martedì 30 giugno 2009

LA TREGUA DI NAPOLITANO

Il nostro Presidente della Repubblica non parla molto, non è un esternatore come alcuni suoi predecessori.

Tuttavia, il nostro Presidente interviene sempre nei momenti critici della politica italiana, e, apparentemente, nella maniera meno augurabile ed opportuna.

Vorrei qui ricordare tre momenti topici nella parte del suo mandato già trascorsa.

  1. Montava la protesta di Beppe Grillo e il famoso “vaffa-day”. Subito, quasi tutta la stampa s’impossessò del termine “antipolitica”, che, se non definito, appare come un bollo d’infamia gratuito e pregiudiziale. Ebbene, il nostro Presidente non si sottrasse alla tentazione di farne uso anche lui.
  2. Sequestro dell’inchiesta “Why not” da parte della Procura di Salerno e contro-sequestro da parte dell’inquisito, il Procuratore Generale di Catanzaro. Ebbene, CSM, procuratore della Cassazione, infine il presidente della Repubblica, che, come ricordo, è anche il Presidente del CSM, tutti concordi a considerare tutti colpevoli. Non solo, alla fine il vero colpevole venne individuato nel procuratore di Salerno, e al procuratore Generale di Catanzaro un buffetto sulla guancia e una sostanziale assoluzione. Peccato che nel comportamento di Salerno non possono riscontrarsi macroscopiche violazioni dei suoi doveri di inquirente, come confermato dal Tribunale della Libertà di Salerno, mentre il PG di Catanzaro compì un atto chiaramente inammissibile, come ordinare un contro-sequestro sul materiale che il suo inquisitore poteva utilizzare su di lui. Sarebbe come auto-assolversi, impedire di fatto di essere inquisito. Il Presidente, proprio nella qualità di Presidente del CSM non avrebbe dovuto avallare, anche con dichiarazioni, questo modo di procedere del CSM.
  3. Infine, questa tregua politica per il G8, ma è una cosa da proporre? Io credo solo in un’eventualità questa cosa potrebbe risultare accettabile. In caso di conflitto armato, il richiamo all’unità della nazione potrebbe avere una sua motivazione. Qui, stiamo parlando di una normale e periodica riunione dei ricchi della terra per ristabilire come fottere i paesi poveri. Presidente, mi scusi, ma che motivazione è per sospendere il dibattito politico? Presidente, io non aderisco, nel mio piccolo, continuerò ad esercitare la mia capacità critica e il mio diritto-dovere di informazione e interpretazione dei fatti. Spero che nessuno aderisca al suo invito, che trovo del tutto inopportuno.

Spero che, almeno alla scadenza del suo mandato, per evitare di incorrere eventualmente nel reato di vilipendio, qualche giornalista che meriti questo appellativo, vorrà occuparsi della sua biografia per capire ciò che alcuni di noi avevano capito dall’inizio, che con quella biografia, Lei non poteva che essere il Presidente che vediamo.

domenica 28 giugno 2009

SEQUESTRO DEL PRESIDENTE IN HONDURAS

Alcune ore fa, durante lo svolgimento di un referendum di importanza storica per quel paese, un commando militare ha sequestrato il presidente dell'Honduras.
Qualche notizia in più al seguente link:

http://schiavieservi.blogspot.com/2009/06/news-honduras.html

sabato 27 giugno 2009

DOVE FERMARSI ?

Il cartello continua, dicendo:

"Per non incorrere in multe, proseguire fino a Palazzo Grazioli, presso l'utilizzatore finale"

venerdì 26 giugno 2009

COLPO DI STATO IN HONDURAS

Colpo di stato in Honduras. Per qualche notizia in più:
http://schiavieservi.blogspot.com/2009/06/colpo-di-stato-in-honduras-il.html

