lunedì 31 agosto 2009

CONCLUSIONI SULLA LAICITA'

Avevo qualche post fa lasciato in sospeso il discorso sulla laicità. Chi mi ha letto, avrà visto come al discorso di carattere generale fatto nel primo post, sia seguito un esempio tratto dalla cronaca che sembrava in qualche modo contraddire quelle che volevano essere le mie conclusioni precedenti.

Il discorso che io intendo fare è in realtà più complesso come risulterà da questa ulteriore e spero ultima puntata dedicata a questo specifico argomento.

Riprenderò quindi un esempio ancora una volta tratto dalla religione musulmana, e che stavolta riguarderà l’uso del chador nelle scuole da parte di studentesse di quella fede.

E’ una questione che ha avuto una rilevanza ben maggiore rispetto al burkini, passata come una meteora nei dibattiti estivi, e che si è invece posta in maniera lacerante in società all’avanguardia del laicismo come quella inglese e francese.

La questione è la stessa che ci siamo posti nelle precedenti puntate. Può un atteggiamento laico, allo scopo di difendere il proprio principio fondante di individuare uno spazio individuale di decisione, contraddirsi consentendo l’esternazione di una scelta confessionale? Già a proposito del burkini, esprimevo l’opinione che certe scelte individuali, quali quelle riguardanti l’abbigliamento, non potessero trovare una limitazione sensata, se non nel violare un sentire comune, come è per esempio per la proibizione della nudità salvo per luoghi a ciò specificamente destinati.

Perché risollevare allora la questione a proposito del chador, c’è insomma qualcosa di differente che giustificherebbe una risposta differente? Ciò che ha caratterizzato di fatto specificamente il caso del chador era connesso all’uso all’interno delle istituzioni scolastiche. Attraverso quindi l’uso del chador, una parte della popolazione scolastica tendeva a distinguersi, e così ad individuarsi come parte separata di una collettività che sembra invece richiedere come ingrediente essenziale per il suo stesso funzionamento il restare come corpo studentesco unito, aldilà, non soltanto delle proprie credenze, ma anche della posizione sociale, della capacità di spesa, oltre, ovviamente, che del colore della pelle, e così via dicendo. Qui, insomma, la regola d’oro della laicità che abbiamo già enunciato, preservazione il più possibile di spazi individuali, sembra scontrarsi con la possibilità stessa di governare un insieme d’individui, a causa di una dichiarazione esplicita di separatezza, di volersi considerare fuori dalla comunità nel suo complesso, in questo caso, come musulmano.

Quando qualche anno fa questa questione venne fuori e la posi alla mia attenzione, improvvisamente mi venne da chiedermi se questa questione del chador fosse davvero unica, se nella scuola non si potessero e nei fatti non si producessero situazioni analoghe. Ebbene sì, ogni giorno sicuramente esisteranno studenti che tenderanno col loro abbigliamento ad etichettarsi, a definirsi in opposizione ad altri. Nella maniera più squallida, può avvenire semplicemente mettendo in mostra un abbigliamento particolarmente costoso, con il che si vuole comunicare il proprio status sociale. Per motivi più significativi, lo si può fare a livello di branco, i verdi contro i viola, gli uni contro gli altri armati. Che fare allora, immaginare una lunga, o forse infinita serie di proibizioni? Questa non sembra una strada percorribile: la strada che mi pare andrebbe proposta sarebbe quella dell’obbligo, in questo caso l’imposizione di uno specifico tipo di abbigliamento. Pensate, per quanto capisco che vi venga difficile accettarlo, ma sarebbe davvero bello vedere nelle aule e lungo i corridoi studentitutti egualmente abbigliati, finalmente liberi di non dovere apparire agghindati.

Aldilà dell’esempio che, non mi faccio illusioni, non credo raccoglierà grandi consensi, rimane il problema di fondo, se cioè il concetto di laicità sia davvero così utile. Perché lo sia, esso dovrebbe fornire un meccanismo diciamo automatico per dirimere una certa tipologia di questioni. A me sembra che lo stesso concetto di laicità dovrebbe fornire risposte opposte in presenza di problemi analoghi ma non coincidenti, come appunto nei casi citati del chador e del burkini. Allo stesso modo, non mi pare che la laicità abbia portato a proibire la circoncisione, mentre ha portato di certo a proibire pratiche odiose come l’infibulazione. Se ammettiamo che nei due casi i problemi da affrontare avessero una loro somiglianza, dovremmo alla fine ammettere che non possiamo mai esimerci dall’entrare nel merito degli specifici problemi. A sua volta ciò dovrebbe portare a concludere che la laicità, malgrado l’apparente successo che sembra riscuotere ai nostri giorni, sia in definitiva un concetto la cui fortuna si basa su una cultura permeata dal cristianesimo rispetto a cui servì a difendere il diritto a non essere credente, mentre nell’oggi, in cui nessuno pretenderebbe di obbligarci a seguire una fede religiosa, esso appare del tutto superato, più dannoso direi che inutile.

domenica 30 agosto 2009

LA STRANA STORIA DEL VIRUS A H1N1

Ma si può sapere cosa sta succedendo attorno alla questione del virus A H1N1? Questi virologi, grandi esperti a livello mondiale, cosa sanno davvero su questo virus? E di ciò che sanno, cosa hanno voglia di dirci? Ciò che trapela è pressoché nulla. Essi insomma sostengono che il virus in quanto tale è in grado di dar luogo a una pandemia, ma senza complicazioni e conseguenze letali statisticamente significative. Però, esso è soggetto a rapide mutazioni, che rischiano di renderlo molto più pericoloso. Rispetto a questa situazione, essi continuano a sostenere la necessità di ricorrere a una vaccinazione massiccia. Sarebbe interessante conoscere le motivazioni che spingono l’OMS a raccomandare questa vaccinazione di massa, visto che il virus così come originalmente caratterizzato, data la sua bassa pericolosità, non dovrebbe attrarre tante delle loro attenzioni, e un vaccino sarebbe da ritenere un eccesso di interventismo non richiesto dai fatti oggettivamente determinati. La vaccinazione potrebbe essere decisiva in presenza del diffondersi di virus mutati e così divenuti ben più aggressivi. Però, a questo punto, chi può assicurare che un vaccino sviluppato su e per una specifica variante, possa funzionare egualmente bene per una sua versione mutata?

Virologi emeriti, non mi convincete proprio, qui, o vi barcamenate alla cieca in una situazione di cui non avete compreso nulla, oppure al contrario ci nascondete qualcosa di molto importante. Quest’ultima ipotesi sarebbe molto pericolosa, e preferisco ignorarla: toccherebbe semmai a loro stessi farsi avanti e parlare di ciò di cui avrebbero fin qui taciuto.

Quindi, non mi resta che prendervi sul serio e constatare che di questo virus anche voi ne sappiate troppo poco. In questo caso, non sarebbe del tutto logico fargli svolgere il suo decorso e che si ammalino tutte le persone che debbono senza che questo, a quanto sembra, inevitabile contagio vada avanti lentamente, dandogli così tanto più tempo perché subisca mutazioni potenzialmente pericolose?

