lunedì 26 ottobre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 12

Due notizie balzano in primo piano in questi giorni: da una parte l’esito delle primarie del PD, dall’altra la situazione nella maggioranza di governo che vede al centro la sorte di Tremonti.

Liquiderò la prima questione in poche parole. Non è tanto il fatto che sia stato Bersani a vincere, ma la notizia reale è la partecipazione non oceanica, ma sicuramente importante, alle primarie. Cosa porti tanta gente a fare finta di decidere qualcosa, rimane un mistero. L’unica motivazione che ci posso ritrovare, che tra l’altro circola anche in tanti blogs che leggo, è la necessità di battere il signor B., considerato come male assoluto. Peccato che in 15 lunghi anni questi stessi dirigenti del PD abbiano dimenticato di approvare, anche quando avevano la maggioranza, una legge sui conflitti di interesse, e che in mille occasioni tanti atti politici possono essere spiegati solo ipotizzando una certa forma di accordo dietro le quinte tra coloro che dovrebbero essere avversari. La dimostrazione dimostrata che questi signori siano funzionali al potere del signor B. l’abbiamo, ma, si sa, al cuore non si comanda. Se infine diversi miliardi di persone nel mondo credono alle religioni monoteistiche, cosa ci sarà di strano che tre milioni di persone possano ritenere utile il PD, tanto da desiderare di influenzarne la dirigenza politica?

La questione più interessante, davvero una svolta nella maggioranza, è il ridimensionamento, potremmo dire perfino certificato, del potere del signor B., ormai assolutamente succube di Bossi e della Lega. Se pensiamo che Bossi non si è soltanto limitato a salvare il posto di ministro a Tremonti, ma addirittura l’ha proposto, ma presto forse l’imporrà, come vicepresidente del Consiglio, capiamo come il signor B. conti davvero poco ormai, come il PDL, diviso al suo interno, malgrado sia ancora il maggior partito italiano, conti quasi nulla nelle scelte politiche concrete, dettate da Bossi e dai suoi accoliti, in cui bisogna ormai includere anche Tremonti.

Qui, ancora una volta, vengono fuori elementi di psicopatologia nel signor B., che dovrebbe trovare il coraggio di mettersi da parte, visto che l’alternativa è governare sotto dettatura. Oggi davvero, uil problema non è tanto la capacità del signor B. di mantenere il potere e forse il consenso, quanto piuttosto la sua incapacità a mettersi da parte. In questa situazione di falso potere del signor B., la Lega ha buon gioco a far fare al governo ciò che vuole, senza neanche assumersene per intero la responsabilità. Si è ormai, con la responsabilità di un’opposizione inesistente, creato un vuoto di potere, in cui persone assolutamente mediocri come Tremonti, la cui politica economica non esiste, assume una rilevanza enorme. Quanto durerà questa agonia? Questa è la vera domanda dell’oggi.

sabato 24 ottobre 2009

MA IL PRONTO SOCCORSO E' UN LUSSO?

Vorrei fare una riflessione sullo sviluppo economico degli ultimi decenni, diciamo degli ultimi quarant’anni. Sembrerebbe un’impresa ardua, che forse richiederebbe un intero libro, ed anche così se ne potrebbe fare una descrizione molto succinta. Qui, in verità, io vorrei guardare ad essa da un punto di vista particolare, e come sviluppo complessivo, senza considerarne quindi l’articolazione nel tempo e per tipo di merci. Lo faccio attraverso la mia personale esperienza che i miei troppi anni mi consentono.

Vi dico subito e laconicamente la sensazione che ne ho, dal punto di vista del semplice cittadino: non solo la qualità della vita in questo lasso di tempo mi appare peggiorata, ma, stranamente, anche da un classico punto di vista quantitativo, non vedo una maggiore disponibilità di spesa da parte della popolazione.

Userò come esempio, a mio parere estremamente significativo, il caso del pronto soccorso. Da giovanissimo, ebbi un’esperienza diretta del dover ricorrere a questo servizio. Dopo alcuni giorni di una gastrite che non mi abbandonava più, senza che prima d’allora ne avessi mai sofferto (ed effettivamente neanche in seguito), decisi infine di rivolgermi al pronto soccorso. Mi sono accomodato nella sala d’attesa, e nel giro di un quarto d’ora, entrai nell’ambulatorio, dove fui sottoposto a una visita medica con relativa terapia. Salutai, e andai via, senza alcun ulteriore adempimento da espletare. Quindi, un servizio gratuito, ragionevolmente veloce, ed esauriente.

Per esperienza indiretta, so come vanno le cose oggi nei posti di pronto soccorso. Si va lì, nella sala d’attesa qualcuno, probabilmente medico, da’ uno sguardo veloce al problema dell’utente, assegna quindi un ordine di priorità sulla base dell’apparente gravità e quindi urgenza delle situazioni individuali. Chi dovesse ricevere un codice bianco, cioè quello a priorità minima, non è raro che si debba sottoporre a un’attesa di un’intera giornata. A servizio ultimato, è richiesto un pagamento dell’intervento effettuato. La prima riflessione è se questa diagnosi affrettata necessaria per assegnare i differenti codici non possa dare luogo ad incidenti, ove una sintomatologia a volte troppo generica induca il medico a non valutare correttamente la gravità della situazione di una determinata persona.

Ciò su cui mi vorrei piuttosto soffermare è su un raffronto nelle modalità di fruizione dei servizi di Pronto Soccorso nel passato con la situazione presente. Credo che balzi agli occhi come ci si trovi ad avere un ridimensionamento enorme nei servizi forniti, non più gratuiti come in passato, ma a pagamento, da tempi del tutto ragionevoli a tempi lunghissimi, e infine da come le attese più protratte, se dovute a una diagnosi errata, possano dar luogo ad incidenti anche mortali.

Mi chiedo a questo punto l’aumento del PIL nel corso di questi quarant’anni in cosa si è tradotto nella vita individuale delle persone. Quale migliore disponibilità di merci e servizi può oggi sperimentare un cittadino, se il servizio di Pronto Soccorso, considerato un’ovvia ed indispensabile necessità che lo stato prioritariamente dovrebbe soddisfare, non siamo più in grado di assicurarlo. Naturalmente questo è solo un esempio tra tanti altri. Tra gli anni sessanta e settanta, moltissime persone sono state in grado di acquistare un appartamento, o magari di costruirsi una casetta. Oggi, questa stessa operazione appare come problematica, tralasciando la specifica situazione dei più giovani, che possono tirare avanti solo tramite un aiuto decisivo dei genitori, e su cui probabilmente scriverò uno specifico pezzo.

In definitiva, abbiamo un bilancio statale assolutamente ipertrofico, che riduce in misura elevatissima il reddito disponibile a seguito della tassazione. Ebbene, non si capisce dove questo fiume di soldi vada a finire. Non siamo più in grado di assicurare un dignitoso livello di istruzione ai nostri figli, la ricerca non viene più finanziata, e la sanità, che pure vede un riversarsi di fondi statali immane, alla fine non riesce ad assicurare ciò che a tanti sembrerebbe il servizio basilare, il più indispensabile per una nazione minimamente civile, come il Pronto Soccorso. Da una parte quindi le spese individuali appaiono ridimensionate, i servizi erogati dello Stato diminuiscono giorno dopo giorno. E’ una domanda così indiscreta chiedere che fine mai faccia la ricchezza che il PIL dovrebbe in qualche misura quantificare?