giovedì 25 giugno 2009

I FATTI DELL'IRAN

Sulla situazione in Iran, mi sono pronunziato solo in alcuni commenti a post altrui. In essi, ho sostenuto una posizione di grande cautela. La motivazione di tale cautela è la scarsa conoscenza che abbiamo qui in occidente di quel grande paese, così distante da noi, non soltanto geograficamente, ma direi soprattutto ideologicamente. Ora, dopo che ho potuto leggere qualcosa di più, e dopo che sono trascorsi alcuni giorni dalle elezioni, mi pare che alcune cose appaiano meno misteriose. In soldoni, mi pare di capire che in Iran si intreccino in maniera inestricabile tematiche libertarie con tematiche economiche.
La società iraniana sarebbe sostanzialmente divisa al suo interno. C’è una lower class, concentrata nelle aree rurali, tradizionalista, a livelli di istruzione modesti, che si sente rappresentata dal vincitore ufficiale delle elezioni, e che ha tratto vantaggi dal governo uscente da un sistema fiscale che ridistribuisce abbondantemente verso i ceti più umili. Dall’altra parte, ci sta la middle class, concentrata nei centri urbani e particolarmente nella capitale Teheran, la società di internet, più evoluta sul piano dell’istruzione e delle conoscenze tecniche, più benestante, che comprende studenti, commercianti, imprenditori, professionisti.
Per completare il quadro, bisogna anche considerare che in Iran c’è una repubblica islamica, in cui quindi il potere politico è in qualche misura assoggettato al potere clericale. Difatti, i candidati alle elezioni sono passati al vaglio delle massime autorità religiose. La prima cosa che quindi si desume è che in Iran c’è qualcosa che non può venire messa in dubbio, ed è la religione islamica sciita. E difatti, nessuno la mette in dubbio. Anche Moussavi, un uomo del tutto interno al regime iraniano, non si permetterebbe di mettere in dubbio un tipo di sistema politico di cui è stato finora uno dei protagonisti. Questa posizione di comando supremo che i vertici religiosi hanno in Iran non è messa in dubbio perfino dai giovani che in questi giorni manifestano a rischio della loro vita nelle strade di Teheran e presumibilmente di un po’ tutti i centri iraniani più importanti. Se questo è il quadro, è evidente che il conflitto in atto è tutto interno al gruppo di potere clerico-politico lì esistente da tanto tempo.
Soggettivamente, per i giovani studenti che manifestano, questa è un’occasione per tentare di dare un’accelerazione all’evoluzione della società. La questione dei brogli elettorali mi pare più un espediente tattico del gruppo riunito attorno a Moussavi che un fatto reale. Tutte le testimonianze concordano nel confermare la grande capacità di ricevere consenso del premier uscente in quelle fasce di popolazione rurale e povera. Cosa c’è di sorprendente nel fatto che egli ancora una volta abbia ricevuto la maggioranza dei consensi? Nei giovani manifestanti quindi, sono i motivi di accesso alle tecnologie, a quello che potremmo definire la libertà il motivo centrale del loro impegno. Attorno a loro però, sotto l’abile direzione di Moussavi e forse di Rafsanjanin, uno degli uomini più potenti in Iran, si muovono molto più prosaici interessi economici, oltre, ovviamente, interessi di promozione personale, come sempre in politica.
In queste condizioni, è facile condannare le uccisioni avvenute nelle strade di Teheran, ma diventa ben più difficile schierarsi tra le due parti. In particolare, non riesco a prendere virtualmente parte al conflitto in corso già per il solo fatto che rimane all’interno di un quadro di potere teocratico, in cui mi trovo nel disagio più assoluto. Piuttosto che schierarmi, mi sembra importante far notare come in quel paese si viva pienamente la passione politica, pronti a sacrificare ad essa perfino la propria vita, mentre qui da noi tutto diventa futile, e la politica è solo un mestiere, mediamente abbastanza redditizio.

mercoledì 24 giugno 2009

LO SVILUPPO EDILIZIO (PARTE QUARTA ED ULTIMA)

Continuando dalla precedente puntata, vado adesso alle conclusioni.

Dalle cose già dette, mi pare di potere affermare che non esiste una coerente politica del territorio, del suo uso, delle scelte di spostamento e dei mezzi con cui spostarsi.

Bisognerebbe intanto partire dalla situazione esistente. Il nostro territorio non è organizzato secondo una pianificazione preordinata sulla base di alcuni criteri teorici. Esso è piuttosto l’immagine di processi storicamente sedimentatisi. Quando io parlo di organizzazione del territorio non mi riferisco a un processo che opera su una tabula rasa, ma intendo riferirmi piuttosto a criteri da utilizzare per modificare l’esistente, tenendo proprio conto di cosa l’esistente sia.

Partirei quindi dalle esigenze di mobilità e dalla loro organizzazione. Un criterio che mi sembrerebbe ragionevole sembrerebbe quello di limitarla il più possibile. Ho visto un recente servizio sugli autotrasportatori, che si sottopongono sul lavoro a sacrifici enormi, davvero un duro lavoro il loro. Ebbene, questo lavoro andrebbe molto ridimensionato, non ha senso spostare ad esempio lo stesso genere di merce da nord a sud e contemporaneamente da sud a nord. Il caso forse più eclatante è quello delle acque minerali che attraversano tutta la penisola in entrambi i sensi, quando ognuno potrebbe consumare l’acqua di territori a lui vicini.

Dicevamo quindi di limitarla il più possibile, ma riflettiamo se questo possa semplicemente significare limitare le distanze medie di spostamento. A me pare che il problema sia alquanto più complesso.

Come dicevo in un precedente post, il punto fondamentale mi pare l’organizzazione delle città. La politica di gestione delle città, indipendentemente per quest’aspetto dagli schieramenti politici, è sostanzialmente consistita nel tirare a campare, nel prendere dei provvedimenti molto parziali sperando così di tamponare questi problemi, per me epocali delle città. E’ significativo che la legge che detta limitazioni al traffico privato nei centri urbani in presenza accertata di inquinanti nell’aria (oggi soprattutto dalle polveri sottili), venga applicato dalla stragrande parte dei sindaci in modo furbetto, in sostanza aggirandolo. Quando ad esempio la Roma di Veltroni colloca le tre ore di limitazione del traffico tra le 9 e le 12, tale misura consente ancora un uso sconsiderato del mezzo proprio a moltissimi, perché si fa in tempo prima delle 9 a giungere sul luogo di lavoro, come similmente il ritorno a casa avviene a un orario posteriore alle 12. Gli unici colpiti alla fine risultano proprio quelli che magari non possono fare a meno del mezzo proprio, come rappresentanti, trasportatori, coloro cioè per cuii lo spostamento coincide col lavoro, e non è un modo di trasferirsi da casa al lavoro e viceversa: spostamento, tra l’altro che avviene ad egli orari uguali per tutti, e quindi nelle condizioni di traffico più critico.

Come limitare dunque il traffico veicolare cittadino? Qui, io avanzo una proposta che non ho mai visto avanzata da nessun’altra parte. Io parto da una riflessione elementare, e tuttavia non frequentata, e cioè che una strada è una struttura la cui finalità è quella di permettere agli autoveicoli di spostarsi da un luogo a un altro. Se così è, cosa c’entra la presenza di posteggi lungo le strade? Se per strada s’intende una struttura lungo cui procedono gli autoveicoli, che senso ha riservarne una percentuale significativa della sua larghezza a posteggi?