Io mi chiedo infine, questi scienziati, in nome di quale informazione a noi non concessa, stanno sottoponendo tante decine di milioni di persone a una vaccinazione della cui necessità e della cui utilità nessuno ha dato evidenze obiettive se non all’interno di una ristretta comunità, inevitabilmente soggetta ad interessi economici enormi?

sabato 29 agosto 2009

CEI E SIGNOR B.: MATCH ANCORA IN CORSO

Un instant-post sulle ultime vicende che vedono al centro il signor B. Mi soffermerò sulle polemiche con la CEI, attraverso il loro organo di stampa, “L’Avvenire”. Noto tre aspetti strani, forse qualcuno che mi legge me li può chiarire.

Prima stranezza: cosa ci sia di così grave se “Il Giornale” riporta una notizia che riguarda il Direttore de “L’Avvenire”, visto che questa notizia corrisponde al vero? Se questo giornalista è stato coinvolto giudiziariamente in fatti che hanno attinenza col sesso, dove sta la contestazione da parte della Chiesa? Che si tratti di cose remote (neanche tanto, stiamo parlando di meno di dieci anni fa), cosa cambia?

Seconda stranezza, nella notizia proveniente dagli stessi ambienti della presidenza del Consiglio, che il signor B. e il suo fido scudiero Gianni Letta si sarebbero precipitati nelle tipografie de “Il Giornale” per bloccarne l’uscita, ma le rotative erano già andate troppo avanti. Ebbene, con quale autorità potevano essi bloccare l’uscita di un quotidiano, visto che la responsabilità è affidata al suo Direttore e a lui soltanto?

La proprietà, rappresentata dalla famiglia Berlusconi può intervenire adesso sulla faccenda, a cose fatte, se lo ritiene opportuno. L’unico modo lecito è quello di licenziare Feltri, altro modo di determinare i contenuti di un periodico i proprietari non hanno.

Terza stranezza, e dal mio punto di vista la più interessante. Nel momento in cui Feltri addebita al Direttore de “L’Avvenire” certe sue faccende private, non ne sta così implicitamente considerando la rilevanza? Egli riconosce questo suo collega colpevole di certi comportamenti sessuali, e ne riconosce anche la rilevanza a livello di opinione pubblica. Allora, da oggi io direi che Feltri rappresenti il massimo accusatore del signor B., convenendo sul fatto che egli debba dare spiegazioni esaurienti su faccende che non possono rimanere private, e che in ogni caso egli stesso ha fatto in modo che divenissero di dominio pubblico. Perché, Direttore Feltri, o le abitudini private non devono trovare una eco pubblica, e allora Lei coerentemente avrebbe dovuto tacere sul suo collega, oppure è utile per l’opinione pubblica conoscerli, e allora lo dica al suo padrone. Lei, con la sua intraprendenza, il suo tanto esternato decisionismo, dalle stesse colonne del quotidiano che dirige, faccia l’appello, speriamo decisivo, al signor B. a uscire dalle menzogne astutamente cosparse nel corso del tempo, a uscire dal riparo di tanta stampa compiacente, a uscire dal riparo di un ricorso massiccio alla magistratura perché addirittura sia tolto il diritto a chicchessia di rivolgergli le domande che crede, e che quindi egli voglia infine rispondere. A me, ad esempio, basterebbe sapere che ci facessero trenta giovanissime per le vacanze di Natale nella sua Villa Certosa, e perché mai il suo amico, nonché premier ceco, si aggirasse tra esse con il suo organo sessuale sguainato. Egli non sapeva di queste orgette che si compivano all’interno della sua propria abitazione, con ragazze da lui stesso invitate? Qui, ci sono solo fatti, e questi fatti sono venuti fuori in tutta evidenza: Feltri, lei che è un giornalista d’assalto così bravo, faccia la cortesia di fare parlare il signor B., contiamo tanto su di Lei.

giovedì 27 agosto 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N.4

Vorrei in questa puntata della consueta rubrica settimanale considerare due aspetti, a mio parere non sufficientemente evidenziati, nella politica del nostro governo, perché mostrano come vecchi vizi della nostra storia siano duri a morire, perfino in una stagione politica che si caratterizza per nuovi e forse più gravi vizi. Insomma, tutta questa nuova retorica razzista, questa civiltà dell’apparire, dell’attrattività sessuale esplicitamente trattata come merce di scambio, sono certamente elementi nuovi, ma quello che voglio qui mostrare è come tutto ciò non sostituisca ma piuttosto si sovrapponga a comportamenti viziosi da sempre connotato della politica nostrana.

I due elementi su cui mi soffermerò sono la litigiosità all’interno della maggioranza da una parte, e la politica economica latitante dall’altra.

Cominciamo da quest’ultima. I meno giovani tra voi non potranno non ricordare la stagione dei decreti legge di natura fiscale. C’è stata tutta una stagione della politica italiana, coincidente sostanzialmente con gli anni settanta, in cui con una cadenza all’incirca mensile il governo fiscale per correggere il deficit di bilancio interveniva con un decreto legge ad hoc, che regolarmente i giornali titolavano con il termine “stangata”, a volte sostituito con “stangatina”. Erano davvero dei provvedimenti odiosi, con cui il premier di turno non faceva che elevare periodicamente alcune gravami fiscali, del tipo il costo della carta da bollo, la tassa sui tabacchi, quella sulla benzina, e così via.

Ciò che colpiva in questi provvedimenti era, oltre il loro aspetto indiscriminato e quindi indirettamente antipopolare, la completa mancanza dell’enunciazione di una politica economica, cioè di un coerente piano d’intervento del governo nell’ambito dell’economia. Io credo che Tremonti abbia appreso tanto da quei giorni. Anch’egli, di fatto, non enuncia una politica economica. Badate, non è che dica che non l’abbia, come non dubito che anche i vari democristiani di quei lontani anni avevano sicuramente una loro politica, ma il punto era che i vari provvedimenti erano assunti senza che il cittadino potesse verificarne il senso all’interno di un piano più generale. Tremonti ha quindi deciso di procedere a una gestione del bilancio dello stato tramite tanti miniprovvedimenti, in genere disseminati in leggi e leggine varie, e spesso senza alcuna omogeneità. Il cosiddetto decreto “milleproroghe” rappresenta in qualche modo l’emblema di questo tipo di provvedimenti. D’altra parte, se qui sottolineo la continuità nel portare avanti una politica economica volutamente tenuta oscura ai cittadini, non posso tacere che Tremonti qualcosa ha davvero innovato con misure che perfezionano questo piano di oscurità assoluta sui destini economici della nazione, e l’ha fatto e continua a farlo tramite la tattica del rinvio di spesa. In sostanza, il ministro fa una specie del gioco delle tre carte, spostando una stessa voce d’entrata a turno su differenti capitoli di spesa. In questo modo, nel bilancio di competenza figura l’assegnazione di una certa somma a uno specifico progetto di spesa. Con l’altra mano, il furbo Giulio rinvia il momento della messa a disposizione di questa somma, e quindi nel bilancio di cassa questa cifra non risulta spesa, ed è così disponibile per ruotare su un’altra voce di spesa. Questa politica del rinvio è davvero quella che può arrecare i massimi danni al funzionamento della pubblica amministrazione. Nel settore universitario dove io opero, queste dilazioni comportano la paralisi di qualsiasi attività, non abbiamo più disponibilità di fondi per la ricerca ed anche la semplice decisione sui bandi a cui abbiamo partecipato per ricevere i pochi nuovi fondi disponibili viene rinviata, lasciandoci così nell’incertezza più assoluta, e quindi nell’impossiiblità di programmare la nostra attività che può andare avanti soltanto all’interno di un quadro di certezze sulle risorse disponibili, fossero anche estremamente modeste, ma almeno certe e in tempi certi. Se le cose non cambieranno, dubito che gli atenei potranno nel prossimo anno accademico operare normalmente fornendo i servizi didattici che competono loro.