A me pare che viviamo in un mondo in cui l’umanità si agita inutilmente, pensando che questa agitazione contribuisca al proprio benessere. A me pare che siamo riusciti, come umanità, a realizzare un miracolo di disastro, se mi passate l’espressione. Da una parte saccheggiamo il pianeta, dall’altro non riusciamo a garantirci quelle stesse cose che quarant’anni di tecnologia prima erano diritti acclarati. Mi chiedo se non dovremmo fermarci a riflettere, a ristabilire un nesso tra un’iniziativa economica ed il suo effetto, invece di ragionare grossolanamente, come quando si vuole finanziare lo sviluppo edilizio perché trascina il resto dell’economia e fa aumentare il PIL. Non dovremmo forse capire le cose con un maggiore dettaglio, elencare magari ciò che ci appare prioritario assicurarci, prima di progettare sempre nuovi oggetti inutili che richiederanno successivamente altri simili oggetti ancora più inutili in una spirale infinita che ci impedisce ormai di dare una reale motivazione agli atti concreti e quotidiani della nostra vita.

venerdì 23 ottobre 2009

A PROPOSITO DELL'IRAP

Scintille tra il signor B. e Tremonti. Tremonti si propone come leader, tramite una parola d’ordine, quella del posto fisso, che lo colloca simbolicamente verso la sinistra, seguendo in qualche modo le orme di Fini. D’altra parte, è chiaro che non si saprebbe come collocarsi più a destra di questo governo.

A questa mossa, il signor B., dopo avere subito l’iniziativa rincorrendola, ora lancia la sfida: abolizione dell’IRAP. Dichiarazione lanciata dalla Russia, tramite comunicazione orale a Gianni Letta. In altre parole, Tremonti è stato completamente tagliato fuori, ha appreso la notizia dalle agenzie di stampa.

Qui si pone quindi innanzitutto un plateale gesto di svalutazione di Tremonti che, come ministro dell’economia, non si vede come possa essere lasciato fuori da una decisione di questa portata, ma probabilmente si pone anche una questione di sostanza.

Dobbiamo considerare che i proventi annuali dell’IRAP sono pari a circa 40 miliardi di euro, una cifra enorme che, se non sostituita, porterebbe il deficit statale ben oltre il 5% del PIL, quindi platealmente fuori dai parametri UE. Non sono insomma bazzecole come l’ICI sulla prima casa, che tra l’altro andavano ad appesantire i bilanci dei comuni. Qui, una misura di questo tipo significa rivoluzionare l’intero bilancio statale.

Si è a lungo parlato, in occasione dell’approvazione del federalismo fiscale, delle spese collegate a questo provvedimento. Si è anche aggiunto che Tremonti aveva un tesoretto da parte proprio per finanziare il federalismo fiscale. Sarà questa disponibilità ancora non utilizzata che il signor B: vorrebbe utilizzare per iniziare a diminuire l’importo dell’IRAP? Il dubbio sembrerebbe lecito. A questo punto però, sarebbe interessante sapere se l’asse signor B.-Bossi potrebbe reggere a un sostanziale rinvio del federalismo fiscale, oppure se i noti buoni rapporti tra Lega e Tremonti potrebbero spezzare quell’asse, affossando del tutto il signor B. Pare insomma che la sfida lanciata dal signor B. sia molto rischiosa, sarei tentato di dire disperata. Consideriamo anche che egli pare abbia sacrificato un suo fedelissimo come Galan, dopo il peggioramento dei rapporti con altri suoi fedelissimi nel Sud. Parrebbe che il terreno gli venga adesso a mancare, come se il primo colpo di vento lo possa ora disarcionare: vedremo.

Prima di chiudere, vorrei fare un’ultima considerazione di merito. L’IRAP è stata introdotta dal centrosinistra, come iniziativa fortemente voluta da Visco. Penso che sia il peggiore dei suoi provvedimenti, in quanto il calcolo dell’IRAP da pagare dipende essenzialmente dalle spese che l’azienda affronta per il personale: più dipendenti hai, più paghi. Come capite, è insomma una tassa contro il lavoro. Meglio automatizzare la fabbrica, spendendo in macchinari, che spendere in persone, proprio il contrario di quanto dovrebbe farsi per rendere più umano il mondo del lavoro, andando verso la piena occupazione. A me, se l’IRAP viene abrogata, devo dire che fa piacere, anche se bisogna vedere come verrebbe abolita e chi quindi ne pagherebbe i costi.

mercoledì 21 ottobre 2009

AGITAZIONE NEL PDL

Avrei voluto postare ieri sugli avvenimenti di avantieri, che mi sono sembrati molto significativi sulla situazione che si va sviluppando all’interno del PDL e della maggioranza. Il primo fatto è quello che occupa da due giorni le prime pagine dei quotidiani, riguardante la dichiarazione di Tremonti sul posto fisso. L’altro è costituito da una notizia che ho sentito al GR3 di avantieri pomeriggio di una dichiarazione di Gianni Letta che, pur senza minimamente citare il signor B., per i suoi contenuti non può che apparire critica nei suoi confronti. Ho tentato ieri di rintracciare questa notizia sul web: niente, introvabile. Ciò getta una luce sinistra sulla capacità del sistema informativo di oscurare selettivamente l’informazione.

Se diamo per confermate queste due notizie, ma anche in base alla sola dichiarazione di Tremonti, mi sembra si possa facilmente affermare che le acque all’interno del PDL si stiano in qualche modo muovendo.

Se fosse confermato che Letta abbia rilasciato dichiarazioni esplicite su temi di grande interesse politico, questa di per sé costituirebbe una importantissima notizia, data la natura del personaggio. La sua consueta e proverbiale riservatezza, e la sua estrema prudenza farebbero apparire un suo uscire allo scoperto come un atto addirittura clamoroso per la sua rarità, e che quindi non potrebbe non assumere un enorme significato simbolico, un segnale lanciato a chi di dovere, una specie di invito verso un nuovo equilibrio di poteri nell’altrimenti immobile trama di potere italiana.

Lasciamo ora da parte Letta, visto che questa notizia appare molto vaga ed alquanto incerta addirittura.

Vediamo l’altra notizia che sicura invece è. Si tratta della dichiarazione di Tremonti.

Ieri ho letto qualcosa andando per blogs, e mi pare che il modo in cui viene affrontata la questione sia inadeguato. Difatti, si entra nel merito della dichiarazione che, per la sua genericità, non implica alcun atto politico, né alcuna conseguenza normativa, e quindi nessun effetto concreto. Dovrebbe essere a tutti chiaro che si tratta solo di un atto simbolico, e pertanto da spendere nel campo degli equilibri parlamentari e partitici.

