mercoledì 28 dicembre 2011

IL 2011, L'ANNO DEL SUICIDIO DELLA POLITICA

Tempo di bilanci annuali: come potremmo definire il 2011?
Io lo chiamo l'anno del suicidio della politica, questa mi pare la caratteristica principale.
In sostanza, i partiti hanno interiorizzato una concezione che vede l'essere di parte come una colpa.
Così, si sbracciano per dire che non sono di parte, anzi che lo sono, hanno questa colpa, ma vogliono essere buoni, almeno adesso che l'Italia si trova al centro del più clamoroso ed incomprensibile attacco finanziario che si sia mai visto in Europa, che fa impallidire l'attacco portato a suo tempo alla Grecia conducendola al baratro più profondo senza che si veda alcuna possibilità che ne esca fuori.
I partiti vogliono fare i buoni e smettere di essere quello che il loro ruolo prevede, portatori di una loro specifica visione dell'interesse generale. Akltro paradosso di questa situazione è che si considera gesto di responsabilità votare in parlamento provvedimenti che non si condividono.
Guardate un po', a me pareva che il senso di responsabilità consisterebbe invece proprio nel non votare provvedimenti che non si condividono e votare quelli che si condividono.
Se il significato delle parole e il senso comune vengono capovolti, allora siamo in pieno suicidio, pronti ad accettare qualunque crimine perpetuato nei nostri confronti.
Questo imbambolamento subito soprattutto da un ceto che per cultura ed età dovrebbe aspirare ad essere protagonista delle scelte collettive rischia oggi di permettere appunto che l'Italia diventi presto la seconda Grecia. Di fronte alle scelte della BCE centrate tutte sulla difesa ad ogni costo, compreso quello del fallimento di interi stati sovrani, del sistema bancario assunto ormai come il soggetto fondamentale del mondo di oggi, tutta la polemica politica col governo Monti sta nel sollecitare provvedimenti che incentivino la crescita.
Come si fa a non capire che nessun provvedimento di politica economica può risultare efficace nella situazione data, quella di un'Europa che subisce passivamente ogni genere di attacchi a suoi membri autorevoli? L'unica cosa che andrebbe pretesa da questo governo è quella di dare un ultimatum all'Europa che può essere così formulato:
O la BCE si assume il compito di garantire la difesa del corso dei titoli pubblici o l'Italia esce dall'euro.
Le resistenze e le titubanze della Merkel non possono più essere tollerate, perchè pesano sui nostri conti, e non capisco come chiunque non sia un traditore della propria patria possa aqccettare queste mezze misure che non possono essere in alcun modo risolutive.
Pensare che si possa ricercare una soluzione lasciando al tempo la possibilità di risolvere i nostri problemi è un errore imperdonabile, anche perchè nel frasttempo possono solo crescere i sentimenti di ostilità tra gli stati: meglio, o se preferite meno peggio, lasciarsi consensualmente, sarà allora possibile immaginare convergenze future, mentre il prersente clima è velenoso, può soltanto distruggere quel min imo di europeismo che si è andato costruendo negli ultimi decenni sotto la spinta ideale di grandi politici europei del tempo che fu.
Insomma, vedere questi partiti negare di svolgere il ruolo che dovrebbero, vedere un parlamento che ancora blatera di crescita in un mondo che non potrebbe sopportare a lungo neanche l'attuale livello di produzione, da' proprio l'impressione che l'umanità sembra matura per la propria estinzione senza che ci sia un minimo di consapevolezza collettiva dell'enormità dei guai in cui ci siamo cacciati.
E comunque, buon 2012 (ma ce ne vuole di ottimismo, eh!).

giovedì 22 dicembre 2011

CHE FLOP IL PRESTITO ALLE BANCHE DA PARTE DELLA BCE!

Le dichiarazioni di Draghi rilasciate al Financial Times e riportate in un precedente post, rimettono al centro del dibattito economico il sistema bancario.
La BCE in sostanza ha costruito un meccanismo, direi barocco per il suo meccanismo intricato, per immettere liquidità nel sistema. Le banche possono prendere a prestito a tassi agevolati (appena l'1%) unha quantità di denaro teoricamente illimitata dalla BCE, dando in garanzia spazzatura. No, non è un errore di battitura e neanche un'esagerazione, se vi dico che le banche possono perfino emettere lo stesso giorno delle obbligazioni appositamente progettate per questo scopo.
Una volta che le banche, che vi ricordo sono enti di diritto privato e che godono di enormi spazi di autonomia, sono state dotate di tale liquidità in condizioni di grande favore (tassi più bassi di quelli di mercato di almeno cinque punti percentuali), la speranza espressa pubblicamente da Draghi, è che le banche tornino a fare il loro tradizionale mestiere, quello di intermediare risparmi e prestiti, e quindi nella situazione data fornire alle imprese quella liquidità che permetta loro almeno di non dovere chiudere. Inoltre, egli auspica anche che le banche trovino conveniente acquistare i titoli di stato. Ciò, ovviamente porterebbe ad un effetto di riduzione dei tassi con immediate ripercussioni sull'equilibrio dei conti pubblici dei paesi in difficoltà nell'area euro.
Ieri, giorno dell'emissione, l'operazione non ha avuto gli effetti sperati, e ciò è davvero difficile da comprendere in termini strettamente di mercato.
Cosa può indurre una banca a non comprare dei titoli ottenendo per tre anni un guadagno del 5%? Se il faro delle scelte di investimento fosse davvero l'utile che se ne trae, non v'è spiegazione.
Qualche giorno fa, c'è stato un altro segnale incomprensibile e pertanto inquietante, la riduzione drastica degli interessi sulle nuove emissioni di titoli spagnoli. Come si può spiegare che gli investitori si sentano più sicuri di una paese, la Spagna, che ha collocato quasi tutto il suo prestito all'estero, che non potrebbe mai rientrare dal debito, seppure più modesto di quello italiano, visto che i suoi cittadini non posseggono la ricchezza che sarebbe richiesta per questo scopo, che non può imporre ancora più dell'Italia misure di rigore visti i già stratosferici tassi di disoccupazione, e che quyindi nel breve periodo non ha alcuna possibilità di ridurre il proprio deficit, già ben più alto di quello italiano.
Evidentemente, ci devono essere criteri extra-finanziari, di natura strettamente politica, che inducono a non mollare l'osso italiano, un osso ben ricco di carne da spolpare, e che quindi i mastini della finanza internazionale non intendono mollare fino a operaz
Insomma, questa operazione rischia di rivelarsi un flop clamoroso almeno dal punto di vista delle motivazioni ufficiali per cui è stata lanciata. Del resto, questo automatismo tra disponibilità di risorse finanziarie e scelta di investimento nei debiti sovrani non si può dare per scontato. Prima, sarebbe necessario spiegare perchè la Deutschebank abbia affossato i titoli italiani vendendo proprio nel momento più delicato quelli che aveva in portafoglio: è credibile che abbia voluto ottenere un minusvalenza e senza neanche consultare il governo tedesco e la BCE?
Così, l'impressione è che ci si trovi in un mondo in cui nulla di ciò che appare è vero, e che trame di ogni tipo si agitino sullo sfondo, e che in tale scenario coloro che per ruolo istituzionale od anche solo per cittadinanza dovrebbero difendere l'Italia e la sua popolazione, giochino un ruolo opaco e forse sporco ai nostri danni.
Sembrerebbe, ma l'opacità della situazione non permette di trarre conclusioni più chiare, che la fine dell'euro sia già stata decisa, e che ciò che vediamo siano soltanto gli atti che servono a definire i rapporti di forza tra paesi e valute dell'area euro dopo la separazione.

mercoledì 21 dicembre 2011

PRESIDENTE, IO NON LA ACCUSO DI NULLA DI PIU' DELLE PAROLE CHE LEI STESSO HA PRONUNCIATO

No, Presidente, non ci siamo proprio.

Mi chiedo come ci possa essere qualcuno che sostenga senza timore di affermare cose palesemente false che in Italia ci sia democrazia.

Si potrebbe a lungo disquisire quanto i principi liberali siano compatibili con una reale democrazia, ma io limiterò il mio intervento alla presente fase politica italiana (seppure con molti aspetti che coinvolgono ampi settori dell’Europa nel suo complesso, soprattutto nel passato più recente), quella per intenderci iniziata con l’uscita di Fini nell’autunno del 2010 e la scissione così verificatasi del PDL.

Il 14 dicembre del 2010 divenne palese che si era venuta definendo una situazione inedita, un Parlamento i cui membri praticavano in maniera appena nascosta una messa in vendita dei loro voti. Quel giorno, Berlusconi che aveva lanciato questa campagna di compravendita, e gli alleati che evitarono di ribellarsi a questa pratica, e quindi anche la Lega, così come la stampa a lui amica, che oggi straparlano, posero una pesante pietra sulla democrazia seppellendola all’interno di riti parlamentari formalmente rispettati.

