domenica 22 luglio 2012

PURTROPPO CI SIAMO, IN ITALIA LA CRISI SI TRASFORMA IN CROLLO


Da giovedì scorso, malgrado gli sciocchi entusiasmi di pochi giorni fa al primo riprendersi dei mercati finanziari, la crisi economica ha subito un ulteriore aggravamento, e purtroppo credo che sia il momento in cui siamo costretti ad ammettere che ci siamo, che il temuto momento in cui la crisi internazionale avrebbe colpito in pieno l'Italia, è già qui...

E' davvero impressionante osservare quanto un'Europa imbelle, governata da pusillamini tutti presi dall'esigenza di mantenere i loro meschini privilegi che il potere loro concede, abitata da popolazioni inebetite che non si sono ancora rese conto di dove i loro governi li stanno conducendo, si stia dirigendo di corsa verso il dirupo in cui ormai sembra quasi impossibile evitare di precipitare.
Quanto la situazione sia grave lo conferma l’attivismo di ieri, in cui spiccano particolarmente le dichiarazioni di Mario Draghi. Tali dichiarazioni che vorrebbero escludere alcune prospettive divenute di attualità, di fatto le confermano in maniera clamorosa. In altre parole, se Draghi dice che l’euro è irreversibile, ciò significa soltanto che mai come adesso una prospettiva di abbandono parziale o totale dell’euro è divenuta non soltanto possibile ma addirittura probabile. Anche le rassicurazioni sulla tenuta delle difese europee mi ricordano direi in maniera impressionante le analoghe rassicurazioni da parte di Giuliano Amato e di Azeglio Ciampi proprio a ridosso, forse addirittura il giorno prima, che l’Italia fosse costretta ad abbandonare lo SME nel 1992. Se quindi Draghi intendeva rassicurare, ha fatto un flop gigantesco, ha al contrario reso la percezione generale di un crollo imminente ben più forte.
Di fronte a tutto ciò, è deprimente vedere come il dibattito pubblico, inscenato dal circolo politico-giornalistico in Italia, ma non solo qui ijn verità, si disperda in mille direzioni come se ci fosse davvero una tale pluralità di posizioni e di soluzioni possibili della crisi economica.
Io al contrario, vedo due sole posizioni possibili, da una parte la posizione fideista dei liberisti che credono alle virtù taumaturgiche del mercato, anche di fronte a risultanze sperimentali opposte, come un cattolico crede allo spirito santo.
L’alternativa possibile è soltanto una presa d’atto franca della situazione in cui ci troviamo, e che per me non v’è dubbio che sia di fallimento tecnicamente già in atto. Una pressione fiscale media superiore al 55%, per taluni contribuenti superiore al 70%, non si rivela sufficiente neanche a raggiungere il pareggio di bilancio, perché il gigantesco debito fin qui accumulato in una situazione di tassi crescenti, si traduce in una voce di uscita così ingente da assorbire qualsiasi tassazione imponessimo ai cittadini. Un punto in più di interessi genera infatti un disavanzo pari a venti miliardi di euro, una cifra enorme che ha un effetto recessivo rendendo vano l’aumento delle percentuale di tassazione.
All’inizio degli attacchi ai nostri titoli in autunno, era ancora possibile reagire adeguatamente attraverso una patrimoniale straordinaria molto progressiva (ma che comunque doveva colpire l’intero patrimonio), abbattendo di colpo il nostro debito e concedendoci quindi una salutare pausa nella richiesta di denaro fresco al mercato. Ciò colpevolmente non è stato fatto dal duo Tremonti/Berlusconi, e neanche dal duo Napolitano/Monti che hanno continuato a colpire il reddito invece che il capitale. La differenza sta nel fatto che il reddito è ciò che determina i consumi e che quindi ha un effetto più nettamente recessivo, ed inoltre non permette di realizzare grandi introiti visto che la base tassabile ha un importo inferiore di più di un ordine di grandezza, vado a chiedere soldi a chi li ha guadagnati ma non ne ha la reale disponibilità visto che magari fanno parte di somme indispensabili alla continuazione di un’attività imprenditoriale, e che comunque devono garantire la stessa sopravvivenza della famiglia. Infine, il reddito è la forma di ricchezza più facilmente soggetta ad evasione contributiva, visto che il capitale è più difficilmente occultabile.
Oggi, dopo aver così duramente colpito i redditi, una patrimoniale della robustezza necessaria per renderla efficace è del tutto improponibile, e quindi non v’è ormai alcun argine possibile alla speculazione internazionale che sta prolungando la propria agonia succhiando il sangue delle nostre vene.
Per tentare di rendere più chiara la comprensione di quale sia la situazione, vi proporrò un’allegoria.
