così vitali per la sorte dei passeggeri, pretendendo di stare lì, seppure con atteggiamento inetto e inconcludente, pur di reclamare la propria personale importanza. Non c’è più insomma alcun legame tra lo svolgere attività politica ed essere portatore di idee, progetti, soluzioni possibili dei problemi dell’umanità.

domenica 16 maggio 2010

NICHI APRILE GATTI: NON DIMENTECHEREMO

Stavolta, preferisco darvi il link a un post che condivido totalmente di una vicenda triste, prima ancora che per le persone direttamente coinvolte, ed io mi considero tra queste, per il nostro stato e per quello che questa società è diventata.

http://agoradelrockpoeta.blogspot.com/2010/05/langolo-del-rockpoeta-truth.html

mercoledì 12 maggio 2010

RISORSE E BENESSERE

Il commento a un precedente post che gentilmente Ornella mi ha lasciato, mi ha indotto a ritornare sull’argomento che lì affrontavo.

Tutto è partito dalla critica che io muovevo all’importanza preponderante che l’economia sembra esercitare sulla nostra vita, sino difatti a schiavizzare la politica, facendone un passivo strumento dei destini economici della gente. Per me, questo è un punto importante: se non siamo in grado di invertire l’ordine, cioè di porre la politica al primo posto e ridimensionare l’importanza dell’economia, destinandola al suo ruolo naturale di strumento fondamentale, ma comunque sempre strumento della politica, allora tanto vale trasferire il potere alle istituzioni finanziarie, e chiudere i parlamenti.

Proprio per argomentare la mia contrarietà a questa eccessiva importanza assunta dall’economia, citavo il caso di società, certo ben lontane da quelle occidentali, in cui nessuno si sarebbe sognato di ricercare una crescita economica che andasse oltre le esigenze di sopravvivenza della propria comunità. Il confronto con civiltà differenti dalla nostra rimane secondo me un mezzo fondamentale per scoprire la natura ideologica del modo di pensare dominante. Nel mio libro, elenco quali tipi di saperi può aiutarci a far luce dentro di noi, scartando sin dall’inizio mezzi che sono molto di moda, come l’introspezione. Credere che se ci osserviamo con attenzione, impariamo qualcosa su noi stessi mi pare francamente ridicolo, giacchè, sarebbe bene non dimenticarlo, l’osservato e l’osservatore nell’introspezione coincidono, e quindi mi pare sia ragionevole concludere che l’osservatore difficilmente potrà prescindere dall’osservato. Si tratta come dico nel libro di un’operazione abbastanza acrobatica, oppure potrei ancora dire una sorta di gioco degli specchi paralleli che riflettono ripetutamente la stessa immagine. Molto più proficuo mi pare piuttosto guardare fuori di noi: dopo tutto, gli organi di senso per questo ci sono stati forniti. In primis, in quest’elenco di osservazioni utili, metterei l’etologia, per imparare cioè dagli animali che ci sono più vicini. Segue l’etnologia appunto, e infine l’osservazione dei nostri piccoli, soprattutto nella primissima infanzia: essi davvero sono come noi, un nostro doppio, privato degli elementi culturali.