Napolitano in quella fase giocò un ruolo essenziale seppure presumibilmente involontario, chiedendo alle opposizioni di rinviare la presentazione della mozione di sfiducia alla scopo di consentire prima l’approvazione della finanziaria. Quel mese che così Berlusconi guadagnò, si rivelò decisivo ai fini della compravendita di parlamentari, perché la mozione venisse bocciata.

Non si trattò di un errore da poco, ed esso coinvolse anche le forze di opposizione che avevano comunque la facoltà di rifiutare l’invito del Capo dello Stato, tutti quanti responsabili della perdita di democrazia da cui non ci siamo ancora ripresi né si vede quando ciò potrà avvenire.

In verità, vorrei far notare ai miei interlocutori che attribuiscono ogni responsabilità al popolo bue, che questo non fece mancare il suo voto di sonora bocciatura al governo nelle elezioni amministrative del giugno 2011 e nel successivo referendum: come elettori davvero non potevamo fare di più.

Era la politica che doveva provvedere a permettere agli elettori, che chiaramente mostravano di essere politicamente orientati in modo differente rispetto alle precedenti consultazioni del 2008, di definire una nuova composizione del parlamento.

Ciò che invece avvenne è che l’ultra elettoralista Berlusconi improvvisamente smise accuratamente di parlare di nuove consultazioni puntando tutto sul proseguo della legislatura fino alla sua conclusione fisiologica, di fronte ad una opposizione timida e divisa tra le alternative di elezioni immediate o di governo d’emergenza.

Tra loro, un Presidente sempre più protagonista che decide di sorvolare sulla questione essenziale della natura e della composizione del governo, per occuparsi prioritariamente di licenziare provvedimenti economici, apparentemente senza considerarne neanche lo specifico contenuto.

Quindi, Presidente, le accuse che le vengono rivolte non riguardano la supposta violazione di chissà quali norme costituzionali (si sarebbe trattato in quel caso di colpo di stato, e nessuno che io sappia ha sollevato tale tipo di accusa), cosa certamente falsa, ma del fatto che lei tra le differenti alternative che aveva di fronte, ha deciso di occuparsi di affrontare le questioni economiche a qualsiasi costo. Nel primo caso, in tal modo Lei ha tarpato le ali all’opposizione permettendo a Berlusconi di uscire indenne dalla scissione di Fini, e determinando per tale via l’apertura di questa fase particolarmente fangosa della politica italiana. Successivamente, proprio nel momento in cui anche gli elettori avevano dato un colpo decisivo a Berlusconi, Lei ha chiesto una nuova tregua perché l’economia viene prima.

Quindi, Presidente, le accuse che Le vengono rivolte non fanno in definitiva che utilizzare le sue stesse parole, è Lei stesso che in ciò che afferma, manifesta questa concezione della democrazia secondo cui questa è sottomessa rispetto a questioni che prevalgono, e in particolare rispetto all’economia. Lei poteva, ne aveva piena facoltà, affidare l’incarico a Monti senza magari quella caduta di stile che è stata la sua nomina a senatore a vita, senza avere alcuna esigenza di motivare tale decisione, ma al contrario ha scelto di introdurre delle motivazioni che a me suonano come profondamente antidemocratiche. Il processo che Le faccio non riguarda le procedure che ha seguito e la loro costituzionalità, ma bensì le sue parole, e a me basterebbe che Lei ritrattasse. Se non lo fa, allora io mantengo la mia opinione in proposito.

Qui, non posso ripetere ciò che ho tentato di argomentare in precedenti post su quali siano le conseguenze gravissime del suo punto di vista, come delle implicazioni su quale sia la comunità di cui Lei si sente parte integrante, forse perfino prima dell’essere italiano, e quindi rimando i lettori ai numerosi post che ho dedicato a tale argomento, ed in particolare a questo articolo.

lunedì 19 dicembre 2011

PERCHE' DRAGHI SEGA IL RAMO SU CUI E' SEDUTO?

Vi propongo il link che segue, che riporta alcuni passaggi di un'intervista al neo Presidente della BCE, nonchè precedente governatore della Banca d'Italia Mario Draghi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/19/lintervista-draghi-fine-delleuro/178594/

Ecco il testo integrale:


Financial Times:
We are now more than four years into the financial crisis. What lessons would you draw so far? What has gone right and what has gone wrong?

Mario Draghi: We have to distinguish two stages. First was the financial crisis, with its repercussions for the real economy. I think we learnt the lessons that we need a more resilient financial system, a system where we would have less debt and more capital. There has been substantial progress in designing new regulatory policies and some progress in implementing this new design.

The second stage of the crisis is really a combination of, I would say, a challenging political phase, where euro area leaders are reshaping what I called the fiscal “compact,” and a situation where banks and countries face serious funding constraints. These challenging funding conditions are now producing a credit tightening and have certainly increased the downside risks for the euro area economy.

Action is proceeding on two fronts. At last week’s European Union summit you saw a first step towards fiscal rules that are not only more binding, but actually are of a different nature. They would be binding ex ante, which is an entirely new quality, and written into the primary legislations of the member states.

The second line of action is a set of meaningful, significant decisions taken by the ECB last week. We cut the main interest rate by 25 basis points. We announced two long-term refinancing operations, which for the first time will last three years. We halved the minimum reserve ratio from 2 per cent to 1 per cent. We broadened collateral eligibility rules. Finally, the ECB governing council agreed that the ECB would act as an agent for the European Financial Stability Facility (EFSF).

FT: Will the three-year refinancing operations give banks an incentive to buy “periphery” eurozone bonds?

MD: Not necessarily. Of course banks also have capital difficulties, and these measures don’t necessarily help them on that side. The objective is to ease the funding pressures that banks are experiencing. They will then decide what the best use of these funds is. One aspiration is to have them financing the real economy, especially small and medium sized enterprises (SMEs). What we are observing is that small and medium sized banks are the ones having the biggest funding difficulties, and they are generally the ones who provide most of the financing for the SMEs. And SMEs account for about 70 per cent of employment in the euro area’s corporate sector.

FT: Is this Europe’s version of “quantitative easing”?

MD: Each jurisdiction has not only its own rules, but also its own vocabulary. We call them non-standard measures. They are certainly unprecedented. But the reliance on the banking channel falls squarely in our mandate, which is geared towards price stability in the medium term and bound by the prohibition of monetary financing [central bank funding of governments].

Coming back to what banks are going to do with this money: we don’t know exactly. The important thing was to relax the funding pressures. Banks will decide in total independence what they want to do, depending on what is the best risk / return combination for their businesses. One of the things that they may do is to buy sovereign bonds. But it is just one. And it is obviously not at all an equivalent to the ECB stepping-up bond buying.

FT: Do you expect, in the next six months, another round of bank recapitalisations and, in some cases, nationalisation?

MD: Last week, we had the results of the European Banking Authority (EBA) “stress tests” exercise. But ideally, the sequence ought to have been different: We should have had the EFSF in place first. This would have had certainly a positive impact on sovereign bonds, and therefore a positive impact on the capital positions of the banks with sovereign bonds in their balance sheet. So the ideal sequencing would have been to have the recapitalisation of the banks after EFSF had been in place and had been tested.

In fact, it was done the other way round, so the capital needs identified by the EBA exercise reflect stressed bond market conditions. That may exert pressure on banks to achieve better capital ratios by simply deleveraging.

Deleveraging means two things; selling assets and/or reducing lending. In the present business cycle conditions, I think the second option is by far the worst. I understand regulators have recommended to their banks that they shouldn’t go this way, so let’s hope they follow this advice.

FT: Couldn’t somebody just say to the EBA, look, just hold off now, this is completely unhelpful?

MD: I think the press statement by EBA somehow hints at that, because they say that there wouldn’t be another exercise next year.

To be fair to EBA, the shape of the exercise was decided at a time when the biggest economic threat seemed to be the banking system’s lack of credibility. People feared banks’ balance sheets concealed fragilities that in the end would strain the economies. So they started this exercise thinking that, being transparent, and marking-to-market sovereign bonds, would strengthen the credibility of the banking system and reduce risk premia. At the end, it did not work that way because of the sequencing. But I wouldn’t say it’s EBA’s fault.

FT: The big point here though is, at least the world in 2011, has fundamentally changed, if not for the last two years, where a position where equities would be seen as more risky than government bonds is now in reverse ….

MD: The big change is that assets which were considered absolutely safe are now viewed as potentially unsafe. We have to ask what can be done to restore confidence. I would say there are at least four answers.

The first, lies with national economic policies, because this crisis and this loss of confidence started from budgets that had got completely out of control.

The second answer is that we have to restore fiscal discipline in the euro area, and this is in a sense what last week’s EU summit started, with the redesign of the fiscal compact.

However, we are in a situation where premia for these risks overshot. When you have this high volatility – like we had after Lehman – you have an increase in the counterparty risk. In the worst case, you can have accidents and even if you don’t have accidents, you have a much reduced economic activity because people become exceedingly risk averse.

So the third answer to this is to have a firewall in place which is fully equipped and operational. And that was meant to be provided by the EFSF.

The fourth answer is to again ask: why are we in this situation. Part of this had to do with fiscal discipline, but the other part was the lack of growth. Countries have to undergo significant structural reforms that would revamp growth.