Parlo dell’università, perché questa conosco da vicino, ma credo che sia un problema ormai generale. Tremonti, con la complicità della Lega, sta finendo di portare questo paese allo sfacelo, complice anche, non dimentichiamolo, la crisi mondiale.

Il secondo aspetto che ci ricorda il passato nell’attualità politica è l’atteggiamento della Lega, in cui il sedicente innovatore Bossi mi pare ricalcare tal quale il tanto da lui stesso vituperato Craxi. Bossi sta cucinando a fuoco basso il signor B., non diversamente da come Craxi si cucinava i vari leader della DC negli anni ottanta. Bossi ha sicuramente un’abilità politica che non si può non riconoscergli, ma di fatto applica il sistema di tenere il proprio alleato appeso a un chiodo e sempre sotto la minaccia di mollarlo come si faceva nella prima repubblica. In un vecchio post, dicevo appunto che il bipolarismo ha paradossalmente sommato tutti i vizi del proporzionale a tutti i vizi del maggioritario.

Infine, poche frasi sulla polemica seguita alla partecipazione del signor B. ai festeggiamenti a Gheddafi. Eppure, dove sta la sorpresa? Possibile che i nostri commentatori politici non comprendano come per il signor B. Gheddafi costituisca un esempio che egli vorrebbe seguire? Il signor B. è un anziano, convinto di essere il migliore e che gli spetti da tutti questo riconoscimento della sua superiorità. La gente lo ama, ed egli deve potetre comandare senza dovere sottostare a lacci e laccioli come li stabilisce la legge. Legge, giudici, regolamenti vari, i vincoli della UE, per lui, per il suo inarrestabile mito di sé stesso, sono solo ostacoli alla propria realizzazione: Chissà, forse nei sogni del signor B., l’Italia potrebbe essere una novella Libia: basta in fondo sostituire una tenda con palazzo Grazioli.

mercoledì 26 agosto 2009

LAICITA' E BURKINI

Nel precedente post, ho affrontato il tema della laicità da un punto di vista generale e di principio, ed in realtà è questo il punto di maggiore interesse per me: può esistere una società che possa fare a meno di una condivisione di valori, come afferma Popper nel proporre la sua società aperta e come poi anche la Arendt crede, fino a concludere che una società che condivide un'ideologia coincida con una società totalitaria? Secondo me, no, non può esistere, e questo è un punto chiave per affermare, come argomento nel mio libro, che chi non si definisce ideologico, gioca sporco, nel senso che nasconde la propria ideologia, e per questa via impedisce che essa venga messa in discussione. Per me, quindi, passa da qui la rivendicazione della nuova ideologia i cui aspetti essenziali tratteggio nel libro.
Queste questioni così rilevanti dal mio punto di vista, mi si sono manifestate in grande evidenza nel recente dibattito innescato dall'apparizione presso alcune piscine, e forse anche in qualche spiaggia del cosiddetto "burkini", un indumento appositamente pensato per permettere alle donne di fede musulmana di bagnarsi, limitando il più possibile la parte del proprio corpo scoperto ad occhi indiscreti. Sappiamo tutti che alcuni sindaci leghisti si sono spinti sino al punto di emettere ordinanze per proibirne l'uso. Ma sui leghisti, a partire dalla loro ideologia apertamente razzista e discriminatoria, non potevamo attenderci nulla di diverso. Ciò che mi pare più interessante è come questa questione si sia rivelata lacerante nell'area che genericamente possiamo definire di sinistra. Nella sinistra, e si è visto anche nei commenti al precedente post, domina pressocchè incontrastato un modello che potremmo chiamare libertario. A partire da ciò, a qualcuno poteva sembrare scontato che in quest'area dominasse l'opinione che ognuno possa bagnarsi vestito come crede. Con mia meraviglia, ho potuto invece constatare come queste posizioni tolleranti, pure presenti, si confrontino con posizioni del tutto opposte, che invitano alla fermezza verso questi usi, considerati come oscurantisti e in qualche misura come pericolosi per la nostra stessa civiltà. Effettivamente, la presenza di donne così bardate disturba e disturba anche me, e mi sono chiesto infine cosa mi disturba di loro. La mia personale conclusione è che ciò che disturba è infine la concezione stessa del nudo, del corpo nudo. Una donna così coperta in un luogo che nelle nostre tradizioni dovrebbe incoraggiare la nudità, ci ricorda come quello che per tanti di noi è una manifestazione del tutto innocente di naturalezza, nel senso di ritorno alla natura, in quanto nasciamo nudi, per altri non lo è, viene anzi all'opposto considerato come peccato, come ostentazione a scopo di attrazione sessuale. Quando decenni fa facevo nudismo, ricordo perfettamente quanto la copresenza nella stessa spiaggia di nudisti e non nudisti fosse sempre fonte potenziale di problemi. Non che non fosse possibile questa copresenza, ma insomma sia noi nudisti che essi, non nudisti, avremmo preferito stare separati. In particolare, gli indumenti addosso a bagnanti, mi ricordava quello che anch'io da nudista non potevo tuttavia ignorare, il significato di richiamo sessuale che il nostro corpo nudo comunemente esercita nella nostra società. Per quanto siamo fermamente convinti della sostanziale innocenza nell'atto di mettersi nudi, viviamo in una società in cui si incoraggia le ragazze a spogliarsi per fare carriera, in cui quindi il nudo assume inevitabilmente un significato addirittura economico. Ecco, le donne in burkini ci ricordano che per esse il nostro corpo che esponiamo ai loro occhi è peccaminoso e, per quanto siamo convinti del contrario, sappiamo di non poterlo ignorare.
Detto ciò, mi rimane davvero difficile capire come una persona libertaria possa impedire a una donna di vestirsi come meglio le aggradi, e perfino io, che non mi definirei un libertario come si può desumere dalle cose che ho detto precedentemente, non vedo alcuna argomentazione logica che ne potrebbe proibire l'uso, anche se per me rimane un indumento senza alcun dubbio obbrobrioso. Ma la questione del burkini non esaurisce certo il problema dei comportamenti devianti in una società che si pretende tollerante: ne parlerò in un terzo post: sto diventando un po' prolisso, temo.

lunedì 24 agosto 2009

CONSIDERAZIONI SULLA LAICITA'

Riprendo in questo post una discussione sul concetto di laicità, su cui già commentai su un altro blog, e su cui so di avere idee abbastanza divergenti dalla maggior parte di voi che mi leggete.

