mercoledì 29 dicembre 2010

LA DEMOCRAZIA CHE FU

Ma minacciare è una prova di forza o di debolezza? Le dichiarazioni di Berlusconi sono, io non ho dubbi, il sintomo di un terrore che ormai lo attanaglia, ormai sempre più convinto che non riuscirà, come ha sempre sperato, ad uscire indenne dai reati che ha commesso. Ormai, non gli rimane che minacciare, forzare ancora i toni, accusare tutto e tutti di complottare contro di lui. Del resto, il suo partito è ormai teatro di scontri tra bande, tutti l'un l'altro armati: vada pure a caccia di parlamentari che si sono messi all'asta, rischia in realtà di perdere perfino pezzi del suo stesso partito.
Certo, tira davvero un'area mefitica nei palazzi del potere. Vedere il capo del governo che minaccia i PM è davvero preoccupante, leggere Belpietro che usa il proprio quotidiano per lanciare messaggi gravissimi, insinuando e forse velatamente minacciando, mostra come in questo paese di democrazia è rimasto soltanto un vuoto simulacro. E tutto ciò fa il paio con quanto successo a Mirafiori, dove Marchionne mette il crisi tutto il sistema delle relazioni industriali, in pratica liquidando lo stesso contratto collettivo di lavoro. E tutto ciò accade con un atteggiamento di oggettiva complicità di soggetti collettivi che ne saranno vittime, la Confidustria da una parte, CISL e UIL dall'altra.
In un paese mi chiedo in cui il potere esecutivo minaccia il potere giudiziario, in cui il settore dell'informazione è ormai brandito come una clava contro gli avversari politici, in cui i padroni non intendono più contrattare coi rappresentanti dei lavoratori le condizioni di lavoro, in cui al governo ci sta anche un partito che predica nel proprio stesso statuto la secessione, cosa dobbiamo ancora aspettare per considerarci un paese postdemocratico?

domenica 26 dicembre 2010

UNA NUOVA RADICALITA' ATTRAVERSA L'EUROPA

L'Europa è gravemente malata, i sintomi si infittiscono davanti ai nostri occhi e pongono alle nuove generazioni nuove problematiche.
C'è, è inutile nasconderselo, una nuova radicalità che probabilmente il nuovo continente non viveva dagli anni sessanta. Per certi aspetti, si potrebbe perfino dire che la radicalità dei nostri giorni sia ancora più forte che negli anni sessanta. La differenza rispetto a quegli anni è che allora c'era una torta, un insieme di risorse economiche, in forte crescita. Allora, una classe politica ed imprenditoriale miope ritardò oltre misura il momento della ridistribuzione delle risorse che il famoso boom economico a cavallo del sessanta aveva già liberato. In fondo, si potrebbe dire che il movimento degli studenti, presto allargatosi agli operai, svolgeva un ruolo di stimolo o perfino di supplenza di una classe dirigente pigra. A partire già dagli ultimi anni sessanta, l'Europa trovò una sua specifica connotazione di sistema capitalistico, inventò lo stato sociale, riuscì a interpretare le ansie e le spinte provenienti dalla società.
Con la stessa rapidità, già dalla metà degli anni ottanta è partita una controffensiva che comunemente denotiamo col termine liberista, che iniziò appunto ad ingaggiare una dura lotta proprio contro lo stato sociale. Ecco, proprio in questi ultimissimi anni, quest'offensiva liberista ha raggiunto pienamente i propri obiettivi. Taluni sostengono che l'Europa è la vittima pressochè esclusiva di tale offensiva, io in realtà ritengo che gli USA ne sono non meno vittima di noi.
Rimane il fatto su cui credo non ci siano divergenze, che l'Europa sta subendo danni mortali al suo stesso modo di concepirsi. E' così gravissimo, ma direi perfino incomprensibile, l'atteggiamento dei governi europei così succube al mondo bancario-finanziario. Mi ha fatto piacere leggere recentemente lo stesso Eugenio Scalfari parlare di una cupola bancaria internazionale: a quanto pare, non siamo noi a vedere complotti dappertutto, ma sono i complotti che ci osservano, ci cercano e ci colpiscono senza pietà alcuna.
Riassumendo, le banche, con il loro comportamento irresponsabile, hanno creato tanto debito inesigibile che li avrebbe in breve tempo strangolate. Purtroppo, i governi hanno deciso di accettare il ricatto, ed adesso si trovano indebitati per salvare il sistema bancario, quello stesso che colpisce oggi duro i singoli stati approfittando proprio della fragilità importata dalle banche, un vero paradosso. Apparentemente, governanti di tutto il mondo non si sono resi conto che attraverso questo salvataggio, essi indicano alle banche la strada del loro potere crescente, della subordinazione degli stati nazionali a questa vera e propria internazionale affaristico-mafiosa.
Il mio parere è quindi che ci troviamo in presenza un po' in tutta Europa di governi deboli con i forti (i grandi agglomerati finanziari internazionali), e forti con i deboli (le popolazioni europee), unba classe dirigente complessivamente assolutamente inadeguata allo scopo, vittima delle pressioni internazionali, e che sa soltanto assumere questo diktat esterno, traducendolo in programmi tutti lacrime e sangue. Ecco perchè da Londra a Parigi, da Atene a Roma la risposta è radicale. La radicalità sta nellì'incapacità dei governi di difendere il proprio popolo, di trovare la forza e l'astuzia per essere portatrice di un ragionevole livello di compromesso. Qui insomma non siamo in presenza della psicopatologia di un Gasparri qualsiasi, ma di governi di tutta Europa inadeguati, e che non esitano a tradurre la loro incapacità di opporsi alla cupola affaristico-mafiosa in politiche non soltanto dure, ma soprattutto senza prospettive.
La cosa forse più interessante, almeno dal mio personale punto di vista, è il venir meno della possibilità di sistemi liberaldemocratici a proporre e praticare politiche che non siano acclaratamente ed indubitabilmente antipopolari.