Dunque, avere citato società che hanno per obiettivo la propria mera sopravvivenza mi serviva per evidenziare l’elemento ideologico della nostra società della ricchezza ad ogni costo, una specie di bene prioritario ed assoluto, a cui tutto il resto debba piegarsi. Non volevo invece sposare questo modello della sopravvivenza. Non dico che avere a disposizione mezzi tecnologici, potere usufruire di tante cose, come il condizionamento termico ambientale, che lì Ornella citava, non è per me un peccato, non sono insomma un pauperista. Penso piuttosto che il mito della crescita inarrestata, questo fare coincidere come un’ovvietà una maggiore disponibilità di beni con la felicità è prima di ogni altra cosa una stupidaggine. Non è possibile oggi stabilire quante cose siano compatibili con le risorse del pianeta, e quindi lungi da me lo stabilire una misura quantitativa del benessere ammissibile. Ciò a cui tengo è invece affermare un principio, anche, aggiungo, di fronte ai maltusiani, coloro cioè che cercano la radice e la soluzione del problema nel sovraffollamento del pianeta. Non è che io escluda che anche questo è un aspetto con cui dobbiamo confrontarci, ma mi pare che questo vada fatto solo dopo che abbiamo fatto i conti con il nostro personale livello di benessere. La metafora che uso in questi casi è di una persona che vuole salire su un autobus, e noi, che sull’autobus già ci siamo gli diciamo che non c’è più posto, magari comodamente sdraiati, occupando così tre posti per ognuno. Ecco, prima converrebbe mettersi seduti occupando solo il posto che ci tocca, e poi magari, se ancora l’autobus risultasse pieno, allora sì che avremmo diritto di dire a un’altra persona che non può salire.

martedì 11 maggio 2010

LA BP E GLI APPRENDISTI STREGONI

La vicenda del disastro ambientale causato dalla fuoruscita del greggio dal pozzo della BP ha assunto ormai un significato emblematico dello sviluppo tecnologico quale è diventato ai nostri giorni. In poche parole, tutte le grandi menti che sono state a vario titolo coinvolte, sia i dirigenti tecnici della stessa ditta, che svariati consulenti esterni, alla fine, dopo il fallimento del tentativo di calare una cupola di copertura, hanno finito per arrendersi, e confessare candidamente che non sanno che fare per arrestare l’emorragia di greggio in corso. Insomma, l’immagine dell’umanità che viene fornita è quella che anche nel mio libro descrivevo, è quella dell’apprendista stregone. A somiglianza di questo, abbiamo a disposizione alcune conoscenze ed alcuni mezzi tecnici, che ci mettono in condizione di ottenere dei risultati. Si tratta però in definitiva di esperimenti, perché essendo solo apprendisti e non ancora maestri, ignoriamo tutte le conseguenze dei nostri atti. La BP sa bene come pompare greggio per i SUV di tutto il mondo, ma non è assolutamente in grado di affrontare un’emergenza. Il valore emblematico sta proprio in questo, nel fatto che siamo in grado di liberare delle forze della natura, ma in realtà non siamo in grado di controllarle adeguatamente.

Non sono mancati in questi giorni dei tipi tra i furbetti profittatori e i mentecatti che tentano di cogliere l’occasione al balzo. Per costoro, il rischio connesso al petrolio dovrebbe indurci a sposare il nucleare (sic!). Cioè, capite, questi da questo disastro ambientale, trovano un’argomentazione favorevole al nucleare, i cui rischi sono molto maggiori, e le cui conseguenze ambientali sappiamo per certo che non sono risolvibili. Mi riferisco al problema delle scorie, di cui in definitiva non sappiamo come liberarci, giacchè qualsiasi soluzione per il loro smaltimento è certamente provvisoria.

Io credo che oggi si imponga all’umanità un esercizio di umiltà, di smetterla infine di considerarci i padroni del mondo, come le religioni monoteiste ci fanno credere: Dio ha affidato all’uomo il mondo perchè lo governi. Non c’è alcun Dio, e se ci fosse, si guarderebbe bene dall’affidarlo a un essere in fondo così stupido come l’uomo è.

lunedì 10 maggio 2010

DEMOCRAZIE RAPPRESENTATIVE IN DECLINO?

Le democrazie rappresentative occidentali, o comunque costruite sul modello occidentale, appaiono oggi profondamente in crisi. I fattori principali che le mettono a rischio, ma che soprattutto ne svuotano il significato ed il ruolo, sono sostanzialmente due, uno di natura interna, uno di natura internazionale.