Il concetto di laicità viene fuori a livello politico nell’età moderna, riprendendolo dalla tradizione greca, da cui deriva etimologicamente: laos era appunto in greco un modo di indicare un popolo, mentre il modo alternativo è demos. Si tratta però di due significati differenti, in quanto il laos preesiste al demos. Si potrebbe esprimere la differenza dicendo che il primo si riferisce ad una comunità che condivide una cultura, mentre il secondo presuppone la condivisione anche di un sistema normativo, di essere parte di uno stato giuridicamente definito. La situazione storica in cui il concetto di laicità s’impone è all’interno di un sistema di governo e di stato di tipo confessionale. Non è un caso che, il concetto di laico nel linguaggio comune, a torto o a ragione, viene usato essenzialmente in opposizione a confessionale. I laicisti storicamente si opponevo al fatto che la religione potesse influenzare le scelte di governo, sino a determinarle. Si trattava in ogni caso di un mondo in cui le culture non avevano modo di mescolarsi se non molto lentamente, a causa della difficoltà di mezzi di comunicazione come li conosciamo oggi.

In un mondo così differente come quello contemporaneo, dovremmo porci nuovamente la domanda sull’utilità del concetto di laicità in presenza della globalizzazione e di società multiculturali. In altre parole, una cosa è rivendicare il potere del parlamento contro il potere del papa, questo si capisce agevolmente, un’altra cosa è sperare di trovare in esso il criterio di riferimento rispetto alla molteplicità di sfide che una situazione sociale sicuramente più complessa ci pone.

Ciò che mi pare costituire un limite al suo utilizzo è la pretesa sottesa nel concetto di laicità che sia possibile tra le cose condivise, perché non si da’ comunità senza condivisione, isolarne un gruppo privilegiato, dandone così per scontato la necessità di imporne, diciamo così, la condivisione a tutti. Ciò che non condivido non è che certi valori vadano difesi senza tanti tentennamenti di rispetto di culture diverse. D’accordo, rispettiamo, anzi arricchiamoci di altre culture, ma di fronte all’infibulazione e pratiche mutilanti simili, il mio rispetto cede il passo alla lotta spietata contro di esse, senza infingimenti e senza tentennamento alcuno. Soltanto che non credo di doverlo fare in base a un criterio assunto come assoluto, ma piuttosto perché anch’io ho dei valori, e tra questi, alcuni sono disposto a difenderli a tutti i costi, e tra questo c’è l’obbligo di proteggere l’integrità dei corpi.

Trovo sbagliato ed anche pericoloso nascondere, non esternare con chiarezza, che ci sono dei valori su cui non sono disposto a venire a patti. Questo sentirsi in fondo portatori di una civiltà superiore che è tollerante su tutto, lo trovo la cosa più ingenerosa, fino a divenire potenzialmente sleale: salgo in cattedra, e dall’alto impartisco lezioni di laicità tollerante al mondo intero.

Queste frasi dovevano costituire la premessa per affrontare nel merito alcune questioni di attualità, riguardanti innanzitutto la religione islamica come viene praticata nei paesi occidentali. Ne riparlerò a breve, vista la lunghezza di ciò che ho già scritto.

venerdì 21 agosto 2009

IL TRISTE CONTO DEI MORTI

La cronaca di ieri ci riporta la strage avvenuta nel mare nostrum dei soliti poveri disgraziati alla ricerca disperata di una speranza di una vita possibile. Quante sono però in totale le vittime di queste stragi che si consumano nella sostanziale indifferenza delle popolazioni europee? Quanti sono i morti di cui non sapremo niente? Quanti muiono attraversando regioni desertiche prima ancora di imbarcarsi? Adesso vi chiedo di fare un puro e semplice raffronto numerico tra le vittime del terrorismo e quelle di una politica di respingimenti europea, e in particolare italiana, come ispirata dalla Lega, che vede nel Ministro dell'interno uno dei suoi più influenti membri.
Ebbene, col terrorismo non è possibile convivere, e per questa ragione abbiamo mandato le forze armate prima in Iraq e poi in Afghanistan, ma invece conviviamo allegramente con una brutale ed inumana politica di respingimenti, perchè evidentemente per noi europei gli africani sono uomini di serie B, la cui vita può essere tranquillamente sacrificata a un ordine di ispirazione razzista e discriminatorio.
Vorrei chiedere sommessamente a tutti gli uomini di buona volontà cosa potrà mai cambiare nella nostra vita un migliaio di immigrati in più l'anno, quale follia collettiva assunta a sistema può mai giustificare queste morti collettive di innocenti. Se dobbiamo infine chiudere i confini, allora anche le nostre forze armate siano richiamte nei nostri confini, e faremo dell'Europa un fortino da difendere con le armi, che andrà verso un più o meno lento degrado, crogiolandosi tra un telefonino e un grattaevinci.

giovedì 20 agosto 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 3

Ma esattamente, come trascorrono agosto i dirigenti del PD? Non so a voi, ma a me sembrano completamente spariti dall’Italia. Magari, potrebbe aggiungere qualcuno, si tolgono dai cosiddetti, e forse qualcuno che possa fare un’opposizione minimamente seria si trova. Però, spulciando in giro per il web, qualcosa alla fine si trova. Magari non si tratta dei tre candidati alla segreteria, non si tratta di baffino, né del masochista ex-sindaco di Roma, ma qualche traccia di neo-dirigente o di dirigente riciclato, alla fine si trova. Leggo di un dibattito acceso tra la Bindi, il massimo del riciclato, e della Serracchiani, il massimo del neo, scopertosi vecchio e scontato. La Bindi parte all’attacco di Franceschini, rinfacciandogli l’essere il vice di Veltroni, e questo quello che ha perso le elezioni, dopo essere stato tiepido col governo Prodi. In fondo, la Bindi non è che sia davvero con Bersani, è piuttosto contro Franceschini, perché a suo tempo era una sostenitrice di Prodi, ma in fondo la Bindi qualche ragione ce l’ha, Franceschini mi pare davvero impresentabile. La Serracchiani, che con una scelta da masochismo record, come già postai, decise di annullarsi politicamente, malgrado un certo credito ottenuto più che altro per una serie di circostanze fortuite, risponde piccata che tra i dirigenti protagonisti di quella stagione cìera anche la Bindi. Però Serracchiani, su, se uno assume le massime cariche, assume anche le massime responsabilità, sembrerebbe ovvio. Che facciamo, invece di cambiare vertice in caso di sconfitta elettorale, tra l’altro replicata pesantemente alle europee, suicidiamo tutti gli iscritti? Peccato però che la Bindi, come lo stesso Bersani, a seguito delle dimissioni di Veltroni, abbiano tutti quanti d’accordo, appoggiato un interregno del Franceschini. Ora il Dario furbetto tenta di approfittarne per correre verso la segreteria proprio tentando di sfruttare questa spinta iniziale ed unanime ricevuta dall’Assemblea Nazionale. Insomma, la ragione alla fine sta dalla parte della Bindi, ma queste due donne danno di sé stesse un’immagine miserevole. Fui facile profeta, quando dissi che l’appoggio della Serracchiani a Franceschini l’avrebbe fatta diventare la novella Bindi, e qui siamo, abbiamo la Bindi di Bersani e la Bindi-Serracchiani di Franceschini.

