venerdì 30 settembre 2011

VIVA IL DEFAULT!

Aspetti paradossali della situazione economica odierna.

Manca la merce? No, siamo in piena crisi di sovrapproduzione, Cina e BRICS in generale saturano il mercato con la loro produzione, mettendo in crisi i settori produttivi dei paesi più sviluppati che non riescono ad essere abbastanza competitivi.

Manca il denaro? Ebbene, siamo inondati da una liquidità enorme che in altri tempi avrebbero portato all’inflazione.

Eppure, nelle tasche dei consumatori occidentali il denaro latita, e di inflazione sembra proprio non esserci traccia. Dove sta allora tutto questo denaro?

La risposta è che si trova investito nei mercati finanziari, e visto che fluisce velocemente, è sempre impegnato e non disponibile per altre destinazioni.

Perché il denaro sta investito nelle varie borse del mondo? Per sostenere i corsi dei titoli. Lo ha deciso a suo tempo Bush, apparentemente con l’accordo di tutti gli altri governanti, compreso il suo successore Obama.

Bush lo ha deciso e lo ha attuato riversando ben 700 miliardi di dollari, naturalmente freschi di stampa, sulle banche più coinvolte nella bolla speculativa. Settecento miliardi di dollari è una cifra enorme, ma rispetto all’ammontare dei titoli tossici, per non dire dell’intero ammontare dei titoli che circolano sul mercato finanziario globale, sono come una goccia nel mare. Sono serviti a non fare fallire le banche, ma i titoli tossici stanno ancora in giro, e non si sa cosa farne a scadenza.

In Europa, in ossequio alla scuola economica tedesca, gli stati che hanno compiuto salvataggi bancari l’hanno fatto emettendo titoli di stato, apparentemente senza rendersi minimamente conto che tali emissioni avrebbero avuto un effetto ben peggiore dello stampare banconote, come fatto dagli americani.

Mi rendo conto che nulla è meno equo ed eticamente discutibile che stampare denaro fresco, è come rubare a tutti coloro che detengono denaro contante, ma come dicevo altrove, se non se ne impedisce o comunque limita la trasferibilità, i titoli di stato equivalgono al denaro contante, ed in più, maturando interessi, tendono ad autoincrementarsi.

Ora, il problema non è la disponibilità totale di ricchezza, questa c’è, ed anzi ce n’è troppa, ma il fatto che la crisi di sovrapproduzione è stata per più di un decennio curata con emissioni sempre più ingenti di titoli, anche da soggetti privati come le banche d’affari. Il forte spostamento geografico nella produzione di beni, in paesi poi che pretendono di essere autonomi e non colonizzati dal primo mondo, ha spinto i capitalisti americani, giapponesi ed europei ad incrementare la loro attività finanziaria, quella appunto che con la bolla speculativa di fine 2007 ha determinato la crisi epocale in cui ci troviamo pienamente invischiati.

Allora, qui c’è un conflitto, per ora politico, ma che non escludo che possa poi trasformarsi in un conflitto armato, tra i capitalisti che pretendono di prosciugare tutta la liquidità per tentare di salvaguardare il mare di titoli su cui galleggiano, e la gente comune che richiede questa liquidità per i suoi bisogni essenziali, per potere mantenere un minimo di benessere a cui eravamo abituati. Ciò può avvenire soltanto letteralmente bruciando tutti i titoli tossici e ridimensionando il valore facciale di tutti gli altri titoli.

Come vedete, la lotta è davvero all’ultimo sangue, perché i grossi capitalisti, i banchieri si trovano con l’acqua alla gola, si sono messi in un guaio enorme da cui non sanno come uscire. Capiscono che devono succhiare il sangue della gente per andare avanti.

Se domani un governo di una certa rilevanza, mettiamo quello italiano, dichiarasse il default, cioè dicesse che non intende più pagare i propri debiti, se non mettiamo, al 40% del loro valore facciale, crollerebbe tutto questo castello di cartacce su cui viaggiano i famosi mercati finanziari.

Per questa ragione, l’establishment finanziario, a partire dalla BCE, da’ per scontata l’unica cosa che non potrebbe ragionevolmente dare senza argomentare, che cioè bisogna soddisfare le richieste del mercato.

E’ inutile tentare di oscurare il sole, il mercato finanziario è il vero nemico della gente, e ciò indipendentemente dalle persone fisiche che vi operano: è una questione oggettiva che, se la gente pensa a difendere sé stessa, allora quel mare di titoli emessi con tanta leggerezza andranno in fumo, ed interi patrimoni spariranno. Capitalisti con patrimoni enormi, con disponibilità finanziarie praticamente illimitate, potrebbero domani trovarsi a dovere vivere come facciamo noi, comuni mortali, facendo sempre il conto di cosa posiamo e di cosa non possiamo permetterci.

Badate, in ogni caso, anche nel caso di default, non saranno certo rose e fiori, nel breve periodo si creerà un caos, si avranno ostacoli enormi al commercio, ma poi se ne uscirà senza più quei maledetti 2000 miliardi di euro di debiti sul groppone.

mercoledì 28 settembre 2011

RIFLESSIONI SULL'AGNOSTICISMO

Premetto che so che Ratzinger è persona molto erudita, di tantissime letture, un teologo di grandissimo calibro.

Premetto inoltre di avere gradito la frecciata lanciata ai cristiani della domenica, a coloro che vi si riconoscono, ma in maniera passiva.

Capisco quindi perfettamente il riferimento critico a costoro, e posso capire che lanciare queste accuse all’interno di un paragone può svolgere un’efficace azione retorica. Capisco meno, lo confesso, il benevolo riferimento agli agnostici.

Aggiungo che lo capisco tanto poco da suscitarmi perfino il dubbio che egli non conosca il significato della parola “agnostico”, il che, lo ammetto da me, è incredibile per un uomo che della filosofia in senso lato ha fatto un po’ la motivazione della sua vita.

Non sarà che papa Ratzinger giochi invece con questo termine, in modo tale da depotenziare il dilagare dell’agnosticismo nella nostra società?

Allora, sarà bene partire dal significato che ha questo termine, o almeno dal significato che esso ha per me, agnostico convinto (confesso che considero la frase del papa un assist per parlare di una questione per me della massima importanza, ma forse per tanti un po’ pallosa).

Allora, per capire il mio agnosticismo, bisogna partire dal linguaggio. Sembrerà incredibile, ma solo recentemente la filosofia si è occupata del linguaggio, tanto che oggi si può parlare di una filosofia del linguaggio.

Trovo sorprendente la distrazione di tanti filosofi per il linguaggio, proprio a partire dal fatto che esso costituisce il veicolo, l’unico in verità esistente, del nostro pensiero, quello che consente la stessa attività speculativa, che io posso analizzare ed elaborare tesi solo perché dispongo di questo mezzo.

Come ogni mezzo, anche il linguaggio ha i suoi propri limiti, non è qualcosa con cui io possa fare ciò che credo, devo considerare se una determinata attività può trovare nel linguaggio uno strumento ad essa adeguato. Io posso ben disporre di un bel paio di sci, ma non penserei mai di andare sull’asfalto con gli sci ai piedi, perché l’uso degli sci è confinato alla presenza di neve.

Comunemente, nessuno di noi riflette sui limiti del linguaggio, e in verità nell’uso quotidiano il linguaggio sembra uno strumento perfettamente adeguato alle nostre necessità sia di comunicazione che di riflessione interiore. Non sarebbe saggio porci problemi sul linguaggio quando lo si usa in modo convenzionale, ad esempio per scambiarsi semplici informazioni, o quando devo riflettere su come sia meglio collocare una determinata mobilia in una stanza: per tutti questi usi, il linguaggio lavora benissimo e non ha bisogno di essere sorvegliato.

Questa straordinaria adattabilità del linguaggio a contesti del tutto differenti non deve però mai farci dimenticare che esso è in ogni caso un prodotto dell’umanità, è il frutto di una cultura sedimentatasi nel corso dei secoli, e in realtà ogni lingua ha alcune sue peculiarità che la rendono in qualche misura differente da tutte le altre. Certamente, sono riscontrabili tra le differenti lingue tanti elementi in comune, e non si può certo dubitare che la struttura dei linguaggi è strettamente correlata ad elementi fisiologici, a come insomma è costituito il cervello ed al suo modo di funzionamento, così intrinsecamente vocato all’acquisizione ed all’uso del linguaggio, come del resto chiunque può osservare nel procedimento, apparentemente magico, di apprendimento linguistico nei bambini, non possiamo non meravigliarci di come i nostri piccoli riescano ad apprendere i termini ed il loro uso, presto in grado di trasporlo in contesti del tutto nuovi.