Analogamente, seguendo stamane la rassegna stampa su Radio 3, non riesco a capire la logica con cui la stampa affronta la questione. In pratica, i giornalisti tentano di capire quali siano le conseguenze della dichiarazione. Il punto essenziale mi pare piuttosto il motivo per cui Tremonti ha fatto questa dichiarazione. Senza affrontare questo aspetto, non si potrà neanche prevederne gli sviluppi, giacchè gli interlocutori di Tremonti colgono quell’aspetto simbolico, e rispetto ad esso si posizioneranno.

La dichiarazione sul posto fisso ha a mio parere il significato simbolico di smarcamento dal signor B. e quindi è come se Tremonti si ponesse all’interno del PDL come un’alternativa all’attuale leader, similmente direi a quanto avvenuto con Fini alcune settimane fa, seppure con modalità del tutto differenti. Tant’è, che il signor B., proprio per neutralizzare questo smarcamento, si è affrettato a condividere questa dichiarazione, così generica da non generare in sé effetti pratici, in tal modo depotenziando la presa di distanza di Tremonti. E’ anche ovvio che questa necessità di inseguire Tremonti, abbia irritato il signor B., che potrebbe licenziare il ministro, ma ciò acuirebbe, da una parte i malumori nel PDL, dall’altra, visti i rapporti strettissimi che intercorrono tra Tremonti e la Lega, igli stessi rapporti tra PDL e Lega all’interno della maggioranza.

Se quindi sommassimo assieme gli atti politici di Fini, di Tremonti e quello eventuale di Gianni Letta, avremmo un bel po’ di agitazione all’interno del PDL, una condizione propizia, anche se tutt’altro che scontata, per un ridimensionamento del signor B. Siamo finalmente alla svolta che tanti di noi attendono impazientemente da troppo tempo? Vedremo, ma segnali univoci di un’accelerazione si avvertono chiaramente.

lunedì 19 ottobre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 11

Vorrei oggi tornare sull’episodio del servizio andato in onda su Canale 5 sul giudice Mesiano. Si tratta di un episodio di una gravità estrema, in quanto porta alle estreme conseguenze una tendenza che si era vista già in episodi precedenti.

In sostanza, Tv e giornali che fanno riferimento al signor B., non provano neanche a simulare un uso apertamente di parte della loro potenza mediatica al solo fine di difendere il loro padrone. Ricordo che mesi fa Feltri veniva spostato da un quotidiano all’altro dello stesso gruppo, e, caso strano, solo pochi giorni dopo il suo insediamento, Feltri lanciava una campagna di stampa contro Boffo, direttore del quotidiano della CEI “L’Avvenire”, reo di aver criticato ciò che qualsiasi persona di buon senso avrebbe criticato nel comportamento del signor B. Alcuni mesi prima, a Mediaset, era stato fatto fuori Mentana, reo di manifestare una sia pur timida autonomia dal suo padrone. Evidentemente, il signor B., malgrado le sue solite e pietose smentite, ha scientificamente organizzato una offensiva mediatica in grande stile secondo logiche di strategia bellica, con le persone schierate ai posti giusti. Un’ulteriore puntata di questa vicenda è costituita dal vergognoso servizio giornalistico sul sabato di un privato cittadino. Come mai tra tutti i privati cittadini proprio quella specifica persona è stata oggetto di questo servizio? Semplicemente perché egli è il giudice che ha pronunciato la sentenza che ha dato torto al signor B. Ci troviamo quindi nella situazione, di per sé già odiosa, abnorme ed eticamente inaccettabile di quest’uso dei propri mezzi per vendicarsi di presunti torti subiti, con un aggravante non di poc conto: che questo signore che si vendica è il Presidente del Consiglio: questo è ovviamente troppo, e constatare che non c’è nessuna reazione nel paese, non almeno a un livello adeguato alla dimensione del fatto, significa che la democrazia è già stata superata, se non sul piano formale, sicuramente nella testa delle persone.

Se quindi questo è possibile, è così impertinente chiedersi se la parola d’ordine della “libertà di stampa” sia quella più appropriata alla situazione data, e se invece non si debbano introdurre dei correttivi che impediscano quest’uso apertamente di parte della stampa, nascondendosi maldestramente dietro il cosiddetto diritto di cronaca, che mi pare un problema ben più scottante. A margine, rimango eserefatto a vedere come ci siano dei giornalisti che hanno perso ogni minima traccia di dignità personale, vendendosi completamente, fino al midollo al loro padrone.

venerdì 16 ottobre 2009

IL CONTRATTO DEI METALMECCANICI

Ieri è avvenuto un episodio molto grave nel nostro paese, anche se ogni giorno ci riserva le proprie croci, direbbe un cattolico. Eppure, finora non ne ho trovato traccia nei blogs che frequento. Si tratta della firma da parte di CISL e UIL del contratto dei metalmeccanici con la FINMECCANICA. L’episodio risulta particolarmente grave, aldilà del merito specifico del contenuto dell’accordo, per il fatto che queste due organizzazioni sindacali hanno deciso di siglare l’intesa senza coinvolgere minimamente la FIOM, il sindacato di settore della CGIL. Uno potrebbe anche pensare che non sia poi così grave l’esclusione di un’organizzazione sindacale. Se poi però magari sapesse che CISL e UIL assieme rappresentano a malapena un terzo di tutti i lavoratori, contro la FIOM che da sola ne rappresenta il 60%, allora credo che qualche perplessità dovrebbe sorgere nella mente di tutti. Insomma, questi si arrogano il diritto, senza che ne abbiano veste alcuna, di decidere per la totalità dei lavoratori, rappresentandone invece una frazione nettamente minoritaria.

Non solo, non è stata prevista alcun meccanismo di verifica del consenso dei lavoratori beneficiari del contratto: nessun referendum, tutta roba superata, basta che Bonanni e Angeletti (della serie: attenti a quei due) siano d’accordo, che i lavoratori si adattino senza stare a rompere le scatole. Evidentemente, nella testa dei vari Sacconi, dirigenti UIL e CISL, ed anche Confindustria, il consenso è condizione necessaria, anzi l’unica condizione necessaria, per dare il potere assoluto al signor B., per gli altri il consenso è una cosa superata: ragazzino, lasciami lavorare che ci penso io a te.

Credo che ormai questi due presunti sindacalisti abbiano finito di gettare la maschera. Già avevano partecipato a una cena riservata invitati del signor B., ed hanno negato anche l’evidenza più lampante, in pieno stile del giorno: negare, sempre negare, anche l’evidenza, come si consiglia di fare a chi tradisce il partner, tanto un minimo dubbio così resta, mentre confessare non da’ nessuna chance. Adesso, vogliono sostituirsi ai lavoratori nel siglare il contratto, e disprezzano strumenti di verifica di base. Come insomma se un gruppo minoritario di condomini decidesse di farsi rappresentare da un avvocato, e questi pretendesse di decidere per tutti quanti i condomini, anche quelli che manco sanno chi egli sia.