Quello interno, ed in qualche misura intrinseco ai principi fondativi stessi di tale sistema politico, è costituito dallo stesso ruolo del consenso. Il problema dei nostri giorni è che gli sviluppi tecnologici hanno profondamente modificato la catena informativa e formativa nella società. Con la Tv, ed in parte anche con internet, l’accesso di strati vastissimi di popolazione all’informazione è diretta, basta accendere il televisore, e ti trovi di fronte una persona che con una ricercata miscela di autorevolezza e cordialità, ti snocciola frasi su frasi: in qualche modo, il telespettatore si trova di fronte qualcuno che sta parlando proprio con lui. Ebbene, come ho già detto altrove, questa per l’umanità è una novità assoluta e con effetti enormi sulla stessa politica. Salta qui insomma un ruolo di mediazione che una certa classe dirigente locale esercitava sulle persone meno istruite, o comunque più sprovvedute. Allora, il farmacista o il maestro del paese comprava i quotidiani, leggeva magari qualche libro di saggistica, e poi trasmetteva quella che si era costruita come personale opinione a coloro con cui veniva quotidianamente a contatto.

Ora, è chiaro che questa catena informativa aveva i suoi enormi difetti, e nessuno, meno che mai io, la considera ideale. Aveva però un evidente aspetto positivo, che nessuno, neanche la persona più potente, aveva la possibilità di determinare attraverso un abile selezione delle notizie un’influenza fortissima sul modo di pensare delle persone, e di farlo in qualche modo in tempo reale.

In sostanza, il problema del consenso è strettamente correlato al modo in cui questo si costruisce, e quindi col problema dell’informazione. Personalmente, la manifestazione in favore della libertà di stampa tenutasi in ottobre, mi ha visto piuttosto critico, e comunque non mi ha coinvolto. Il perché sta nel fatto che invocare la libertà di stampa è inadeguato allo stato delle cose. Tale parola d’ordine risulta assolutamente ambigua. Perfino Minzolini potrebbe invocare la libertà di stampa quando abilmente tace sulle notizie, o quando ne cambia la natura tramite accurate sostituzioni verbali. Se si rimane così sul generico, magari ci ritroviamo in piazza con l’avversario, dicendo le stesse cose ed intendendone differenti.

Andiamo al fattore internazionale, che viene esercitato soprattutto attraverso gli aspetti economici. L’interdipendenza dei mercati finanziari determina di fatto un non dichiarato potere mondiale che si pone in diretta contrapposizione con i poteri nazionali. Il fattore finanziario si ripercuote poi sull’intero settore economico, come è cronaca dei nostri giorni. La sovranità nazionale viene così fortemente conculcata. Consideriamo ad esempio il trattamento fiscale dei capitali: è evidente che il mercato internazionale dei titoli punirà severamente chi dovesse tassare troppo gli interessi sui propri titoli.

A questi aspetti finanziari, del resto abbastanza noti, si è recentemente sovrapposta un’influenza extranazionale più diretta. Come esempio, si potrebbe citare la recente vergognosa questione del vaccino A H1N1, che una mafia internazionale ha fatto acquistare un po’ a tutti i principali paesi, fatta salva invero la Polonia, che coraggiosamente da sola ha denunciato come un gigantesco imbroglio quest’allarme. Devo confessare che quando ho saputo del tragico incidente aereo che ha coinvolto così tanti dirigenti politici polacchi, il mio pensiero è corso a quelle vicende, ma naturalmente senza che io abbia neanche un vago indizio in proposito. Si è cioè costituito un potere occulto e fortissimo che opera al di fuori delle istruzioni politiche nazionali, ed anche al di fuori delle istituzioni sovranazionali formalmente costituite.

Seppure si possa operare per moderare l’influenza di questi poteri occulti e potenzialmente criminali, è complicato annullarne del tutto il potere, perché in finanza il denaro è potere. Qui, viene in evidenza la necessità di avere più politica. Se riflettiamo, nel mondo contemporaneo la politica è quasi del tutto al servizio dell’economia. Finchè seguiterà ad essere così, sembra improbabile potere ricostituire significativamente la sovranità nazionale. Bisognerebbe quindi rimettere le cose al proprio posto, e finalmente fare politica, il che significa mettere in dubbio i troppi dogmi del nostro tempo, uno su tutti l’obiettivo indiscutibile della crescita ininterrotta del PIL.

