Il miglior modo di sintetizzare
la giornata di ieri, la attribuirei, ahimè, a “La Padania”, il quotidiano
pressoché clandestino della Lega Nord, con il titolo nella sua prima pagina
“Monti si sfiducia da sé”.
Nei fatti, le dichiarazioni di
Monti si accompagnano ad analoghe dichiarazioni di eminenti dirigenti europei,
tutti a dover ammettere che tutto quanto hanno detto sino al giorno precedente,
con cui hanno bombardato una stampa sempre compiacente con loro, erano cazzate.
Qualcuno tra noi lo sapeva da tempo,
anzi sanno che anche quelle di oggi sono emerite cazzate, c’è sempre un macigno
che ci sovrasta pronto a crollarci addosso ed il fallimento del sistema
bancario globale. In queste condizioni, questi sedicenti esperti che stanno al
governo del nostro paese, traggono la loro forza soltanto dalla debolezza
altrui, quella cioè del sistema dei partiti.
In verità, qui ci sta un equivoco
enorme, alimentato dallo stesso Napolitano al momento dell’insediamento del
governo proprio come pezza d’appoggio alla scelta di affidare il mandato a un
neo-parlamentare, pietosamente promosso a senatore il giorno prima dallo stesso
capo dello stato (contraddicendo così le intenzioni che aveva precedentemente
dichiarato).
L’equivoco sta nel fatto di
accusare i partiti di qualcosa che dovrebbe invece costituire il loro più
prezioso contributo alla democrazia, e cioè l’avere una posizione di parte, per
cui le decisioni assunte dal parlamento vengono fuori dalla dialettica tra le
differenti posizioni, di parte appunto, dei singoli partiti: guarda caso, la
democrazia è un sistema pluralistico...
La tesi di Napolitano era insomma
che in una situazione di emergenza come quella creata dall’incremento
vertiginoso dello spread, questa pluralità di posizioni, il nocciolo più puro
della democrazia, fosse un lusso che non ci potevamo permettere, e che quindi
bisognava portare avanti una specifica politica, quella appunto dello stesso
Napolitano e del circolo europeo esclusivo a cui il capo dello stato si sente
parte integrante, così come il neopresidente della BCE Draghi ed ovviamente il
neopremier Mario Monti. Avendo decretato per ordine divino che quella era la
politica giusta, che i partiti smettessero di fare i partiti e si limitassero a
votare in silenzio i provvedimenti sacri dovuti alle menti eccelse ed
automaticamente portatrici di interessi generali dei nuovi governanti.
Però, Presidente, guardi che la
questione si pone in termini esattamente opposti, non è che il difetto dei
partiti era quello di essere troppo politici, troppo di parte, eh no, essi sono
con tutta evidenza sostanzialmente omogenei tra loro, e tutte le loro diatribe
stanno nel volere tutti la stessa cosa, ma volerla per sé. Qui, di partito
politico non v’è più nulla, qui è avvenuta una profonda trasformazione di queste
organizzazioni che hanno ormai assunto una caratteristica di azienda, un cui
quindi gli scontri non si basano su differenti opinioni su come gestire la cosa
pubblica, ma al contrario su chi deve gestirla.
Se questo è il vero difetto, il
vero peccato che hanno compiuto i partiti, allora il governo Monti non
costituisce in alcun modo il rimedio, ma al contrario ne costituisce la
estremizzazione. Con Monti cioè noi portiamo al massimo livello la
ademocratizzazione della politica, portiamo a compimento un processo che già da
sé stessi i partiti avevano tracciato per un lungo tratto: non c’è
contraddizione tra gli attuali partiti e il governo Monti, essi si iscrivono
nella stessa logica.
Paradossalmente, lo stesso
fenomeno Beppe Grillo si iscrive in una logica analoga, anch’esso pretende che
la gestione pubblica possa essere affrontata senza avere un pensiero forte,
un’ispirazione complessiva di fondo tale che i singoli provvedimenti possano
essere iscritti in un progetto strategico.
Da questo punto di vista, Monti
si può permettere il lusso di ammettere di non essere affidabile solo perché la
platea che ha attorno è composta da soggetti ancora meno credibili di lui.
L’uscita da questa crisi che non
è solo economica, non è solo di natura politica, è anche morale e culturale in
senso complessivo, deve essere all’altezza della sua profondità e della sua
natura complessiva, e richiede perciò una vera rivoluzione culturale, e
purtroppo procederà in maniera drammatica perché c’è un’inerzia del sistema che
bisogna vincere, e per questo ci vuole tempo e probabilmente una sofferenza
popolare che tutti vorremmo evitare, ma che non possiamo far altro che ritenere
nostro malgrado inevitabile.
Grazie Vincenzo, ho bisogno di leggere i tuoi post come faccio ogni volta che li pubblichi in questo tuo blog.
RispondiEliminaMi si fa luce nel cervello e anche molto.
aldo.
Aldo, sei sempre molto generoso verso di me, grazie.
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