giovedì 19 aprile 2012

LA AUTOSFIDUCIA DI MONTI E DEI SUOI COMPAGNI DI MERENDA

Il miglior modo di sintetizzare la giornata di ieri, la attribuirei, ahimè, a “La Padania”, il quotidiano pressoché clandestino della Lega Nord, con il titolo nella sua prima pagina “Monti si sfiducia da sé”.
Nei fatti, le dichiarazioni di Monti si accompagnano ad analoghe dichiarazioni di eminenti dirigenti europei, tutti a dover ammettere che tutto quanto hanno detto sino al giorno precedente, con cui hanno bombardato una stampa sempre compiacente con loro, erano cazzate.
Qualcuno tra noi lo sapeva da tempo, anzi sanno che anche quelle di oggi sono emerite cazzate, c’è sempre un macigno che ci sovrasta pronto a crollarci addosso ed il fallimento del sistema bancario globale. In queste condizioni, questi sedicenti esperti che stanno al governo del nostro paese, traggono la loro forza soltanto dalla debolezza altrui, quella cioè del sistema dei partiti.
In verità, qui ci sta un equivoco enorme, alimentato dallo stesso Napolitano al momento dell’insediamento del governo proprio come pezza d’appoggio alla scelta di affidare il mandato a un neo-parlamentare, pietosamente promosso a senatore il giorno prima dallo stesso capo dello stato (contraddicendo così le intenzioni che aveva precedentemente dichiarato).
L’equivoco sta nel fatto di accusare i partiti di qualcosa che dovrebbe invece costituire il loro più prezioso contributo alla democrazia, e cioè l’avere una posizione di parte, per cui le decisioni assunte dal parlamento vengono fuori dalla dialettica tra le differenti posizioni, di parte appunto, dei singoli partiti: guarda caso, la democrazia è un sistema pluralistico...

La tesi di Napolitano era insomma che in una situazione di emergenza come quella creata dall’incremento vertiginoso dello spread, questa pluralità di posizioni, il nocciolo più puro della democrazia, fosse un lusso che non ci potevamo permettere, e che quindi bisognava portare avanti una specifica politica, quella appunto dello stesso Napolitano e del circolo europeo esclusivo a cui il capo dello stato si sente parte integrante, così come il neopresidente della BCE Draghi ed ovviamente il neopremier Mario Monti. Avendo decretato per ordine divino che quella era la politica giusta, che i partiti smettessero di fare i partiti e si limitassero a votare in silenzio i provvedimenti sacri dovuti alle menti eccelse ed automaticamente portatrici di interessi generali dei nuovi governanti.
Però, Presidente, guardi che la questione si pone in termini esattamente opposti, non è che il difetto dei partiti era quello di essere troppo politici, troppo di parte, eh no, essi sono con tutta evidenza sostanzialmente omogenei tra loro, e tutte le loro diatribe stanno nel volere tutti la stessa cosa, ma volerla per sé. Qui, di partito politico non v’è più nulla, qui è avvenuta una profonda trasformazione di queste organizzazioni che hanno ormai assunto una caratteristica di azienda, un cui quindi gli scontri non si basano su differenti opinioni su come gestire la cosa pubblica, ma al contrario su chi deve gestirla.
Se questo è il vero difetto, il vero peccato che hanno compiuto i partiti, allora il governo Monti non costituisce in alcun modo il rimedio, ma al contrario ne costituisce la estremizzazione. Con Monti cioè noi portiamo al massimo livello la ademocratizzazione della politica, portiamo a compimento un processo che già da sé stessi i partiti avevano tracciato per un lungo tratto: non c’è contraddizione tra gli attuali partiti e il governo Monti, essi si iscrivono nella stessa logica.
Paradossalmente, lo stesso fenomeno Beppe Grillo si iscrive in una logica analoga, anch’esso pretende che la gestione pubblica possa essere affrontata senza avere un pensiero forte, un’ispirazione complessiva di fondo tale che i singoli provvedimenti possano essere iscritti in un progetto strategico.
Da questo punto di vista, Monti si può permettere il lusso di ammettere di non essere affidabile solo perché la platea che ha attorno è composta da soggetti ancora meno credibili di lui.
L’uscita da questa crisi che non è solo economica, non è solo di natura politica, è anche morale e culturale in senso complessivo, deve essere all’altezza della sua profondità e della sua natura complessiva, e richiede perciò una vera rivoluzione culturale, e purtroppo procederà in maniera drammatica perché c’è un’inerzia del sistema che bisogna vincere, e per questo ci vuole tempo e probabilmente una sofferenza popolare che tutti vorremmo evitare, ma che non possiamo far altro che ritenere nostro malgrado inevitabile.

2 commenti:

  1. Grazie Vincenzo, ho bisogno di leggere i tuoi post come faccio ogni volta che li pubblichi in questo tuo blog.
    Mi si fa luce nel cervello e anche molto.
    aldo.

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  2. Aldo, sei sempre molto generoso verso di me, grazie.

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