Naturalmente, la questione travalica le semplici definizioni. La mia esperienza di automobilista è che, tranne nei momenti di punta, la velocità di spostamento in città sia negativamente influenzata proprio dall’esistenza di aree di parcheggio lungo le strade. Questa influenza si esercita in maniera diretta tramite una riduzione della larghezza utile per la viabilità, ma anche indirettamente. Ciò che io osservo quando guido in città, è che c’è una specie di ossessione di ricerca del posteggio che distrae del tutto i conducenti dalla guida. Si procede più lentamente, a volte si attende che qualcuno esca dal posteggio tanto agognato, si rallenta ad ogni incrocio per controllare gli eventuali posteggi disponibili nelle traverse, e si deve anche frenare perché degli autoveicoli stanno in quel momento uscendo da un posteggio.

Riassumendo, la mia proposta per ridurre il traffico nelle città è quella di impedire la possibilità di posteggiare lungo le strade. Ci dovrebbero essere piuttosto delle aree di parcheggio ben definite, sostanzialmente, considerando la carenza di spazi nelle nostre città compatte, a sviluppo verticale. Naturalmente, questo parcheggio sarebbe a pagamento, per questa via costituendo quindi un disincentivo all’uso del mezzo proprio, in particolare di chi vuole proprio raggiungere la città in quanto tale, permettendo invece il semplice attraversamento di essa. Il mio parere è che un provvedimento di questo tipo, che dovrebbe accoppiarsi a un imponente piano di costruzione di parcheggi, sarebbe da solo sufficiente a migliorare significativamente lo stato della circolazione nei centri urbani, sostituendo tutti quei provvedimenti di limitazione del traffico che, a mio parere, non vanno al nocciolo della questione: un uso improprio delle strade urbane.

Vogliamo insomma, come detto nei precedenti post della serie, una città di pedoni, che utilizzano saltuariamente i mezzi urbani di trasporto pubblico, e che facciano i loro acquisti in gran parte nei piccoli negozi cittadini. Un certo decentramento di popolazione non andrebbe scoraggiata, perché comunque contribuisce a decongestionare i centri urbani, e nessuno ci obbliga a creare viabilità aggiuntiva: basta bloccare questo continuo processo di costruzione di grossi centri commerciali extra-urbani. Nel piano di viabilità generale, prevedere nuovi percorsi su rotaia potrebbe costituire un’interessante alternativa all’uso del mezzo proprio per raggiungere il centro cittadino dai dintorni. (FINE)

lunedì 22 giugno 2009

LA CADUTA DEL SIGNOR B.

Ci siamo: B. sembra sempre più in difficoltà di fronte ai recenti scandali, su cui non mi soffermerò. Mi pare evidente che ciò che sta succedendo implica una momentanea frattura negli equilibri di potere in Italia. In qualche modo, una parte del gruppo dirigente ha finalmente deciso di non rendersi più complice di B. e procedere al suo allontanamento dalla scena politica. Se questa è la situazione, quello che sto leggendo andando per blogs mi pare del tutto incongruo.

Qui, non c’è la mossa vittoriosa di un fronte comunque definibile come progressista: per come stanno procedendo le cose, si tratta di dinamiche estranee al pubblico, anche se a tutti noi comunque gradite e attese da tempo. Anche il paragone con quanto successo a Craxi mi pare inappropriato. Lì, ci furono dei magistrati che, procedendo nel loro dovere istituzionale, si sono imbattuti in vicende criminose che hanno coraggiosamente deciso di indagare, io credo in piena autonomia, così come dovrebbe sempre fare il potere giudiziario. La cosa fu resa possibile da un movimento popolare, dal cosiddetto popolo dei fax che, sorprendendo sia il mondo politico che gli stessi inquirenti, decise di appoggiare l’azione di quei magistrati coraggiosi. Qua, mi pare, di popolo se ne vede pochino, di mobilitazione direi niente.

Naturalmente, non intendo dire che le vicende non ci riguardino o che noi dovremmo assumere un atteggiamento di neutralità. Ciò che intendo piuttosto dire è che l’opacità delle trame in atto dovrebbe consigliare cautela, cautela, ma anche attenzione. La cautela serve a non farsi usare, a non permettere a qualcuno magari di sostituirsi a B. e continuarne la politica. L’attenzione è richiesta perché gli schieramenti in atto non sono chiari. Sembrerebbe che ci siano poteri che fanno riferimento al PD sicuramente coinvolti, ma non sappiamo ancora che sponde essi abbiano nel PDL, e quale altre nella Lega Nord. Quali alleanze si vanno creando e spezzando in questo momento? Sono elementi essenziali nel decidere come schierarsi in eventuali alternative che si dovessero porre nel prossimo futuro.