FT: And the fifth answer is that the idea of introducing private sector involvement (PSI) in eurozone bail-outs was, in retrospect, a mistake?

MD: The ideal sequencing would have been to first have a firewall in place, then do the recapitalisation of the banks, and only afterwards decide whether you need to have PSI. This would have allowed managing stressed sovereign conditions in an orderly way. This was not done. Neither the EFSF was in place, nor were banks recapitalised, before people started suggesting PSI. It was like letting a bank fail without having a proper mechanism for managing this failure, as it had happened with Lehman.

Now, to be fair again, one has to address another side of this. The lack of fiscal discipline by certain countries was perceived by other countries as a breach of the trust that should underlie the euro. And so PSI was a political answer given with a view to regaining the trust of these countries’ citizens.

FT: Coming to the fiscal pact, what is your answer to those who say there is excessive concentration on budgetary rigour at the expense of competitiveness and growth and that actually what is being created is a “stagnation and austerity union”?

MD: The answer is that they are right and wrong at the same time. They are right because there can’t be any sustainable economy without growth and competitiveness and job creation. They are wrong if they think that there is a trade-off between the two. There’s no trade-off between fiscal austerity, and growth and competitiveness. I would not dispute that fiscal consolidation leads to a contraction in the short run, but then you have to ask yourself: what can you do to mitigate this?

Improvement in budgetary positions should elicit some positive market response, lower spreads and lower cost of credit. But two further conditions have to be satisfied: Implementation at national level of the structural reforms needed to enhance growth and jobs creation. And finally, it is necessary to have the right euro area design, implementing the fiscal compact, so that the confidence is fully restored. Austerity by one single country and nothing else is not enough to regain confidence of the markets – as we are seeing today.

Consolidation must also go hand in hand with structural reforms. Each country has its own path that they should undertake. For some, the situation would not be sustainable even if they were outside the euro and were to devalue their currency. That would give only a temporary respite – and higher inflation, of course.

FT: But that was part of the answer in the early 1990s in Italy – it did have an exchange rate adjustment.

MD: If you take that as an example, remember there was no IMF around, there was no EFSF and gross [government bond] issuance in 1992 was a multiple of the figures that we see today. It’s true that Italy moved the exchange rate, but this cuts both ways. It brought a temporary respite to the economy, so that exports could grow, but it also widened sovereign bond spreads because exchange rate risk came on top of sovereign risk. Three or four years down the road Italy still had something like 600 basis point spread with respect to the German Bund. Furthermore, the effect of the devaluation would have been only temporary without the structural reforms (abolition of indexation among others) that followed.

FT: But these austerity programmes are very harsh. Don’t think that some countries are really in effect in a debtor’s prison?

MD: Do you see any alternative?

FT: They could leave the eurozone?

MD: But as I said before, this wouldn’t help. Leaving the euro area, devaluing your currency, you create a big inflation, and at the end of that road, the country would have to undertake the same reforms that were due to begin with, but in a much weaker position.

FT: … But maybe it would be the best thing for the rest of the eurozone?

MD: Well, then you would have a substantial breach of the existing treaty. And when one starts with this you never know how it ends really.

FT: You said earlier that it would have been far better if the EFSF had been in place. So where are we on creating this firewall – what size of bazooka are we talking about?

MD: One first observation is that the delay in making the EFSF operational has increased the resources necessary to stabilising markets. Why? Because anything that affects credibility has an immediate effect on the markets. A process that is fast, credible and robust needs less resources.

FT: It sounds like you’re a bit disappointed then with the outcome of last week’s summit then?

MD: Actually no, because there was confirmation of previous figures on the EFSF’s resources – and of an additional €200bn that could be provided by the International Monetary Fund. What was also overlooked by many is that the date for a first assessment of the adequacy of resources has been brought forward to March 2012 – in just three months’ time, when the leaders ask themselves whether the resources for the firewall will be adequate. In the meantime, the ECB acting as an agent will make the EFSF operational. Important was also the commitment to clearly restrict the PSI to IMF practices, which should reassure the investors.

FT: When do you think the EFSF will be operational?

MD: Our aim is to be ready to provide agency functions in January next year.

FT: But can we assume that the idea floated in October of leveraging the EFSF is not actually going to happen? And that bringing in other sovereign wealth funds, Chinese, all this was overpriced.

MD: No, I think it is premature and probably wrong to proclaim the EFSF dead. Furthermore I think that if one can show its usefulness in its present size, the argument for its enlargement would be much stronger.

FT: What do you say to those who say the solution is to have a very big firewall and ultimately put the ECB behind it, because that is the only thing which will tame the markets?

MD: People have to accept that we have to and always will act in accordance with our mandate and within our legal foundations.

FT: But if you look at the wording of the treaty, there is nothing that sets a limit on how many government bonds you buy ….

MD: We have to act within the Treaty. In general, there must be a system where the citizens will go back to trusting each other and where governments are trusted on fiscal discipline and structural reforms.

FT: Once the firewall is in place with the EFSF, perhaps as soon as the beginning of next year, might you actually stop the SMP (securities market programme)?

MD: We have not discussed a precise scenario for the SMP. As I often said, the SMP is neither eternal nor infinite.

Let’s not also forget that the SMP was initiated with the view to reactivating monetary policy transmission channels. So as long as we see that these channels are seriously impaired, then the SMP is justified.

FT: Arguably, the monetary transmission channels are more impaired than ever before, if you look at interest rates in Greece or Italy compared with Germany?

MD: The cost of credit is bound to differ because it’s geared to some extent not on our short-term policy rate but on sovereign spreads.

FT: Would the ECB consider putting a limit on yields or spreads, or would that violate the treaty in your view?

MD: Sovereign spreads have mostly to do with the sovereigns and with the nature of the compact between them. It is in this area that progress is ongoing. Monetary policy cannot do everything.

FT: But if the economic situation deteriorated, would you be prepared to embark on “quantitative easing” in the style of the US Federal Reserve or Bank of England, in terms of large-scale government bond purchases to support economic growth?

MD: The important thing is to restore the trust of the people – citizens as well as investors – in our continent. We won’t achieve that by destroying the credibility of the ECB. This is really, in a sense, the undertone of all our conversation today.

FT: What will be the effect of the British staying out of Europe’s fiscal compact, and is there in your view a risk to the City of London?

MD: The UK certainly has shown a capacity to undertake a fiscal correction of an extraordinary size. My more general reaction to all this is that it’s sad. I think the UK needs Europe and Europe needs the UK. There’s a lot that can be learnt from both sides.

FT: The UK has taken legal action against the ECB [over the location of financial market clearing houses] …

MD: I can’t comment on that.

FT: What are you expectations for global growth next year?

MD: You could have a significant slowdown in several parts of the world. Global growth is decelerating, and uncertainty has risen. At the same time, we have laid a lot of groundwork for a better functioning of economic union in the future and we should draw confidence from that.

domenica 18 dicembre 2011

GRILLI SI CANDIDA A FAR PARTE DELLA LISTA DEI CIALTRONI

Vedo che la coda per avere diritto al titolo ufficiale di cialtrone, aumenta minuto dopo minuto. Ieri, Grilli ha rilasciato un'intervista in cui pone con forza la propria candidatura a cialtrone del giorno. Buon ultimo, egli dichiara che senza il decreto legge ieri approvato dalla Camera, avremmo presto fatto la fine della Grecia.
Se Grilli volesse comportarsi come una persona seria, come sarebbe dovuto vista la sua carica, dovrebbe finirla di occuparsi di cosa sarebbe potuto accadere se non avessimo fatto qualcosa, si tratta di faccende ipotetiche e pertanto non verificabili: nessuno mai potrà affermare qualcosa in proposito senza finire col chiedere un atto di fede agli interlocutori.
Ci vuole tanta perspicacia per capire che oggi ciò che il governo dovrebbe dire è cosa accadrà dopo avere scelto questo tipo di manovra? Il cittadino vuole che i membri del governo si scommettano sui provvedimenti che assumono.
Poco importa oggi stabilire cosa sarebbe successo all'Italia se non avesse fatto nulla, ciò che importa è stabilire se quanto è stato fatto in termini di costi per i propri cittadini è adeguato a risolvere il problema.
In termini tecnici, la cosa sembra del tutto impossibile perchè gli effetti recessivi della manovra tendono non a migliorare il rapproto debito/PIL, ma piuttosto a peggiorarlo. In termini sperimentali, la tanto a sproposito citata Grecia, a seguito della cura lacrime e sangue imposta dalla Merkel, è passata da un rapporto pari a circa 1,2 a uno di circa 1,6.
Naturalmente, le mie argomentazioni non vogliono, nè potrebbero, escludere che Grilli, Monti e Napolitano abbiano ragione , che la ragione sia la loro e noi siamo in torto, ma allora mi chiedo cosa costoro sono disposti a scommettere.