mercoledì 22 dicembre 2010

MATCH BARBARA B - CARFAGNA

No, fatemi capire, per Barbara Berlusconi che la Carfagna vada a fare il ministro per meriti extrapolitici va benissimo, nessuno obietta, il sovrano assoluto può tranquillamente nominare senatore il suo cavallo. Tutto è a posto, purchè la Carfagna taccia, stia buona ed interpreti il suo ruolo come assenso silenzioso e passivo al gran capo. Se, guarda un po’, esprime opinioni apparentemente di natura politica, se entra nel merito della conduzione del PDL in Campania, allora, va male. Capite, per questa giovinetta il motivo dello scandalo non sta nel fare senatore un cavallo, ma piuttosto sul fatto che il cavallo si scopra umano e voglia davvero fare il senatore. Che aggiungere? Tale padre, tale figlia, viene purtroppo da dire.

lunedì 20 dicembre 2010

LA DIRIGENZA PD REGALA UN'ALTRA LEGISLATURA A BERLUSCONI

E’ proprio vero, le ultime novità lo confermano, il gruppo dirigente del PD ormai bada solo a sé stesso ed all’ossigeno a cui è costretto a ricorrere per potere ancora sopravvivere.

Ma un’autocritica mai, la capacità di apprendere dai propri errori totalmente assente.

Proviamo un po’ a riassumere. Il gruppo dirigente del PD, di fronte alla crisi del centrodestra, di fronte allo scontro Berlusconi-Fini, invece di sfruttarlo a proprio vantaggio tenendosi fuori dalla tenzone, si impelaga nel conflitto prendendo le parti di Fini: risultato scontato, diventa parte in causa, ma in funzione subalterna. I tempi della contesa li stabilisce ovviamente Fini, ma i costi della contesa se li becca anche il centrosinistra. Sarebbe stato un gioco da ragazzi gettare fango sull’intero centrodestra, chiedendo a viva voce elezioni subito. La tesi sarebbe stata quella che ci si aspetta da una vera opposizione: vogliamo candidarci alla guida della nazione, visto che il centrodestra, malgrado la sua vasta maggioranza, si è spaccato dimostrando di non saper governare.

E invece, che ti fanno costoro? Stanno a scassarci le pudenda da quasi un anno ormai col progetto del governo di emergenza, una specie di CLN di oggi. Nel mio piccolo, in una serie di post ho affrontato l’argomento partendo dalla constatazione ovvia che nell’attuale parlamento i numeri non ci sono. Qui, non si tratta quindi di stabilire se l’attuale legge elettorale vada riformata o no, non si può impostare una discussione sull’opportunità o meno di cambiare il porcellum, il problema per tutti coloro che non sono completamente ciechi è che non c’è la maggioranza necessaria, bisognerà farsene una ragione.

Ultimo episodio, la mozione di sfiducia non passa, Berlusconi si mette dunque a caccia di deputati secondo un copione che già gli riuscì in occasione della fiducia. I novelli terzopolisti fanno una cosa ovvia, si compattano per evitare emorragie, un’operazione ovvia nelle circostanze date. La blindatura inevitabilmente ha effetti anche sul versante opposto, quello in direzione del PD, e mai e poi mai questi potrebbero dichiarare alcun interesse a sinistra, pena smottamenti a destra.

La situazione sembrerebbe chiara, si andrà ad elezioni sempre più prossime con tre distinti cartelli elettorali, sinistra, centro e destra. Lo capiscono tutti che non v’è alternativa a questa ipotesi: non puoi allearti con chi non ti vuole. D’altra parte, se davvero si avesse un unico cartello anti-Berlusconi, si farebbe un favore enorme proprio allo stesso Berlusconi, consegnandoli chissà quanti voti potenzialmente in area centrista-FLI. La visione statica dei pacchetti elettorali è un errore palese, il voto di un determinato elettore a una determinata lista dipende dalle circostanze complessive in cui il voto viene effettivamente esercitato, non è un dato fisso, una proprietà di cui disporre a proprio piacimento.

Si dice che così Berlusconi riavrebbe la maggioranza alla Camera. Eppure, i sondaggi, per ciò che valgono, dicono che centrosinistra e centrodestra se la battono per pochi punti percentuali. Chiunque volesse davvero vincere le elezioni e governare, si compatterebbe a sinistra, farebbe le primarie per stabilire chi debba guidare la coalizione, e si lancerebbe in una campagna elettorale intensa ed appassionata per strappare quelle centinaia di migliaia di elettori che faranno la differenza.