Sono convinto che meravigliarci è sempre bene, ma in verità la sorpresa sta nella nostra struttura di uomini, in come siamo fatti, e non nel linguaggio: sorprendiamoci, come dovremmo sorprenderci del sorgere quotidiano del sole. Se la terra gira attorno al proprio asse (come attorno al sole), allora il succedersi del giorno e della notte diventa comprensibile. Allo stesso modo, che il linguaggio sembra creato apposta per noi non è così sorprendente se si considera che è lo stesso uomo che ne è creatore ed utente: è stato costruito sul nostro stampo, e quindi siamo perfettamente adatti, come uomini al suo uso.

Ora, i filosofi amano forzare i limiti del linguaggio, anzi possiamo aggiungere che proprio nell’antica Grecia questo sport di chi usasse più spregiudicatamente il linguaggio è nato ed è stato molto praticato.

Nella scuola eleatica, in Parmenide che ne fu il massimo esponente, abbiamo proprio questa crescente tendenza ad abusare del linguaggio. Per intenderci, Parmenide parla dell’essere e del non-essere. Questa coniazione di quest’espressione, non essere, ha qualcosa di patologico, insomma il grande Parmenide gioca con le parole, le combina seguendo apparentemente le regole grammaticali, ma evidentemente in maniera non convenzionale.

Togliamo un equivoco, io non ho nulla contro un uso non convenzionale del linguaggio, anzi è ciò che ci aspettiamo dalla poesia, tutta la letteratura trova la sua stessa vocazione in un uso particolare, particolarmente significativo, del linguaggio. Anche in saggistica a volte ci si può spingere fino al punto di dovere coniare nuovi termini, ma il punto sta nel fatto che man mano che l’uso si allontana da quello consueto, maggiore deve essere l’attenzione, la sorveglianza, per capire se non stiamo finendo con l’abusare del linguaggio.

A questo punto, conviene dare un esempio esplicito di un abuso del linguaggio, e delle sue regole sintattiche che in realtà funzionano come regole logiche.

Tutti noi usiamo il principio di causalità. Innanzitutto dove lo usiamo, possiamo essere più precisi? Lo usiamo nel linguaggio, è quando pensiamo o parliamo che facciamo uso del principio di causalità, per respirare ad esempio, non ne abbiamo certo bisogno.

Con questa precisazione, ricordo che il principio di causalità prevede che un certo fenomeno debba essere considerato come effetto di una causa che lo precede, e che questa causa sia anch’essa effetto di una causa che la precede. Questo principio è un principio linguistico, che tra l’altro funziona alla perfezione. Pensiamo adesso di usarla ripetutamente, in maniera consecutiva e senza smettere più. Andremmo così a ritroso, ma questo processo a ritroso non può che avvenire all’infinito, perché ogni causa deve, per obbedienza allo stesso principio di causalità, essere effetto di una causa precedente.

Se adesso, per speculare sull’origine del mondo, io ponessi il problema della causa prima, avrei violato il principio di causalità. Non dico, badate, che non è lecito credere nell’esistenza di una causa prima, dico piuttosto che questa credenza non può essere oggetto di argomentazione, deve insomma trovare una sua giustificazione al di fuori del linguaggio e delle sue regole, non è qualcosa su cui sia possibile condurre un dialogo, si può credere, come si suol dire, per fede.

Ora, la fede può venire o da un ambiente conformista, in cui quella credenza è assunta come evidente e nessuno ha motivo o capacità di metterla in discussione, oppure per una folgorazione, come capitò a Paolo sulla via di Damasco. In entrambi i casi, non ha senso discuterla, o almeno per me che prendo sul serio le regole linguistiche, questa discussione non ha senso (come molte altre cose della nostra vita del resto, tipo perché una certa donna mi arrapa, è un’evidenza su cui non ha senso discutere).

Ho così evidenziato, spero chiaramente, le basi del mio agnosticismo, non credo che l’ontologia possa essere oggetto di argomentazione, ognuno è ben libero di credere ciò che gli aggrada, ma tali credenze non possono essere oggetto di argomentazione razionale, al massimo costituiscono letteratura.

Si può vivere senza ontologia, senza avere la più pallida idea di cosa sia l’essere in sé? Io direi di sì, credo che si tratti di false questioni, e che la serenità o la felicità nella propria vita si può ottenere senza appassionarsi punto per l’ontologia.

Per il resto, per l’intima convinzione di vivere in una realtà in fondo misteriosa, ritengo di dare una grande importanza alla dimensione del sacro nella mia vita, di sacro, non di religioso, perché ritengo che le religioni rivelate, nella loro pretesa di dare ragione di tutto, di fatto distruggono ogni dimensione di mistero, e dove non c’è mistero, non c’è sacralità.

martedì 27 settembre 2011

E' UFFICIALE: NON HANNO LA MINIMA IDEA DI COSA FARE

Se ho capito bene (in caso contrario correggetemi pure), gli Stati Uniti, assieme alla raccomandazione del tutto condivisibile ad essere tempestivi, cosa ancora rimprovera all'Europa (leggi Germania)?
Rimprovera di non contribuire a megttere ordine sui mercati. Insiste insomma nella strategia già adottata ormai quasi quattro anni fa da Bush proprio alla fine del suo mandato: per affrontare il problema della eccessiva liquidità immessa irresponsabilmente dalle grandi banche soprattutto anglosassoni (USA e Gran Bretagna), non trova di meglio che inondare con banconote il mercato.
Dice bene il ministro delle finanze tedesco che una terapia che si basi su crescenti dosi di veleno, non èuna terapia credibile.
Ora, non è che Obama, Federal Reserve e FMI non capiscano anche loro che sotituire la massa accumulata di titoli con denaro non possa costituire una vera terapia, ma come già dicevo, se l'obiettivo è tirare a campare il più possibile, allora inondare di denaro i mercati come ormai anche la BCE pare rassegnata a fare, sia un modo per allontanare il momento della resa dei conti.
Il mio timore è che questo genere di cure, oltre a spostare temporalmente i problemi, contemporaneamente li aggravi, e che quindi quando galleggeremo su una massa di denaro immane, quando non sarà più possibile rinviare la soluzione perchè nessuna misura riesce neanche più a determinare rinvii, allora le ipotesi di conflitti bellici non saranno così ipotetiche.
Seguivo ieri "L'infedele", e sono rimasto colpito dalla mancanza di senso della responsabilità dei partecipanti.
A proposito dell'euro, Mucchetti ad esempio poneva la questione dell'euro in maniera del tutto inadeguata. Inpolitica, quando si fa un tentativo, non ci si può certo fidare del detto "provar non nuoce", perchè il crollo dell'euro, la fine del progetto di unione monetaria non è che riuporti indietro le situazioni, lascia invece le nazioni con risentimenti reciproci, Che la Merkel dica che se cade l'euro cade l'europa è gravissimo, che anche la grande informazione, i commentatori convengano su questo aspetto, e nessuno si renda conto che se fallisce l'europa, crescono enormemente i pericoli di gravi scontri intereuropei costituisce un'ulteriore elemento di preoccupazione.

sabato 24 settembre 2011

BANCONOTE E TITOLI DI STATO

Forse, di fronte a una crisi economiuca contemporaneamente così grave ed anche del tutto incomprensibile, vale la pena di fare qualche riflessione generale sul funzionamento dell'economia.
Premetto che non sono esperto in materia, e che le mie considerazioni derivano soltanto da alcune letture sparse e dalla mia personalissima analisi, e sono pronto ad accettare critiche e cambiare corrispondentemente opinione.