Bisogna insomma una volta per tutte rendersi conto che non soltanto ogni atto di politica economica ha sempre un'enorme rilevanza sulla stessa vita delle persone, ma che in particolare oggi non possiamo permetterci di sbagliare nulla.
L'impressione che si ricava leggendo le interviste a membri del governo sia di un dilettantismo, di tentativi più o meno casuali di indovinare la giusta manovra. Essi non perdono occasione per sostenere esplicitamente di non potere prevedere la congruità di queste manovre alla risoluzione dei problemi, ma anzi proponendo scenari con successivi interventi. Ma se la terapia fosse errata, insistere sulla stessa strada costituirebbe un atto criminale, con conseguenze gravissime sull'intera popolazione italiana.
Il minimo che dovremmo chiedere a costoro è che dichiarino sin da ora che tutte le manovre andranno a buon fine, e che sono così certi di ciò, da impegnarsi a rimettere il loro mandato in caso di insuccesso, è un atto di onestà minima che nonc i dovrebbero rifiutare.
Di fronte a tutto ciò, l'unica argomentazione è appunto quella di fare affermazioni ipotetiche sulla situazione che alternativamente si sarebbe postsa.

Insomma, la vera base che viene portata a supporto delle manovre non sta nel sostenerne la loro validità, ma nel sostenere che era l'unica strada possibile perchè in caso alternativo sarebbe successa la catastrofe.
Ebbene, per esprimermi in metafora, nessuno mi potrà convincere ad evitare le pallottole sparate dal mio nemico mentre nuoto, mettendomi una pietra al collo per andare al fondo, proteggendomi così dagli spari.
Per questo, seguiterò su questo blog a dare del cialtrone a chi giustifica i propri atti senza argomentarne la validità, ma semplicemente apoditticamente affermandone l'ineluttabilità: mi pare che la coda si va rapidamente allungando...

sabato 17 dicembre 2011

SPEZZIAMO IL CICLO PERVERSO DI UNA CONCORRENZA INUMANA

Alcune impressioni istantanee seguendo il dibattito di "In onda".
La prima cosa che mi viene in testa è che non c'è mai nessuno che faccia ammenda delle sciocchezze che ha sostenuto in un perido precedente della propria vita. Dunque, c'hanno rotto ole scatole per anno che se volevamo fare lavorare bene le imprese, bisognava rendere il mercato del lavoro flessibile. Tale flessibilità allora veniva presentata come la possibilità di prevedre figure lavorative diversificate. ASccanto al lavoratore a tempo indeterminato, era necessario prevedere differenti tipologie di lavoratore a tempo deteminato. La cosa veniva presentata come l'offerta di molteplici possibilità di figura lavorativa, tra cui l'impresa avrebbe potuto scegliere a suo piacimento.
Ora, di colpo, quelle stesse persone, senza spendere una parola che possa spiegare il proprio cambio di opinione, vengono a perorare la causa di una unificazione delle figure lavorative. In sostanza, togliamo qualche diritto a quelli più protetti e aggiungiamo qualche forma di protezione ai meno protetti, e così da ora in poi non ci saranno lavoratori di serie A e lavoratori di serie B.
Ma come, eravate così preoccupati di garantire la scelta alle aziende, ed adesso invece prevale l'unificazione delle figure. Ma scusate, allora basta dire che avete sbagliato a prevedere figure precarie e torniamo alla legislazione ante senza tate discussioni, questa e solo questa potrebbe essere una conclusione degna di qualcuno che ripensa a suoi prexcedenti errori.
Altri non sembrano d'accordo su queste innovazioni, ma continuano a battere sulla ripresa, sulla famosa, ma io direi famigerata, crescita del PIL. E visto che su questa crescita tutti appaiono d'accordo, allora tutta la discussione verte sulla competitività. Per avere più occupazione, dobbiamo avere più produzione, ma per avere più produzione, dobbiamo vincere la concorrenza. Ora, dico io, ma in questi ultimi decenni, cos'altro abbiamo fatto? Con che coraggio vengono ancora a propinarci la solita lezioncina di seconda mano di ricette liberiste, dopo i palesi fallimenti di questa linea di politica economica? La più penosa è la vedova di Padoa Schioppa, che non fa altro che ripetere come un pappagallo le solite menate liberiste, senza evidentemente avere quel minimo di intelligenza richiesto per collocarsi nel contesto della crisi più profonda almeno degli ultimi ottanta anni. Oggi, se qualcuno sostiene ancora simili ricette, è un cialtrone conclamato che è lecito definire imbecille.
Ma, qualcuno potrebbe chiedere, c'è un'alternativa possibile?
Io dico di sì, l'alternativa è senz'altro possibile, è anzi a portata di mano, ed è rifiutare una volta per tutte il mito della crescita ininterrotta. e accettando questo, che non significa necessariamente decrescita (trovo qualcosa di inquietante in questa contrapposizione in qualche modo simmetrica alla logica capitalista), ma che dobbiamo soltanto uscire da questo criterio di scelta automatico su base quantitativa, ci sottraiamo a una logica globalistica che vede nel massimizzare la dimensione di mercato in cui far operare meccanismi di concorrenza.
Se davvero crediamo che anche l'economia vada in ultima istanza finalizzata all'uomo, e quindi alla piena occupazione, allora per valorizzare proprio il lavoro umano, dobbiamo lottare contro l'abbassamento dei prezzi, le cose devono costare abbastanza da rendere il lavoro umano sufficientemente remunerativo, senza che esso venga in conflitto con i progressi in termini di produttività dei miglioramenti tecnologici.
La conseguenza è che oggi predicare il ripristino della sovranità nazionale in campo economico con meccanismi inevitabilmente protezionistici, ben lungi dall'essere un atto retrivo, costituisce l'unico modo reale per mettere all'ordine del giorno dell'intero mondo il superamento della logica capitalista: nulla più del proprio esempio, del dimostrare nei fatti che io l'ho fatto e così lo possono fare utti gli stati, può fu8nzionare da detonatore per salvare l'umanità dalla catastrtofe ambientale.
Un'ultima notazione la riservo al nostro premier, che continua a predicare che la salvezza dei paesi europei sta solo nell'Europa, che senza questa dimensione comune, nessun paese può pensare di uscirne bene, io vorrei appunto imporre un punto di vista sperimentale.
Anch'io sono convinto che sarebbe bene che l'europa uscisse dalla crisi con decisioni comuni, ma non tanto da chiudermi gli occhi e non vedere che al contrario domina una logica nazionale da furbetti, quella in sostanza di usare l'europa per favorire in realtà il proprio paese.
Come ho avuto modo di dire svariate volte ormai, trovo questo atteggiamento gravemente irresponsabile perchè finirà cominque col distruggere qualsiasi progetto di costruzione europea, ma avendo nel frattempo alimentato rancori robusti che potrebbero portare ad esiti tragici seppure oggi del tutto imprevedibili.
La verità, caro Monti, è che la Svezia, la Repubblica ceca e svariati altri paesi che hanno optato per una propria moneta nazionale, si trovano in una posizione assolutamente migliore di paesi come l'Italia che hanno invece optato per l'euro. Le ragioni sono ben note, e qui non c'è bisogno di ribadirle, tutte ragioni che potyrebebro essere rimosse se solo vi fosse la volontà politica di farlo. Purtroppo, questa volontà non c'è proprio per il prevalere di piccoli calcoli di bottega, ed allora si deve uscire dall'euro, affrontando tutte le gravi conseguenze che ne seguiranno, ma evitando almeno le ben più gravi conseguenze che già oggi si appalesano nel rimanere prigionieri di quest'esperimento già fallito.
Lo dico nel contesto di questo articolo proprio per riconfermare come i fatti ci tirino per i capelli verso la soluzione nazionale, l'unica che ci permetta di uscire dal circolo vizioso dell'essere schiavizzati al meccanismo perverso di un capitalismo ormai non più in grado di uscire dalla crisi.

venerdì 16 dicembre 2011

IL PARLAMENTO INDEGNO

Gli ultimi giorni di cronaca parlamentare sono per larga parte dedicati alle intemperanze dei parlamentari leghisti. Essi non perdono occasione per inscenare buffonate di ogni tipo in quelle aule che si vorrebbe austere.

Se i comportamenti nella sede dell’attività legislativa servissero a portare anche lì ciò che avviene nella società e nelle piazze, questa sarebbe un’attività benemerita, ma la cosa che rende il tutto osceno è che questi parlamentari recitano un penoso soggetto che serva a prendere in giro la parte più credulona del loro elettorato.

E’ vero, in questi anni l’elettorato leghista si è bevuto di tutto, e si sa che chi vota Lega in genere non brilla per cultura e per acume mentale. Mi chiedo però fino a che punto questi continueranno a seguire siffatti rappresentanti, accettandone i comportamenti che si possono spiegare soltanto in termini di vantaggi personali, dell possibilità cioè di continuare ad avere una carriera politica così ben remunerata. Possibile che ci sia qualcuno disposto a credere allo sdegno per i sacrifici imposti agli Italiani da quelli stessi che dagli scranni governativi assentivano senza battere ciglio a tutte le imposizioni avanzate dal sodale Tremonti? Cosa avrà mai fatto Monti di così diverso dal duo di separati in casa Tremonti – Berlusconi? Come si può giudicare la determinazione di consentire alle richieste della magistratura nei confronti di parlamentari indagati, dopo avere salvato vari personaggi solo qualche mese fa? E’ possibile esibire tale evidenza di incoerenza ed essere ancora votati e magari financo acclamati?