Queste cose le capiscono perfino i dirigenti del PD, e quindi il loro rifiuto delle primarie, la determinazione ad allearsi ai terzopolisti, ha solo una ragione: impedire a Vendola di concorrere alla guida della coalizione, e potere così sopravvivere a sé stessi, sedendo naturalmente nei seggi dell’opposizione.

Purtroppo, non c’è alcun modo di sovvertire questo disegno vergognoso, dell’anteporre il proprio personale destino politico all’interesse del proprio elettorato, e quindi appare inevitabile andare incontro a una sconfitta abbastanza netta alla Camera, al Senato si vedrà, lì per Berlusconi e Lega sarà ben più complicato.

Dopodiché, quando sarà a tutti chiaro il disegno autoconservativo della dirigenza PD, allora avranno finito, si potranno mettere in pensione, forse, finalmente, in Italia, sorgerà un nuovo fronte politico, una nuova politica, perché quest’ostinazione dei dirigenti PD a difendere le proprie poltrone costituisce davvero l’ostacolo più grosso ad una nuova politica che sconfigga il fronte capitalistico-mafioso che spinge il mondo verso la catastrofe ambientale.

sabato 18 dicembre 2010

POVERO SAVIANO, ANCH'EGLI VITTIMA DEL POLITICALLY CORRECT

Mi dispiace doverlo dire, ma ci siamo persi per strada Saviano. Sembrava un giovine di così belle speranze, ed ecco che la corte del “politically correct” di Fazio e Veltroni se l’e fagocitato.

Diciamolo pure, uno scrittore, se è vero scrittore, affida ai propri libri il proprio contributo alla società. O magari, se ne ha le capacità, si impegna in politica in prima persona, ma mai, dico mai, dovrebbe andare in TV a narrare, non avendo le doti dell’attore (bisogna nascerci attore, e Saviano guarda con espressione statica la telecamera, diciamo che non è un bel guardare…), e facendo in fondo un bignamino sulle malefatte d’Italia.

Sarà la giovane età, ma c’è proprio cascato in pieno, regalando a Fazio l’ennesimo successo, e uscendone non bene, come, nella migliore delle ipotesi una Gabanelli in versione micro. Mi chiedo se questo è solo l’effetto di una passione per la scrittura letteraria già in declino.

La cosa appare davvero grave, sembra davvero che Saviano non si sia più ripreso, come sembrerebbe venir fuori dalla letterina (come quella che i bimbi mandano a Babbo natale in questi stessi giorni…) indirizzata agli studenti tramite la compiacenza del quotidiano “La Repubblica”.

Oddio, ne avesse azzeccata una il giovine, non sa nulla dei black boc che cita evidentemente a sproposito, probabilmente non sa nulla del DDL Gelmini, non sa nulla poi, e questa è l’ignoranza più grave, di come sono andati gli scontri quel 14 dicembre ormai diventata data storica. Non solo non sa nulla, ma, ormai preda totale del “politically correct”, invita gli studenti a dissociarsi dai facinorosi, e del resto anche Travaglio, per citare un’altra icona di questa nostra povera Italia, li ha definiti dementi.

Basta, dico io, basta con questi tromboni che vogliono stare lì ad insegnare cose su cui non sanno nulla. Dementi e facinorosi sono ormai diffusi in tutta Europa, mica solo a Roma, e non c’è certo un’internazionale del terrore, c’è il venire a maturazione di una protesta che cerca, che deve necessariamente trovare, una via di sfogo, un modo di manifestarsi e di incidere sulla realtà. Di fronte a loro l’internazionale affaristico-fionanziaria che ormai è in grado di condizionare in maniera determinante i governi nazionali.

In questo scenario drammatico, tutto ciò che costoro sanno dire è che bisogna condannare la violenza. Saviano si spinge oltre, affermando, basandosi non si sa su quali elementi di fatto che la violenza favorisce il nemico.

Questa argomentazione non solo è sbagliata, ma è addirittura patetica. Chi, dico io, vuole che il giorno della rinnovata fiducia data dal Parlamento, la capitale sia messa a ferro e fuoco? Quale sarebbe il vantaggio che ne trarrebbero? La recita, la sua sì vigliacca, di La Russa alla TV mostra piuttosto il disappunto, se non addirittura la paura da cui sono presi. Il potere è un gigante d’argilla, e il suo supporto fondamentale sta nel fatto stesso che ci crediamo davvero che essi sono così potenti e pericolosi. Pericolosi e potenti certo lo sono, e non voglio negarlo, ma non certo invincibili, e la capacità di uno, due migliaia di ragazzi di impossessarsi della città ne mette a nudo la fragilità.