Il problema della premiership di B. è troppo grosso per potersi, da una parte, chiamare fuori per non sporcarsi in tali trame, e dall’altra parte per predicare crociate per la libertà o cose del genere. Si trattasse di andare in piazza, capirei gli appelli, ma è una vicenda che al momento procede tutta nei palazzi. Come semplici cittadini non siamo stati coinvolti dalle parti in campo: sembrerebbe saggio, prima di farci coinvolgere, conoscere i dati della situazione, in assenza dei quali si può essere soltanto strumentalizzati.

venerdì 19 giugno 2009

LO SVILUPPO EDILIZIO (PARTE TERZA)

Dicevo quindi nella puntata precedente, che avrete certo avuto il tempo di dimenticare, che le nostre città sono diventate ostaggio delle macchine. Città nate in tempi così distanti da noi, con centri storici spesso risalenti a svariati secoli addietro, sono costrette a confrontarsi con un traffico urbano dalle dimensioni enormi, che le rendono disagevoli. La parte, nello stesso tempo privilegiata e più accorta, della popolazione ha deciso quindi di andare a stare fuori dai centri urbani, tenendosi generalmente abbastanza a ridosso di essi, sia per esigenze di lavoro, che per potere usufruire di attività re servizi in esse disponibili. Spesso, potere assistere a un dibattito, o uno spettacolo è vincolato alla possibilità di raggiungere in tempi ragionevoli una grande città.

Il servizio di report che ha ispirato questa serie di post colpevolizzava questo genere di comportamento. In verità, report non taceva sul fatto che i piani di sviluppo edilizio nei dintorni dei grossi centri prevedano, oltre all’edilizia residenziale, centri commerciali di ogni tipo. Il limite che vedevo nel servizio citato sta proprio nel considerare questo fenomeno di espansione edilizia come un tutt’uno, senza farne un’analisi articolata. E’ vero che questi due fenomeni nascono assieme, in quanto gli investimenti necessari per assicurare la viabilità vengono assunti dai promotori dei centri commerciali. Mi chiedo tuttavia se l’unica alternativa stia nel citato esempio di un comune che prevede di edificare zero metri cubi, cioè nessuna nuova edificazione. Si deve escludere che insediamenti abitativi di dimensioni limitate possano coesistere con la viabilità già esistente?

In ogni caso, mi pare che i grossi centri commerciali costituiscano un problema già in quanto tali, indipendentemente dagli effetti indotti in funzione dell’effetto di trascinamento indotto nel territorio.

Basta in verità riflettere sulla stessa loro esigenza di disporre di strade più larghe e più veloci: servono evidentemente per gli autoveicoli che trasportano gli abitanti dei centri urbani che vanno lì a fare shopping. Aldilà del numero di veicoli aggiuntivi che si mettono in movimento nell’area extra-urbana, per i centri commerciali una viabilità veloce è fondamentale, per garantire alla clientela un accesso alla loro area pratico e rapido. Cosa cambierebbe se questi centri commerciali sorgessero senza una concomitante crescita delle aree abitative? Mi pare ben poco, nessuna sul sorgere di nuove arterie viarie: per questo, sarebbe bene chiamare i problemi col loro proprio nome.

L’aspetto a mio parere più grave del sorgere di sempre nuovi e sempre più faraonici centri commerciali sta nella concorrenza sleale che essi fanno ai piccoli esercizi commerciali presenti nelle città.

Qui, veniamo quindi, dopo il primo fattore già tratteggiato costituito dalla presenza invadente degli autoveicoli, ad un secondo fattore che tende a cambiare l’aspetto delle città, la progressiva sparizione delle botteghe. A seguito di questi due nuovi fattori, che irrompono nel secolo scorso, avviene quindi una trasformazione nella stessa essenza dell’essere città così come la storia precedente ce l’aveva tramandata.

Siamo passati da città le cui vie sono affollate da persone che passeggiano, fermandosi per botteghe, vie popolate almeno dall’alba al tramonto, a vie divenute schiave degli autoveicoli, con una densità di botteghe in costante decrescita. In sostanza, la tendenza è verso la desertificazione delle città,sempre più soffocate dal traffico autoveicolare, ma sempre più povere di persone che vanno a piedi, oggi significativamente chiamate pedoni. (continua…)

mercoledì 17 giugno 2009

LA SINISTRA PIU' A SINISTRA

Pongo qui una domanda a tutti coloro che si considerano di sinistra, di una sinistra che non si identifica nel PD e neanche nell’IDV. La domanda è la seguente:

“La volontà di vedersi rappresentati nel Parlamento, a quale finalità è rivolta? E’ rivolta a un bisogno di semplice testimonianza, oppure a un’aspirazione a governare questo paese, a permettere a questo paese di attuare quei provvedimenti legislativi che possono concorrere a migliorare le condizioni di vita degli ultimi, dei più poveri, degli esclusi?”

Se la risposta fosse la prima, allora ci si potrebbe chiedere se la presenza in Parlamento sia davvero così indispensabile, se un’opera di testimonianza non possa espletarsi, forse perfino con maggiore efficacia, fuori dal Parlamento.

Se la risposta fosse la seconda, allora bisognerebbe avere una strategia che possa prospettare un’ipotesi di governo. In quest’ultimo caso, si dovrebbe cioè avere chiaro se si immagina di andare al governo assieme al PD e all’IDV, oppure da soli. Così, il giudizio su queste formazioni politiche è essenziale: sono forze sostanzialmente progressiste, che bisogna stimolare ed indirizzare verso politiche appropriate, oppure si tratta di formazioni su cui non bisogna contare, perché inevitabilmente portatrici di una politica che non potrà assumere in alcun caso caratteristiche di sinistra? Per chi insomma privilegia il momento elettorale, e quindi l’essere rappresentati in Parlamento, deve essere sin dall’inizio chiaro se si vuole governare, e in quale tipo di governo essere presenti.