Io non lo credo, non credo almeno che possano essere tanti così creduloni da dare ancora credito alla banda Bossi che sistema i propri familiari mostrando già col proprio personale esempio di che tempra morale sia fatto.

Il punto però che volevo affrontare riguarda il comportamento in generale dei parlamentari, di cui quelli leghisti costituiscono soltanto una specifica tipologia. Mi pare che sia assolutamente necessario rimarcare come ci troviamo ad avere a che fare con un parlamento pessimo nella sua composizione, probabilmente il peggiore nella storia della repubblica.

In un precedente post, affrontavo il problema di come la democrazia si sostanzi nel dibattito politico tra forze differenti, ognuna caratterizzata da una sua specifica ipotesi dell’interesse generale. Questa deve necessariamente essere la base da cui partire, che cioè la dialettica parlamentare derivi da opinioni e non da interessi differenti. Per questo, ritengo inaccettabile la pretesa del PD di configurarsi come il partito dell’interesse generale visto come se fosse univocamente definibile e non oggetto di dibattito.

Ebbene, le evidenze delle cronache parlamentari sono di tutt’altro tipo, ci mostrano come i singoli parlamentari non facciano più neanche mistero di pensare al proprio specifico tornaconto. Tutte le vicende legate al voto del 14 dicembre 2010 e fino ai nostri giorni, mostrano come si sia inscenata in quelle aule una compravendita di voti, del tutto incompatibile col ruolo che i parlamentari dovrebbero svolgere.

Si può dissentire sul merito dei singoli atti ed accettarli comunque come espressione dell’opinione opposta di una maggioranza, si può e si deve accettare di costituire una minoranza piegata dalle dure leggi della democrazia, ma non si può e non si deve accettare che un parlamento si comporti come un organismo costituito da un certo numero di soggetti che pensano prevalentemente al proprio personale interesse.

Quando questo si configura, quel parlamento diventa indegno delle sue funzioni e i singoli parlamentari diventano responsabili di tradimento del loro mandato e della loro nazione, e penso che noi cittadini più attenti di altri dovremmo essere vigili affinché essi rispondano del loro tradimento, e che tutto non ricada nell’oblio che tutto assolve.

Questo compito è particolarmente importante in una società in cui lo stesso settore dell’informazione è parte del problema, anch’esso preoccupato di difendere degli interessi particolari, fossero anche costituiti dall’esigenza di maggiori tirature, e quindi qualcuno dovrà ad esso supplire.

Il parlamento sta nella maggior parte dei suoi membri tradendo il popolo italiano, anche nella forma della deresponsabilizzazione e dell’affidamento a soggetti chiamati come esperti a sostituirsi agli eletti, e a suo tempo di questo dovrà rispondere con modalità ancora indefinibili, ma vorrei che ci fosse in tanti miei concittadini la volontà di non dimenticare quale sfascio questi abbiano causato coi loro comportamenti volgarmente guidati soltanto dalla personale avidità.

martedì 13 dicembre 2011

PRESTO IL MIO LIBRO QUI A PUNTATE

Ancora adolescente, in quei lontani giorni, lessi che era stata rintracciata una tribù (potremmo chiamarla una comunità umana) isolata. Da evidenze a me ignote, gli etnologi conclusero che inquella comunità fossero in uso le stesse tecniche di preparazione del cibo, le stesse modalità di vita per almeno cinquecento anni.
Fu una cosa che mi scosse, che mi svegliò dal torpore delle mie certezze di occidentale, tutto proteso a considerare la vita come una corsa ad ostacoli e l'umanità come una comunità incamminata verso un futuro di maggiore...tutto, la storia come progresso.
Successivamente, le mie scarse conoscenze sul pensiero orientale mi fornirono altre evidenze che in fondo ciò che per noi occidentali è scontato, apparentemente non lo è per tutta l'umanità.
Da quei giorni, mi ripromisi che mai più sarei rimasto prigioniero del pensiero dominante, che in occidente, forse già dai lontani giorni dell'antica Grecia, era sorta una malattia che aveva colpito con grande virulenza l'occidente, mai più ripresosi da tale sindrome.
Faccio questa premessa per spiegare quanto di rivoluzionario è richiesto a mio parere per uscire fuori dalle secche in cui l'ideologia occidentale ha portato il mondo intero.
Certo, nutro molti dubbi sulla possibilità che questa strada, che io trovo necessaria, possa essere imboccata, e che quindi il destino dell'umanità, il che significa se non dei nostri figli, quella dei nostri nipoti sia alquanto triste.
Ho scritto un libro per esporre alcuni spunti di pensiero che ritengo fortemente innovativi, ma che si è rivelato un flop, non riuscendo ad attrarre molti lettori.
Poichè sono abbastanza presuntuoso, sono tuttora convinto che meriterebbe una maggiore attenzione e che le cose lì esposte possano costituire una base di partenza importante per sviluppare un pensiero alternativo.
Questo blog l'ho inizialmente concepito come un ausilio al libro, ma presto mi sono reso conto di come sia difficile sintetizzare concetti già espressi alquanto succintamente nel libro, nel breve spazio di un post.
Ora proverò a riportare parti scelte del libro direttamente nel blog, e spero che vorrete continuare a seguirmi come finora avete fatto, magari rivolgendomi domande che possano favorire qualche passaggio che dovesse risultare meno chiaro.

Devo spendere qualche parola sulla questione dell'appello che intendevo rivolgere: sospenderò per ikl momento l'iniziativa, in attesa di ricevere incoraggiamenti, cioè volontà di condivisione dell'ìinziaitva che rischia sennò di apparire del tutto velletaria.

domenica 11 dicembre 2011

DELLE LIMITAZIONI ALL'USO DEL CONTANTE E DELLE PENSIONI: UN PUNTO DI VISTA DIFFERENTE


Oggi, articolerò il mio intervento in tre parti.


L'una è un preannuncio del lancio di un appello via web ai popoli d'Europa che vorrei fare da questo blog, e a cui spero vi siano adesioni da parte di chi mi legge, che vorrei si facesse parte dirigente per rieccheggiare l'appello da altri siti: di auesto riparleremo al più presto.

Una questione ben più delimitata di cui mi vorrei poi occupare riguarda la questione delle limitazioni alla diffusione del contante, stabilite anche dal decreto legge del governo.
La mia impressione è che si rischi di creare un effetto analogo a quello degli USA che chiedono agli immigrati se negli USA intendono compiere attentati terroristici. Fuori di metafora, se io sono disposto a delinquere evadendo le tasse, perchè mai poi dovrei attenermi a una legge che mi impone di non utilizzare il contante al di sopra di una determinata soglia? Tra due persone deliberate ad evadere le tasse, può ben compiersi un pagamento in contante, basta violare una norma di legge in più che non mi pare possa costituire un vero deterrente. Paradossalmente, si potrebbe ottenere un effetto esattamente opposto a quello desiderato, che cioè se per motivi vari io sia fortemente condizionato ad adoperare il contante, automaticamente venga costretto, per non far sapere della transazione illegalmente compiuta in contante, a non dichiararla finendo quindi con l'evadere magari anche quando non ne avessi avuto l'intenzione.
A me pare che per evitare le operazioni in contante da parte di persone disposte a violare la legge, non sia sufficiente stabilire una soglia massima agli importi delle relative transazioni, ma bisognerebbe che il contante proprio non esistesse. A me tuttavia pare che ciò equivarrebbe, mutatis mutandis, a distruggere un'intera città solo per stanare un criminale, che cioè gli effetti deleteri che accompagnano già le limitazioni all'uso del contante siano maggiori del beneficio ottenuto. quali soprattutto il peso crescente del sistema bancario.
E' paradossale che, nel momento in cui viviamo una fase di profonda crisi del ruolo di intermediazione finanziaria svolta dalle banche, si obblighi per legge tutti ad affidarsi a quelle stesse banche che vedrebbero il loro ruolo gonfiarsi ulteriormente sia in termini di importi intermediati che soprattutto in termini delle cosiddette informazioni sensibili, la sostanziale schedatura di tutti noi e dei nostri dettagliati comportamenti da consumatori. In effetti, non è possibile trovare un modo di garantire dall'abuso di tale tipo di informazioni una volta che esse siano state acquisite.