Devo nel contempo dichiarare il mio errore quando evidentemente sopravvalutai l’incontro che la Marcegaglia ebbe con Epifani alcune settimane fa: lo sviluppo delle cose mostra che tutta questa volontà di riavvicinare la CGIL da parte degli industriali non c’è, o forse non siamo ancora alla puntta decisiva: vedremo. Per il momento, ricordiamoci di questi due: Angeletti e Bonanni, gli affossatori finali del sindacalismo italiano.

giovedì 15 ottobre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 10

Riprendo oggi a postare dopo una mia assenza per motivi di lavoro, e tra l’altro altri impegni mi aspettano che mi distrarranno dal mio e dai vostri blogs: me ne scuso sin d’ora.

Questo post lo voglio dedicare alle recenti vicissitudini subite dal DDL comunemente noto come “sull’omofobia”.

Vorrei innanzitutto sgombrare il campo da una confusione che vedo sparsa a piene mani in giro, a partire dall’UDC e dai suoi parlamentari. Essi affermano che il suddetto DDL violerebbe i principi costituzionali, rendendo più grave un reato subito da un soggetto a causa della sua omosessualità. Essi dicono che così un eterosessuale viene meno tutelato da un omosessuale. Ebbene, questo è palesemente falso. Che io sappia, la legge dice che l’aggravante lì prevista riguarda la motivazione basata su questioni di preferenze sessuali. Dovrebbe quindi essere chiaro a tutti che se alcuni omosessuali picchiassero un eterosessuale per motivo delle sue preferenze sessuali, la legge si applica egualmente. Naturalmente, mi rendo conto che questo caso è più teorico che reale, ma la costituzionalità si applica proprio sugli aspetti formali. Se dunque dei due casi possibili, solo uno viene fuori come un problema dalla cronaca di tutti i giorni, vorrà dire soltanto che questo è il problema da risolvere, e che è giusto risolverlo con un provvedimento legislativo che non ne limita l’uso al caso di attualità, ma affronta ogni possibile casistica, anche ove questa risultasse del tutto rara o assente.

Ciò chiarito e tolte di mezzo delle motivazioni assolutamente insensate, rimane il fatto che la chiesa riesce più che a influenzare, addirittura a determinare l’esito parlamentare di provvedimenti di legge aldilà di ogni ragionamento minimamente logico. Come può avvenire tutto ciò? Avviene perché i cattolici, proprio da quando non hanno più un partito di riferimento, si sentono più vincolati ai dettami della loro fede, che a un criterio di giudizio realmente individuale, e non sentono alcun vincolo di appartenenza partitica. Ora, è certo vero che il mandato parlamentare è individuale, anche se ciò risulta del tutto contraddittorio con il sistema elettorale vigente. Mi chiedo tuttavia se un parlamentare, quando riscontrasse una continua e perdurante differenza di opinione col proprio gruppo parlamentare, in base a quale criterio decida di continuare a farne parte. La verità è che, dietro un principio certo sacro come il preservare lo spazio di scelta personale, si nasconde una verità ben più prosaica: la doppia militanza insomma. Qui la coscienza individuale c’entra ben poco. Stiamo parlando di vere e proprie imboscate parlamentari organizzate per tempo e con la massima cura, che richiedono un livello anche organizzativo dei parlamentari cattolici. E’ un film visto già infinite volte: lì dove ci sono aspetti di interesse della chiesa cattolica, sia dal punto di vista dei principi che di crudi interessi economici, ci sono personaggi che tirano le fila e danno istruzioni dettagliate e perentoria da seguire a questi parlamentari che sbandierano come libertà di coscienza la loro pedissequa sottomissione a un’autorità che non dovrebbe essere politica.

In particolare, ho visto come il caso della Binetti abbia richiamato molte attenzioni dei vari blogs. E’ bello certo dire che nel PD è bene che ognuno segua la sua coscienza, ma qui, come dicevo, si tratta di ben altro: questa è una quinta colonna inseritasi come un tumore nel corpo di quel partito che, da parte sua, sembra incapace di innestare un vero dibattito al proprio interno perché, con tutta evidenza, sarebbe superfluo. Ciò che infatti conta sono i rapporti di forza sanciti a priori. Così, la Binetti ed altri parlamentari vengono accreditati di un tot di azioni, gli ex-DS di un latro tot, a sua volta suddiviso in certe fette tra i vari dirigenti, e questo vale anche per la Margherita. In fondo, ad esempio, il ragionamento di Rutelli è in questo senso abbastanza chiaro: quante azioni mi accreditate? Se sono troppo poche, vado con Casini.

La scelta del PD è in fondo abbastanza secca: vuole azionisti cattolici che porteranno voti ma pretenderanno sempre di far valere all’interno l’autorità della chiesa, e direi perfino del Vaticano, o meglio di liberarsi di questo fardello, ormai divenuto un tumore che mette a repentaglio la stessa sua sopravvivenza? Ai posteri l’ardua sentenza…

venerdì 9 ottobre 2009

NAPOLITANO TIRATO DA TUTTE LE PARTI

Pare che sulla stampa, la figura del Presidente della Repubblica, suo malgrado, si al centro dell’attenzione. Ciò deriva, come noto, dalle gravi parole pronunciate dal signor B., a seguito della sentenza emessa dalla Consulta sul lodo Alfano, seguite da parole altrettanto gravi, pronunciate stavolta da Di Pietro. Seguono difese d’ufficio, appelli, dichiarazioni, nella maggior parte di appoggio e solidarietà a Napolitano.

In questo marasma, è difficile mantenere la bussola e il buon senso, e con questo post vorrei fornire il mio modesto contributo a chiarire gli aspetti controversi che avvolgono questa vicenda. Per questo però, mi pare sia condizione indispensabile “dirla tutta”: insomma, un appello che dice magari una cosa corretta, ma nel contempo tacendo su tutto il resto, appare in definitiva menzognero. E’ come se ad uno che mi dice che sono grasso, io rispondessi riferendo il mio peso, ma nel contempo tacendo sul fatto che sono un nano: peso magari solo sessanta chili, ma sono alto 1,30 metri! Non basta quindi affermare una cosa giusta, se si tralascia qualcosa di strettamente attinente allo stesso argomento.

Adesso, le affermazioni del premier sono di una gravità inaudita, e suonano come una chiamata di correità, anche se egli se ne esce con una motivazione singolare ed incredibile: la colpa di Napolitano sarebbe dunque quella di aver firmato la legge che egli stesso, quale capo del governo che la formulò, gli propose. Ora, è evidente che il signor B. non avrebbe gradito il rifiuto della firma e il rinvio alle Camere. Certe indiscrezioni parlano di un ministro che va al Quirinale a chiedere che il Presidente eserciti la sua influenza su giudici della Consulta, ricevendone un rifiuto. Anche questa indiscrezioni non spiegano però la reazione del signor B., né la gravissima frase che pronuncia, come di un accordo violato. D’altra parte, è vero che del signor B. nessuna persona di buon senso potrebbe minimamente fidarsi: il famoso smentitore professionista, come trovo appropriato etichettarlo. Su questo, non sapremo mai la verità.