Perchè a distanza di giorni continuiamo a parlare di quel pomeriggio? Per la violenza che si è scatenata, mica per le cose che educatamente dicevano, per le intelligenti manifestazioni presso monumenti nazionali, per i cartelli in cui spiegavano la loro protesta. Dicono che faranno delle leggi severe: che le faccino se ne sono capaci, la maggioranza del parlamento ce l’hanno ancora, ma la protesta non mi pare che abbia intenzione di finire.

venerdì 17 dicembre 2010

I GIOVANI CHE MANIFESTANO HANNO RAGIONE. PUNTO, IL RESTO E' FUFFA

A seguito della manifestazione di martedì 14, è irrotto sui mezzi di informazione il tema della violenza. Non solo alla TV, non solo sui grandi quotidiani, ma perfino andando per blog, il problema balzato in primo piano è la liceità del manifestare in maniera violenta. Scusate il raffronto non gradito immagino, ma porre non la manifestazione e il suo significato, ma le sue modalità, al centro della discussione, è sposare gli argomenti dell’attuale governo, dei suoi membri e della sua corte dei miracoli. Chi ha seguito ieri la puntata di Annozero, ha potuto notare come La Russa, Porro e infine anche Casini che pur si dichiara all’opposizione, abbiano tentato questa operazione con più o meno efficacia. Il più bravo è stato senz’altro Casini, che non ha brillato certo in immaginazione, ma ha proposto un confronto di fatto “osceno”, perché improponibile, tra la manifestazione e le Brigate rosse, un’enormità che stava passando liscia per il fare piacione del personaggio, ma che Santoro è stato svelto a stoppare molto incisivamente.

Dicevo già negli scorsi giorni in un commento di non guardare il dito quando è la luna ad essere indicata. Insomma, di fronte alla realtà che ci sta davanti, l’unica cosa che va considerata e valutata è la dose più o meno abbondante di violenza? Da che mondo e mondo, l’uomo, come qualsiasi animale, esercita violenza nella sua interazione con l’ambiente: possiamo rammaricarci per questo, possiamo provare ad educarci a un comportamento più civile, ma la violenza è una componente fondamentale del nostro comportamento, ed il mondo come lo conosciamo è essenzialmente il risultato dell’esercizio della violenza, in primis delle guerre.

La destra utilizza quest’argomento in modo scopertamente strumentale, essi sanno bene che al momento giusto la violenza è sacrosanta. E’ la sinistra ad avere oggi quest’atteggiamento che riduce la politica a un confronto, preferibilmente pacato, di opinioni, la politica come terreno di confronto tra opinioni in cui è la bontà dell’argomentazione a far prevalere una tesi sull’altra, insomma ciò che si definisce il “politically correct”. Strana la parabola di gente come Veltroni che partendo dal marxismo, quella teoria che considera la politica come lo scontro tra interessi economici contrapposti, è sbarcato fino a negare la natura intrinsecamente conflittuale della politica.

No, seppure a me la violenza non piace, non mi soffermerò a mettere i voti ed a compilare la mia personale pagella sui manifestanti, fare questo è cadere in un vero e proprio tranello, significa ignorare, mettere in ombra il messaggio politico che viene da essa.

Prima di tutto, vorrei sottolineare la determinazione e l’ampiezza nel numero dei giovani coinvolti: è significativo che essi stessi siano rimasti sorpresi di essere in tanti. Nessuno mette in dubbio che fossero più di mille a Roma, ma dalle foto si potrebbe stimare un numero forse doppio. Qualcuno mi citerà le manifestazioni che vedono la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, ma si tratta di fatti totalmente differenti, la passeggiata piace farla in tanti, ma quello che è successo a Roma richiede tutt’altra determinazione (non oso immaginare cosa significherebbe avere centomila persone che si comportassero come quei manifestanti, sarebbe una strage).

Il secondo elemento interessante è costituito dal carattere internazionale di questa protesta, omogenea sia nelle motivazioni che nei metodi: dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Grecia alla Spagna, proteste analoghe, ugualmente violente, scuotono l’intero continente europeo. Qualcuno a sinistra storce il naso, qualcuno di coloro che ha difeso gente come Cosentino si permette di richiamare il tema della legalità, ma la storia va avanti a modo suo, e nostro compito non è metterle le mutande del nostro sistema di valori più o meno soggettivo, ma capirla, vedere verso dove si dirige, cosa si può fare per tentare di farla avvicinare alla meta che riteniamo più importante.

Ce l’aspettavamo in tanti una rivolta che oggi assume un carattere anche generazionale. E’ inevitabile che cel’abbiano con la mia generazione, quella dei sessantottini, che hanno preteso per sé ogni genere di privilegio, un welfare tutto nostro pagato con i disavanzi nel bilancio pubblico, come accadrà con le pensioni: io andrò in pensione ancora con il metodo retributivo, quelli anche di pochi anni più giovani c’andranno con il calcolo contributivo, assai meno favorevole. Abbiamo avuto il “posto fisso”, ma ora i miei coetanei fanno i soloni e spiegano a questi giovani che non si può più e che anzi si vive meglio da precari. La verità è che abbiamo saccheggiato il pianeta, e che i giovani dovranno partire da molto più in giù, e la prima cosa che si deve chiedere è che i vecchi comincino a mettersi da parte.