Riassumendo, se le democrazie rappresentative non saranno in grado di affrontare adeguatamente la fondamentale questione dell’informazione, di cosa debba essere l’informazione in un mondo così mediatizzato, se non sarà in grado di rimettere in discussione tutte le questioni concernenti l’economia, esse saranno destinate a un più o meno veloce declino, e sarà facile che qualcuno salti su chiedendo l’intervento dell’uomo forte.

venerdì 7 maggio 2010

GIANNI LETTA POTREBBE ESSERE IL PROSSIMO DELLA LISTA

Nelle vicende ormai note come quelle della cricca, cioè del gruppo sorto all’ombra della Protezione civile, con funzioni determinanti svolte da Anemone e da Balducci, e in cui ha poi finito per essere coinvolto Scajola nella nota vicenda di questi giorni a proposito dell’acquisto della sua abitazione, sembra inserirsi un ulteriore elemento di novità, il nome di un importante prelato vaticano fatto dall’autista di Balducci. Insomma, sembrerebbe proprio che il Vaticano sia pienamente coinvolto in queste vicende, soprattutto per la realizzazione del sottopasso ai tempi del giubileo. Se questa notizia fosse confermata, non credo che ci siano dubbi sulle conseguenze che si possono ipotizzare, un’ulteriore trave caduta sulla stessa Chiesa Cattolica e su Ratzinger, il cui papato si prospetta sempre più infausto. Io però andrei un passo più avanti. Consideriamo che questo colpito dalle inchieste è un gruppo di fedelissimi di Berlusconi, potremmo dire il suo zoccolo duro, persone che devono al premier tutto. La Annunziata ipotizzava all’ultima puntata di “Annozero” che questo gruppo avesse anche la funzione di permettere a Berlusconi una totale autonomia finanziaria senza dovere transitare dal Tesoro, ed essere sottoposto dai controlli previsti. Chi manca ancora all’appello dei suoi fedelissimi? I pochi finora rimasti fuori sono pochi, e tra questi spicca Gianni Letta, potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Se adesso consideriamo gli strettissimi rapporti tra questo personaggio politico e gli ambienti vaticani, chiunque può fare due conti, ed ipotizzare un suo possbile coinvolgimento in tali inchieste. E’ obiettivamente difficile credere che il personaggio notoriamente considerato l’uomo politico più influente negli ambienti ovattati della curia romana, forse in assoluto il più fidato collaboratore di Berlusconi, vero protettore politico di Bertolaso e della sua Protezione Civile, sia rimasto fuori da tali affari di dubbia natura e liceità. Trovo inverosimile che una eventuale tresca avvenuta tra due potentati che hanno in questi anni ripetutamente utilizzato il suo ruolo di mediatore, abbiano in questa occasione potuto bypassarlo, escluderlo dal patto più o meno scellerato sottoscritto. Se tutto ciò è venuto fuori davvero da un gruppo di potere rivale, e molti sussurrano il nome di Tremonti, allora si può prevedere che anche Gianni Letta possa finire sotto il loro fuoco. E’ solo un’ipotesi, ma comunque un’ipotesi del tutto verosimile.

lunedì 3 maggio 2010

LAZIO-INTER E IL FEDERALISMO: UNA STORIA ITALIANA

La giornata di ieri ci offre due spunti importanti, apparentemente senza alcuna relazione tra loro, ma se guardiamo bene, in realtà con agganci reciproci significativi. Il primo spunto è dato dall’intervista dell’Annunziata a Calderoni. Mi convinco sempre più che questi leghisti non abbiano perso alcuno degli aspetti con cui si sono caratterizzati al loro nascere, un radicalismo degli obiettivi, la loro ferma concezione di un territorio padano, distinto dal territorio italiano. Adesso magari hanno messo il doppio petto, senza dismettere la cravatta verde naturalmente.