L’attacco di Di Pietro risulta anch’esso sopra le righe. Non si capisce a chi possa giovare ingiuriare il Presidente della Repubblica, solo allo scopo di segnare il dissenso da lui: c’erano modi più adatti. Anche nel merito, mi pare che la critica sia inconsistente. La Costituzione non avrebbe potuto ragionevolmente prevedere sovrapposizioni di competenze. Se la Consulta quindi deve accertare eventuali caratteri di incostituzionalità in leggi approvate dal Parlamento, il Presidente della Repubblica è chiamato a verificare solo “manifeste” violazioni della Costituzione. Dunque, quando da opposte parti si tira in ballo Napolitano, in questo caso lo si fa impropriamente. Se ciò che afferma il signor B. appare strumentale, non si capisce nel contesto specifico quale possa essere l’interesse a tirare in ballo, ed in maniera così pesante il Presidente da parte di altri.

Detto questo, e confermato che per me il Presidente può esercitare le sue prerogative nella maniera che ritiene più adeguata, ed eventualmente nella misura più modesta possibile, non posso però tacere sul fatto che a tale atteggiamento cauto e minimale, si contrappone in altre occasioni un interventismo davvero eccessivo e difficilmente comprensibile, almeno in termini strettamente istituzionali.

Mi riferisco ad esempio all’accodarsi a tanti politici nel definire antipolitica quella praticata da Grillo: da un garante che egli dovrebbe rappresentare, ci aspetteremmo una maggiore cautela ed una maggiore autonomia di giudizio.

Un episodio grave, forse il più grave, è quello rappresentato dalla vicenda dell’inchiesta “Why not”, dove il Presidente non ha minimamente discriminato tra un sequestro di incartamenti, sicuramente lecito, anche se certamente inconsueto, da parte del Procuratore di Salerno, e da un atto davvero fuori da ogni criterio, da parte del PG che dispone il dissequestro presso la stessa Procura di Salerno degli stessi fascicoli che concernono la sua propria persona. Questa vicenda è davvero inquitante, e spero che ci saranno giornalisti e politici che vorranno ricordarla, perché non può finire così, senza chiarire il suo incredibile ed assurdo svolgimento.

L’ultimo episodio riguarda la grave dichiarazione rilasciata a Catanzaro, dove sostanzialmente il Presidente si faceva gioco dell’articolo 74 della Costituzione, affermandone la sostanziale inutilità. Strano e preoccupante che il Presidente non colga il significato e l’importanza di un rinvio alle Camere di una legge, anche se questo rinvio non annulla il procedimento, in quanto il Parlamento può riapprovare l’identico testo e questa volta il Presidente è obbligato a promulgarlo. Noi invece pensiamo che la registrazione di un dissenso motivato da parte del Presidente abbia un significato di enormi proporzioni, sanzionando un dissidio tra due organi dello Stato, e quindi classificando il provvedimento coinvolto come una legge zoppa, seppure perfettamente vigente.

Nel frattempo, dicevo, Napolitano è intervenuto pesantemente, e, ultimamente, due volte in modo chiaramente favorevole al signor B. La prima, in primavera, quando ha invitato ad abbassare i toni quando infuriava la polemica sui rapporti con Noemi Letizia.

La seconda volta quando ha invitato a lasciare fuori il Parlamento Europeo dalle polemiche di casa nostra.

Ora, Presidente, ora, suoi indomiti sostenitori, cosa è più grave secondo voi, tra il fare finta di niente, ed accettare in silenzio tutti gli atti, anche quelli più contestabili, del Presidente, oppure, senza certo mancare di rispetto alla figura istituzionale che egli rappresenta, esporre con la dovuta chiarezza ed in maniera esplicita e circostanziata, le cose che disturbano, che non si capiscono, o che turbano addirittura un osservatore imparziale?

E’ una questione della massima delicatezza, che non va sottovalutata.

Vorrei farvi riflettere come il PD abbracci l’atteggiamento di silenzio: difendiamo in tutti i casi Napolitano. Questo è il tipico comportamento da mafiosetti dei dirigenti PD: in pubblico, appariamo come concordi e compatti, e nell’ombra ci pugnaliamo. Perché, le questioni reali non possono essere ignorate: se non affrontate esplicitamente, riappariranno in ambiti riservati e saranno risolte nella maniera peggiore attraverso meccanismi opachi e quindi secondo metodi sostanzialmente mafiosi. A me preoccupa questa corsa nel mondo del blog a compattarsi, con l’effetto unico di zittire tutti: i conti poi li facciamo in famiglia.

Infine, preoccupa anche la sostanziale delega da parte di Napolitano a Mancino, che rappresenta il suo vice, delle funzioni di indirizzo del CSM. Nella fase che si apre tempestosa, e proprio riguardo al settore giudiziario, una sua presenza critica e più in prima persona a riguardo, sembrerebbe opportuna, direi indispensabile, per tentare di parare le presumibili bombe lanciate dall’esecutivo contro i magistrati.

mercoledì 7 ottobre 2009

LODO E GOLPISMO

Posto anch’io, buon ultimo sulla sentenza della Consulta che boccia il lodo Alfano, per manifestare la mia soddisfazione: davvero un’ottima notizia, che indica la resistenza di pezzi delle istituzioni al clima di illegalità a cui la classe politica, e in particolare la corte del signor B. tentano di trascinare questo paese.

Permettetemi però di soffermarmi sulla preoccupanti dichiarazioni degli sconfitti, che ormai non mascherano neanche la loro natura sostanzialmente golpista. In prima fila, stanno Bossi e i leghisti, che ormai non si ritraggono dal dire che il consenso elettorale prevale certo sulle sentenze dei vari organi istituzionali. Segue un gran parte del PDL, con lo stesso signor B. in testa. Egli ha affermato che la Consulta "non è un organo di garanzia, ma un organo politico". Però, la cosa più grave riguarda le affermazioni rilasciate a proposito del Quirinale, che apre scenari inquietanti. Ha prima detto "Napolitano? Il capo dello Stato sapete voi da che parte sta...". Alla replica del Quirinale, il signor B. ha insistito dicendo: “Non mi interessa quello che ha detto il capo dello Stato. Mi sento preso in giro e non mi interessa...".