Non posso però chiudere questo post tutto dedicato al glorioso (sic) PD, senza citare quanto dentro esso si muove ancora (eppur si muove, diceva Galileo, riferendosi proprio al PD…), e quindi vi lascio con la gloriosa (tutto glorioso ciò che si agita nel PD…) competizione pugliese, così come riportato dall’Unità (qui). Sono senza parole, questi competono confrontandosi sul disco preferito, sul libro preferito, sul film preferito, e meno male che si fermano qui sul riferire i gusti… A me questi del PD mi sembrano sempre più completamente fuori di testa, non riesco proprio a capirli!

martedì 18 agosto 2009

PUZZA DI BRUCIATO SUL SUPERENALOTTO

Cosa sta succedendo al superenalotto? Molti cominciano a chiedersi come mai ci sia un ritardo così grande nell'uscita del 6 vincente. Si moltiplicano i sospetti su una contraffazione del gioco. Come persona esterna al meccanismo di sorteggio, posso solo fare delle considerazioni inevitabilmente generiche.
A questo scopo, affronterò l'argomento da due punti di vista differenti.
Il primo parte dalla domanda: il ritardo nell'uscita della sestetta vincente cui prodest? C'è qualcuno che trae vantaggio da questo ritardo? La risposta credo sia nota: l'esistenza di una somma in palio (detta jackpot, con un inglesismo che trovo superfluo) più alta attira un maggior numero di giocate. A sua volta,
ciò si traduce in un maggiore introito per lo stato, e, credo ma non ne sono certo, a cascata per tutte le strutture in varia misura e a vario titolo coinvolte. Questa semplice considerazione comporta la non neutralità oggettiva di chi organizza il sorteggio: questo è un fatto, non un'opinione.
La seconda domanda che pongo è la seguente: è tecnicamente possibile contraffare il gioco, cioè influenzare i numeri che escono? Seppure a questa domanda possa rispondere esaurientemente soltanto chi tecnicamente gestisce il gioco, la mia opinione in generale è che tutto orienta a credere di sì. C'è a questo riguardo, un particolare che forse non tutti conoscono; dal primo luglio, è intervenuta una modifica, in quanto i numeri del superenalotto sono sorteggiati autonomamente, mentre precedentemente erano automaticamente determinati dai primi numeri sorteggiati per il lotto su alcune ruote. Questa modifica, su cui non ho letto alcuna motivazione specifica, non fa che incrementare ulteriormente il processo di accentramento del superenalotto, in quanto adesso il sorteggio si svolge centralmente mentre prima vi erano dei luoghi decentrati da ciascuno dei quali proveniva uno dei sei numeri sorteggiati. Se a questo si unisce l'informatizzazione di tutto il processo, non è difficile dedurre che un computer potrebbe agevolmente predeterminare i numeri vincenti. Il filmato che la SISAL rende disponibile sul sorteggio è ovviamente ininfluente, perchè fa vedere selettivamente alcuni momenti della fase di estrazione, e perchè nessuno di noi può effettivamente sapere quali numeri siano stati introdotti nell'urna.
Vorrei essere molto chiaro: io non sto affermando che il gioco è contraffatto, ma piuttosto che ognuno di noi ha diritto a nutrire questo dubbio.
Per finire, vorrei aggiungere che non occorrerebbe esssere scettici sulla casualità dei numeri sorteggiati per non giocare, in quanto è noto che si tratta di giochi iniqui, tecnicamente definiti tali, in quanto i due scommettitori, in questo caso lo stato da una parte e il giocatore dall'altra, non si sottopongono a condizioni alla pari: il montepremi è solo una frazione del totale dell'incasso derivante dalle giocate. Insomma, sarebbe come se io scommettessi con una persona che vuole vincere quattro volte più di me: se vinco io, becco 10, se vince lui, becca 40. Io non gioco, e sono solito dire che vinco ad ogni turno, vinco appunto il prezzo, risparmiato, della giocata.

domenica 16 agosto 2009

AGOSTO, BLOG MIO NON TI CONOSCO

In agosto, si sa, si va tutti in vacanza. Perchè poi si debba necessariamente andare in vacanza proprio in agosto, sembra un gran mistero. Capisco gli operai delle grandi fabbriche, mica possono scegliere: la fabbrica chiude ed essi devono andare in vacanza. Altri uffici invece, hanno l'obbligo opposto, in quanto, fornendo servizi essenziali o supposti tali, devono garantirne il funzionamento per 365 giorni l'anno (negli anni bisestili, 366 .-D). Ebbene, si fatica a crederlo, ma in tali uffici, dovendo i dipendenti turnare, si fa a botte per chi deve rimanere in agosto a lavorare.
Si potrebbe dire che è l'estate la stagione prescelta per le vacanze, ma anche questa appare come una verità molto parziale, perchè luglio presenta forse perfino dei vantaggi su agosto come stagione estiva. Innanzitutto, statisticamente, luglio è meno piovoso di agosto. Inoltre, le giornate sono più lunghe in luglio. Ma niente da fare, far vacanze in luglio, specialmente nella prima metà del mese, è una cosa considerata da sfigati.
A questo punto, è tutto chiaro. Visto che ci sono dei settori lavorativi dove è conveniente concentrare le vacanze, ho citato le fabbriche, potrei aggiungervi il settore dell'istruzione, ciò che si cerca in agosto, e che a quelli come me fa stare il più lontano possibile dai luoghi di vacanza, è appunto la concentrazione di persone in questi luoghi.
In fondo, non credo di andare così lontano dal vero dicendo che le persone cercano nei luoghi di villeggiatura proprio ciò che hanno nel resto dell'anno. Essi cioè devono trovare come sostituire il caos consueto nelle grandi città, riprodotto in tutti i luoghi dove si recano. Certo, parlo comunque di una tipologia di persone, ma una tipologia numericamente rilevante, anzi direi prevalente.
L'ho presa molto alla larga, ma in realtà era sui bloggers che volevo concentrarmi. Qui, in questo mondo presunto virtuale, ma in definitiva realissimo, in questo periodo è tutto un annuncio di stop, di pausa estiva, di interruzione di attività. La cosa non sembra meravigliare nessuno: in agosto, si sa, si va in vacanze. E invece a me sorprende e dirò perchè. Da un lato, ci sono bloggers che scrivono da qualsiasi parte del mondo: a questi, li ferma solo la mancanza totali di connessioni di rete, non scrivono perchè mancano del tutto i mezzi tecnologici per farlo. Dall'altra, però, ci sono bloggers che magari stanno proprio a casuccia loro, come faccio io, che non vorrei neanche mettere il naso fuori di casa in questo periodo, aggredito da moltitudini di vacanzieri che riescono misteriosamente, una volta avuto il permesso di uscire dal loro habitat, a saturare strade, bar, negozi, qualsiasi minimo pertugio esistente nel territorio. Ebbene, anche dal loro consueto luogo di esistenza, tanti bloggers si mettono in vacanza anche dal blog. Questa è una cosa che mi sorprende, perchè è come se il blog fosse un'attività imposta, alla stessa stregua del lavoro concepito come attività di sostentamento. Al contrario, se il blog venisse concepito come un'attività volontaria, come un luogo dove potere liberamente depositare le proprie riflessioni, quale momento sarebbe più indicato delle vacanze per scrivervi e per dedicarvi maggiori energie, quelle che durante tutto l'anno è più difficile riversarvi perchè gli impegni di ogni genere non ce ne lasciano il tempo? Meditate gente, meditate...

giovedì 13 agosto 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 2

Oggi, in questa rubrica, affronto due aspetti specifici delle vicende politiche più recenti, che riguardano la Chiesa Cattolica.