Supponiamo che una dozzina di amici decidano, sulla base di un progetto più o meno originale, di mettere su un’azienda sotto forma di società per azioni, e mediante il versamento delle loro quote, si costituisce un capitale sociale.
Per alcuni anni, l’attività aziendale procede con successo, rendendo un certo profitto agli amici associatisi. Poi però, per mutate condizioni di mercato, l’attività comincia a languire, gli utili sono sempre più ridotti fino a diventare perdite. Gli amici sperano di potere invertire questo andazzo sfavorevole con modifiche di vario tipo al funzionamento aziendale, e per realizzare questo tipo di recupero, sono anche costretti ad indebitare pesantemente l’azienda che si trova così molto esposta con le banche. A un certo punto, le banche pretendono che l’azienda rientri dallo scoperto accumulato, e gli amici mettono mano al proprio portafoglio personale versando quote aggiuntive di capitale ed aumentando così il capitale sociale. Nel frattempo, le banche chiedono tassi di interesse sempre più elevati all’azienda per i debiti rimasti, e così si realizza una situazione in cui l’intero versamento di capitale fresco da parte dei soci viene totalmente assorbito dalla inarrestabile crescita degli interessi bancari.
Non credete voi che in una tale situazione i soci, se dotati di un minimo di razionalità smettano di distruggere il loro capitale personale e preferiscano dichiarare il fallimento della loro società? Avranno così perso tutto il capitale fin lì versato, ma rimarrà loro le case in cui vivono e quel minimo di oggetti che permetta loro un minimo livello di benessere.
Logica vorrebbe che il default statale fosse all’ordine del giorno, mentre tutti si guardano bene dall’evocarlo in accordo con la logica superstiziosa che attribuisce capacità di realizzarsi alle cose una volta che il loro nome sia stato pronunciato.
In verità, l’uscita dall’euro, la riforma dei mercati, tutte ipotesi divenute oggi attuali, hanno senso solo se assunte dopo avere dichiarato default. Il default in sé corrisponde alla vera riforma, la svolta di volere resistere alla globalizzazione, di costruire un pezzo di mondo in cui ci si isola dalla follia collettiva di rincorsa verso la ricchezza come criterio assoluto delle scelte collettive, considerando al contrario la ricchezza come un mezzo per garantire il lavoro ed i mezzi di sostentamento a tutti, un nuovo umanesimo, se ancora si può utilizzare un termine così maltrattato. Naturalmente, ad ogni fallimento, segue una certa procedura che garantisce che le risorse esistenti vengano distribuite secondo un certo ordine di priorità, e che quindi dovrebbe garantire il rimborso parziale dei titoli ai piccoli investitori.
Qui, devo argomentare sulla questione dell’equità. Il primo aspetto riguarda quanto sia equo non rimborsare un debito contratto. Sfatiamo un mito, da che mondo è mondo il mancato rimborso è uno dei possibili sbocchi di qualsiasi prestito, e difatti chi da credito deve prestare molta attenzione alla solvibilità di chi lo chiede. Questa regola vale anche per gli stati, chi acquista i nostri titoli chiede di avere più interessi rispetto a quelli pagati dalla Germania (il famoso spread), proprio perché ritiene di correre un rischio maggiore. Noi dobbiamo soltanto dargli ragione, fargli sapere che è vero che il rischio esisteva e che si è materializzato, che lo strozzinaggio ha avuto termine.
Analogamente, c’è chi solleva le questioni dell’equità in riferimento al mancato rimborso, almeno parziale, dei titoli sottoscritti da privati cittadini. Mi chiedo però se, essendoci una carenza di risorse, debba pagare prioritariamente chi ha prestato o chi non avendo neanche scelto di prestare, risulta del tutto incolpevole (a volte anche nullatenente).
Lascio a voi il compito di verificare lo scarto tra ciò che descrivo qui e che con tutta evidenza è la realtà, e i riti mediali che vanno avanti da parte del circolo costituito da giornalisti e politicanti (spesso indistinguibili tra loro).

3 commenti:

  1. Hai ragione, ci stiamo dirigendo verso il dirupo e ostinatamente teniamo gli occhi e la mente chiusa, sperando che qualcun altro ci salvi...siamo un popolo di struzzi!

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  2. Però stavolta, Marica, mi pare che siamo in buona compagnia, non mi pare che in Europa stiano messi molto meglio di noi...

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  3. Si è vero ma in questo caso il detto "mal comune mezzo gaudio" non conforta. Almeno dalle altre parti stanno provando a ribellarsi..noi aspettiamo che qualcun altro lo faccia al posto nostro.

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