Perché dunque il signor B. si sente preso in giro da parte di Napolitano? L’interpretazione che appare più ovvia è che tra loro ci fosse un patto, che il signor B. avverte come se l’altro contraente l’avesse violato. E visto che questa dichiarazione viene a ridosso della sentenza, sembrerebbe logico che l’esito della sentenza fosse parte di questo ipotetico accordo. Mi fermo qui, ma gli scenari che si aprono sono da brivido…

Commento che questi atteggiamenti e queste dichiarazioni da parte della maggioranza in odore ormai scopertamente golpista non vadano sottovalutate: occorre vigilanza.

martedì 6 ottobre 2009

SULL'INFORMAZIONE: SECONDA PARTE

Il concetto che tentavo di esprimere in chiusura del precedente post era che, paradossalmente, la disponibilità per un’ampia fascia della popolazione di mezzi tecnologici ne determina l’inefficacia: sia chiaro, non è che io sia favorevole a una qualche forma di discriminazione, almeno non finchè non si trovi un criterio sufficientemente oggettivo: registro soltanto questo fatto. Da qualche parte, ho scritto che, quando ero giovane, un semplice ciclostilato veniva letto da tutte le persone raggiungibili, perché quel foglio finiva in mani non abituate ai martellamenti dei mille depliant pubblicitari che si distribuiscono giornalmente nelle nostre città. L’uomo è un animale adattabile e, in presenza di un martellamento mediatico, trova come difesa l’ergere filtri sempre più severi ai messaggi che gli pervengono: in questi stessi filtri andiamo inevitabilmente ad inciampare noi bloggers, nel tentativo di farci leggere. Il risultato è che i mezzi passivi, quali quelli che passano per la TV, data la più facile accessibilità, superano agevolmente questi filtri, e quindi hanno una visibilità incommensurabilmente maggiore di quello che può avere un blog.

A parte la natura del mezzo di informazione, conta anche il modo in cui un’informazione viene fornita. Il messaggio deve risultare elementare, seguendo le tecniche pubblicitarie. TV e grandi giornali hanno appreso bene la lezione: quando un quotidiano che va in tutte le edicole d’Italia spara un titolone contro qualcuno in prima pagina, non importa più che si tratti di bugia o verità, quella persona ne sarà comunque danneggiata irreparabilmente. Ricordo ad esempio non so che sciocchezza detta da “Il Giornale” su Gad Lerner nella scorsa settimana: una sciocchezza, ma detta con la dovuta violenza. E’come per le polveri sottili, quelle naturali vengono agevolmente filtrate via nella respirazione nasale, perché siamo adattati ad esse, quelle artificiali, che riescono a raggiungere dimensioni particolarmente minuscole, passano attraverso i filtri nasali e penetrano fino agli alveoli polmonari. Così, l’abilità nel mondo della comunicazione sta nel confezionare messaggi sempre più efficaci, a cui non abbiamo ancora predisposto filtri adeguati, in modo che essi possano penetrare profondamente nel nostro essere, condizionandone perfino la stessa capacità di organizzare la realtà della nostra mente.

Messa così, si capisce che tutto ciò che riceviamo è informazione, anche quando il conduttore di turno parla delle cose apparentemente più neutrali, come lo è l’abbigliamento degli ospiti, il loro atteggiamento, e così via dicendo. Se guardiamo adesso al modo di dare informazione, possiamo concludere che oggi opera una selezione al contrario: bisogna rendere i messaggi i più elementari possibili per potere avere facile accesso al maggior numero possibile di soggetti, e a questo sembra inevitabile sacrificare l’approfondimento, la considerazione di tutta la complessità della realtà in cui siamo inseriti.

La selezione certamente maggiore è invece costituita indubbiamente dal mezzo: se riesci a diventare conduttore di qualche programma su un canale TV nazionale, qualsiasi tua parola, ma anche qualsiasi tuo battito di palpebre influenzerà il vasto pubblico a cui la tua immagine è proposta. La cosa si presenta in maniera significativamente differente nel caso della carta stampata. Anche qui, bisogna considerare che si stampa di tutto, e che in termini di copie vendute e lette, giornali scandalistici hanno tirature ben più alte di periodici culturali. Limitandoci ai quotidiani, è proprio qui che si estrinseca pienamente il ruolo del giornalista, inteso come colui che scrive articoli. Qui, si potrebbe pensare che le novità rispetto ad alcuni decenni fa siano minori che nel campo televisivo. Io non ne sono convinto, perché penso che sia profondamente cambiato il rapporto tra giornale e giornalista. Una volta, esistevano i giornalisti, intesi come persone portatrici di una propria visione della vita, e i giornali li chiamavano in funzione di quanto quel giornalista specificamente qualificato fosse in sintonia col modo in cui il giornale voleva caratterizzarsi. A me pare invece che oggi non esistano più i giornalisti, intesi come individui con una propria caratterizzazione culturale, ma piuttosto esistano dei mestieranti che assumono le opinioni e le finalità di chi li ha assunti. Esagero: fortunatamente, qualche giornalista esiste ancora, ma la vasta maggioranza di loro ha assunto la seconda tipologia che ho descritto: una persona che mette la propria più o meno grande capacità di esprimersi per iscritto a disposizione del maggiore offerente. E’ evidente che in tal modo se ne andata a pallino ogni possibile autonomia del giornalista. Del resto, come si potrebbe sennò spiegare la loro mobilità, ad esempio dei vari Direttori che cambiano editore con la massima facilità, come il cambiare abbigliamento da un giorno all’altro?

Anche sugli editori, ci sarebbe da dire, ma possiamo credo facilmente convenire che essi rappresentano interessi economici ben precisi, e che sarebbe vano aspettare che siano loro a potere garantire una stampa davvero indipendente: credo che non ci sia bisogna di argomentarci su per convenirne pacificamente tutti quanti. Si impone una terza puntata, me ne scuso, ma non programmo prima i miei post (non ne avrei neanche il tempo).

domenica 4 ottobre 2009

SULL'INFORMAZIONE: PRIMA PARTE

L’ormai famosa manifestazione in favore della libertà di stampa si è orami tenuta, è alle nostre spalle. A questo tema, dedicai un post, deliberatamente con un certo anticipo rispetto alla data prevista per la manifestazione, poi slittata di due settimane a causa della morte di nostri militari in Afghanistan. Ad ogni modo, l’esternazione di miei rilievi critici rispetto alla manifestazione infuocò il clima sul mio blog. Ho deciso così di astenermi dal ritornare su questo argomento, caso mai non ci fosse chi mi accusasse di essere io il responsabile dell’eventuale fallimento. Non scherzo: su un blog è addirittura apparso un post che faceva un ardito parallelo tra l’atteggiamento verso questa manifestazione, e l’atteggiamento dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1939 da parte dei nazisti, a ridosso dell’invasione, concordata con l’Unione Sovietica della Polonia. Se non si tratta di ironia, davvero c’è da preoccuparsi dell’incapacità di dare alle cose la loro giusta dimensione: come se confrontassi il massiccio del Monte Bianco con la torre Eiffel, tanto per fare un esempio, che dovrebbe risultare chiaro.

Vabbè, è stato detto che qui in Italia la libertà di stampa è in pericolo, che era urgente replicare a una questione così determinante, poi però hanno rinviato il tutto per motivi apparentemente incomprensibili: alla fine, la manifestazione si è poi tenuta ed ha avuto successo.

Ora, non pensate che sia il caso di dedicare a queste questioni una riflessione più ponderata? Dico subito quali mi sembrano dovrebbero essere le linee portanti di queste riflessioni. C’era uno scopo nella manifestazione? Questo scopo è stato raggiunto, o comunque c’è una ragionevole speranza che sia raggiunto?