Come ho detto più volte, c’è il problema dell’assenza di una vera classe dirigente, trasformatasi come dice Gramsci, in classe dominante, e in questa devo includere anche pezzi importanti di ciò che si autodefinisce sinistra. Prigionieri di un dominio che ha una sottile verniciatura di democrazia, ma che si presenta in realtà come un potere arbitrario e tendenzialmente mafioso, impossibilitati a difendere i propri interessi vitali seguendo percorsi istituzionali, questi giovani hanno ragione, ne hanno da vendere, e non serve davvero a nulla commentare i metodi che adottano. Quello che chi come me giovane non è, può fare è non propinargli i miei più o meno stupidi consigli, ma aiutarli a non farsi male, sottolineando soprattutto la malvagità del nemico che hanno di fronte.

martedì 14 dicembre 2010

MORTE PREMATURA DEL BIPOLARISMO

Mi pare che abbia ragione la Domijanni, giornalista del Manifesto: è Berlusconi ad avere creato il bipolarismo, e non certo il contrario.

Si ha voglia di negarlo, ma questo prodotto dell’Italia peggiore, un uomo che concentra su di sé i difetti tipici degli italiani, è quello che nei passati diciassette anni ha determinato la politica italiana, costringendo tutti gli altri a schierarsi a favore o contro di lui.

Così, in questa fredda giornata dicembrina, con la crisi del personaggio Berlusconi, viene in crisi anche il sistema bipolare. Chi mi ha seguito con maggiore continuità, sa che io sono un sostenitore del bipolarismo, sono un convinto assertore del sistema a collegi uninominali, eventualmente a doppio turno, e non credo ad un sistema proporzionale. Ora, dire che il bipolarismo è semplicemente il frutto della contrapposizione indotta da uno specifico personaggio che ha saputo con i propri mezzi finanziari e televisivi fare dei propri difetti un catalizzatore di consensi, significa anche dire che il bipolarismo non è mai realmente nato in Italia. Si può certo avere delle ottime argomentazioni a favore del sistema elettorale proporzionale, ma bisognerebbe evitare che tra tali motivazioni venga inclusa l’esperienza di questi ultimi decenni, perché che sorta di bipolarismo è quello che si poggia interamente su una contrapposizione di carattere personale?

Con l’uscita di scena di Berlusconi, cresce il partito dei proporzionalisti, dimenticando cos’era la politica che il proporzionalismo ci ha dato nei decenni precedenti, quelli dominati dalla DC e dal PSI. Eppure, le manovrine di Fini e Casini di questi ultimi mesi c’hanno permesso di disporre di un saggio, di un campione significativo di cosa significa un sistema in cui la defatigante trattativa quotidiana diventa il metodo di governo, in cui quando voti indichi solo una persona e non un governo, e, ciò che è più grave, non una politica: voti, e il tuo voto sarà utilizzato a piacimento dell’eletto.

La cosa però più interessante è vedere la cosa da parte del PD, il maggiore partito di opposizione, quello che con Veltroni voleva diventare l’unico partito di opposizione.

Ecco, la crisi di Berlusconi è, com’è ovvio, la crisi del PDL, ma, forse meno ovviamente, è anche la crisi del PD. Ancora ieri sera, era patetica la Bindi che sosteneva l’insostenibile, che il PD vuole il governo di transizione perché serve all’Italia, e non per tornaconto del PD. Ora, una cosa è dire che la politica dovrebbe essere al servizio dell’interesse generale, un’altra, completamente diversa, è dire che un partito possa non essere di parte (la radice del nome stesso quella è). L’interesse generale è inevitabilmente funzione di un’opinione di parte, io partito mi candido alla guida del paese perché ritengo che la politica che propongo è quella che meglio salvaguarda l’interesse generale. No, questi pretendono di farci credere che essi siano sopra delle parti, che possa esistere una politica non di parte.

La verità è tutt’altra, è che il PD è nato per il sistema bipolare, ha imbarcato gente con storie politiche totalmente differenti, proprio pretendendo di potere da sola rappresentare una delle metà dell’universo delle opinioni politiche. Voglio qui tralasciare di considerare tutti i fattori che non hanno consentito al PD di svolgere pienamente questo ruolo, e che poi significa l’incapacità di esprimere personalità egemoniche. Voglio qui soffermarmi sul dato strutturale: il PD non ha fornito al bipolarismo una prassi politica adeguata, lasciando al solo Berlusconi l’onere di sostenerlo (non è un caso che si parli di berlusconismo ed antiberlusconismo). Così, una volta che l’unico supporto al bipolarismo si indebolisce e cade, cade con questo supporto lo stesso sistema bipolare, ma cade con esso anche il PD, che non può più tenere assieme Letta e Fioroni da una parte e Vita dall’altra. La deriva delle ali estreme del suo schieramento verso partiti vicini sembra ormai inevitabile, e non è fantapolitica prevedere perfino la possibilità di una sparizione dello stesso PD, interamente fagocitato da un neoschieramento di sinistra attorno al progetto SEL e dalla novella area terzopolista.

lunedì 13 dicembre 2010

DEL NARCISISMO COME ARMA DI LOTTA POLITICA

Come arcinoto, Berlusconi è l’unico politico che si sia sempre rifiutato di partecipare a un dibattito televisivo. Non ovviamente perché non voglia apparire in Tv, anzi ci tiene molto ad occupare con la sua faccia martoriata da interventi chirurgici di ogni tipo lo schermo televisivo. No, egli non ama il contraddittorio, a lui piace raccontare le sue barzellette e le sue storielle di pura fantasia fatte passare per verità in monologhi senza interruzioni e senza domande finali, e così si sceglie anche il conduttore che gli garba, quello che ha un atteggiamento sufficientemente deferente.

