Non è trascorso ancora un mese da quando ho postato sulla guerra delle parole, cioè sull'importanza di usare certi termini piuttosto che altri.
E' un problema che mi coinvolge molto, giacchè sono convinto che il linguaggio è la via preferenziale di diffusione culturale, e quindi il mezzo privilegiato di condizionamento di quanti ci stanno attorno.
In passato, mi sono particolarmente occupato del neotermine "omofobia" contestandone la validità e il connesso progetto culturale di trasformare qualsiasi critica anche argomentata al movimento gay in una manifestazione di discriminazione sessuale.
Allo stesso modo, mi sono occupato già in passato del termine "antipolitica", anche nel mio libro, e più recentemente, a proposiito dell'insediamento del governo Monti, ho criticato la connessa espressione di "sospensione della politica".
Ciò che sembrerebbe doversi dedurre dall'allegro uso di entrambe tali espressioni è che evidentemente c'è una ignoranza del significato del termine politica.
Il punto è che in qualsiasi contesto civile,in cui cioè l'uomo viva all'interno di una cultura sedimentata, ognuno di noi non può non essere un soggetto politico, la politica viene esercitata nella vita di tutti i giorni. Da questo punto di vista, diventa chiaro come non abbia senso parlare di antipolitica, e allo stesso modo non si capisce come possa esistere un governo che non faccia politica. Se poi consideriamo specificamente il caso del governo Monti, dovremmo alla fine convenire che si tratta del governo che fa più politica di molti dei governi che l'hanno preceduto...
Di fine della politica si potrebbe in effeti parlare ove si utilizzasse un metodo di governo automatico, ed oggi la questione è collegata strettamente alla pervasività dell'aspetto economico, come già ho detto altrove. Se insomma la crescita del PIL viene assunta come fine supremo dell'attività del governo, allora sì che potremmo avere la fine della politica.
Di fine della politica si potrebbe in effeti parlare ove si utilizzasse un metodo di governo automatico, ed oggi la questione è collegata strettamente alla pervasività dell'aspetto economico, come già ho detto altrove. Se insomma la crescita del PIL viene assunta come fine supremo dell'attività del governo, allora sì che potremmo avere la fine della politica.
La verità non è però che questi politicanti non conoscano davvero il significato del termine politica, ma che imbrogliano le carte facendo in modo che la politica coincida con la loro attività politica quindi coincidente con attività parlamentare, ed in questo senso il parlamento viene assunto come universo dell'espressione politica, e secondo questa strana impostazione, chi non trovasse un referente politico in parlamento, per questa stessa ragione andrebbe qualificato come antipolitico.
La cosa posta così è evidentemente ridicola, perchè capovolge l'ordine logico delle cose. In una democrazia rappresentativa, come disegnato dalla nostra costituzione, sono i rappresentanti che devono preoccuparsi di rappresentare i propri elettori ed il popolo tutto, mentre, se davvero fosse affidato a loro la definizione di cosa sia la politica, allora ai rappresnetati non resterebbe che inseguire ciò che pensano i parlamentari.
Questa è una questione che viene molto agitata, soprattutto in ciò che è rimasto, ben poco in verità, della tradizione socialdemocratica. Sono proprio costoro che, guarda caso, hanno completamente cambiato, forse perfino capovolto, i contenuti stessi della loro opinione politica, pronti ad abbandonare gli ideali dell'ìegualitarismo come difesi dal welfare state, per sposare l'onda neoliberista senza mai fare abiura, restando nelle stesse organizzazioni e piegandole alle loro nuove finalità politiche, ad agitare il pericolo del populismo.
Costoro utilizzano ancora le categorie di destra e sinistra che hanno così alacremente contribuito a rendere obsolete praticando politiche apertamente di destra ma dichiarandosi di sinistra, per agitare il pericolo di un'ondata di destra antistatale, addirittura di una destra storica, forse perfino fascista. Alle accuse da sinistra, per ciò che questo termine può ancora significare, essi oppongono il rischio di una congiuzione tra questo tipo di opposizione e quella di estrema destra, e a questo rischio danno il nome di populismo, ed in fondo antipolitica viene in questo ambito a divenire sinonimo di populismo.
La cosa ridicola è che nessuno più di loro ha contribuito ad eliminare ogni differenza tra politiche di destra e di sinistra, come anche in Italia abbiamo sperimentato con le politiche più di destra da parte di governi di centrosinistra.
Infine, la verità che viene fuori è che nessuno più dei nostri parlamentari ci danno l'immagine più realistica di una possibile tendenza all'antipolitica, nel momento stesso in cui ammettono dando il loro appoggio parlamentare, che un governo esplicitamente votato ad ubbidire all'Europa ed ai mercati finanziari, debba prevalere sulle politiche portate avanti dai loro partiti.
Pensano che siamo senza memoria.
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