Cominciamo dunque dal denaro: cos'è il denaro?
Se prendiamo una banconota di oggi, esprtessa quindi in euro, non v'è scritto nulla, solo importo e numeri di serie varie per l'identificazione della specifica banconota.
Ricordo però che le vecchie banconote, e presumo che ciò sia valso fino all'esistenza della lira, ripartavano un "pagherò", cioè l'impegno dello stato italiano ad onorare il valore facciale della banconota.
Poco importa che non si capisce come uno stato possa garantire il valore del denaro, non si capisce neanche cosa dovrebbe fare per onorare la promessa. La cosa che emerge chiaramente è che il denaro è una forma di titolo di credito.
Se oggi un riccone acquistasse un'isola sperduta nell'oceano pacifico e proclamasse uno stato indipendente, la prima forma di autorità statale sarebbe proprio quello della stampa di denaro espresso nella valuta nazionale, che dovrebbe esprimere la ricchezza di quella nazione, cioè lilvalore commerciale del complesso delle merci lì esistenti.
Tradizionalmente, lo stato e chi lo rappresentava legalmente, aveva il diritto di stampare moneta, cioè aveva il potere di decidere il livello di indebitamento del proprio stato. Stampare più denaro non è ovviamente senza effetto, perchè al contrario tende a generare inflazione e svalutazione rispetto alle altre valute. A cosa è dovuto l'effetto inflattivo? Al fatto che circolano più titoli di credito (le banconote), troppi rispetto alle merci effettivamente disponibili, per cui chi possiede un bene tende a chiedere più denaro per esso.
Ora, andiamo a vedere cosa succede se uno stato non può o non vuole stampare banconote per coprire il proprio fabbisogno. L'alternativa è quella di emettere titoli di stato. E i titoli di stato cosa sono? Ovviamente titoli di credito, allo stesso modo di come lo sono le banconote.
Vi può essere una differenza? L'unica differenza che può esservi sta nella scambiabilità. Considerato che il denaro è il mezzo economico più scambiabile di tutti, il titolo di stato può avere una movimentazione più modesta. Ciò potrebbe essere dovuto anche ad una norma legale, che ne impedisse lo scambio, imponendo il riscatto aa scadenza da parte dello stesso soggetto che lo ha a suo tempo acquistato. Può trattarsi di una prassi o di una gravosità dello scambio, ma qualunque sia il motivo, se un titolo di credito resta nelle stesse mani, non può essere assimilato al denaro, diventando un patto bilaterale tra cittadino creditore e stato.
Ebbene, oggi i titoli di stato vengono scambiati vorticosamente, e quindi la loro mobilità è grande, simile a quella dello stesso denaro.
La domanda che mi pongo è semplice: quale sarà il vantaggio dello stato a emettere titoli di stato piuttosto che banconote? Se emetto titoli di credito senza la necessaria copertura in merci, genero comunque un eccesso di mezzi finanziari, ma nel caso dei titoli di stato, questo deve accollarsi la spesa per interessi, senza lo stesso eliminare il problema dell'inflazionarsi di titoli di credito sul mercato. A me non sembra una buona condotta, ci sarà qualche economista che mi spiegherà dove sbaglio e perchè quindi ci sono stati che hanno scelto di rinunciare all'opzione sicuramente meno gravosa della stampa di banconote.

Supponiamo adesso che le banche a un certo punto non si limitino a fare il loro mestiere, quello cioè di farsi dare denaro in prestito da risparmiatori e prestarlo a loro volta a imprenditori che lo utilizzino per la loro attività produttiva. pensano queste banche che si può guadagnare molto di più se, invece di collocare il denaro versato dai risparmiatori su un loro conto personale, lo utilizzino a garanzia di un titolo di credito da loro emesso. Adesso, da un euro di deposito, sono passati a due euro, uno di titoli, ed uno del denaro originale che danno comunque in prestito.
Ecco, penso che questo descriva in maniera probabilmente semplicistica ma spero efficace ciò che è successo sul mercato fianziario internazionale.
Sarebbe interessante discutere su come tutto ciò sia potuto accadere, se per distrazione degli stati o per complicità, se in autonomia da parte del sistema bancario, o in collegamento con il resto dell'economia, ma su questo non posso dilungarmi.
Fatto sta che la mancata stampa delle banconote, comunemente spacciato comportamento virtuoso, ha generato un mercato dei titoli di credito di dimensioni colossali e, visto che gli investitori cominciano a porsi il problema di chi pagherà alla fine questa massa immane di titoli, ma nello stesso tempo non vedono alternative credibili di investimento (ci provano con l'oro, ma la cosa è possibile solo per i grandi investitori, per gli altri il possesso di oro è molto complicato ed oneroso), la situazione apparre senza soluzione, e l'unica cosa che fanno gli operatori finanziari è galleggiare, attaccare i titoli italiani per lucrare su di essi, e poi a turno su altri, piccole speculazioni che non spostano di niente il problema in sè della fine che questi titoli-cartaccia devono fare.
Trovo singolare e masochistico che gli stati non si tirino fuori da questo gioco al massacro, e che pensino invece a come apparire più vantaggiosi rispetto ai paesi rivali, ma queste cose che scrivo, e non sono certo il primo a farlo, non sono rilevanti in un mondo che non è in grado di compiere scelte il cui effetto vada oltre un arco temporale di un anno al più.

venerdì 23 settembre 2011

L'IDEOLOGIA DELLA PROSTITUZIONE

Accennavo in un precedente post all’intervista a Terry De Nicolò, una delle tristi protagoniste di questa stagione politico-scandalistica.

Con la presa di posizione esplicita a favore della prostituzione, quasi esaltata nel suo delirante discorso, ella, forse inconsapevolmente, suscita un rinnovato dibattito sull’argomento nel campo opposto al suo, quello della sinistra, o di ciò che di questa rimane.

Sono posizioni che si sono confrontate anche in occasione delle manifestazioni con la parola d’ordine “Se non ora quando”, e le organizzatrici si sono trovate nella scomoda situazione di trovare un difficile equilibrio.

Bisognava combattere una battaglia ideologica contro la riduzione della donna ad oggetto sessuale, ma nello stesso tempo bisognava evitare la colpevolizzazione della prostituzione in sé, il garantire la scelta individuale di ogni persona di adire a questa scelta, di vendere le proprie prestazioni sessuali.

Ora, partiamo dal fatto che nessuno vuole mettere in discussione che la prostituzione non costituisca reato, è scontato che ognuno venda ciò che crede di sé, fa parte dell’arco delle sue personali scelte legalmente lecite.

Quindi, almeno sulla non punibilità della prostituzione, siamo tutti d’accordo.

Dopodiché, ci si torna a dividere.

Ci sono coloro che, soprattutto tra i più giovani, ritengono che la prostituzione sia una scelta non solo contemplabile, ma in alcuni casi anche opportuna. Perché, argomentano costoro, fare la commessa precaria per poche centinaia di euro mensili, quando questa stessa cifra può essere ottenuta magari con una o due prestazioni sessuali settimanali? (Scusate l’approssimazione, non sono esperto in materia…). In fondo, vendi sempre il tuo tempo, sia in un caso che nell’altro, almeno fatichi meno.

Questa è una posizione che proprio non capisco, cioè la capisco, ma non vedo come, una volta accettata la contemplabilità del prostituirsi, si possa poi criticare le olgettine ed anche il circolo dei festini di Arcore e lo stesso Berlusconi. Se siamo indifferenti rispetto a una scelta tra un duro e misero lavoro, gli unici che oggi un giovane possa minimamente sperare di ottenere, e il prostituirsi, allora sembra abbastanza logico che si punti in alto, che si voglia partecipare a questi festini per beccare cifre che passano dal centinaio magari a svariate migliaia di euro. E se quindi chi va ad Arcore è solo più furba di chi esercita per strada, alla fine dovremo convenire che Berlusconi è, com’egli si ostina a dire, un benefattore: senza Berlusconi, niente olgettine, e niente arricchimenti rapidi per le giovinette.

Ci sono poi coloro che aborriscono la prostituzione, ma sono molto attenti a distinguere il fenomeno in sé, dagli specifici casi personali: insomma, colpiamo la prostituzione, ma non le prostitute. Nel caso degli scandali di Arcore, hanno ad esempio difeso le olgettine.

E’ certo una posizione rispettabile, mi chiedo solo se non sia troppo acrobatica. Insomma, critico il fenomeno in sé, ma non il suo farsi caso concreto: sarà allora la critica credibile? L’intervista alla De Nicolò poi, nel suo rivendicare una sua ideologia coerente ed implacabile della prostituzione, rende ancora più precario l’equilibrio richiesto da questa specifica posizione.

E’ un crescendo, a mio parere tendenzialmente inarrestabile. Prima, le varie Carfagna entrano, mediante una legge elettorale ignobile fortemente difesa anche a sinistra, in parlamento, alcune di loro diventano anche ministri, e la tattica è quella di tacere sui trascorsi, non si nega ma si glissa.

Ora, con la Terry, si rivendica con orgoglio la propria scelta. Poco importa qui quanto questa tizia reciti sotto dettatura o se ne sia realmente convinta, il problema sta nel fatto stesso di dire, di rendere quindi una certa presa di posizione possibile, una possibilità tra altre.

In una nazione fortemente colpita sia economicamente che moralmente da quasi ventanni di berlusconismo, la confusione regna sovrana, e il degrado rischia di diventare inarrestabile, soprattutto tra i più giovani, così colpiti da una crisi che impedisce loro di accedere a privilegi che sono stati disponibili per i loro genitori.

Credo quindi che avere una posizione chiara e comprensibile, non dico certo condivisibile, a tutti, sia prima di tutto doveroso, e pazienza se si dovrà “fare delle vittime”, coinvolgere cioè persone fisiche concrete nella polemica. Non ho certo un piacere particolare a coinvolgere questa o quella olgettina in polemiche, ma mi sembra assolutamente necessario per invertire una rotta di degrado che rischia di risolversi alla fine in una tragedia forse anche violenta: meglio fermare questo processo prima possibile, perché il suo prolungarsi può solo rendere la situazione sempre più grave.