Bene, in questi giorni convulsi pre-fiducia, sono stati in molti ad imitarlo, partecipando sì a talk-show magri non compiacenti, ma adottando comunque la tattica del monologo. Se hanno la parola, continuano a parlare per tutto il tempo che credono, accusando il malcapitato conduttore che osasse interloquire, tentare di fermare questo incessante effluvio di parole, con “allora, lo dica che non mi si vuole fare parlare” e roba di questo genere. Se viceversa la parola ce l’ha qualcun altro, sovrapponendosi senza alcuna remora e seguitando anche quando è evidente che ai telespettatori sfugge ormai a seguito di tale sovrapposizione cosa viene detto.

E’ una questione ben nota nel liberalismo come la libertà di parola debba esprimersi all’interno di alcuni limiti, di regole ben precise. E’ poi anche una banale questione di buon senso e di buona educazione capire che ogni intervento vada fatto in tempi ragionevoli per permettere anche agli altri di dire la loro. In questo senso, il fatto che Berlusconi vada in TV a sproloquiare senza che altri possano interloquire è in fondo un fatto di carenza di educazione, è l’atteggiamento del narciso che ama esibirsi esattamente come ha programmato, impedendo ad altri di influenzare la sua immagine, magari demolendone la credibilità. Alla ricerca dell’ultimo voto per la fiducia, abbiamo visto Belpietro, Gasparri, Castelli, per citare solo quelli che ricordo con esattezza, decidere di fare questo salto verso il raggiungimento di una maggiore dose di maleducazione, mentre Bonaiuti è un vero maestro in questo da sempre.

Il risultato, che è poi quello sperato, è una trasmissione trasformata in un frastuono incomprensibile in cui di fatto si impedisce agli avversari politici come pure a giornalisti di dire la loro. Si è diffusa la voce che siano stati assoldati dei tenori e dei soprano nella propria squadra politica perché con la loro potente voce si sovrappongano più efficacemente.

venerdì 10 dicembre 2010

CASO WIKILEAKS: LA DEMOCRAZIA OPZIONALE

Non pensavo di doverlo mai fare, ma stavolta concordo totalmente con Putin: le grandi democrazie occidentali, quelle che ritengono di simboleggiare il trionfo del diritto, dello stato che si deve fermare di fronte all’autorità della legge, hanno scoperto il loro vero volto. L’episodio della cattura di Assange è un tipico esempio di ciò che Karl Schimtt chiamava lo stato d’emergenza. Schmitt sosteneva che per capire la vera natura del potere bisogna osservare non le situazioni ordinarie, ma quelle eccezionali, quelle in cui vengono meno i meccanismi statuali ordinari. La pubblicazione delle informazioni che gli USA raccoglievano dalle loro ambasciate nel mondo ha evidenziato quale realtà si nasconda sotto la veste formale delle diplomazie. Certo, in sé tutto questo non ci dice granché, non è fonte di informazione, l’aspetto sicuramente preponderante è costituito dall’atteggiamento di sostanziale disprezzo e sospetto in cui opera la segreteria di stato USA. Magari lo sapevamo che il bambino rubava la marmellata, ma certo coglierlo sul fatto, con le mani e la bocca sporca da’ un’evidenza, una certezza che mette certamente in crisi l’amministrazione USA. Del resto, anche ai paesi vittima di queste comunicazioni si viene a propagare quest’ondata di discredito, anche per loro le malefatte in gran parte già note ricevono oggi una forma di ufficializzazione.

Tutto questo crea un clima di emergenza, ed ecco che i capi di diplomazie di tutto il mondo alzano la voce, e alcuni di loro non nascondono che bisogna dare una lezione esemplare a Wikileaks ed al fondatore Assange. Così infine, un mandato di cattura viene emesso nei confronti di Assange a Londra e questi viene arrestato dopo essersi consegnato volontariamente a Scotland Yard. L’accusa è assolutamente ridicola, e proviene dalla Svezia dove in un suo recente soggiorno ha avuto un rapporto sessuale con due ragazze consenzienti, rifiutando però di usare il condom. Ora, è evidente la pretestuosità dell’accusa, tanto da fare venire il sospetto che qualcuno ce le mandò nel letto di Assange. Ora, io non credo che si troveranno giudici svedesi disposti a pronunciare una sentenza che soddisfi la vendetta USA, e credo che Assange non se ne preoccupi troppo. Più interessante è che il solito Frattini, distintosi sinora quale ministro fantasma, nel senso che anche senza di lui le cose sarebbero andate avanti lo stesso, fa dichiarazioni che esplicitamente incitano ad attaccare Assange, ma non si capisce di quale reato dovrebbe rispondere.

