La crisi finanziaria che ha investito Dubai, aldilà della sua effettiva gravità e ampiezza, mostra come la crisi scoppiata a metà del 2008 e data per superata, è invece all’ordine del giorno. Come risultò presto chiaro, la sua vera causa, i cosiddetti titoli spazzatura, sono stati tutt’altro che un elemento marginale nei mercati finanziari mondiali: basti considerare il loro importo complessivo, valutato al disopra di 5000 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra gigantesca, la cui effettiva entità finisce con lo sfuggire. Per valutarne la dimensione enorme, basti considerare che costituisce poco meno di metà del PIL degli USA. Qual è stata la terapia che hanno seguito gli stati, a partire dagli stessi USA? E’ stata di immettere enormi quantità di liquidità. Come è stata utilizzata questa gran massa di denaro? Solo per acquistare una parte di questi titoli spazzatura, senza distruggerli. Insomma, la bomba che metteva a repentaglio l’edificio, non è stata fatta brillare, ma è stata messa in mezzo alla sabbia, o almeno il 40% di essa, perché la maggior parte viaggia tuttora liberamente per i mercati finanziari di tutto il mondo. Si è valutato che la priorità assoluta fosse costituita dal salvataggio delle banche, sperando, in verità fideisticamente, che ne seguisse un circuito virtuoso che potesse minimizzare l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale.
I risultati credo che siano davanti ai nostri occhi: le banche hanno già ricominciato a macinare utili, le borse di tutto il mondo sono cresciute mediamente di circa un quarto dai minimi raggiunti. Nello stesso tempo, nei paesi occidentali abbiamo avuto una contrazione del PIL di circa il 5%, anche se segnali di crescita si osservano nell’ultimo trimestre. Il dato oggi più preoccupante è costituito da tassi di disoccupazione in sensibile crescita.
Sarebbe chiedere troppo alle autorità statali di tutto il mondo, a partire da Obama, di volersene occupare? Di dedicare energie e risorse con la dovuta generosità e urgenza alla gente, alle persone fisicamente definite? Possibile che di emergenze si parli solo a proposito delle istituzioni finanziarie e invece, per la garantire la sopravvivenza delle persone ci si affidi fideisticamente ai meccanismi propri del mercato?
Nell’ultima puntata di “Annozero”, Bersani è riuscito a far ammettere all’ironico Tremonti che davvero la politica economica di questo governo è inesistente, basandosi sullo spostare fondi da una voce all’altra di bilancio, secondo un abile meccanismo, il cui effetto sostanziale è un rinvio effettivo nell’erogazione delle somme, cioè delle uscite. La difesa di Tremonti è stata quella di pavoneggiarsi con i riconoscimenti internazionali che ha ricevuto: notare bene, riconoscimenti da parte di quelle stesse istituzioni che Tremonti ha ripetutamente disprezzato tranne, ovviamente, nel momento in cui gli affidano compiti di prestigio.
Io non sono certo ministro, e neanche economista, e pertanto mi posso permettere di esprimere giudizi ben più critici sulla gestione internazionale della crisi. La verità è davanti a noi: non ci sono mele marce nella finanza colpevoli della crisi, c’è un intero sistema economico-finanziario malato in tutto il mondo, incapace di confrontarsi con i limiti dello sviluppo dovuti alla limitatezza dei mercati (limiti della domanda globale), e, in maniera più drammatica, i limiti delle risorse naturali, che presto chiederanno il conto a un’umanità in corsa sempre più folle verso il baratro della invivibilità ambientale.
Volendo riassumere le cose dette in poche domande:
- Come mai, a distanza di più di un anno dallo scoppio della crisi, nessuno aveva sollevato il problema Dubai? Non si era capito il problema, pensando che non esistesse, o si voleva nasconderlo, chissà assieme a quanti altri? Come potremmo mai fidarci delle istituzioni finanziarie nazionali ed internazionali se dimenticano o fanno finta di dimenticare falle finanziarie ancora presenti?
- Possibile che non sia chiaro come il capitalismo, cioè un sistema basato sul profitto, è incompatibile con un mondo non in grado, al livello tecnologico esistente, di reggere a uno sviluppo inarrestabile?
- Possibile quindi che si pensi di risolvere i problemi occupazionali, affidandosi ancora una volta al mercato, piuttosto che attraverso una pianificazione deliberata centrata sul criterio della piena occupazione?