Mi pare in ogni caso importante collegare il problema della prostituzione al tema ben più generale della mercificazione a cui assistiamo in questa società. Così inquadrata, la crociata antiprostituzione diventa una battaglia politica di significato più generale, non un’ondata di bieco moralismo, ma una battaglia ideologica centrata sul rapporto tra umanità e denaro.

mercoledì 21 settembre 2011

MA QUANT'E' DURA ESSERE UN CAPITALISTA ITALIANO!

Però, questi industriali nostrani mi fanno tanta pena.

A primo acchito, mi ricordano una vecchia telenovela, che s’intitolava “Anche i ricchi piangono”, e di questi tempi, piangono tanto, basta pensare quanto perdono giornalmente per le disavventure sui mercati finanziari.

Ora, io dico, è almeno dal 2008, da quando cioè ha vinto nuovamente le elezioni, che Berlusconi si comporta allo stesso modo.

La vittoria del 2008 è stata per certi versi clamorosa, questo brianzolo si è trovato di colpo con una consistente maggioranza in un Parlamento che con il sistema elettorale tuttora in vigore era costituito da suoi nominati, una dittatura strisciante insomma.

Psicologicamente, si capisce che egli abbia avvertito questa situazione come un suo completo trionfo, e che si sia generato un sentimento di demotivazione verso la politica.

Un uomo che ha vinto troppo, prima come imprenditore, e dopo nella politica. Si potrebbe a lungo disquisire su che paese sia l’Italia, in cui una persona di cultura modesta, riesca praticamente solo in virtù di una eccezionale forza di volontà, uno che interpreta la discussione come il raccontare barzellette, sia riuscito a prevalere con tanta facilità, dove stiano insomma i meccanismi di selezione.

Fatto sta che, dopo aver superato i settanta anni, l’unico suo interesse sia diventato il sesso in forme e modi inconsueti.

Ora, si sa che il giusto per il Corano avrà dopo la morte un harem di svariate vergini, e questo circondarsi di giovani fanciulle tutte a propria disposizione è un mito archetipico direi, del maschio. Il punto non sta nei propri sogni che magari nessuno di noi si può scegliere, ma nel distinguere tra sogno e realtà. Ebbene, Berlusconi ad un certo punto si è sentito così potente, e nello stesso assolutamente privo di qualsiasi vincolo morale, che ha deciso di accedere a questo sogno.

La cosa in sé non sarebbe di grande interesse, salvo verificare almeno la maggiore età delle signorine compiacenti, ma diventa invece della massima importanza e gravità per via dell’entourage davvero raccapricciante che si viene a creare attorno alla sua persona, entourage di cui diviene in sostanza prigioniero.

Ora io dico a Confindustria, alla Marcegaglia ed ai suoi colleghi industriali, ma voi dov’eravate? Posso capire che fino alla vicenda di Noemi la cosa non fosse nota, ma dopo, chi, mi chiedo chi può davvero dire che non sapeva?

E le vicende della Protezione civile, possono dire Gianni Letta e lo stesso Tremonti che non sapevano di ciò che faceva Bertolaso, di cosa facesse Baldini? Ma siamo quindi in un paese di ciechi?

Dove eravate, e parlamentari della maggioranza, dove siete oggi? Cosa osservano i vostri occhi così ostinatamente da non vedere ciò che non si può non vedere?

La verità è che non esiste uno spirito di interesse generale. Il governo Berlusconi andava pungolato, qualche piccola critica di contorno, ma poi, se c’era qualcuno che rubava, se il problema del debito non veniva minimamente affrontato, se l’efficienza delle strutture statali diminuiva, magari per fattori corruttivi, tutto questo non era importante, finchè la barca va.

Quando si svegliò Confindustria? Quando le grandi finanze internazionali, i famosi squali, hanno scelto l’Italia come loro prossima preda. A questo punto, l’aplomb confindustriale, la proverbiale riservatezza di tali ambienti è di colpo cessata, ed ieri finalmente sono state chieste esplicitamente le dimissioni del governo. Il fatto è che alla fine di ogni giornata, questi nostri piccoli capitalisti guardano le loro azioni, e devono accorgersi di quanto hanno perso con il calo delle quotazioni di borsa, guardano ai titoli di stato che hanno in portafoglio e, al crescere dello spread, calano le quotazioni di quello che una volta si considerava il classico bene rifugio.

Per questo, i capitalisti sono i primi a chiedere di pagare loro stessi la patrimoniale, perché essi la pagano ogni giorno già adesso, e senza ottenere alcun miglioramento dei bilanci pubblici.

Messi nel banco degli accusati dai loro ben più potenti colleghi internazionali, ora chiedono di essere tassati, chiedono rigore, naturalmente nei confronti dei poveri, ma sanno nello stesso momento che non hanno carte in mano, che se gli squali seguiteranno a vendere i nostri titoli di stato, potrebbero portare i tassi d’interesse così tanto in alto, da rendere impossibile il loro pagamento, qualunque siano i sacrifici che ci imporranno.

Ecco che la Marcegaglia, dopo avere scacciato il tristo Berlusconi, a quattro zampe andrà a chiedere la clemenza degli squali: ma che squali sarebbero se praticassero la clemenza verso le proprie vittime?

martedì 20 settembre 2011

LA MERKEL E GLI APPRENDISTI STREGONI EUROPEI

Ieri, la Merkel, cancelliere tedesco, ha pronunciato una frase, la cui riulevanza a mio parere non è stta sufficientemente colta.

Come forse sapete, la merkel ha detto che se cade l’euro, cade l’Europa.

Due quesiti si pongono rispetto a tale affermazione, l’uno è il suo significato, e l’altro quale sia l’interlocutore a cui essa è rivolta.

Partendo da quest’ultimo aspetto, abbiamo tre classi di interlocutori. Il primo è interno alla Germania, ed è costituito dal parlamento tedesco. In questo il monito starebbe nel non essere troppo severi nel concedere prestiti ed aiuti ai partners dell’eurozona. Il secondo sarebbe lo stesso mercato finanziario, a cui si direbbe che stanno scherzando col fuoco: pensano di fare un’operazione speculativa, e in realtà determinano un caos a livello di politica internazionale. La terza ipotesi è esterna alla Germania, ma interna all’eurozona. In tal caso, il monito starebbe nel non pensare di abbandonare l’euro, magari dopo aver scelto di fare default, perché ne seguirebbero conseguenze polticihe complessive nello stesso tema delle alleanze.

Tutte le tre ipotesi che ho descritto sembrano plausibili, e nulla vieta che la frase sia rivolta a tutti questi tipi di interlocutori.

In ogni caso, rimane fermo il concetto di far coincidere destino della moneta unica e dell’Europa. Questo è appunto l’aspetto che trovo estremamente grave, di affermare che il fallimento di una ipotesi di tipo in fondo solo valutario, possa trascinare con sé lo stesso processo di integrazione europea.

Per la Merkel quindi, l’Europa può essere costruita solo attraverso un processo finanziario-tecnicistico-dirigistico: come si possono fare allegramente affermazioni così pesanti?

Se davvero domani l’Italia decidesse per l’uscita dall’euro per potere attuare il default, si dovrebbe aspettare uno scontro aperto e totale con la Germania. Dicevo in un precedente post che questi politici europei mi appaiono come degli apprendisti stregoni, incapaci di cogliere il pericolo insito nei propri stessi atti di governo. Se davvero, come ipotesi peggiore di tutte, il messaggio della Merkel è indirizzato ai paesi in difficoltà come la Grecia e l’Italia, allora esso suona come una minaccia vera e propria, e le minacce non si sa mai a cosa portano, senza accorgersene, perfino le armi possono essere evocate.

Purtroppo, la Merkel è in buona compagnia, tutti questi tromboni che blaterano di Europa e parlano in verità di portafoglio. Ora, parlare di portafoglio è cosa del tutto rispettabile, ma utilizzare gli ideali di integrazione europea col loro forte carico geopolitico per questi bassi scopi è un gioco sporco, e chi si presta a confondere denaro ed ideali, confondere dico e non tenerne conto, che è tutt’altra cosa, è un criminale che neanche sa di esserlo, e quindi doppiamente pericoloso.

Con l’infelice frase della Merkel, è stato varcato quel sottile confine tracciato tra interessi economici e politici in senso complessivo. Questa donna piccola piccola, che qualcuno osannava anche in rete perché la Germania cresce (ha già smesso, eh!), sta trasformando una questione valutaria, di importanza limitata, in una questione di politica internazionale. Tutti dovrebbero ricordare che la Germania già in passato è stata vittima della sindrome di accerchiamento, e sappiamo tutti come è andata a finire, ci sarà sempre qualcuno disposto a suscitare sentimenti esterofobi: possibile che la Merkel sia tanto sprovveduta da non cogliere quanto la sua frase possa avere effetti dirompenti?

lunedì 19 settembre 2011

LA LEGA RISECESSIONISTA

Non hanno via d’uscita, tentano in tutti i modi di divincolarsi, ma in gabbia restano.

Questo è ciò che osservo guardando l’attuale maggioranza di governo.