Il terzo argomento riguarda le pensioni viste da un punto di vista generale. La moda del momento è quella delle pensioni calcolate col metodo contributivo, tu ricevi in base ai contributi che hai versato. Sembra un sistema logico, ma già facevo notare in un precedente post che, dato che non è possibile (per fortuna!) conoscere in anticipo l'età della morte, di equo nelle pensioni contributive c'è ben poco, c'è un fondamentale elemento di buona o cattiva sorte, Si potrebbe aggiungere che nei casi di reversibilità, non v'è più alcun legame con l'età anagrafica al momento del pensionamento, se non una generica attesa che chi ne dovrebbe usufruire dovrebbe trovarsi in condizioni anagrafiche simili, cosa però per niente scontata, senza considerare poi il caso dei figli minori che hanno diritto ad usufruire dell'intero importo delle pensioni fino alla maggiore età.
Vorrei però sollevare un'obiezione ben più generale. La questione riguarda la stessa questione del mettere davvero da parte delle risorse da utilizzare successivamente: è davvero possibile farlo? La questione non è per niente ovvia, dato l'ampio intervallo di tempo che trascorre tra l'inzio del rapporto di lavcoro e l'inizio del trattamento di quiescenza. Così, tutti sappiamo quanto i propri risparmi possano essere oggetto di vicissitudini tali da mettere in pericolo persino il loro mantenimento nel tempo. Per lo stato poi, la cosa è del tutto impossibile, sarebbe perfino inimmaginabile uno stato che mettesse letteralmente da parte i contributi previdenziali ricevuti dai contribuenti. La verità è che ovviamente i pensionati ricevono i soldi corrispondenti ai contributi versati dagli attuali lavoratori, cioè nella realtà non v'è alcuna corrispondenza tra i contributi a suo tempo versati, a loro volta utilizzati a favore dei nostri predecessori, e le nostre pensioni, si tratta soltanto di un calcolo fittizio. Così, non capisco proprio come oggi possiamo contribuire a garantire le pensioni dei nostri figli se non forse nel ridurre il debito pubblico, e dwel resto non sarei così preoccupato delle loro future pensioni quanto della loro presente occupazione, dato che le loro pensioni saranno comunque pagate coi contributi versati dai loro figli.
Nella realtà, il criterio contributivo viene avanzato in termini di equità, ma il punto è che l'equità è un concetto che non può essere applicato in maniera ovvia ed automatica, che esso implica uno specifico punto di vista. Se ad esempio noi vedessimo i contributi versati come un contributo di solidarietà, come del resto avviene per quanto riguarda i contributi assistenziali, in cui chi più versa non accede a più servizi rispetto a chi versa di meno (a volte paradossalemnte di meno col meccanismo del ticket) perchè è appunto implicito un meccanismo di solidarietà.
Così, anche il meccanismo retributivo aveva una sua logica. Qui, non voglio prendere partito per uno specifico metodo, solo constatare come il conformismo non risparmi alcun aspetto dell'attività umana, ammantandosi sempre da ovvietà, un'ovvietà che maschera l'esigenza di non mettere in discussione un certo punto di vista.

giovedì 8 dicembre 2011

SARKOZY E MERKEL TENTANO IL GOLPE

Ciò che Sarkozy, nella sua recente dichiarazione all'immediata vigilia del vertice europeo chiede è compiere un vero e proprio golpe, che dia un colpo decisivo alle democrazie dei paesi partners.
E' golpista il procedimento avviato, con dua capi di stato che definiscono da soli le misure da assumere e che prorpongono a tutti gli altri con la logica del prendere o lasciare, è golpista il contneuto dei provvedimenti che vuole conferire poteri più stringenti ad organismi europei non democraticamente legittimati.
Sposare questa alternativa, pensando di nascondersi dietro l'emergenza finanziaria, è affermare perentoriamente l'impossibilità della democrazia, su questo mi sono già soffermato citando anche Schmitt in un precedente post.
Ciò che l'Unione Europea dovrebbe fare è separare bene i provvedimenti d'emergenza e le proprie scelte istituzionali, l'emergenza può ben giustificare delle misure drastiche, anche estreme, ma mai potrà guisitificare delle scelte di ordine istituzionale, che se effettivamente intraprese, non possono che configurarsi come golpiste.
Misure emergenziali possono consistere nel conferimento di ulteriori poteri alla BCE, o anche nella momentanea chiusura dei mercati per modificarne profondamente il meccanismo di funzionamento. E' paradossale che si possa commissionare i popoli europei e non le borse, un vero segno dei tempi, in cui il sacro che è rimasto è tutto collegato al mercantilismo.
Era insito sin dall'inizio il tarlo che c'ha portato in questa situazione. Se davvero si vuole fare avanzare un progetto federalista, allora non si può che partire da una costituzione europea, l'esatto opposto di quanto è stato fatto finora, con un trattato benignamente donato da commissioni non elette al popolo bue.
Se si vuole costituire la Federazione Europea, allora si deve partire dall'elezione da parte dei cittadini europei di un'Assemblea Costituente che elabori un preciso progetto di Costituzione da sottoporre a referendum europeo.
So che molti paesi non sono disponibili a tanta cessione della propria sovranità nazionale (forse farebbero però bene a riflettere sulla estrema limitatezza già nel presente di tale sovranità). Che si proceda con chi ci sta, se il progetto è ben fondato, gli altri non potranno man mano che aderire, che unirsi anche se in secondo tempo. Ciò che non si può accettare è barattare una struttura federale con una svendiota delle procedure democratiche.
L'unica cosa buona che nel vertice di oggi e domani i paesi europei possono fare è dire di no alla peggiore coppia di governanti europei dell'ultimo mezzo secolo, una coppia di inetti che ci sta protando al baratro. Il vertice deve fallire con una risoluzione di maggioranza che sottolinei le soggettive colpe di questi due personaggi che non perdono occasione per trascinare l'intera Europa a fondo.
Chissà se ci sono in Europa governanti degni di questo nome (del tipo "ci sarà un giudice a Berlino")!

mercoledì 7 dicembre 2011

MONTI LAVORA PERCHE' L'ITALIA DIVENTI LA PROSSIMA GRECIA?

Il neopremier Mario Monti, intervistato da Vespa, ha ieri affermato che guardando l’evoluzione dello spread, egli ha visto l’Italia come la futura Grecia.

Io vorrei dire a Monti che, leggendo il suo provvedimento lacrime e sangue, io vedo confermata nell’Italia odierna l’immagine della Grecia.

Perché, vedete, una delle cose più irritanti di questa società mediatizzata, è che ognuno può dire ciò che vuole, perfino esattamente l’opposto di ciò che la logica dovrebbe suggerire.

Allora, forse, sarebbe un atto di necessaria onestà ricordare cosa è successo alla Grecia appena pochi mesi fa. C’è qualcuno che possa essere così bugiardo da potere affermare che la Grecia abbia evitato interventi di taglio delle spese statali e di aumento della tassazione? Tutti gli osservatori minimamente obiettivi converranno sul fatto che, al contrario, alla Grecia è stata imposta una cura da cavallo che ha portato a un tracollo del PIL, determinando paradossalmente per questa via un aumento del rapporto debito/PIL per diminuzione drastica del denominatore, tale da vanificare qualsiasi parallela diminuzione del nominatore di tale frazione.

Dunque, sembrerebbe ragionevole affermare che Monti, nel definire questi provvedimenti, incammina l’Italia lungo la rovinosa via della Grecia, con l’avallo dello stesso Napolitano, che ieri non è stato in grado di sottrarsi dal dire la sua, che è poi, guarda un po’, la stessa cosa che dice Monti, che cioè con questo provvedimento l’Italia ha evitato la catastrofe.

Presidente, ma siamo certi che la catastrofe è stata evitata, non è che invece così si sia favorita? Lei, Presidente, non è la stessa persona che appena pochi mesi fa invitava perentoriamente il Parlamento, e cioè in fondo i suoi ex-compagni di partito, a facilitare una rapida approvazione dei provvedimenti elaborati dal fiscalista Tremonti, a cui altri ne seguirono a breve termine?

Allora, se vogliamo adottare il principio di falsificazione di Popper, quanti provvedimenti devono fallire nello scopo di tranquillizzare i mercati, nel rimettere cioè a posto gli interessi sui nostri titoli di stato, prima che voi dichiariate che avete fallito e pertanto vi dimettete?

Non vorrei insomma, esimi Monti e Napolitano, che tra qualche settimana ci veniate a dire che occorre un ulteriore provvedimento perché questo non è bastato a tranquillizzare i mercati, perché sennò pretendete che questo stato, formalmente ancora democratico, si trasformi in uno stato fideistico, in cui le parole dell’ayatollah di turno vengano assunte come verità assoluta senza richiedere una verifica sperimentale.

Devo essere io a ricordarvi che questa crisi è esogena (per diversi decenni il nostro formidabile debito non ha costituito un problema per i mercati), e che pertanto anche l’evoluzione successiva secondo le attuali regole è sottratta per la massima parte all’influenza del singolo stato? Forse, sarebbe bene che voi o vi mettete da parte, o considerate con la massima cura aspetti ben più generali che riguardano il nostro rapporto con questo mondo globalizzato che, se immodificato nel suo modo di funzionare, rende del tutto inefficaci provvedimenti di riordino dei conti pubblici che pure sarebbe in sé un’operazione meritoria.