Per inciso, questa storia della cravatta d’ordinanza ha degli aspetti davvero inquietanti. Si parla tanto del separatismo del PCI di berlinguer, quel voler sentirsi diversi. Ebbene, mai i comunisti hanno sentito il bisogno di indossare uno specifico indumento che li caratterizzasse, che so, magari una cravatta rossa, a questo, anche quel senso di separatezza, di sentirsi diversi, non giunse. La Lega sì, la Lega ostenta un simbolo di appartenenza già nell’abbigliamento, ben oltre quindi quello che fascisti o comunisti abbiano mai fatto, riflette su tutte le implicazioni conseguenti.

Tornando all’intervista, lì traspare chiaramente quello che forse non è chiaro a tanti Italiani. Penso ad esempio ai toscani, umbri e marchigiani che hanno votato in percentuale significativa per la Lega. Lascio fuori gli emiliani-romagnoli che quanto meno stanno nella Padania, ma queste regioni secondo qualsiasi evidenza ne stanno fuori. Possibile allora che questi elettori non comprendano che la dichiarata, e mai smentita volontà della lega è quella di creare uno Satto padano separato? Se Calderoni dice che l’attuazione del federalismo è l’unico modo degno di festeggiare l’unità d’Italia, dice per chi abbia orecchie per intendere che bisogna introdurre quelle riforme che facciano fare passi avanti significativi verso la secessione della Padania. Il nuovo stile che la Lega si è data, diciamo dalle elezione del 2008, è appunto da “doppio petto”, ma le enormità che essi dicono con questo stile pacato sono sempre le stesse, e si basano sull’ovvietà, su uno stile apodittico, dell’autoevidenza delle proprie proposizioni. Vedo purtroppo che per primi i giornalisti non sono in grado di rintuzzare gli intervistati, sembrano ormai anch’essi preda di questo nuovo pensiero unico. Lo scontro, e non mi stancherò di ripeterlo, è innanzitutto ideologico, proprio perché si basa su un certo linguaggio a supporto di concezioni magari assurde in sé, ma profferite con grande sicurezza, e devo ammettere che lo stile pacato è azzeccato. Gridare la secessione scandalizza, ma sussurrare che l’unico modo di festeggiare la spedizione dei mille è approvare il federalismo, cioè andare in direzione inversa a quella che Garibaldi diede alla storia, passa come un’opinione rispettabile, qualcuno magari non la condivide, ma insomma stiamo considerando opinioni perfettamente rispettabili. Io vorrei dire ai miei concittadini di provare a fare lo stesso, che so, in Polonia, potresti essere linciato in loco, o semplicemente messo a tacere e considerato come un allocco.

Passiamo ora all’altra notizia di ieri, il tifo dei laziali per l’Inter, pur, evidentemente, di fare un dispetto ai romanisti. A me questo, pur facendo la tara perché trattasi di evento sportivo, mi pare un episodio altamente significativo. Insomma, i laziali manifestano un’avversione maggiore per i romanisti, in altre parole per il vicino di stanza, piuttosto che per l’altra grande città italiana, inevitabilmente in qualche modo un oggettivo concorrente della loro città, Roma. Ecco, a me questa pare una metafora del federalismo, del fatto che il territorio, forse con l’unica eccezione di parte della Padania, non costituisce un fattore di coesione per gli Italiani. Già si sa che gli Italiani non hanno un grande spirito nazionale. In realtà, a me pare, non abbiano neanche il localismo. Senza questo spirito localistico però, come mai potrebbe funzionare il federalismo? Non dico però che non esista uno spirito di gruppo, solo che questo non passa attraverso l’identità territoriale, tanto sbandierata in questo periodo. I laziali che tifano contro la Roma sono lo specchio di questa Italia che si aggrega per fazioni, con questo spirito così permeabile a mafie di ogni tipo e dimensione. Finchè quindi esisterà un’unica nazione, e non so proprio quanto a lungo ci sarà, si costituiranno gruppi di interesse trasversali rispetto al territorio, e non vedo quindi come una gestione delle risorse nel territorio possa funzionare. La mia personale crociata contro il federalismo continua, sopportatemi se potete.