Iniziamo dalla prima che riguarda la sentenza del TAR del Lazio sull’ora di religione.

Dirò la mia in termini telegrafici: la discriminazione sull’ora di religione viene proprio da Fioroni e dalla stessa Chiesa, e dalla Gelmini che l’ha confermata. Come credo tutti sappiate, gli insegnanti di religione vengono indicati senza dovere portare alcuna motivazione, dalla Chiesa, o meglio dalle sue strutture gerarchiche. C’è questa inquietante cessione delle proprie prerogative da parte dello Stato che, pur pagando gli insegnanti di religione come tutti gli altri, delega a un’autorità esterna la scelta delle persone. Per inciso, è evidente a tutti quanto potere questa prerogativa di scelta costituisca per la Chiesa, che ancora una volta la conferma come una struttura di potere nascosta dietro una pretesa di rappresentare valori nobili, addirittura protesa verso un fantomatico mondo ultraterreno: nulla è così meschinamente attaccato a questo mondo della Chiesa. Ma tornando alla questione principale, chi meno della stessa Chiesa può manifestare un’opposizione alla discriminazione degli insegnanti, visto che è proprio essa che la crea ed anzi la pretende da un potere politico senza rispetto della propria funzione, tanto da piegare la schiena al primo stormir di foglie che venga dall’oltre Tevere? La Chiesa potrebbe pretendere la fine della discriminazione semplicemente facendosi promotrice di un insegnamento di religioni e non di confessioni religiose, i cui insegnati vengano nominati seguendo il consueto percorso che la normativa prevede per tutti gli altri.

La seconda questione riguarda un editoriale che l’Avvenire del 12 ha dedicato al signor B. Rispondendo a un prelato che manifestava il suo disagio per una posizione della Chiesa sulle intemperanze del premier da lui ritenuta troppo timida, l’autore dice che al contrario la posizione della Chiesa è chiara, anzi egli si spinge sino a dire che le cose sono state dette esattamente come dovevano essere dette. A questo punto, sono davvero sorpreso di leggere su altri giornali, come La Repubblica, che questo costituisca un attacco al signor B.: a me proprio non pare, in quanto si limita a ribadire commenti già fatti precedentemente, e li ribadisce nella maniera più perentoria, precisando che non c’è nulla da aggiungere o modificare. Sarebbe quindi come dire che la Chiesa la sua parte l’ha fatta, e che il signor B. può dormire sonni tranquilli, non riceverà dalla Chiesa alcun fastidio, nessuna battaglia gli farà la Chiesa, come lo fece a suo tempo a Beppe Englaro, tanto per citarne uno dei tanti. Lo scappellotto dalla Chiesa il signor B. l’ha già ricevuto, e questo è quanto, non ci sono ulteriori conti da fare o da saldare tra loro.

mercoledì 12 agosto 2009

SULLE GABBIE SALARIALI

Sulla questione delle riproposte gabbie salariali, ho letto diverse cose, tranne però su un aspetto di fondo, che è stato inspiegabilmente trascurato.

Si tratta di questo. La Lega che ha avanzato questa proposta, la motiva col differente costo della vita tra Sud e Nord. Ebbene, non dovremmo forse chiederci perché viene pagato uno stipendio a un lavoratore dipendente? Perché, se ce lo chiedessimo, dovremmo, mi pare, convenire sul fatto che lo stipendio è il controvalore per la prestazione lavorativa. Qui, non stiamo parlando di una pensione sociale, il cui fine è appunto quello di permettere il sostentamento a chi non ha altri mezzi di sussistenza. No, per i lavoratori salariati, il salario corrisponde a una valutazione della prestazione fornita. Così almeno dovrebbe essere, e quest’aspetto formale non può essere ignorato: io vengo pagato un tot perché fornisco una prestazione di questo valore. Così, se io svolgo una determinata mansione al sud, devo necessariamente essere pagato quanto un lavoratore che svolga analoga mansione al nord, salvo che esista un motivo accertato aldilà di ogni ragionevole dubbio che io svolga un lavoro valutabile meno rispetto al collega del nord.

Mi si potrebbe obiettare che esiste un meccanismo di rivalutazione automatica del salario al costo della vita, e che quindi su questa rivalutazione si possa conteggiare un differente incremento del costo della vita. Tuttavia, questa obiezione risulta infondata, dal momento che questo meccanismo è stato scelto, ove esistente, dalla legislazione vigente per evitare una continua ricontrattazione del salario. Anche, in fondo, considerare un uguale salario per lavoratori differenti che svolgano uguali mansioni è una scelta legislativa, giustificabile, visto che si tratta di una legge nazionale, solo se applicata sull’intero territorio nazionale. Una volta che il legislatore volesse discriminare geograficamente all’interno del proprio territorio nazionale, tutti i meccanismi automatici perdono valore, e credo che giuridicamente il lavoratore possa rivendicare di avere valutato il proprio lavoro individualmente: fossi anche io l’unico lavoratore efficiente dell’intero sud, non capisco come mi si possa obbligare a dovere subire la sorte di lavoratori “fannulloni”, solo perché operanti nella mia stessa zona geografica, permettendo a lavoratori “fannulloni” del nord di godere i frutti di trovarsi nella zona giusta d’Italia.

Ho citato e mi sono soffermato su questo problema giuridico perché non ho letto nulla di simile: potrei ancora citare il caso di chi lavora in una città, e risiede in un’altra, magari attraversando nei suoi spostamenti quotidiani il confine tra due differenti zone salariali. E ancora, quella che è risultata l’obiezione più frequentata, le differenze nel costo della vita tra due paesi a breve distanza tra loro, e perfino tra due differenti quartieri della stessa città.

Ma non importa, ai nostri governanti la plausibilità giuridica e l’attuabilità tecnica del provvedimento che caldeggiano, come non importa nulla la rilevanza negli scarti che si verrebbero a determinare tra una zona salariale e l’altra. L’importante in tutta questa faccenda è soltanto l’elemento simbolico, nell’affermare ancora una volta l’esistenza di due differenti Italie, senza neanche rendersi conto delle potenzialità esplosive che questa ideologia razzista e discriminatoria può avere per il nostro prossimo futuro: nostro, intendo sia del nord che del sud.

domenica 9 agosto 2009

LA LEGA E' IN CRISI?