Insomma, io non sono certo un fan di Assange, che probabilmente è solo un furbetto che si arricchisce con la sua organizzazione, ma ciò non toglie che il comportamento dei vari governi occidentali stia aldisotto del livello della decenza.

mercoledì 8 dicembre 2010

LA PAURA COME MALATTIA SOCIALE

Quanto è importante la paura nella vita contemporanea? Quanto delle scelte che giornalmente le persone compiono è determinato da un sordo e insistente sentimento di paura?

Non dico la paura che ciascuno di noi proverebbe di fronte ad una pistola puntata alla tempia, non quindi una situazione di pericolo immediato di sopravvivenza fisica, questa paura non solo è giustificabile, ma anzi è sacrosanta e necessaria. In fondo, la paura è un meccanismo di adattamento ambientale, un meccanismo che ci fa aumentare le possibilità di sopravvivenza.

No, io mi riferisco piuttosto alle paure rispetto alle ordinarie e semplici azioni quotidiane. Può trattarsi della paura di perdere un affetto, della paura di diventare poveri, ma soprattutto della paura sul luogo di lavoro, lì dove si massimizza il nostro aspetto pubblico.

Il punto è che, una volta accettata una dimensione di paura, divenuto criterio di scelta, non c’è più modo di uscirne, e perfino la prospettiva di essere scartati per una promozione a favore di un collega diventa angoscia. Ciò che è più grave però è che questa paura incessante e così opprimente finisce col determinare le scelte che compiamo. Se accettiamo di essere ricattabili, non v’è poi modo di uscirne, non v’è nessuno che al nostro posto ce ne possa liberare.

Tanto rilevante è il ruolo della paura, che persone ambiziose e prive di scrupoli sfruttano a loro vantaggio questa situazione, impaurendo colleghi e sottoposti con minacce più o meno dirette, prospettando un danno nei loro confronti in maniera in genere velata e guardandosi bene dal potere essere accusati di queste loro azioni.

Così, non è tanto l’aspetto psicologico che mi interessa, quanto piuttosto l’influenza che la paura esercita nella convivenza sociale, nel determinare cioè le condizioni concrete attraverso cui il potere riesce ad essere esercitato anche in quegli ambiti in cui una situazione formalmente di parità può egualmente trasformarsi in una gerarchia occulta. Purtroppo, gli ambiziosi sono, come dicevo privi di scrupoli, e così il risultato è quello di permettere una selezione diciamo all’incontrario, che cioè le persone meno adatte a sostenere l’interesse generale siano poi le persone più potenti, determinando per questa via un progressivo peggioramento della società nel suo complesso.

Mi chiedo allora se tra le cause determinanti di questa crisi che viviamo in Italia, che non è solo il riflesso della crisi economica internazionale, che non è soltanto la crisi interna di un’intera classe politica, ma che è ormai diventata una crisi complessiva di un popolo, una crisi innanzitutto sul piano morale, non vi sia anche questa pusillanimità di tanti di fronte alla malvagità di pochi.

sabato 4 dicembre 2010

LE NEBBIE DELLA SITUAZIONE POLITICA

Dopo la presentazione della mozione di sfiducia da parte del sedicente “terzo polo”, pare che ciò che accadrà alla Camera il 14 dicembre sia scontato, il governo Berlusconi sarà sfiduciato. In realtà, anche qui è ancora possibile una situazione alternativa, le dimissioni spontanee di Berlusconi prima di quella data, ma se dobbiamo minimamente credere alle sue dichiarazioni, questa ipotesi non dovrebbe verificarsi: realisticamente, al premier conviene arrivare alle elezioni facendo ricadere su Fini e gli altri la responsabilità della fine della legislatura. Il fatto è che l’indizione di elezioni subito, diciamo a marzo, è tutt’altro che scontata. Anzi, davvero tutto ciò che avverrà dal 15 dicembre in poi è avvolto nel mistero più fitto, perché i giochi e le dinamiche che si scateneranno a quel punto saranno tante e divergenti tra loro.

In questo quadro, si inserisce la sibillina dichiarazione di Fini che il Capo dello Stato a quel punto sa bene cosa fare, dichiarazione che lascia aperta l’ipotesi che quel che Napolitano farà lo sa anche lo stesso Fini. Circola ad esempio l’ipotesi di un governo a guida Gianni Letta, inusualmente loquace in questi ultimi giorni, negli stessi in cui si moltiplicano le voci di un suo coinvolgimento in inchieste da parte della Magistratura. Il punto è che Letta non è solo un fedelissimo di Berlusconi, è anche l’interlocutore privilegiato col Vaticano, è anche un autorevole esponente di quel mondo finanziario-cattolico a cui appartengono tra gli altri sia Casini che il banchiere Geronzi. A me pare quindi, che, come sovente avviene in Italia, le mosse politiche potrebbero trovare la loro vera spiegazione in interessi strettamente personali, quello, che avanzo a puro titolo di ipotesi, di un gruppo di potere romano a salvare il proprio culo, scusate il termine, da inchieste giudiziarie. Dal punto di vista strettamente politico, come si potrebbe infatti spiegare che Casini e Fini vogliano concedere a Letta, che ha condiviso sino in fondo tutte le scelte del presente governo costituendone anzi come sottosegretario alla Presidenza un perno fondamentale, ciò che rifiutano oggi a Berlusconi?