Ad iniziare dal vertice europeo di domani e dopodomani, voglio nutrire la speranza che Monti ponga degli ultimatum ai partners dell'eurozona costringendoli a permettere alla BCE di salvare i titoli da una speculazione internazionale sempre meno obiettiva, come dovrebbe dimostrare senza più alcuna ombra di dubbio la recente dichiarazione dell'agenzia di rating S&P di evidente ricatto nei confronti dell'intera Europa.

martedì 6 dicembre 2011

E' CRISI DEFINITIVA DEL CAPITALISMO


C’hanno detto che la crisi economica in corso richiede l’adozione di sacrifici.
C’hanno poi detto che per salvarci, dobbiamo necessariamente salvare l’euro.
C’hanno ancora detto che le uniche nostre speranze stanno nel fare ripartire la crescita economica.
Tutte e tre queste affermazioni viene proferita con stile assertivo, tipo “fai ciò che ti dico e non rompere le scatole con obiezioni inutili perché irrealistiche”.
Sentivo ieri Scalfari e la cornice che gli ha offerto ieri sera Lerner in modo alquanto vergognoso. Scalfari insomma si è comportato come Berlusconi, ha preteso di venire a dire le sue cose senza un reale contraddittorio, una vera e propria sospensione del modo ordinario di funzionamento della trasmissione. Davvero, questi capitalisti ormai non hanno più nulla da dire, sono a corto di argomentazioni, e si rifugiano dietro un preteso buon senso, abilmente frammisto al suscitare paure più o meno irrazionali.
Il discorso di questo trombone, membro a pieno titolo di quella classe dirigente che c’ha portato nel disastro presente, era perfino irritante, così preso dal proprio punto di vista e del tutto sordo a qualsiasi contestazione. Nulla, neanche una singola parola nel suo discorso poteva davvero essere condivisa, epperò ciò che più irritava era la forma, questo stile appunto assertivo che escludeva punti di vista differenti dal suo.
Non so se avrò il tempo e la voglia di riascoltare il filmato dell’intervista per farne una puntuale critica, probabilmente non ne vale la pena.
Un punto però lo ricordo bene e lo vorrei citare. Scalfari diceva di non capire come si possa proporre di non rimborsare i titoli di stato. Egli diceva che il 17% del totale è in mani a privati italiani, e che rifiutare il rimborso significava togliere a costoro tutto ciò che hanno messo da parte.
L’ho già scritto in questo stesso blog, ma voglio ribadirlo. Se noi rimborsiamo quei titoli, lo dobbiamo fare con soldi degli italiani, diciamo di tutti gli italiani, sia di quelli che i titoli li hanno che di chi i titoli non li ha. Tra questi, c’è chi non li ha per una scelta di investimento e chi non li ha perché nullatenente. A me pare assurdo che paghi chi non ha nulla per salvare un suo concittadino più ricco di lui e che in qualche modo è responsabile di aver scelto un investimento sbagliato. Questa forma di solidarietà tra cittadini sorge solo quando chi ha, rischia di perdere ciò che ha, ma caso strano non si pone quando la solidarietà si dovrebbe manifestare in senso inverso, da chi più ha, a chi meno ha.
E’ significativo che un danno inflitto a chi ha titoli, parziale, perché comunque si andrebbe a un rimborso parziale e non nullo, e si potrebbe anche esplorare forme di rimborso selettive, venga considerato palesemente assurdo, neanche degno di diventare oggetto di dibattito.
Ora, nessuno spero voglia contestare che questa è una crisi del capitalismo. Il mio atteggiamento nel commentare i fatti tenta di prescindere per quanto possibile dal mio personale punto di vista. Seppure sono certo che il capitalismo vada superato perché incompatibile con una qualsiasi prospettiva di sopravvivenza dell’umanità, io non corro alle conclusioni, dico ai capitalisti “è la vostra crisi, adesso fate ciò che è necessario per uscirne”. Le risposte prospettate non sembrano funzionare. Siamo già a più di un totale di 150 miliardi di euro di intervento sul bilancio statale italiano, e non si vede traccia di risoluzione. Qualcuno, me compreso, suggeriva una patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni perché, dicevamo, credo a ragione, che il problema non è ridurre il deficit ma il debito. Visto che il bilancio statale primario è in attivo, il deficit è solo il frutto del peso degli interessi del debito e che quindi sembra irragionevole volere ridurre il deficit senza toccare il debito. C’hanno risposto che non si può fare, che sarebbe recessivo, ma se si vuole raddrizzare il bilancio, lo si può fare solo con misure inevitabilmente recessive sia quando imponendo nuove tasse, riducono lo spazio per le spese e per i risparmi dei privati, sia quando tagliando le spese con la riduzione dei servizi pubblici erogati, costringono i privati a sottrarre risorse al proprio bilancio familiare per acquistare i servizi essenziali non più assicurati dallo stato.
Rimane da capire perché gli interventi ingenti fin qui adottati non sembrano risolvere la crisi. La risposta apparentemente è che nel frattempo l’aumento dei tassi di interesse si è mangiato già tutto il loro importo. La ragione dell’aumento degli interessi sta nell’abnorme crescita dei titoli in circolazione che rendono i mercati costantemente affamati di liquidità, una specie di tossicodipendenza che richiede costanti iniezioni di eroina senza per questo risolvere il problema dell’eroinomane, che anzi prima o poi ne morirà. Esemplificando, se Goldman sachs e Morgan stanley si sono scambiati titoli emessi da ciascuna di loro, magari titoli tossici o comunque non più attraenti, preferiranno rimborsarsi alla scadenza l’un l’altro i propri titoli vendendo i titoli dei debiti europei, non è difficile da capire e non è neanche necessario invocare chissà che complotto. Nello stesso tempo, queste stesse corporations non possono ignorare che c’è un problema complessivo di liquidità e che l’Europa sotto egemonia tedesca, si rifiuta di stampare moneta mettendo a rischio anche il rimborso dei titoli a futura scadenza, e quindi non so se volete chiamarlo complotto, ciò che fanno è quello di esercitare una pressione sui governi interessati perché finiscano di rompere le scatole e facciano come fan tutti, in primis USA e Regno Unito, immettano moneta nel sistema finanziario internazionale.
La Germania però resiste, e io una motivazione adeguata a questo rifiuto non ce l’ho. Non posso credere che i tedeschi pretendano di fare la guerra con un loro modello di capitalismo al capitalismo di area anglosassone, non capisco come possano pensare di prevalere sugli USA. L’unica spiegazione sensata è che si tratta di tattica a logica intra-europea, resistono per fottere gli altri stati europei.
Comunque, ritorno al ragionamento che facevo, è un problema del capitalismo, e, poiché non ho mai creduto per fede alle sorti progressive e fauste del capitalismo, con il mio scetticismo, chiedo a chi ci crede, a chi da capitalista o da loro servo crede in questo sistema, di risolvere le questioni.
Al mio governo chiedo in particolare, quando i mercati, dopo l’insuccesso annunciato del vertice europeo di venerdì nove, riprenderanno ad attaccarci, di non tornare a chiederci altri trenta miliardi di euro, hanno fallito in questa strategia dei sacrifici, facciano qualcosa di più convincente, tipo uscire dall’euro e magari dare default, o fare una patrimoniale de paura da 400 miliardi di euro, sennò tutti noi siamo autorizzati a considerarli dei cialtroni e chiedere che se ne vadano subito a casa.
Ci sono poi quelli della crescita. Voglio essere chiaro, per ciascuna delle tre affermazioni che ho scritto all’inizio, ci sono motivazioni sensate. E credo di essere stato coerente nel mio approccio diciamo pragmatico di mettere alla prova le loro stesse ricette. Metterle alla prova però significa sottoporle a verifica e quindi pretendere che esse vengano eventualmente smentite dai fatti: o si pretende da noi una fiducia cieca nelle affermazioni dello Scalfari o del Monti di turno?
Così, io capisco bene le motivazioni di coloro, e sono numerosi, che puntano sulla crescita. C’è la scuola anglosassone, che ha anche tanti epigoni in Italia, che dice che la soluzione non è fare sacrifici ma spendere a più non posso per sostenere la domanda, ma sulla crescita vanno a convergere i peggiori nemici dei capitalisti, i marxisti, anch’essi convinti che bisogna far crescere l’economia.
Peccato che si tratta di una soluzione già vecchia, perché cosa mai ha tentato di fare la FED sotto Greenspan dieci anni fa, se non stimolare la crescita immettendo liquidità nel sistema e provocando così la crisi del 2008? Anche questa favoletta dello stimolo alla crescita è una pia illusione: sia chiaro, per me è anche una iattura, un attentato alla sopravvivenza dell’umanità comportando la crescente distruzione delle risorse naturali. Ma, seguendo l’approccio inizialmente adottato, io dico che voi capitalisti le avete provate tutte ed avete fallito lungo tutta la linea. Mi chiedo allora cosa aspettiamo a decretare la fine del capitalismo, cosa aspettiamo a disfarci di questo che è ormai un cadavere che rende irrespirabile l’aria attorno a noi, cosa aspettiamo a intraprendere con entusiasmo una strada differente, quella di una società della piena occupazione, meno ricca di oggetti inutili, che definisca una lista di beni essenziali, di diritti essenziali e che si guardi bene dal ricercare un incremento illimitato e sostanzialmente folle delle merci con cui circondarci avvelenando la nostra stessa esistenza?

lunedì 5 dicembre 2011

MA CHE CODARDO QUESTO MONTI!