Vorrei qui riferirmi a un articolo che Antonio Polito vi ha dedicato su “Il Riformista”, quotidiano (qui) che egli dirige, e che mi pare colga alcuni aspetti importanti della faccenda. In sostanza egli dice che il vero periodo in cui la libertà di informazione era davvero messa in serio pericolo fu in tutta la gestione di Barnabei della TV, che censurava pesantemente ciò che doveva passare nei notiziari. Anche sulla carta stampata, egli ricorda che ancora alle soglie degli anni settanta, i soli quotidiani di opposizione erano costituiti da “L’Unità”, “Paese sera” e pochi altri quotidiani locali dell’area di destra. Se dovessimo quindi fare un confronto puramente numerico tra quei tempi e l’attualità, non ci sarebbe storia: adesso stiamo molto meglio. Eppure, questo criterio numerico non può soddisfarci. Io, e quelli che per motivi anagrafici hanno vissuto entrambi quei periodi, possono percepire un senso di oppressione che allora non c’era. Vorrei qui tentare di analizzare questi aspetti. Prima, vorrei richiamare un post su un altro blog (qui), in cui si parla di “Tribuna politica”, unica trasmissione che affrontasse in modo esplicito le tematiche politiche. Nel post e nei commenti che ne sono seguiti, si sottolineava, tra le altre cose, che la politica costituiva una percentuale molto limitata di tutto il tempo di trasmissione della TV. Se consideriamo poi che allora le trasmissioni erano limitate a una fascia pomeridiano-serale, e che per un periodo abbastanza lungo i canali disponibili sono stati solo due, si capisce che il tempo assoluto delle trasmissioni politiche erano incommensurabilmente più ridotte di oggi. Anche la cosiddetta stampa di opinione era inevitabilmente schierata col partito di maggioranza, come certo la TV, e non ne faceva mistero. Era certamente una informazione di regime, ma la differenza rispetto ad oggi è che nessun giornalista RAI tentava di nasconderlo, e questo ovvio schierarsi rendeva in qualche modo quella stessa censura sistematica in definitiva abbastanza inoffensiva. Insomma, nessun elettore del PCI si sarebbe sognato di prendere per buone le parole dei notiziari RAI, la partigianeria era scontata, una parte delle regole del gioco.

Eppoi, c’erano i grandi giornalisti, quelle firme che facevano della propria autonomia di giudizio il loro patrimonio. Non che fossero degli eroi, era la stessa società che li voleva così,e quindi se si fossero venduti, invece di guadagnarsi, ci avrebbero perso.

Consideriamo ancora che almeno per tutti gli anni sessanta si tenevano moltissimi comizi, nei piccoli centri come in quelli grandi: il rapporto politico era ancora legato al territorio, i candidati dovevano metterci anche la faccia in politica.

Cosa quindi è cambiato in questi decenni? E’ cambiata enormemente la capacità mediatica globale. Ciò significa che valutare l’occupazione percentuale di TV ed altro solo come percentuale del totale, appare inadeguato. E’ un discorso che si può estendere alla rete, la risposta democratica nel settore dell’informazione per tanti. La verità è che la disponibilità sempre più diffusa di mezzi tecnologici ne pregiudica inevitabilmente l’efficacia. Da quando, ad esempio, dalla fine degli anni cinquanta l’automobile comincia ad essere un bene posseduto da percentuali crescenti di popolazione, questo stesso mezzo sembra sempre più inadeguato a svolgere efficacemente il ruolo di spostamento agevole individuale. Ricordo che il mio professore mi raccontava come egli, uno dei pochi privilegiati a possedere un’automobile, trovasse le strade extra-urbane come un territorio a suo esclusivo uso, incontrando molto raramente altri veicoli.

Allo stesso modo, aprendo un blog, io mi aggiungo a chissà quante decine di milioni di altri blog in tutto il mondo, e ad altri milioni di altri siti. Chi vuole informarsi in rete, che probabilità ha di incontrarsi col mio blog? Il segnale, che sarebbe costituito dal mio blog, risulta abbondantemente coperto dal rumore di fondo della rete. Se voglio farmi leggere, devo emergere dal rumore di fondo, e questo significa avere un numero di accessi abbastanza elevato, cosa eviedentmente niente affatto agevole. Il discorso si fa lungo, continuerò in un secondo post.

sabato 3 ottobre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA N. 9

Questa settimana, tralasciando il settore informazione, su cui, dopo tutto ciò che ne è stato scritto e detto, non ne posso più, e forse anche qualcuno di voi con me, parlerò del cosiddetto scudo fiscale.

Dello scudo fiscale non si può fare a meno di parlare per la sua straordinaria gravità, soprattutto nella sua versione definitiva, come si è venuta a configurare dopo le ultime aggiunte alla stesura iniziale. Prima che un parlamento che sia degno di questo nome abroghi tale mostro giuridico, il provvedimento avrà purtroppo tutto il tempo di dispiegare i suoi effetti.

La situazione della criminalità organizzata in Italia ha raggiunto livelli di enorme gravità, con tre differenti organizzazioni che non solo riescono ad operare con efficacia in Italia e all’estero, ma che apparentemente sono riuscite a spartirsi le rispettive sfere d’influenza, e così si presentano come oggettivamente alleate. L’esperienza di Falcone e Borsellino prima che fossero uccisi, mostra che l’aspetto economico è determinante per tali associazioni criminali, in quanto, del tutto superate certe connotazioni più tradizionali della mafia siciliana, esse hanno appunto il fine economico come loro scopo sociale, similmente da questo versante a ogni altra azienda. Se le cose stanno così, e la cronaca recente sembra pienamente confermarlo, la possibilità dello stato di intervenire proprio su questo versante diventa con tutta evidenza determinante. A sua volta, ciò implica il possesso di elementi di informazione dettagliata su tutti gli spostamenti finanziari, intervenendo eventualmente su eventuali reati di natura finanziaria e fiscale, dove non fosse possibile accertare le attività criminali vere e proprie, come fatto negli anni trenta a carico di Al Capone negli USA. Soprattutto, la possibilità di tracciare i movimenti di capitale permette di individuare forme di collusione da parte di soggetti che magari non esercitano in prima persona attività criminali, e la cui complicità sta proprio in funzioni gregarie ma non meno essenziali, come appunto il riciclaggio di denaro sporco ed altri reati, appunto di natura finanziaria.

Lo scudo fiscale non è pertanto soltanto un provvedimento che, come ogni condono, tende a punire i comportamenti legali, premiando invece quelli illegali, è soprattutto l’atto attraverso cui lo stato viene consegnato da coloro che dovrebbero rappresentarlo e che ne dovrebbero salvaguardare la sovranità alla criminalità organizzata in senso lato: a tutto quello stato parallelo che ha condizionato da sempre l’operare degli organi istituzionali dello stato. Del resto, il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche va nello stesso verso: ostacolare l’operato della magistratura, favorendo palesemente nella lotta eterna per l’affermazione dell’autorità statale altri poteri.