Nel frattempo, sempre più incomprensibile appare l’atteggiamento passivo del PD, ormai rassegnato a fare la ruota di scorta del terzo polo, limitando cioè il proprio ruolo a supportare eventuali iniziative che gli altri prenderanno per proprio conto e in piena autonomia. In qualche modo, sin dall’inizio si è andata a predeterminare questa situazione, nel momento in cui il PD, di fronte ai conflitti interni alla maggioranza ha scelto di mettersi dall parte di Fini, invece di mantenere un atteggiamento autonomo di aperta critica dell’intera maggioranza, e non solo della componente berlusconiana. E tutto ciò in nome dell’antiberlusconismo, ormai l’unica parola d’ordine in grado di evitare la disgregazione dello stesso PD, in preda sin dalla sua fondazione di un vuoto pneumatico di idee forti. E’ chiaro che Bersani e i suoi accoliti hanno una fifa boia delle elezioni, ma prima ancora delle primarie, in cui un successo Vendola si prospetta sempre più probabile. Anch’essi in fondo stanno pensando a salvare il proprio culo piuttosto che quello degli Italiani. E con questa religione del pensare a sé stessi, l’Italia precipita sempre più a fondo nel proprio progressivo degrado

Andrà così, il Capo dello Stato concederà il famoso governo tecnico, ma questo si arenerà in liti interne senza fine, incapace di definire una nuova legge elettorale, incapace di trovare un accordo su qualcosa, e alla fine accollandosi il malcontento per la crisi economica sempre più profonda: tanto, gli italiani dimenticheranno presto le responsabilità di Berlusconi, Bossi e Tremonti. I risultati elettorali potrebbero così sorprendentemente rimettere in sella un Berlusconi decotto, anzi stracotto, ma sempre più digeribile di questi tartufi inciucioni.

giovedì 2 dicembre 2010

LO SCANDALOSO SUICIDO DI MONICELLI

Era come pensavo, anche da morto Mario Monicelli fa parlare di sé. In commenti su altri blog, avevo sin dall’inizio sottolineato il valore simbolico che il grande regista aveva inteso dare al suo gesto. Ho trovato ad esempio del tutto errata l’interpretazione data da Pupi Avati in una sua intervista ascoltata alla radio, che considerava questo suicidio come un atto di disperazione, di un uomo che si era isolato e non aveva poi retto questo stesso isolamento che si era ritagliato.

Come dovrebbe risultare chiaro oggi a tutti, speriamo anche allo stesso Avati, non c’è alcuna disperazione in questo gesto, c’è una scelta consapevole e probabilmente ben meditata, seppure tragica. Egli ha scelto di suicidarsi, e non si è dato, l’eutanasia, come incredibilmente sosteneva ancora ieri sera ad “Ottoemezzo” quell’ignorante di Lupi, che evidentemente neanche sa il significato di eutanasia, e pensa sia sinonimo di suicido.

Il suicido, quello più violento, quello che non si può nascondere, come il gettarsi dalla finestra, ha davvero un contenuto scandaloso per la nostra cultura occidentale, e quindi non soltanto per i cristiani. Mette cioè a rischio uno degli assiomi di questa nostra cultura dominante, che la vita possa essere non più degna di essere vissuta, e che si possa consapevolmente scegliere di darle fine.

Noi viviamo in una società in cui non si parla di morte, in cui esistono famiglie dove i genitori nascondono ai figli l’immanenza della morte, la natura passeggera del nostro essere vivi, e lo fanno perfino evitando di citare davanti a loro i conoscenti morti, di farli assistere ai funerali. La natura scandalosa della morte trasforma perfino in un difetto l’essere vecchi, col caso emblematico dello stesso capo del governo che si “asfalta” il cranio, ingurgita botulino, stira tutto ciò che è stirabile, preferendo alla fine apparire come un mostro piuttosto che come un vecchio. I gesti come quello di Monicelli ci richiamano appunto alla finitezza della nostra vita, al fatto che l’individualismo di questa società finisce col rendere tragico ciò che è assolutamente naturale, la vita inizia e la vita finisce. Le religioni monoteiste si sono inventate l’infantile bugia dell’aldilà, mentre io credo che dovremmo riconoscere di essere parte di un tutto, da cui proveniamo e in cui siamo destinati a ritornare.

Io ad esempio vorrei essere seppellito nella nuda terra, senza bare ed altri orpelli, proprio per potere ritornare al più presto nel circolo vitale, essere concime per nuovi fiori (ma mi dicono che la legge lo proibisca).

Tornando a Monicelli, vorrei qui riconoscere il giusto merito al Presidente Napolitano, a cui non ho risparmiato in altre occasioni aspre critiche, che ha fatto una dichiarazione molto coraggiosa ieri, in qualche modo certificando il fatto che Monicelli era riuscito ancora una volta, giusto sul limitare della sua esistenza, a mandare i propri messaggi, vincendo quel tentativo di trasformare una scelta lucida e convinta in un gesto di disperazione. In quanto scelta consapevole, il suicido di Monicelli fa scandalo, e quindi ha raggiunto in pieno il suo obiettivo.