Il PDL è ormai legato mani e piedi al suo fondatore, il povero Alfano si palesa senza più velo alcuno cpome il maggiordomo del suo signore e padrone a cui non smette più di dichiarare fedeltà eterna: due volte al dì come le pillole prescritte dal medico.

Il motivo è ovvio, senza Berlusconi, questi vanno subito al fondo, soprattutto tutti questi parlamentari vanno a casa, con la prospettiva di rimanerci per sempre, magari di doversi trovare un lavoro, uno vero insomma, non quello di incensare il loro procacciatore di seggi parlamentari. Per andare, a fondo ci andranno in ogni caso, ma meglio rinviare, non si sa mai, e trascorrere ancora una trentina di mesi come parlamentare può rappresentare un obiettivo meritevole di per sé di essere perseguito.

Anche per la Lega, le cose apparirebbero analoghe, dopo le intemperanze giovanili e le dieci domande (molto impertinenti invero) rivolte a Berlusconi dopo il divorzio a metà degli anni novanta, Bossi ha compreso che Berlusconi era anche per lui e la Lega tutta la vera fonte di fortune di ogni genere. Cosa alla fine degli anni novanta questi due personaggi si siano detti, non lo sapremo mai, ma certo Berlusconi convinse Bossi a fare comunella e da allora, il loro sodalizio è andato avanti con grande solidità, senza ulteriori tentennamenti.

Oggi, nel momento della crisi del consenso al centrodestra (cioè a Berlusconi, per intenderci, gli altri fanno da corte dei miracoli), si crea una dissimetria. Da una parte, il PDL, come dicevo, non può che subire pedissequamente la sorte politica del suo fondatore: chiunque volesse oggi fare l’operazione di raccoglierne l’eredità, si troverebbe una levata di scudi da parte di questi cortigiani che non vogliono accelerare il momento dell’abbandono del seggio parlamentare.

Dall’altra, la Lega, che si è abilmente costruita con una miscela molto dozzinale ma anche efficace di mitologie varie, collegate in maniera incomprensibile ad una rivendicazione di autonomia territoriale, soffre a dovere essere trascinata sul fondo dalla caduta clamorosa di Berlusconi. I dirigenti leghisti sanno che Bossi si è costruita una sua struttura clienterale, che non nasconde i suoi interessi personali a garantire soldi e futuro ai suoi familiari e parenti, e che insomma il patto di ferro con Berlusconi si basa proprio sul fatto che Bossi si è fatto convincere a cedere un po’ della sua durezza-purezza a favore di dosi crescenti di clientelismi e favoritismi, proprio in pieno stile “Roma-ladrona”, tanto vituperato a parole e tanto praticato nei fatti.

Poiché anche i Leghisti non vogliono buttare il giocattolo (la Lega) che tante soddisfazioni dona a tutti quanti, solo perché ci si è accapigliati su come giocare, chi si oppone a Berlusconi punta su un Bossi sempre meno protagonista, una specie di padre nobile (sic!) della Lega, e, per mettere tutti d’accordo, non si può che tornare ai vecchi ritornelli della secessione.

Questa quindi della ripresa dei vecchi temi autonomistici è per la Lega una via obbligata, perché permette di rimanere solidale al governo senza diventare una fotocopia del PDL, e perché permette di tenere assieme tutta la Lega.

Seppure obbligata, questa via è realmente percorribile? A me pare di no, perché non capisco proprio come i secessionisti del Nord, la cui consistenza numerica non conosco, possano avere ciome riferimento la Lega di Bossi e tutto il centralismo che ha comportato, avendo allontanato, dire definitivamente, ogni possibilità di federalismo con una controriforma, che ha sempre più consegnato gli Enmti territoriali alle decisioni del governo centrale, o potremmo dire dell’Europa, o ancora potremmo altresì dire della cricca affaristico-mafiosa che governa il mondo.

La Lega, lucrandone qualche briciola, ha rappresentato un anello decisivo della catena che ha consegnato le realtà locali alla soffocante potere unificante e totalizzante del potere finanziario globale: mi chiedo quanto sprovveduti dovrebbero essere questi potenziali secessionisti per stringersi attorno a uno come Calderoni.

Ma si sa, la verità può essere anche inverosimile.

venerdì 16 settembre 2011

CHE VERGOGNA I QUOTIDIANI DI OGGI!

Così, quotidiani e notiziari vari sono invasi dalle notizie delle intercettazioni relative all'inchiesta di Bari, che in qualche misura coinvolge lo stesso Berlusconi.
Ora io vorrei dire, ma questi giornalisti ed i loro editori non si vergognano mai?
perchè io vorrei capire dove sta la notizia, cosa queste intercettazioni aggiungerebbero a ciò che già anche le pietre sanno in Italia. Non voglio qui dire che esse non abbiano rilevanza processuale, questo certamente non lo potrei affermare, sta ai magistrati inquirenti e giudicanti valutarlo (anche se la loro mole certamente qualche perplessità me la genera), ma a cosa serve a noi, utenti del settore dell'informazione?
Per dirla francamente, mi pare possa servire soltanto a stuzzicare curiosità voyeristiche, un pettegolezzo di pessima lega.
Intendiamoci, sapere che la D'Addario ed altre sono andate a palazzo Grazioli, dove hanno liberamente potuto fotografare ciò che hanno voluto, mandate dietro pagamento da gente come Tarantini per intrattenere il premier, è stato utile, anche per capire fino a che punto si spingesse la dipendenza di Berlusconi dai suoi vizi privati e quindi i connessi vincoli a governare ed ad occuparsi del bene comune.
Chi mi segue, sa che, pur non dando centralità a questo tipo di informazioni, non ho mai precedentemente ritenuto di dovere criticare il comportamento del settore dell'informazione.
Stavolta però, permettetemi di chiedermi ancora dove stia la notizia, come la raccolta di ulteriori dettagli possa costituire davvero elemento di migliore informazione dei lettori e dei cittadini.
In verità, dei vizi privati di Berlusconi sappiamo già tutto ciò che possa apparire politicamente rilevante (o è politicamente rilevante la sua fissazione per il lato B ???), e ritengo vergognosa questa invasione delle prime pagine da parte di questo tipo di notizie.
E' davvero così, qui da buttare giù non c'è soltanto un intero ceto politico, ma tutto il connesso circolo dirigente, in primis quello dell'informazione.

giovedì 15 settembre 2011

COME SI E' DISTRUTTO OGNI PROGETTO DI INTEGRAZIONE DEMOCRATICA EUROPEA

Così, ieri Barroso ha riproposto un passo avanti verso l’integrazione europea, quella federazione europea che appare oggi come una prospettiva assai lontana.

Barroso però, è Barroso, e quindi immagina questo cammino a suo modo, in intima coerenza con il suo modo di operare in questi anni: ancora una volta, è sul piano finanziario che si immagina il progresso dell’integrazione, non bastò l’euro, proviamo ora con l’eurobond, con tutte le condizioni al contorno che questo impone, quanto meno per farlo accettare alla recalcitrante Germania.

A questo punto, un concetto che già espressi in post precedenti, va qui ribadito: non c’è alcun processo di integrazione europea che meriti di essere accelerato, ciò a cui assistiamo, è un percorso assolutamente fallimentare e che cozza proprio con qualunque spirito autenticamente federalista.

Le parole di Barroso invece, come del resto il rinnovato intervento politico del tutto inappropriato del nostro presidente Napolitano, allontanano di fatto la prospettiva di un’integrazione europea come processo democratico: non essendolo, questo processo in corso, nel momento in cui viene sostenuto e promosso, allontana ogni possibile via alternativa, quella democratica, dal basso. Il risultato è pertanto quello di distruggere l’Europa, senza che questa classe dirigente europea si renda minimamente conto di quanto pericolosa appaia questa coazione a ripetere gli errori, a mantenere un percorso che si è rivelato finora così disastroso.

Dire che l’euro ha unito l’Europa, e che per fare un passo in avanti ci dobbiamo affidare all’eurobond, sarebbe come dire che il vorticoso movimento di capitali a cui si assiste sui mercati finanziari del globo intero, e che è la causa della crisi in corso, hanno reso il mondo una grande federazione, ha integrato gli stati. Niente di più falso ovviamente, l’integrazione finanziaria ha semplicemente distrutto le sovranità nazionali, sostituendole con una sovranità globale da parte dei grandi capitali. In questo senso, i pericoli dello scoppio di conflitti all'interno stesso dei paesi più sviluppati aumenta, ed il mondo diventa al contrario sempre più diviso, sempre più obiettivamente in competizione per sfuggire ai guai finanziari.

Per questo, per l’evidente fallimento di un’intera classe dirigente europea, occorre necessariamente un momento di tabula rasa. Essa dovrebbe consistere nella sconfessione di simili personaggi, e la loro sostituzione con una nuova classe dirigente che sia in grado di segnare questo momento di forte discontinuità.