Nel precedente post, avevo scritto che nessuno di noi può preparasi il bagaglio per partire se non sa quale sarà la località di destinazione, ad esempio in termini climatologici.

Così, la domanda più grossa che ci dovremmo porre di fronte ai provvedimenti del governo Monti approvati appena ieri dal CDM, è se si basano su una specifica ipotesi di evoluzione della crisi globale e all’interno di questa, delle risposte comunitarie in proposito.

Dicevo anche nel precedente post come le dichiarazioni della Merkel, che sostanzialmente rimpallavano tutte le responsabilità sull’Italia senza uscire da una generica e pertanto poco credibile fede nel progetto di integrazione europea, sembrano ormai sempre più confermare il rifiuto della Germania a dotare l’area euro di una vera banca centrale che abbia le prerogative che tali istituzioni hanno in tutti i paesi del mondo. Poiché senza che sia acclarato che la BCE ha il diritto di stampare tutti gli euro che occorrono per salvare i titoli emessi dagli stati di cui costituisce la Banca Centrale, la tempesta che su di essi si è abbattuta non terminerà, rifiutare questo passaggio è affossare consapevolmente (almeno speriamo, sennò il governo tedesco sarebbe fatto da imbecilli conclamati) l’euro.

L’unica residua speranza di salvare euro e progetto europeo, almeno al momento, è costituito da una specie di trattativa o se preferite di bluff tra gli stati dell’eurozona per ottenere i maggiori vantaggi per il proprio paese. In altre parole, l’assenso tedesco a un ruolo ben più efficace della BCE sarebbe legato all’accertamento di un comune sentiero virtuoso, almeno per i tedeschi, di tutti i paesi contraenti.

Ora, è davvero difficile credere che una manovrina da trenta miliardi, gravosissima per i cittadini, ma quasi ininfluente sulla situazione debitoria dell’Italia (trenta contro millenovecento miliardi), possa spostare l’ago della bilancia. Dico difficile e non impossibile perché poi i mass media possono certamente trovare il modo di presentare i fatti in maniera artificiosa rivestendoli di non so quale carattere taumaturgico. In effetti però, questo provvedimento non sembra spostare di un millimetro la situazione italiana nei confronti dei mercati e neanche nei confronti della Merkel, potrò essere smentito, ma allora dobbiamo ancora una volta chiederci che congrega di potenti governi il mondo e quale logica di parte adotti, per potere spiegare sensatamente i fatti.

La vera scadenza rimane venerdì 9 dicembre, quando in sede di vertice europeo, si dovrà definire quali nuove misure i paesi aderenti siano disposti ad adottare. Perfino il silenzio in questa occasione, sarà una risposta eloquente che dovrebbe portare l’Italia ad uscire dall’euro: senza garanzia che la BCE ci copra, lo dico da adesso, io chiedo che l’Italia esca unilateralmente dall’euro senza ulteriori ritardi. Non è certamente la prospettiva che mi auguro, ma senza il coraggio di intraprendere manovre ben più sostanziose, e senza che la Merkel esca dalle sue ambiguità sempre più inaccettabili e gravose per le tasche di tutti noi, non vedo alcuna credibile alternativa, solo una resistenza ai mercati che ci costerà enormemente, ma con l’inevitabile capitolazione finale: meglio, molto meglio uscire subito senza svenarci, ottenendo comunque lo stesso risultato, ma senza le risorse tutte bruciate sull’altare della difesa dei nostri titoli, che saranno necessarie per ripartire con una moneta nazionale.

L’alternativa che aveva Monti, era fare la famosa patrimoniale sui grandi patrimoni, gettare sul tavolo della trattativa europea un gettone da almeno duecento miliardi di euro, un effetto shock sui mercati che questo continuo stillicidio di ripetute manovre da decine di miliardi non potranno avere.

Entrando nel merito dei singoli provvedimenti, appare davvero come questo governo salutato come risolutivo dei problemi dlel’Italia, alla fine si aggrappi a provvedimenti molto tradizionali.

La cosa che mi è apparsa più vergognosa, richiamandomi i comportamenti analoghi del precedente governo, è costituto dalla vicenda IRPEF che, tolta dalle trattenute a livello nazionale e riservate ai redditi superiori, sono nei fatti rientrate alla grande con l’addizionale regionale, e stavolta spalmate sull’intera platea dei contribuenti: stimao ancora alla logica del purchè non se ne accorgano, una vera vergogna.

Sulle pensioni, la manovra è meno peggio di come temessi. Nei fatti, niente cambia, se non nell’avvicinare la data della perequazione tra maschi e femmine, sulla data della pensione di vecchiaia, mentre per le pensioni di anzianità l’aumento richiesto è significativo, ma non eccessivo. Sparisce il calcolo congiunto delle due anzianità (vita e lavoro), che sembrava un mezzo equo per tenere conto di entrambi questi aspetti. Si punta sul ridurre mediamente l’importo delle pensioni privandole dell’adeguamento automatico, e riportando tutti, almeno pro rata, al calcolo contributivo. Su questo aspetto confesso che sono d’accordo, le risorse vanno gradualmente spostate sugli individui più giovani.

Il punto è se a questo spostamento si è dato realmente attuazione. In verità, mi pare che ci sia soltanto qualcosa sull’IRAP, la famigerata tassa sull’occupazione introdotta da Vincenzo Visco, una vera tassazione di schifo. Non v’è un riutilizzo dell’attivo che così si determina nel settore previdenziale per un salario minimo garantito di cui pure si era parlato, anche se in modo del tutto generico e parziale. Così, è proprio vero, il risparmio previdenziale serve solo a fare cassa, e questo appare inaccettabile.

Rimango perplesso sull’aspetto fondamentale, la filosofia della Fornero, per cui è equo solo il metodo contributivo. Vorrei sommessamente fare notare che la previdenza dev’essere attrattiva, non può limitarsi a restituirmi ciò che ho versato, sennò ognuno dovrebbe avere diritto a pensare da sé al proprio sostentamento nella vecchiaia. Poiché i calcoli si fanno su una lunghezza di vita media, tale sistema risulta punitivo verso chi muore prima, e quindi esso si basa comunque su una forma di solidarietà sociale forzosa. Quando diciamo che non sarebbe giusto che la comunità nazionale nel suo complesso intervenga con proprie risorse per finanziare in quota parte la previdenza, dobbiamo nel contempo essere consapevoli che questo intervento rimane, solo che lo limitiamo alla sola platea dei pensionati, così che il pensionato che andrà oltre i cento anni, la pensione non se l’è comunque pagata da sé, ma gliela pagheranno quelli che moriranno nei primi cinque anni di pensione. L’equità insomma non è mai un concetto neutro, dipende dal punto di vista. Che questa solidarietà necessaria nei confronti di chi vive più a lungo debba essere pagata soltanto da chi vive di meno, non sembra così ovvia e scontata. Personalmente, si potrebbe definire anche una quota parte da prelevare sulla fiscalità generale. Osservo infine sul capitolo previdenziale, che nessuno discute sull’importo degli stessi contributi previdenziali: non sarebbe questo il modo più diretto di aumentare le risorse verso i lavoratori, e magari di indurre un aumento della stessa occupazione?

Vorrei spendere due parole sull’intervento dell’1,5% sui patrimoni “scudati”. Qui proprio non capisco. Si era detto che non era più possibile andare a richiedere nuove tasse su quei fondi. Evidentemente non è così, ma allora perché limitarsi a un ridicolo 1,5%? Se un po’ tutti i paesi hanno applicato aliquote almeno superiori al 15%, perché oggi non applicare una ben più sostanziosa aliquota del 10%?

L’intervento sui patrimoni appare frammentario e modesto, e perciò inevitabilmente inadeguato, tant’è che già tra sette mesi avremo un ulteriore aumento dell’IVA, perché le tre voci di maggiori risorse rastrellate, la tassazione dei redditi (tramite l’aumento dell’addizionale regionale), la tassazione dei patrimoni, la realizzazione di un congruo avanzo previdenziale.

Questa frammentazione nel ricercare le risorse è un segno di grave debolezza, somiglia per molti aspetti ai tagli lineari del fiscalista Tremonti. Non v’è insomma alcun segno di una precisa volontà politica, una precisa scommessa su un progetto coraggioso. Purtroppo, Monti è i suoi ministri sono frutto pieno della mediocrità dei tempi che viviamo, degli equilibrismi alla Merkel, delle mezze misure che mai devono mostrare di volere colpire gruppi specifici di cittadini.

Purtroppo, in un tempo in cui decisioni ben più radicali e coraggiose sarebbero richieste, ci balocchiamo ancora con la stessa classe dirigente che c’ha portato all’odierno disastro sperando che le stesse persone responsabili dei danni, possano tirarci fuori con la pretesa di non scontentare nessuno o tutti, che in effetti sono situazioni molto simili tra loro.

Proprio vero, nulla può convincere il cittadino-bambino a non toccare il ferro da stiro come il bruciarsi una volta un polpastrello.