Un po’ tutto l’operato di questo governo si configura in senso politico come l’attacco alla legalità, compiuto paradossalmente mediante provvedimenti legislativi, ma anche attraverso un comportamento mirato governativo nel dare attuazione alle stesse leggi. Forse molti, e potrei includere me stesso, non abbiamo a suo tempo colto in pieno la pericolosità della legge elettorale che demandava ai vertici dei partiti la scelta dei parlamentari tramite la definizione da parte loro della lista di priorità. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è appunto quella di un Parlamento che praticamente non esiste più, è solo il simulacro di sé stesso, senza alcuna capacità di esercitare il suo ruolo essenziale che i padri fondatori dei sistemi di democrazia parlamentare volevano fosse di riequilibrio rispetto alle prerogative del potere esecutivo: a colpi di voti di fiducia, ciò che viene giù, che si disgrega, è la stessa funzione e lo stesso potere del Parlamento.

Questa classe politica ormai non teme di mostrare la propria faccia, manifesta senza nasconderlo le sue caratteristiche apertamente criminali, consegnando lo stato e tutti noi nelle mani dei poteri più criminali, senza che ci sia qualcuno che si opponga: le assenze al momento della votazione sui requisiti di costituzionalità del provvedimento gettano una pesante ombra sull’ipotesi di una collusione di parlamentari dell’opposizione nell’approvazione dello scudo fiscale.

Credo che dovremmo tutti ammettere che viviamo ormai in un regime post-democratico, e che non ci resta che iniziare una fase di resistenza: resistenza delle nostre menti innanzitutto rispetto all’ideologia dominante, e resistenza attiva quando riusciremo a costruire una struttura organizzativa adeguata alla dimensione della sfida a cui siamo chiamati.

giovedì 1 ottobre 2009

COME SUPERARE IL CAPITALISMO

Con questo post, torno ai temi più generali. Lo faccio anche in risposta a sollecitazioni da parte di chi ha letto il mio libro, e anche a interrogativi venuti fuori su dibattiti su altri blogs.

Come sapete, io credo che il mercato capitalistico sia incompatibile con la semplice possibilità di sopravvivenza, in un futuro non lontano, dell’umanità. Com’è noto, il marxismo, che rappresenta l’unica alternativa realmente praticata al capitalismo, muoveva da ben altre motivazioni. In sostanza Marx supponeva che lo sviluppo capitalistico avrebbe portato a una progressiva miseria dei proletari, in quanto la concorrenza avrebbe imposto ai capitalisti di pagare il lavoro solo lo stretto necessario a permetterne la sopravvivenza, includendo in ciò la possibilità di una certa riproduzione: è ciò che viene definita la teoria del progressivo impoverimento, visto da Marx come il vero motore dell’insurrezione popolare per un nuovo tipo di governo delle nazioni.

Sappiamo tutti che questa teoria si è rivelata del tutto errata, in quanto Marx apparentemente sottovalutava la funzione della domanda in un’economia di mercato. Egli era ossessionato dal momento della produzione, senza percepire che nel capitalismo in realtà lo scopo dell’economia è costituita soltanto dal momento dello scambio: è inutile che io produca una merce se non ho a chi venderla. Keynes capì invece che solo una certa ridistribuzione del reddito verso le classi più povere poteva garantire una crescita duratura dell’economia, in quanto questo reddito così distribuito avrebbe indotto una maggiore domanda, e da qui maggiori scambi. Naturalmente, il discorso è lungo e complesso, e qui ne ho fatto solo una sintesi estrema.

Queste considerazioni servono appunto a chiarire come i marxisti vedano il fatto stesso che la produzione sia affidata a privati come fonte di ogni tipo di problemi. Essi infatti argomentano tutto a partire dalla teoria del plusvalore: se io operaio col mio salario di X lire produco un oggetto che il mio padrone vende a Y lire, la differenza Y –X, chiamata appunto plusvalore, rappresenta una rapina da parte del padrone del lavoro del suo dipendente. Io non starò quia smentire questa teoria, che comunque è evidentemente semplicistica perché staticizza il concetto di valore, come se esistesse una grandezza di questo tipo quantificabile una volta per tutte: il valore di una determinata merce semplicemente non esiste, è un concetto del tutto astratto, essendo funzione di troppe variabili: infine, in questo consiste una parte del rischio d’impresa!

Una visone come la mia, che parte da una differente ideologia, quella che ho chiamato “ideologia verde”, pone invece al centro del problema lo stesso processo di sfruttamento delle risorse naturali, piuttosto che il problema della distribuzione della ricchezza.

Vista quindi da questo punto di vista, chi sia il soggetto che produce non ha in fondo alcuna importanza: sia nel caso di produzione da parte di un’azienda statale, che da parte di un’azienda privata: se questo porta alla diffusione nell’ambiente di prodotti tossici, se questo porta a un esaurimento di una determinata risorsa naturale, il problema rimane uguale. Insomma, all’interno di un’ideologia verde, che privati possano possedere mezzi di produzione non pare costituire una condizione da proibire. Il punto quindi di discrimine tra capitalismo e socialismo marxista non mi sembra quindi necessario riproporlo in un sistema basato su un’ideologia verde.

Vediamo allora quali sono invece gli aspetti normativi che dovrebbero differenziare questo nuovo sistema politico-economico dal capitalismo. Il punto fondamentale è che si deve cessare dal considerare il mercato come automatico regolatore ed ottimizzatore degli eventi economici (e non solo, in verità). Ciò di cui invece abbiamo bisogno è di un sistema a pianificazione, possibilmente anche ad un livello mondiale.

Avrei potuto scrivere “programmazione”, ma invece voglio proprio usare un termine che so non gode di una buona fama. E’ quello che c’hanno fatto credere i fautori del mercato: i fautori della pianificazione non tengono conto della realtà, si immagino un certo mondo, e costringono il mondo reale ad adattarsi a questo loro modello teorico.

In realtà, della pianificazione non si può fare a meno, se si pensa a un mondo centrato sull’uomo e sulla pluralità degli esseri viventi. Se noi immaginiamo un mondo in cui ci sia piena occupazione, e in cui l’attività economica non deve correre tanto da consumare e distruggere in breve tempo qualsiasi tipo di risorsa naturale, ogni attività economica, anche proposta da soggetti privati, deve essere sottoposta a un controllo di organi tecnici che ne garantiscano la congruità con la pianificazione fatta. Che poi i piani vadano fatti secondo criteri corretti, tenendo conto di tutte le variabili possibili, e che possano essere sottoposti a revisioni frequenti eseguite in tempi brevi, tuto questo va da sé: l’esperienza storica di pianificazioni fallimentari non implica una connotazione negativa dello stesso termine!

La seconda condizione che dovrebbe differenziare un tale nuovo tipo di sistema istituzionale consisterebbe nell’abolizione della successione: non sarebbe quindi possibile prevedere che alcuni possano ereditare beni da genitori o da altri soggetti. Questa condizione in verità dovrebbe trovare spazio nello stesso capitalismo, che prevede appunto la regola della pari opportunità. Tale regola non ha mai trovato applicazione alcuna, e quindi i capitalisti stessi violano quella regola che avevano messo a fondamento del superamento dei sistemi feudali.

Mi fermo per il momento qui, scusandomi per la schematizzazione estrem impostami dal mezzo utilizzato.