Diciamolo, non ne possiamo più di questi dirigenti, di questa scelta meschina, ad esempio, di costituire un Consiglio d’Europa, una specie di governo europeo, con persone di basso profilo, allo scopo che si possa essere certi che non facciamo ombra ai governanti dei singoli stati.

Per rimanere in Italia, non ne possiamo più dell’Europa di Napolitano, di Prodi, di Amato, di Draghi, di coloro cioè che hanno immaginato un percorso dirigistico, rivelatosi poi tanto inefficace quanto antidemocratico. Di questa Europa, nulla va salvato, dell’Europa in cui un funzionario quale Trichet, senza alcuna legittimazione democratica, manda una lettera al governo italiano, ingiungendogli alcune condizioni, e trova sponda in Napolitano, in Draghi, a quanto si dice coautore della lettera, e in vari personaggi senza qualifica specifica, quali Monti, Profumo e così via dicendo. Quest’Europa non è insomma la copia imperfetta di un modello di Europa desiderabile, e per alcuni utopica, è l’esatto contrario, e come tale ne rappresenta una tesi avversa: puntare tutto sull’euro e sull’eurobond, e poi sull’eventuale posteurobond, non è la prospettiva realistica per costruire l’Europa, ma piuttosto essa rappresenta l’affossamento di ogni prospettiva di costruzione democratica europea.

martedì 13 settembre 2011

L'AUTOCASTRAZIONE DELLE NORME SUL PAREGGIO DI BILANCIO

Inserire in Costituzione una norma che obblighi al pareggio di bilancio, prima ancora che sbagliato, è assurdo, e tenterò di argomentarlo in termini economici.

Prima però permettetemi di utilizzare una metafora: sarebbe lo stesso che la Chiesa cattolica, che prevede la castità per i sacerdoti, decida di imporre la castrazione a chi voglia prendere i voti. In altre parole, per essere certa che i sacerdoti non violino il vincolo di castità, la rendono fisiologicamente impossibile. Mentre insomma un parlamento può liberamente legiferare per raggiungere il pareggio di bilancio, suona come masochistico imporselo come vincolo costituzionale, un’autocastrazione volontaria senza alcuna apparente logica.

Ma prima ancora, dobbiamo chiederci se questo pareggio di bilancio sia augurabile, se ci sia tra gli economisti, ma anche nelle politiche concrete dei governi, un consenso unanime sui meriti di un bilancio in pareggio. Ricorderò che prima dello scoppiare della crisi, l’Europa, sempre all’avanguardia, soprattutto in Germania, nel magnificare l’importanza di bilanci statali sotto controllo, imponeva un deficit inferiore al 3% del PIL, e debiti inferiori al 60% dello stesso PIL.

Il trattato di Maastricht, che molti di noi considerano un grave errore europeo, era insomma molto più indulgente nel porre vincoli agli stati. E’ davvero illuminante osservare come lo scoppiare della crisi finanziaria spinga gli stati, soprattutto quelli più soggetti alla speculazione internazionale, ad essere più realisti del re: come dire, non solo farò il bravo come la Germania, ma anzi vi mostrerò che sono il primo della classe, che più rigorista di me non ci può essere nessuno.

Si tratta insomma di un atteggiamento di resa verso un fenomeno, quello della crisi finanziaria, che ancora oggi nessuno si azzarda ad affrontare rigorosamente nelle sue cause e nelle terapie conseguenti. E’ come se, per usare un’altra metafora, qualcuno si accorgesse che la sua casa ha problemi strutturali di origine non definita, e, invece di approfondire l’analisi per scoprirne cause e possibili soluzioni, mostrasse ai vicini che ha eliminato gli spifferi degli infissi: eliminare gli spifferi, non contribuisce neanche un poco a risolvere i problemi strutturali, serve solo a sprecare altre risorse economiche preziose in una direzione impropria.

Se quindi mai nessun governo, neanche quello tedesco sempre portatore di una teoria economica ben più rigorosa di quelle in voga nel mondo anglosassone, si è mai sognato di considerare come il bene supremo il pareggio di bilancio, risulta davvero incomprensibile questo DDL costituzionale, che ci ricorda ancora una volta come il governo Berlusconi- Bossi-Tremonti sia il peggior governo possibile.

Se poi passiamo agli economisti, vediamo che quelli più seri non possono che mettere in seria discussione i meriti di un bilancio statale così ingessato. Dico seri nel senso che tentano almeno vagamente di porsi in un’ottica che inquadri il fenomeno economico nella sua completezza, e non che si limiti a dire cosa fare oggi perché lo spread non salga. Chi si mette nell’ottica di avere il consenso immediato del mercato, non può che avere quella ricetta, ma in questo caso non avremmo bisogno di esperti, chiunque di noi capisce che per abbassare i tassi d’interesse sul nostro debito, bisogna mostrare di volerlo ridurre, basterebbe la proverbiale casalinga di Voghera. E’ triste vedere quanti cialtroni ci siano in giro a spiegarci queste ovvietà che, proprio in quanto tali, nascondono la vera natura della crisi e le possibili soluzioni che si dovrebbero prospettare.

Qui, vorrei riportare il link all’articolo con cui l’economista Alberto Bagnai è intervenuto a un forum sull’argomento ospitato anche dal quotidiano “Il Manifesto”. Riassumendo, e quindi tralasciando le argomentazioni lì esposte (raccomando pertanto la lettura integrale), Bagnai conclude che i deficit di bilancio non siano rilevanti ai fini dell’equilibrio economico, ma che lo siano le bilance dei pagamenti. Le bilance dei pagamenti a loro volta sono la somma delle bilance commerciali, cioè il risultato delle esportazioni e delle importazioni di merci, e dei movimenti di capitali, e quindi il deficit di bilancio rientrerebbe in gioco solo per quanto attiene la quota di crediti (titoli di stato) detenuta all’estero. L’autore però si sofferma soprattutto sulla bilancia commerciale, e mostra come esso sia funzione della politica dei cambi: chi importa troppo, si indebita e conseguentemente la sua valuta si svaluta, determinando così un vantaggio di competitività che ripristina l’equilibrio della bilancia commerciale. Conclude l’autore che quindi il problema sta nell’euro perché impedisce l’instaurarsi di questo meccanismo di compensazione.

Ho riportato questo articolo perché attinente al tema del post, ma non perché io sia d’accordo con l’autore.

Ad esempio, che l’euro introduca dei problemi suoi propri, io non avrei dubbi, ma ciò non spiega perché è tutta l’area euro, Germania compresa, ad essere nella tempesta, perché lo sia tutto il primo mondo, inclusi USA e Giappone. A me pare che ogni economista si appassioni alla propria tesi, e concentri così la propria attenzione a singoli aspetti. Che un deficiti di bilancio sia costantemente in rosso, lo sosteneva Keynes, e l’Europa del welfare, quella che andò avanti fino ai primi anni ottanta, lo praticava. Dire che il pareggio di bilancio sia la panacea è errato come dire che sia irrilevante, così come la bilancia commerciale, la cui situazione è sì importante, ma non costituisce l’unico dato fondamentale di cui tenere conto.

Ciò di cui invece non si parla, è cosa questo mercato finanziario farà del mare di cartaccia (titoli per l’astronomica cifra di 610 milioni di miliardi di dollari, pari a circa dieci volte il PIL mondiale) che attualmente vi transita: mi sento autorizzato a definire cialtrone chiunque proponga misure di austerità per risolvere la crisi senza sapere dare una risposta in merito. La verità è che si tratta di un problema senza soluzione, e che ognuno tenta di galleggiare il più a lungo possibile rinviando la data del “redde rationem” (cioè, della resa dei conti).