Lasciando per ora da parte l’IDV per la sua comunque tuttora modesta consistenza numerica, il problema chiave mi pare l’atteggiamento verso il PD. Credo che sia difficile trovare qualcuno che esprima un giudizio più critico verso il PD di me. La mia opinione è che dentro il PD c’è davvero poco da recuperare. La vicenda della “maggioranza bulgara” nell’Assemblea Nazionale contro il congresso subito, a seguito delle dimissioni di Veltroni, mi ha definitivamente convinto che il virus contratto dal PD sin dalla sua fondazione ha contagiato anche i quadri intermedi, che risultano ostaggio dei loro dirigenti. Per questo, mi prefiggo, nel mio piccolo, di distruggere questa formazione politica, sperando così di liberare energie potenzialmente positive indirizzandole verso finalità adeguate.

Ciò che invece mi sembra strano è un certo atteggiamento che definirò minoritario, e che consiste nel dare per scontato che il PD rimarrà in ogni caso vivo e forza maggioritaria dell’opposizione, e tenta di ritagliarsi una sua nicchia politica, senza alcuna speranza reale di cambiare alcunché in questa società. Essere minoritari cioè non dipende da quanti consensi si ottengono, o da quanti applausi si raccolgono, ma dalla prospettiva in cui ci si colloca. Delle due l’una: o si vuole distruggere il PD o ci si vuole quanto meno alleare con esso, tertium non datur per chi non vi aderisce.

E veniamo quindi all’ultimo punto. Ho potuto leggere le critiche feroci verso le dichiarazioni rilasciate da Bertinotti, che adombrava un unico partito di opposizione. Io non sono d’accordo con lui, ma chi è contrario si pone la prospettiva di sostituire il PD alla guida dell’opposizione? Io credo di no, credo che in questa direzione non vengono neanche coltivate speranze. In caso contrario, se ci si ponesse in una prospettiva maggioritaria, non ci si schiererebbe contro il sì al referendum.

Allora, dico io, se comunque ci farò i conti col maggior partito di opposizione, posso tuttavia dissentire con l’opinione di Bertinotti, ma non scandalizzarmi, parlando di svendita e roba simile. Sarebbe davvero interessante conoscere che opinioni si abbiano in quest’area politica sulle esperienze di governo di centro-sinistra, interessante e decisivo per capire in che direzione andare. E’ stata la svendita della sinistra, o è stata una esperienza interessante che dovrebbe suggerire una minore intransigenza? Credo che tra tanti motivi che portano alla polverizzazione di quest’area politica ci sia anche l’incapacità a fare i conti con i propri errori.

Io, come ripetutamente ho già scritto, voterò sì al referendum, non per lasciare il monopolio dell’opposizione al PD, ma per cambiare una legge elettorale oscena e che a mio parere qualifica questo paese come già fuori dalle democrazie. Le cose che contano non avvengono già da un pezzo in un Parlamento di nominati e di tanti pregiudicati. Le cose che contano avvengono nelle TV, un argomento anche questo su cui mi sono ripetutamente espresso. O qui si riesce ad intervenire culturalmente in questa società, oppure avere un paio di parlamentari non cambierà proprio niente.

In Parlamento diventa fondamentale andare soltanto quando si diventa maggioranza di questo paese, o consistente opposizione, negli altri casi gli interessi di promozione personale si mescolano inesplicabilmente con gli interessi propriamente politici.

Io spero, in conclusione, che queste riflessioni le facciano tutti, perché, in assenza di chiarezza su questi aspetti, le scelte politiche rischiano di assumere connotazioni viscerali invece che razionali.

martedì 16 giugno 2009

VELTRONI, DELLA SERIE: RITORNANO

Avete letto quello che Veltroni ha affidato a FB? E’ un capolavoro di….”veltronismo”. Dico: ma questi sanno cos’è un ragionamento logico? Egli dice: torniamo al Lingotto, non torniamo indietro. Ma, scusate, il Lingotto non è stato due anni fa? Se torniamo al Lingotto, è evidente che si torna indietro…

Poi, più avanti: “Io mi sono assunto responsabilità che non erano mie”. Ma, se le ha assunte, come fa a dire non sono mie? Non mi posso assumere una responsabilità negandola. No, decisamente, non sanno cos’è la logica, dovrebbero seguire un corso, magari anche per corrispondenza, o forse su FB??? :-d

A questo figuro, non è bastata la valanga di voti avuti alle primarie, per mostrare ai vari ducetti del suo partito i genitali, se mi passate la volgarità. Ma che speranza può avere il nostro paese se chi è chiamato a comandare non lo fa per compiacere a destra e a manca? Dove trovarlo un leader che abbia qualcosa su cui scommettere e abbia la voglia di farlo? Stanno tutti lì, preoccupati solo di mantenersi in un equilibrio più o meno stabile…

domenica 14 giugno 2009

DIMETTIAMOLO

Credo che sia venuto il momento di estromettere il nostro premier perché egli è malato. Le sue continue smentite, il suo scambiare la realtà con le sue fantasie più improbabili, il suo bisogno spasmodico di circondarsi di persone che gli ricordino che lui è il migliore, specialmente se tali persone sono giovani donne, tutto questo mostra, aldilà di ogni ragionevole dubbio, che si tratta di una persona mentalmente instabile, con problemi psicologici che travalicano la normalità: dimettiamolo al più presto, è una questione di compassione umana.

Intanto, si prenda tra i collaboratori qualche avvocato in meno e qualche neuropsichiatra in più!

mercoledì 10 giugno 2009

UDC, VIENI DUNQUE A PRENDERTELI...