Questo post prende spunto dal consueto editoriale che Eugenio Scalfari pubblica la domenica su Repubblica (qui). La tesi di Scalfari è che le continue proposte avanzate dai leghisti col loro solito stile e del solito loro tenore e contenuto siano in sostanza un diversivo perchè i nodi dell'attuazione del federalismo fiscale vengono al pettine ed essi non sono in grado di procedere lungo una strada che appare impervia e piena di possibili tranelli anche per i padani che, invece di goderne vantaggi in termini di maggiore distribuzione di risorse nei loro territori, potrebbero al contrario subirne contraccolpi economici. La materia economica è per sua natura complessa ed io, per quanto mi riguarda personalmente, non ho le competenze per entrare nel merito dell'argomento sollevato. Trovo tuttavia sorprendente l'ipotesi complessiva di Scalfari, secondo cui la dirigenza leghista si trova in uno stato di stallo sulla questione appunto del federalismo fiscale e reagirebbe con diversivi. Anche dando per scontato che difficoltà possano esserci su tali argomenti per la loro natura complessa, non si capisce perchè essi dovrebbero reagire parlando di bandiere ed inni regionali, di gabbie salariali, e di altre cavolate simili.
Scalfari, su questo specifico punto, è piuttosto sfuggente. Egli scrive: "
nel frattempo però il consenso popolare rischia di smottare e alcuni segnali già ci sono".Mi pare un'affermazione quantomeno discutibile. Altri potrebbero con ragioni mi pare anche maggiori affermare all'opposto che mai il consenso attorno alla Lega è apparso così forte e compatto.
Per questo, mi sembra di dovere ribadire l'opinione che già altre volte ho espresso: la Lega sta ricattando il signor B., tutto qui. Non conviene loro vestire i panni dei killer e poi magari subire trattative dagli esiti incerti con chi dovesse succedergli, ma essi, comunque, tendono a sfruttare fino in fondo la debolezza del signor B., che oggi si traduce in una debolezza dell'intero PDL. Questa semplice tesi mi sembra che possa spiegare, senza fantasiose ipotesi su difficoltà interne alla Lega, che Scalfari enuncia senza argomentarle minimamente, l'alzare la voce di questo partito.

venerdì 7 agosto 2009

DDL CONTRO I MONOPOLI OCCULTI

Vorrei qui lanciare un’iniziativa, che dovrebbe sfociare nella raccolta di firme per la presentazione di un DDL di iniziativa popolare.

La premessa la prendo dalla cronaca di questi ultimi giorni, e riguarda il sorprendente esito dell’incontro del ministro Scajola con i petrolieri. La cosa stupefacente è che i petrolieri, alla richiesta di Scajola di ridurre il prezzo dei carburanti, hanno risposto con un secco no. Perché quest’esito è così sorprendente? Perché delle due l’una: o aveva ragione Scajola e c’era spazio per questa riduzione, o avevano ragione i petrolieri e i conti direbbero in questo caso che il prezzo è perfettamente adeguato. In entrambi i casi, la figura che fa Scajola è ridicola, come forse degno del personaggio. Sa il ministro Scajola far altro oltre che farsi attivare un aeroporto che gli serve per un uso strettamente personale?

Perché ministro mio malgrado, sembra che Lei non sia in grado di farsi conti che da un ministero sarebbe lecito attendersi che sappia fare. Paghiamo fior di politici e fior di funzionari, e questi non sono in grado di dimostrare dati alla mano come vanno le cose sui prezzi. L’alternativa è perfino peggiore: Lei rappresenta un governo e, avendo ragione su un argomento di grande rilevanza, si fa egualmente dire no da quattro cittadini privati quali, fino a prova contraria, i petrolieri sono.

In ogni caso, sono proprio stufo di essere cittadino di un paese che riesce ad essere forte coi deboli, fino a tollerarne la morte nei nostri mari, ma è debole e indifeso in maniera totale verso i forti, come i petrolieri che sventolano sotto il naso di ministri i loro soldi puzzolenti di petrolio. Certo, i petrolieri non sono i soli, anzi godono della lieta compagnia di banche e assicurazioni, come pure di ordini professionali potenti e prepotenti, come l’ordine dei farmacisti esemplifica perfettamente.

Adesso, l’iniziativa che propongo consiste nella chiusura per disposizione di legge delle associazioni che ognuna di queste tipologie di imprese ha messo su. In particolare, mi riferisco all’associazione delle aziende petrolifere, all’Assobancaria, all’associazione delle compagnie assicurative.

Mi pare che la cronaca di questi anni ci dia evidenze di come queste associazioni abbiano una finalità sostanzialmente criminale, nel senso che si pongono clamorosamente contro la logica di mercato, che a me non piace, ma pare costituisca una regola su cui si basa la nostra società. Mi chiedo: se io verifico che in queste associazioni si vengono a costituire dei blocchi monopolistici, se le imprese se ne servono per trovare una sede ufficiale dove si accordano sui prezzi, queste associazioni non vengono automaticamente a costituire delle associazioni a delinquere, con meccanismi non dissimili dalle associazioni di tipo mafioso? Vogliamo una volta per tutte liberarci di uno strumento prezioso che essi hanno per aggirare gli obblighi di legge? Questo governo di celoduristi, di uomini della provvidenza, se la fa addosso davanti al primo ricco di turno? Dove va a finire il coraggio sbandierato da personaggi come Bossi, dissolto all’aria in un batter d’occhio davanti alla Esso o ai Moratti? E Tremonti che fa tanto lo sbruffone nei confronti delle banche, perché non fa qualcosa per limitarne lo strapotere verso i singoli utenti? E le compagnie assicurative che aumentano i costi, anche lì dove assicurarsi è obbligo di legge, nessuno di questi signori che vogliono accreditarsi come i decisionisti di turno, ritiene di doverne limitare lo strapotere e la loro capacità vessatoria determinata dalla obbligatorietà della RCA? Qui si sfiora il paradosso: il potere statale mi impone di sottoscrivere un contratto di assicurazione, e il prezzo di questa assicurazione è determinato unilateralmente da uno dei due contraenti. Sembrerebbe logico che se lo stato interviene una volta imponendomi un obbligo, debba poi garantire che io possa adempiervi nella maniera più equa possibile: no, in sostanza ci si obbliga ad essere vittime sacrificali di questi vampiri legalizzati.

Ecco, questi sono solo degli accenni di motivazioni per limitare la discrezionalità con cui questi veri poteri si pongono nei confronti dei comuni cittadini.

Ciò che io chiedo è quindi che la legge impedisca che dei poteri monopolistici si costituiscano dietro il paravento di associazioni che credibilmente nessuna altra funzione possono avere se non appunto quella di accordarsi tra loro alle nostre spalle. L’unica soluzione mi pare quella brutale di impedire l’esistenza stessa di tali associazioni potenzialmente a delinquere.

Chiedo quindi a chi mi legge, ove ritenesse che il provvedimento da me caldeggiato sia sensato ed opportuno, che lo riecheggi nel suo blog. Potremmo chiedere a un partito o a un’associazione organizzata di formulare gli articoli di legge, promuovendo a livello nazionale la raccolta delle firme richieste. Considerato il periodo dell’anno in cui ci troviamo, replicherò successivamente questo stesso post.