domenica 11 settembre 2011

PERCHE' FIRMERO' PER IL REFERENDUM ELETTORALE

E' in corso la raccolta delle firme per l'indizione del referendum per abrogare alcune norme della legge elettorale vigente, più nota come "porcellum". I quesiti referendari sono stati formulati in modo da anmnullare le modifiche apportate a suo tempo alla vecchia legge, nota come "mattarellum" dal nome del proponente. Se tutto ciò avvenisse com'è negli auspici dei proponenti, di fatto sarebbe il vecchio mattarellum a ritornare in vigore.
Che a questo si giunga, non è ovviamente per niente scontato: prima si deve raccogliere il numero di firme richiesto, poi l'apposita commissione deve verificare il numero di firme effettivamente valide, e in questo caso la corte costituzionale sarebbe chiamata a dichiararne l'ammissibilità, e questo sarebbe sicuramente il passaggio più critico, ma su questi temi non ho la competenza per addentrarmi.
Questo referendum ha sollevato molte polemiche. Non solo esso è avversato dal centrodestra che mai rinuncerebbe alle norme vigenti, in particolare alle liste bloccate, non solo lo è nell'area del terzo polo per ovvii motivi, ma lo è anche nell'area di sinistra.
Ho ad esempio letto sul web post che, a proposito di questo referendum, gridano all'imbroglio. In sostanza, il mattarellum viene da costoro considerato deprecabile quanto la legge attualmente in vigore, e quindi temono che l'avversione abbastanza generalizzata per la legge vigente venga furbescamente incanalata in direzione a loro opinione impropria.
Vediamo allora di esaminare con una certa cura la questione.
La prima norma che sarebbe abrogata è il premio di maggioranza. Ciò che risulta del tutto inaccettabile è la trasformazione di una maggioranza relativa, bassa quanto si voglia, in una maggioranza assoluta. Non solo il centrodestra con circa il 40% dei voti ha il 55% dei seggi parlamentari, ma secondo tali norme, anche una coalizione avente anche meno del 30% dei voti totali, potrebbe risalire a questa quota magica del 55%, quindi raddoppiare artatamente la propria rappresentanza.
Sull'abrogazione di tale norma, credo che ci sia il più ampio consenso. Perfino il centrodestra che i sondaggi danno come svantaggiato rispetto al centrosinistra, comincia a riflettere sui pericoli che esso stesso correrebbe in caso di vigenza della norma per le prossime elezioni.
L'altra norma coinvolta, a parole avversata da tutti, almeno sul versante di sinistra, è quella della presentazione di liste bloccate: in caso di successo del referendum, si tornerebbe a collegi uninominali e alla suddivisione dei seggi nelle due quote, una del 75% di maggioritario (coloro che nel loro collegio hanno raggiunto la maggioranza relativa) e una del 25% di proporzionale, che si conteggia in maniera differente per la camera (a livello nazionale) e per il senato (a livello regionale).
E' qui, proprio sul sistema quasi maggioritario definito dalla ricostituzione di collegi uninominali, che si appunta la critica di parti consistenti della sinistra più a sinistra.
Innazitutto, vorrei sgombrare il campo da un'argomentazione che viene, non so se con poca correttezza o per un grave errore di incomprensione, adoperata, e cioè che l'effetto di avere nel proprio collegio un unico candidato per lista abbia un effetto del tyutto analogo a quello delle liste bloccate.
Ciò è del tutto falso, perchè si basa sul concentrarsi su un unico aspetto, ed ignorando tutti gli altri pure presenti, distorce l'effetto delle norme.
Partiamo dunque da un fatto. Anche nel sistema proporzionale, quello per intenderci della prima repubblica, vigente fino ai primi anni novanta, le liste elettorali avevano ovviamente un numero limitato di nomi (pari ai seggi disponibili), e i collegi elettorali uninominali (con recupero regionale) vi erano anche allora per il senato. Non credo che possa esistere un sistema elettorale che fa davvero scegliere liberamente all'elettore il suo candidato, visto che la scelta avviene comunque su una base molto limitata: è davvero questo che vogliamo con la riforma elettorale, è questo che ci appare così scandaloso nel porcellum? Io non lo credo, penso piuttosto che è l'intero meccanismo che le norme vigenti mettono in movimento che ci appare così deprecabile, fino a determinare perfino un rigetto della stessa espressione del voto.
Ciò che in realtà appare intollerabuile è l'irresponsabilità che viene fuori dalle liste bloccate, irresponsabilità verso gli elettori, sia dei singoli candidati che delle preferenze non hanno bisogno, sia delle segreterie che puntano tutto sul consenso al partito, prescindendo del tutto dai candidati in cui la prposta politica poi concretamente si incarna.
Il punto è proprio questo, che all'elettore viene richiesto solo il consenso alla specifica formazione politica. e quindi una cessione totale di fiducia, a cui l'unica alternativa che si può opporre, è l'astensione dal voto, cioè la decretazione della sconfitta della democrazia.
Quando si passasse a un sistema a collegi uninominali, la situazione sarebbe esattamente opposta, e solo uno sguardo estremamente superficiale può confenderne le conseguenze. Difatti, in questo caso si ha invece il massimo di personalizzazione del voto: lo specifico candidato, lungi dall'essere indifferente, è parte integrante e tendenzialmente preponderante dell'offerta politica. Insomma, se il candidato del collegio non è gradito, il rischio che il voto vada verso altri lidi, è forte. Ciò è tanto più vero nella situazione di crisi delle ideologie in cui ci troviamo, e in cui le offerte tra i differenti partiti si giocano su aspetti del tutto marginali. Visto che i partiti squasi si equivalgono tra loro, la faccia del candidato diventa importantissima nell'offerta politica.
A sua volta, ciò obbliga le segreterie che definiscono le liste a livello nazionale a una selezione accurata delle candidature, ed è miope non comprendere come ciò costituisca un mezzo formidabile per migliorare il livello qualitativo del parlamento che si va a costituire.
Le continue polemiche che vengono da sinistra a sistemi anche vagamente maggioritari mi pare alla fine siano dovute alla preoccupazione di non essere rappresentati in parlamento, e tale preoccupazione fa velo ad ogni considerazione obiettiva dei vari sistemi elettorali.
Crediamo davvero che una rappresentanza qualsivoglia, con le concrete politiche portate avanti dai partiti oggi rappresentate in parlamento, abbia un'influenza significativa sulla politica? Quest'esperienza è stata fatta, e non mi pare che quel pugno di parlamentari dell'estrema sinistra abbiano determinato effetti obiettivamente riscontrabili nei tempi del centrosinistra craxiano. Al contrario, all'ombra del mattarellum così tanto disprezzato a sinistra, quest'area politica è potuta crescere, dando ad esempio grande visibilità a Bertinotti, anche prima che divenisse presidente della camera.
Continuo a sostenere che il sistema maggioritario è potenzialmente più democratico del sistema proporziuonale, ma bisognerebbe che i partiti fossero regolamentati per legge, che così possano diventare democratici al proprio interno,e naturalmente che non ci fossero parlamenti che si facciano espropriare del proprio potere da organismi sovranazionali non democraticamentye legittimati. So bene che tutto questo è ancora tutto da venire, ma la scelta dei collegi uninominali mi pare una prospettiva che vada sposata e difesa pienamente, che vada in una prospettiva positiva. Inoltre, abrogare il porcellum mi pare di per sè un obiettivo degno di essere perseguito: opporsi a questo referendum è così doppiamente sbagliato, sia nei tempi brevi perchè elimina la nominatività del parlamento, sia in prospettiva, quando avremo una politica degna di questo nome, perseguita da partiti degni anch'essi di questo nome.
Infine, bocciare il porcellum obbligherebbe comunque il parlamento, anche se volese rifiutare il mattarellum, a legiferare in materia: come si può essere così miope di porsi di traverso e di fatyto così garantire lunga vita al porcellum?

venerdì 9 settembre 2011

NAPOLITANO E L'EUROPA

Scrive Napolitano:

”Per restare in Europa è necessario un esame di coscienza collettivo che deve riguardare anche i comportamenti individuali di molti italiani di ogni parte politica e sociale. Molti italiani devono comprendere che non siamo più negli anni ottanta e tanto meno negli anni settanta. Il mondo è radicalmente cambiato e anche noi dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e le nostre aspettative in senso europeo per mantenere una nostra prospettiva in Europa”.

Un breve periodo, questo che cito, che è un compendio della deriva pericolosissima in cui la sua classe dirigente sta precipitando l’intera Europa.

Ebbene, Presidente, come si può con un minimo di ragionevolezza assumere come categoria fondamentale l’Europa? Mi chiedo se Lei si renda conto che nel sollecitarci ad adeguarci all’Europa dei nostri giorni, Lei ci sta nei fatti chiedendo di rinunciare a dire la nostra su cosa questa Europa debba essere. Quando si va a costituire una federazione di stati, i governi degli stati aderenti dovrebbero fare un passo indietro rinunciando ad una parte significativa dei propri poteri, e su questo so che potremmo entrambi convenirne.

Il passo successivo sarebbe però quello di stabilire in favore di chi questa cessione vada compiuta, è questo l’aspetto realmente decisivo nel qualificare lo stesso intero processo federativo, e qui temo che le nostre strade si dividano.

Molto semplicemente, a me pare che tale cessione richieda una straordinaria partecipazione delle intere popolazioni interessate, in quanto soltanto una legittimazione popolare potrebbe assicurare un potere autonomo effettivo alle strutture federali, e nello stesso tempo qualificare tali poteri come poteri democratici.

Il passo fondamentale ed a mio parere ineludibile, è quello dell’elezione a suffragio universale di una assemblea per scrivere il testo della costituzione della federazione europea, da un passaggio di questo tipo non si può prescindere senza inficiare profondamente la natura stessa della struttura europea che andiamo a costituire.