Qualcuno sarebbe in grado di spiegarmi perché gli ex-DC del PD non vadano ad aggiungersi all’UDC, visto che questa formazione politica non sta più nella maggioranza con B: potrebbero continuare a fare opposizione in un contesto più appropriato per loro.

Sì, aborto terapeutico per il PD, e vedremo cosa potrebbe nascere dalle loro ceneri.

ANCORA SUL REFERENDUM

Come volevasi dimostrare: questa possibilità che si regalava a B. di fare il ducetto beccandosi per intero il premio di maggioranza, B. è il primo a non volerla, è un dono avvelenato. Motivo in più per votarlo il referendum, anche scontando il fatto che sarà tutto inutile, perché il quorum in queste condizioni non si riesce a beccare.

Anche qui sui blog si è fatta una guerra fragorosa su una cosa che risultava ovvia sin dall’inizio: che il quorum non si sarebbe raggiunto e che l’attuale maggioranza il potere che voleva prendersi, se l’è già preso, e invece tanti stanno qui timorosi per un futuro potenziale disegno reazionario, che è invece in pieno in atto. Smettiamola una buona volta di avere paura, e iniziamo a reagire. Il che, ovviamente, non è scrivere appelli o lettere a Franceschini, ma prendere l’iniziativa in prima persona.

Il mio invito al sì al referendum lo mantengo, non perché ho speranze che il quorum possa essere raggiunto, ma perché comunque un’affluenza ragionevolmente alta, sarebbe comunque un importante segnale politico contro l’intero arco delle forze di maggioranza e contro tanta parte anche dell’opposizione, come pure contro l’attuale legge elettorale.

martedì 9 giugno 2009

L'EUTANASIA DEL PD

Leggendo una serie di post che chiedono al PD di reagire alla crisi, di fare questo o fare quello, di dare il partito in mano a questo oppure a quello, io direi piuttosto:

“Si prega di non praticare misure di accanimento terapeutico al PD: semmai, procediamo con l’eutanasia.”

lunedì 8 giugno 2009

UNO SGUARDO ALLE ELEZIONI

Ci siamo. Ormai il quadro dei risultati elettorali è quasi completo, e i bloggers non mancano di fare avere i loro commenti. Inizierò questo post proprio facendo una specie di rassegna di quello che ho letto sui blogs, perché mi pare molto significativo.

Ebbene, siamo sempre nel cortile di casa nostra, a piangerci addosso, a strapparci le vesti, ad accusarsi a vicenda (ma questo era già iniziato almeno da ieri). Reazioni, permettemelo di dire, assolutamente sproporzionate: i risultati delle elezioni in Italia sono stati in accordo con quanto era ampiamente prevedibile. In questo contesto la sorpresa e lo sdegno sono assolutamente fuori luogo, come sembrerebbe parimenti fuori luogo affermare di sé stessi di avere detto tutto prima, con la postilla che adesso si fa come dicevo io: vedete che le elezioni mi hanno dato ragione?

Reazioni inadeguate, lo dico con la solita franchezza che mi sono imposto dall’inizio in questo blog.

La prima cosa che mi pare inadeguata è la direzione dello sguardo, tutta rivolta verso i patri lidi, quando (qualcuno l’avrà dimenticato forse?) si è votato in tutta Europa.

Il mio primo commento è quindi rivolto all’Europa, e al netto spostamento a destra del suo elettorato: questo mi pare di gran lunga il dato politico più importante. Se vogliamo essere più precisi in verità, data l’eterogeneità delle destre che si sono spartite il progresso elettorale, quello che fa più sensazione è il regresso davvero notevole del partito socialista europeo. Ci sarà modo nei prossimi giorni di tornarci. Io vi anticiperò adesso, senza avere lo spazio per argomentarlo, che questo ridimensionamento mi pare di natura epocale: non vedo nel prossimo futuro occasioni di rivincita dei socialisti. E’ una tesi ovviamente discutibile, anzi discutibilissima, ma lasciate che parta da questa assunzione per fare un ragionamento.

Le società occidentali avanzate sono soggette a due ordini di influenze. Il primo è quello culturale, che spinge, sulla base soprattutto della necessità di audience delle TV, ad abbassare il livello culturale delle trasmissioni, di richiamarsi cioè agli aspetti più istintuali dei telespettatori. Il risultato è che il lungo cammino dell’umanità per uscire dalle caverne in direzione di una società sempre più giusta si è bruscamente interrotto: la cultura la fanno i palinsesti TV, cioè in definitiva nessuno, perché non si tratta di una politica culturale consapevole, ma solo dell’assecondamento dell’audience.

Il secondo fattore è la crescente competizione economica ad opera delle economie emergenti: basti citare per tutte, la Cina, l’India e il Brasile, e la contemporanea pressione demografica proveniente dai poveri del mondo.

Il risultato è che gli europei hanno una terribile paura, paura di perdere quei privilegi che il resto del mondo non si è mai potuto permettere, ma una paura coniugata con una crescente incapacità a leggere le vicende del mondo, anzi direi in assoluto di leggere con i propri occhi: gli occhi sono ormai quelli che la TV ci affibbia collettivamente.