giovedì 6 agosto 2009

RUBRICA SETTIMANALE POLITICA INTERNA: N. 1

L'analisi che facevo la settimana passata mi pare viene confermata anche dalle notizie di questi ultimi giorni. La lega adesso attacca la bandiera italiana, chiedendo di accostarla a bandiere regionali del tutto inventate: un localismo che, in mancanza di dati esistenti, viene inventato di sana pianta. Mi chiedo a questo punto dove questi vadano a parare, e, allo stesso modo, dove vadano a parare tutti gli altri attori. Questi fautori del partito del sud, ad esempio, esprimono anch'essi un obiettivo chiaro? In caso contrario, sono in grado di valutare tutte le conseguenze dei loro atti, fossero anche solo minacciose dichiarazioni?
E in tutto questo, lasciando da parte il signor B., che pare contare meno di nulla in questi giorni (vedi anche quel famoso saltafossi di Paolo Guzzanti com'è saltato oggi!), e che becca solo sberle, da Tremonti prima, poi dalla figlia Barbara, poi dalle regioni, insomma a tutto campo, cosa fa il Capo dello Stato? Che Napolitano abbia chiesto di tacere sulle faccende a sfondo sessuale del signor B. non è un'opinione, è un fatto, sono dichiarazioni ufficiali,e come tali a tutti note. Il Presidente ritiene di dovere svolgere un ruolo politico, come la Costituzione gli impone, o pensa di potere sgaiattolare dalle propria responsabilità? Non si ritiene in grado di indirizzare un chiaro appello alla nazione, del tipo che certi comportamenti di uomini pubblici non possono essere tollerati, oppure dobbiamo ritenere che egli pensi che quello che il signor B. ha fatto è tutto lecito?
Ritiene di essere il primo garante dell'unità nazionale e quindi di dovere rimbeccare puntualmente ed inesorabilmente il leghista pirla di turno, o anche il sudista in odore di mafia di turno, oppure sceglie di starsene sotto le coperte, tanto a me chi me la fa fare?
C'è infine qualcuno in questo paese che ritiene, sulla base di un'autorità che gli viene riconosciuta, fosse anche soltanto di tipo morale, di dare del pirla razzista a chi pirla razzista è per propria stessa ammissione?
La mia opinione, che lascio aperta e soggetta a sviluppi e modifiche quando elementi oggi al gran pubblico ignoti verranno alla luce, è che è un tutto un tirare la coperta dalla propria parte, una tattica sul cadavere prossimo venturo del signor B., senza alcuna capacità di prevedere le implicazioni di lungo periodo che tali mosse tattiche mettono in atto.
Come ho ripetutamente detto, questo lento disfacimento del potere del signor B., che si sta lasciando cuocere senza avere l'accortezza di tirarsi da parte ci costerà carissimo, ed oggi come oggi non mi sento di escludere che a forza di bluff leghisti e sudisti vari, qui si vada davvero alla separazione dell'Italia. C'è qualcuno che si sta preparando a situazioni di secessione, forse anche armata? Chi ha in questo momento il reale controllo delle forze armate?
Questi pirla irresponsabili giocano col fuoco senza sapere che il fuoco brucia, e divampa diventando in un batter d'occhio un incendio e una tempesta di fuoco.
L'ultimo pensierino lo dedico ai pirla del PD, i pirla più DOC in assoluto. Chiederei al quel genio di Chiamparino cosa ne pensa delle ultime iniziative della Lega, se, in base alla logica che ha da tempo esternato che esiste un problema del Nord, non ritiene anche lui di chiedere che ci sia anche la bandiera di Torino: se si deve inseguire la Lega, che lo si faccia sino in fondo. Egli fino a che punto è pronto a farlo? E che fine ha fatto il problema del governatore della Campania Basssolino? Nessuno che gli chieda più conto e ragione, ad avallare la correttezza dal punto di vista del suo tornaconto della sua scelta di non lasciare la poltrona? Ma di che si dibatte in questa campagna per l'elezione del nuovo segretario? Niente discussioni sulle elezioni, niente sulle cavolate che hanno portato il PD ad avere meno suffraggi di quelli avuti da una sola delle due forze che hanno concorso a costituirlo, niente sugli uomini, nè sugli episodi.
Niente mi pare anche sulla gravità della situazione politica. Diciamolo: che persone inutili a sè stessi ed agli altri!

lunedì 3 agosto 2009

LA SOCIETA' DEI REPLICANTI

Se un giorno dovesse darsi un nome alla società in cui viviamo, io propenderei per "La società dei replicanti". Tutto nella nostra società è predisposto in modo direi ideale per i replicanti, questi tizietti che rilasciano dichiarazioni lunghe una frase per ribadire sempre lo stesso concetto in fondo: "E' il mio padrone che ha ragione, non il tuo". Non importa quale sia il suo nome, non importa il colore dei capelli, nè quello degli occhi, il tono di voce basso o alto, l'importante è ribadire, ripetere, combinare il ristretto vocabolario in loro possesso per dimostrare di esistere, di esserci, e di essere così importante perchè sono loro che vengono intervistati, che appaiono alla TV, non i comuni mortali. D'altra parte, come potrebbe la TV dare un'informazione che sia lunga più di una frase? Non guardo ormai più i TG, tranne occasionalmente il TG3, ma se mi capita casualmente di ascoltarne qualche brano, ho l'impressione di assistere a uno show, di livello pessimo, ma show. Notizie di cronaca rosa e cronaca nera, a cui, a spintoni, viene dato posto per questi messaggi ripetuti e inconcludenti che in fondo hanno proprio la funzione di uccidere l'informazione e ottundere la mente di chi ascolta. Appena mi capita di vederli apparire sullo schermo, i nomi li sappiamo già, li chiamano "portavoce", ma di questi ce n'è molti di più di quelli ufficiali, posso indovinare la partenza del movimento della bocca a cui subito segui questo "flatus", questo rumore senza significato, un'articolazione vocale inutile. Ma diciamocelo francamente: cosa potremmo mai aspettarci da uno che si fa chiamare "portavoce"? Cos'altro porterà oltre la voce? Forse nulla, e anche la voce per costoro è già un gravame eccessivo. Chissà quante ore della loro vita trscorse a preparare questo loro fondamentale intervento: sarà meglio contemporaneamente o simultaneamente per meglio ingannare gli spettatori-elettori?
Dunque, si vengono mirabilmente ad accordare tra loro persone insignificanti, il cui mestiere consiste proprio nel non significare alcunchè, e ben felici di essere tali, con un'informazione che serve a distrarre da notizie ben più rilevanti, e che cura massimamente la negazione dell'approfondimento, e con persone ben felici di non essere informate, di non doversi porre dei problemi, e infine di potere astenersi da quell'attività così faticosa che consiste nel pensare.
E ho taciuto sui giornali, anch'essi estremamente impegnati a farsi leggere i titoli degli articoli, cioè ancora una volta a una sintesi inevitabilmente distorcente.

domenica 2 agosto 2009

CONTRO PECORELLA

Grande Saviano, intelligente la sua scelta di alzare i toni contro il mistificatore di turno, il Pecorella che confonde gli atti processuali con le risultanze processuali. Rispondiamo a muso duro a tutti coloro che tentano di confondere, di infangare memorie, di mettere in qualche modo sullo stesso piano la grande criminalità organizzata e chi ha perso la vita per combatterla. Questa è la linea giusta, ed è bene che qualcuno che ha accesso ai mass media, usi questo suo potere per rintuzzare questi episodi ormai quotidiani di insinuazioni, di inquinamento dei fatti e, tramite il loro racconto, del linguaggio. Adesso, Pecorella risponda delle sue affermazioni, chieda scusa, si rimangi ciò che ha avuto la tracotanza di dire. Non bisogna mollare, qui non c’è in gioco solo la memoria di Don Diana, ma la possibilità stessa della definizione collettiva di chi mette in pericolo la convivenza civile e chi la difende, a costo della propria vita.