A un percorso come quello che propongo, si confronta quello reale, caratterizzato dalla resistenza da parte dei singoli stati a cedere potere all’unico organismo elettivo (seppure a quote predefinite), costituito dal parlamento di Strasburgo, ma soprattutto, e questo costituisce l’aspetto più pericoloso, da organismi decisionali europei irresponsabili, quali la Commissione e la BCE, in particolare nel campo della politica economica: è cronaca di questi giorni l’influenza determinante degli acquisti dei nostri titoli pubblici da parte della BCE nel determinare i tassi d’interesse e quindi il discostamento del bilancio da quello primario. Poiché in tali operazioni la discrezionalità della BCE è totale, chiunque si rende conto di quanta parte di sovranità nazionale è stata espropriata da soggetti che non sono democraticamente legittimati.

Così, caro Presidente, qui non è in gioco soltanto quanto un progetto federale possa procedere, ma la stessa natura delle strutture europee.

Detto francamente, a me pare che la classe dirigente europea si comporti come un apprendista stregone, maneggia cioè degli strumenti potentissimi in campo politico ed economico, senza avere piena consapevolezza dei pericoli in essa insiti.

Come ho tentato di illustrare, i singoli stati rivendicano la propria sovranità, espressa da parlamenti più o meno democraticamente eletti, a cui si contrappone un potere europeo irresponsabile e dal punto di vista della democrazia rappresentativa del tutto illegittimo.

Ciò costituisce un mix esplosivo, perché i governi nazionali, tra l'altro preda di spinte chiaramente esterofobe, sono costretti per raggiungere il consenso dei propri elettori a rivendicare sempre più il proprio interesse nazionale, in un quadro in cui essi non hanno più questo potere, sequestrato da organismi europei che possono portare avanti politiche in maniera arbitraria, non avendo l’esigenza di essere eletti.

La BCE e la Commissione possono costringere l’intera Europa in una camicia di forza, come sembra nei fatti che intendano fare, senza che i governi nazionali vi si possano opporre, e determinando per questa via un incanalamento dello scontento dei loro cittadini verso altri stati. E’ questo il pericolo, l’ordigno nucleare che gli apprendisti stregoni europei stanno maneggiando come se si trattasse di un semplice petardo, il manifestarsi di una rivalità tra singoli stati in forme che potrebbero risultare gravissime.

Sarebbe saggio ricordare che la storia senza guerre dell’Europa è molto recente, che nel passato i conflitti interstatali erano in Europa la norma, come sarebbe altresì saggio non dimenticare che continuiamo a usare lingue differenti, e già oggi i tedeschi inveiscono contro gli stati mediterranei spreconi e parassiti, mentre questi da parte loro inveiscono contro i privilegi che l’adozione della moneta unica concede agli stati più forti, la Germania in primis: mi chiedo a chi tutto ciò possa giovare, chi può davvero credere che si debba agevolare una situazione che mette obiettivamente in opposizione gli interessi di nazioni differenti. So bene che oggi la situazione non è così critica, ma i meccanismi che si sono messi in atto, se non bloccati in tempo, potrebbero presto trasformare gli stati europei da partners verso una crescente integrazione, a irriducibili avversari e forse presto nemici.

Così Presidente, questa Europa non solo non ha speranze di andare avanti, ma rischia di portare l’orologio della storia con le lancette indietro verso periodi infausti che vorremmo non tornassero più.

L’unica decisione saggia da prendere è recedere da un tale progetto, abbandonare questa deriva verso situazioni pericolose, ed avanzarne uno completamente nuovo, una totale rifondazione dell’ideale europeo su basi quali quelle che tentavo di tratteggiare.

Vorrei poi capire Presidente cosa intende quando afferma che non siamo più negli anni settanta ed ottanta, cosa c’è dietro l’ovvietà di tenere conto del calendario.

Molte cose sono cambiate da allora, ma bisognerebbe capire tra tutte le cose che sono cambiate, quali siano quelle che devono maggiormente attrarre la nostra attenzione, e, credo, esprimere anche delle valutazioni su cosa è migliorato e cosa sia peggiorato, mentre apparentemente Lei propone un ruolo da spettatori: dovremmo cogliere lo spirito dei tempi ed adeguarci, Lei sembra suggerire.

Nella sostanza, mi corregga se sbaglio, ma Lei sembra, così come viene fuori da quelle poche parole che Lei scrive, sposare in pieno l’ondata neoliberista partita, guarda caso, proprio negli anni ottanta da Lei evocati.

Sì, certo 40 anni non passano mai invano, e tantissime cose sono cambiate anche nella nostra vita quotidiana, ma ciò che più di tutto è cambiato è il nostro modo di pensare, il prevalere di una mentalità mercantilista tutta centrata sul possesso di oggetti, e quindi sulla necessità di produrne sempre di più ed a prezzi sempre più bassi: è questo ciò che noi dovremmo apprezzare come cambiamento dei tempi?

Presidente, mi permetta, non so se Lei se ne sia accorto, ma nel frattempo un altro aspetto è cambiato, ed è l’avanzare dei problemi di compatibilità ambientale: una crescita ininterrotta come predicato dal pensiero dominante, è del tutto incompatibile con la stessa sopravvivenza del genere umano. Forse, se fosse questo l’aspetto di cambiamento epocale su cui porre la nostra attenzione, si giungerebbe anche a conclusioni ben differenti in politica, ma il pensiero dominante giudica questi timori come dei lussi che non ci possiamo permettere, tutto possiamo permetterci, tranne che riflettere sul futuro dell’umanità.

giovedì 8 settembre 2011

CITAZIONE DA WITTGENSTEIN

Oggi, facendo una pausa rispetto ai temi consueti, riporto due passi di Wittgenstein, una delle menti più lucide dell'intero ventesimo secolo, colui a cui devo le mie convinzioni filosofiche, una mente davvero profondache in verità nessuno dopo di lui ha tentato di confutare, ma o è stato fonte di ispirazione, o è stato semplicemente ignorato allo scopo di evitare di confrontarsi con le sue riflessioni.
Come leggerete, qui egli non traccia considerazioni di natura propriamente filosofica, ma getta uno sguardo, come sempre molto penetrante sulla nostra epoca, ed io trovo che tali considerazioni siano quanto mai attuali.

La civiltà è come una grande organizzazione che indica a chiunque le appartenga il posto in cui può operare nello spirito del tutto, in modo che la sua forza con pieno diritto possa misurarsi sul risultato nel senso del tutto. Ma in un'epoca come la nostra, di non civiltà, le forze si frantumano e la forza del singolo viene consumata da forze contrarie e da resistenze d'attrito, e non trova espressione nella lunghezza della via percorsa, ma forse solo nel calore che ha generato superando tali resistenze.
Lo spettacolo che offre quest'epoca non è quello del divenire di una grande opera di civiltà, nella quale i migliori collaborano allo stesso grande scopo, ma lo spettacolo ben meno imponentedi una moltitudine dove i migliori perseguono solo fini privati

mercoledì 7 settembre 2011

A COSA PORTA IL LIBERALISMO

Un caso da manuale, direi, quello che sta avvenendo in Italia.

Ormai, è chiara a tutti, spero, la situazione in cui ci troviamo, due personaggi che si trovano a guidare il governo, Berlusconi e Tremonti, che hanno perso ogni speranza di avere un futuro politico e può darsi perfino un futuro da liberi cittadini, una maggioranza raccogliticcia costruita attorno a una leadership ormai tramontata, senza alcuna speranza in percentuale notevole di essere riconfermata al parlamento, che non ha altra via d’uscita che continuare a sostenere ad oltranza, anche se proponesse i provvedimenti più pazzeschi (il caso Ruby docet), l’attuale governo. Siamo quindi nella situazione in cui, senza violare alcuna regola formale della repubblica, il paese sia trova ostaggio di una congrega di personaggi uniti solo dalla comune esigenza di mantenere il posto occupato, una trappola che richiederebbe come unica via d’uscita un intervento del Capo dello Stato a gamba tesa che sciogliesse questo parlamento fantoccio, senza più alcuna autorità riconosciuta: purtroppo, data la sua storia personale, non credo che un tale atto di coraggio sia a portata di mano, moniti sì, a iosa per ubbidire a quell’establishment a cui egli si sente legato, ma interventi davvero drastici non fanno parte delle ipotesi contemplabili.

Non rimane a questo punto che la rivolta, possibilmente pacifica, ma la rivolta s’impone, anche se dubito che il popolo italiano, corrotto da anni ed anni di culto degli oggetti, sia in grado di farsene protagonista.

Come detto in precedenti post, io ritengo che il caso Italia non costituisca una realizzazione immatura dei principi liberali, ma al contrario l’evoluzione più avanzata che un sistema politico può subire a seguito dell’applicazione dei principi liberali.

Da una parte quindi, la dittatura dei mercati elimina dai paesi occidentali ogni traccia di democrazia effettiva, dall’altra le istituzioni statali vengono occupate da personaggi portatori dei propri personali interessi: chi si occuperà allora dell’interesse generale?