Se questo fosse vero, se la mia tesi fosse veritiera, ciò significherebbe che la figura dell’europeo moderato di sinistra sarebbe una specie in via di estinzione. Pare a me che da questa area politica non ci sia più nulla da attendere, non vedo in nessuna delle grandi nazioni di Europa che partiti di quest’area politica abbiano mostrato di avere proposte da avanzare per i problemi della contemporaneità. In fondo, tranne i laburisti di cui si prevedeva largamente il tracollo, solo Zapatero in Spagna si trovava al governo, ed anch’egli è stato sconfitto. Qui, direi, si conclude il tentativo estremo di fare rivivere i fasti dell’Illuminismo. Di conseguenza, sarebbe confermata la tesi che io propongo anche nel mio libro, che l’Italia non sia affatto un’eccezione, la mela marcia delle democrazie europee, ma soltanto la triste avanguardia di un progressivo processo di incancrenimento delle democrazie liberali sorte a partire dalle parole d’ordine della rivoluzione francese.

In Italia, nulla di nuovo mi pare, non sono affatto sorpreso dai risultati, previsti e prevedibili. Dico qui, come suprema provocazione verso alcuni di voi, che, nella maggioranza di governo, il ridimensionamento del PDL, assieme al concomitante avanzamento della Lega, dovrebbe spianare all’opposizione la strada verso una più intensa campagna per il sì. Difatti, vi immaginate voi, il B., in difficoltà per il modesto risultato alle europee, dopo avere inoltre già dichiarato di fare la campagna per il sì, cosa farebbe con la Lega se davvero il sì vincesse? Non potrebbe andare alla crisi di governo coi numeri delle europee, non potrebbe formare un’unica lista che la Lega mai accetterebbe. Dovrebbe necessariamente andare a una nuova legge elettorale: ora più che mai, mi pare che questa ipotesi sarebbe quasi certa. Chi di voi vuole ancora tenersi il porcellum?

LO SVILUPPO EDILIZIO (PARTE SECONDA)

Nel precedente post, di cui spero ricordiate qualcosa, malgrado il troppo tempo trascorso, prendendo spunto da un’inchiesta di report, tentavo, proprio con un approccio diverso da quello dell’inchiesta giornalistica, considerare la correlazione tra alloggi nei centri urbani e alloggi al di fuori di essi.
Dopo avere lì tratteggiato alcuni aspetti della situazione di sviluppo incontrollato di edificazione fuori dai centri urbani, qui tenterò di considerare la situazione dei nostri centri urbani, Ciò che dirò, sarà in particolare riferito a centri medio-grandi, con una popolazione che sia significativamente maggiore di centomila abitanti. Il motivo di questa scelta sta nel fatto che mi pare che molti problemi derivino, addirittura con un certo automatismo, proprio da un fattore dimensionale.
La città è sorta lungo la storia dell’umanità dall’esigenza sociale degli uomini, cioè dal volere vivere assieme, e questa comunanza ha ben poco di romantico, derivava anzitutto da vantaggi pratici dello stare in stretta prossimità gli uni agli altri. Non starò qui a stilare un elenco di tali vantaggi, ma riprenderò alcuni di questi più avanti.
La città si caratterizza subito per avere un dentro e un fuori, quindi nell’includere i cittadini appunto, e nell’escludere gli altri, gli stranieri, i nemici. A questo scopo, le città si dotano di mura di cinta che consentono l’accesso solo attraverso degli specifici varchi, appositamente sorvegliati.
Certamente, nell’antichità, differenti modelli di insediamenti abitativi si svilupparono, ma ovviamente una tale analisi storica esula dallo scopo di questo post. Facciamo adesso un grande balzo temporale e arriviamo all’inizio del secolo passato, quando si verifica una vera e propria rivoluzione nei mezzi di locomozione. Nell’ottocento, era stata la ferrovia la grande invenzione che doveva stravolgere completamente le modalità e le stesse possibilità di mobilità delle persone. La ferrovia, tuttavia, serviva a collegare centri urbani l’uno con l’altro, e pertanto il suo impatto diretto sui centri urbani fu limitato. Diverso fu l’impatto, come ben sappiamo, dell’introduzione dei mezzi su gomma, di quei mezzi cioè che in qualche modo erano in grado di adattarsi alle strade esistenti, incluse quelle urbane già utilizzate per il passaggio di carri trainati da animali. Ecco, io fisserei una linea di demarcazione, costituita dal sempre più crescente uso degli autoveicoli sin dai primi anni del secolo passato. Il motivo è, credo, evidente a tutti: gli autoveicoli hanno profondamente cambiato la città, tanto profondamente da influenzarne non soltanto l’aspetto, quanto la loro stessa natura. Da una parte, la motorizzazione ha modificato la struttura delle città, a cui ha imposto strade più larghe, asfaltate, dall’altra fa sentire le persone, per cui siamo addirittura costretti a usare il termine “pedoni” ospiti ben poco graditi. Diciamolo chiaramente: le nostre città sono ormai città di macchine, motorini, furgoni e mezzi di tutte le dimensioni e fogge. Non è più possibile neanche ritrarre in una foto una città in cui non compaia qualche autoveicolo, fossimo anche all’alba del solstizio di estate.
Rinviando a un prossimo ulteriore post un tentativo di analisi delle molteplici, e, ahimè, nefaste conseguenze del traffico urbano, ciò che mi preme sottolineare qui è che questo stesso traffico sembra smentire ciò che si sosteneva nel servizio di report, e cioè che in città ci si sposta a piedi e con i mezzi pubblici. Naturalmente, ogni città può adottare dei provvedimenti di limitazione del traffico, ma non mi pare che finora ci si sia indirizzati davvero verso una soluzione degna di questo nome di questo problema. Inoltre, anche forse incoraggiati dalla disponibilità di tali mezzi di locomozione, le città si sono parecchio espanse, e davvero già in un centro di medie dimensioni è pressoché impossibile coprire tutti i percorsi a piedi. Anche dove sono state adottate limitazioni al traffico, il risultato sembra essere stato quello di appesantire ulteriormente la fascia perimetrale alla zona interessata. Insomma, tempi di percorrenza lunghi, grande consumo unitario di carburante. Nel frattempo, la politica complessiva si sottrae al proprio ruolo di indirizzo verso specifiche forme di locomozione. Sembra ieri il 1973, nel pieno della crisi petrolifera di allora, quando Magri proclamava la fine dell’uso dei mezzi individuali di locomozione a favore dei mezzi pubblici di trasporto, e siamo ancora allo stesso punto di allora. Sono appena pochi mesi che, in risposta alla crisi economica globale maggiore dal dopoguerra, si danno incentivi a favore dell’acquisto della propria autovettura, con la motivazione buona per tutte le stagioni della grave crisi di sovrapproduzione di auto.
Le città dunque, schiacciate tra la carenza di una politica di programmazione e gestione del loro territorio, e una simmetrica carenza di politica del traffico, a rimorchio delle esigenze di budget e di profitto dell’industria automobilistica, sono diventate dei veri e propri mostri, dove il vivere decentemente è divenuto pressoché impossibile, malgrado i prezzi nelle zone centrali siano assurdamente elevati. Evidentemente, come capita quasi sempre nelle società avanzate, la percezione soggettiva delle proprie condizioni di vita è obnubilata dalla cultura dominante e dai messaggi mediatici che espropriano tutti dalla loro propria personale esistenza. (continua…)