sabato 1 maggio 2010

L'ATTUALITA' DEL PRIMO MAGGIO

Il primo maggio è la festa del lavoro. Generalmente, s’intende la festa dei lavoratori, ma io preferisco considerarla la festa del lavoro, inteso come strumento attraverso cui l’uomo svolge attività essenziali per realizzare la stessa propria umanità. Attraverso il lavoro la persona umana mette in gioco la propria capacità di creare un ambiente adeguato alle proprie esigenze vitali, di rendersi socialmente utile, e trova infine la fonte del proprio sostentamento. Il lavoro svolge tutte queste funzioni contemporaneamente, e sarebbe errato volerne isolare soltanto una di esse. Gli estensori della Costituzione hanno pienamente colto queste essenziali funzioni del lavoro, citandolo addirittura nel primo articolo. Fu quello che possiamo definire un compromesso di grande valore tra tutte le componenti che con la Resistenza avevano collaborato allo stesso sorgere della nostra Repubblica, è una delle dimostrazioni più chiare di come il compromesso non sia sempre un fatto negativo. Non era possibile costruire uno stato marxista, ma si accoglieva da parte di tutti il ruolo essenziale che l’opera umana ha nella società, ben più importante quindi del fattore patrimoniale. Io credo che il primo maggio sia una giornata di grande attualità per tutto il mondo, soprattutto per quello più economicamente sviluppato. Sono fermamente convinto che è da qui che bisogna partire per cambiare le società e per la stessa salvezza dell’umanità. Lo sviluppo, la continua ricerca della crescita della produzione, è essenziale al capitalismo, non è qualcosa di cui il capitalismo possa fare a meno, costituisce invece una delle principali condizioni per il suo funzionamento. Su questo argomento con un certo dettaglio nel mio libro, ma purtroppo qui non posso dilungarmi. In tal modo, il capitalismo si trova obiettivamente in opposizione a qualunque seria e intransigente politica ambientale, e questa a sua volta è imposta dai fatti, dal degrado che l’umanità sta imponendo al nostro pianeta, come riflesso dall’attualità quotidiana. Il capitalismo è quindi in ultima istanza antiumano, e deve essere superato o riformato in maniera drastica. Sono stato marxista, e ho creduto come tanti che il punto fondamentale come insegnato dal marxismo sia il superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione. Non credo più a questo dogma, credo che sia possibile creare una società davvero umana anche se esistesse l’iniziativa privata in economia. Credo però in un’economia pianificata, che gli investimenti dei privati, pure benvenuti, debbano però inserirsi in un quadro complessivo che tenga conto innanzitutto di altre compatibilità. Si dovrebbe tenere conto soprattutto delle compatibilità ambientali e mantenere fermo l’obiettivo della piena occupazione. Credo che sia di grandissima attualità, in un momento in cui l’idiozia ingorda delle grandi finanze ha causato una così profonda crisi economica, che si torni a ragionare, e ragionando non si può che ricollocare l’uomo al centro della politica. L’uomo non può essere uno strumento produttivo, una forza produttiva nel gergo marxista, ma al contrario bisogna far rivivere l’ispirazione della nostra stessa amata costituzione, che identifica il lavoro come strumento di promozione ed emancipazione umana, io direi anche come fattore essenziale di autorealizzazione. Credo che sia importante che in questa ricorrenza si richiami questa centralità dell’uomo e quindi del lavoro, e di come tutte le attività produttive debbano sottostare a criteri di massima occupazione. Auspico che, soprattutto dai giovani, che sono le maggiori vittime della crisi e del criterio del massimo profitto, venga fuori un’iniziativa, una nuova voglia di cambiamento, a partire proprio dal rispetto dell’uomo e dell’ambiente che ci garantisce la sopravvivenza. Vi chiedo se non sarebbe il caso di creare una struttura finalizzata al rilancio di queste tematiche, alla lotta perché la politica di questo primariamente si occupi.