lunedì 1 giugno 2009

LO SVILUPPO EDILIZIO (PARTE PRIMA)

Ieri, come credo tanti di voi, ho seguito “Report”, e vorrei adesso scambiare qualche opinione con voi sui contenuti della trasmissione. Sulla qualità del lavoro giornalistico svolto, niente da dire, ma sono rimasto davvero sorpreso dalle tesi lì espresse. Tra l’altro, coincidenza volle che proprio in questi giorni stavo postando sul problema del traffico all’interno delle nostre città, ed ecco che invece l’indice dei giornalisti viene puntato sulle aree extra-urbane.

Non c’è dubbio che da alcuni decenni, è in corso un processo di deurbanizzazione: i grandi centri urbani sono diventati a popolazione pressoché costante, anche se mi mancano dati numerici precisi, a vantaggio di centri più piccoli, in gran parte a ridosso dei centri urbani. La tesi di Report, da una parte, opportunamente, ribadisce l’esigenza di una programmazione collettiva del territorio, cosa che ovviamente condivido totalmente, ma, nello stesso tempo, entrando nel merito del problema, sembra essere sfavorevole a questo processo, a favore di una concentrazione proprio nel cuore delle aree urbane della popolazione. Il motivo di questa tesi sta nelle esigenze di spostamento che si vengono a creare come conseguenza di questo processo di decentramento, visto che il luogo di lavoro rimane all’interno dei centri urbani. A loro volta, le esigenze di spostamento determinano esigenze di sempre nuove arterie di traffico extra-urbano e di carburante per le autovetture, e quindi un impatto ambientale di notevole rilevanza.

Fin qui, la tesi di Report. Voglio ora avanzare alcune perplessità in proposito, tentando di capirne di più, mediante un approccio più organico al problema. In tale contesto, approccio organico significa considerare sempre un confronto tra una determinata situazione e una alternativa che viene avanzata. Si diceva a Report ad esempio che un km in più di percorso con l’autovettura per persona e per giorno si traduce nell’anno in una quantità considerevole di carburante. Questa persona però, non può essere fatta sparire: bisognerebbe aggiungere cosa succede a questa stessa persona se rimane nel perimetro urbano, sennò ha poco senso parlare di chilometri di percorrenza.

Io partirei quindi col chiedermi quali siano le motivazioni che spingono una determinata persona a spostarsi dalla città alle zone meno urbanizzate. Su questo aspetto, Report mi è sembrato alquanto elusivo. In sostanza, si è soffermato soltanto sull’aspetto dell'offerta, spiegando cioè quali siano i meccanismi che favoriscono l’offerta di nuove abitazioni in zone non ancora urbanizzate. Tutto ciò è naturalmente estremamente interessante, ma, tuttavia, devo rilevare che bisognerebbe parallelamente chiarire perché si crei corrispondentemente una domanda. In generale, per me risulta incomprensibile come si sia potuta determinare in Italia una disponibilità di alloggi superiore alle esigenze, e come nel contempo i costi abitativi, nel duplice aspetto dell’acquisto e dell’affitto, siano cresciuti ben più dell’inflazione.

Ebbene, io penso che la domanda di alloggi in zone decentrate sia dovuto a una serie di motivi, che tenterò di elencare in ordine di importanza:

- costo più ridotto rispetto alla città, dove spesso è al di sopra delle disponibilità finanziarie di un reddito medio

- carenza di mezzi di trasporto pubblico nelle città che obbliga all’uso dell’autovettura anche nei centri urbani, obbligando nel contempo al reperimento di zone di sosta per la propria , il cui possesso rimane indispensabile

- scarsa vivibilità delle città

Nel caso poi di scelta di abitare in un villino, si aggiunge la difficoltà di convivenza nei condomini, a favore dell’abitazione singola.

Mi fermo qui per ora, ripromettendomi di affrontare nel prossimo post i problemi che sorgono vivendo in città.