Alcune impressioni istantanee seguendo il dibattito di "In onda".
La prima cosa che mi viene in testa è che non c'è mai nessuno che faccia ammenda delle sciocchezze che ha sostenuto in un perido precedente della propria vita. Dunque, c'hanno rotto ole scatole per anno che se volevamo fare lavorare bene le imprese, bisognava rendere il mercato del lavoro flessibile. Tale flessibilità allora veniva presentata come la possibilità di prevedre figure lavorative diversificate. ASccanto al lavoratore a tempo indeterminato, era necessario prevedere differenti tipologie di lavoratore a tempo deteminato. La cosa veniva presentata come l'offerta di molteplici possibilità di figura lavorativa, tra cui l'impresa avrebbe potuto scegliere a suo piacimento.
Ora, di colpo, quelle stesse persone, senza spendere una parola che possa spiegare il proprio cambio di opinione, vengono a perorare la causa di una unificazione delle figure lavorative. In sostanza, togliamo qualche diritto a quelli più protetti e aggiungiamo qualche forma di protezione ai meno protetti, e così da ora in poi non ci saranno lavoratori di serie A e lavoratori di serie B.
Ma come, eravate così preoccupati di garantire la scelta alle aziende, ed adesso invece prevale l'unificazione delle figure. Ma scusate, allora basta dire che avete sbagliato a prevedere figure precarie e torniamo alla legislazione ante senza tate discussioni, questa e solo questa potrebbe essere una conclusione degna di qualcuno che ripensa a suoi prexcedenti errori.
Altri non sembrano d'accordo su queste innovazioni, ma continuano a battere sulla ripresa, sulla famosa, ma io direi famigerata, crescita del PIL. E visto che su questa crescita tutti appaiono d'accordo, allora tutta la discussione verte sulla competitività. Per avere più occupazione, dobbiamo avere più produzione, ma per avere più produzione, dobbiamo vincere la concorrenza. Ora, dico io, ma in questi ultimi decenni, cos'altro abbiamo fatto? Con che coraggio vengono ancora a propinarci la solita lezioncina di seconda mano di ricette liberiste, dopo i palesi fallimenti di questa linea di politica economica? La più penosa è la vedova di Padoa Schioppa, che non fa altro che ripetere come un pappagallo le solite menate liberiste, senza evidentemente avere quel minimo di intelligenza richiesto per collocarsi nel contesto della crisi più profonda almeno degli ultimi ottanta anni. Oggi, se qualcuno sostiene ancora simili ricette, è un cialtrone conclamato che è lecito definire imbecille.
Ma, qualcuno potrebbe chiedere, c'è un'alternativa possibile?
Io dico di sì, l'alternativa è senz'altro possibile, è anzi a portata di mano, ed è rifiutare una volta per tutte il mito della crescita ininterrotta. e accettando questo, che non significa necessariamente decrescita (trovo qualcosa di inquietante in questa contrapposizione in qualche modo simmetrica alla logica capitalista), ma che dobbiamo soltanto uscire da questo criterio di scelta automatico su base quantitativa, ci sottraiamo a una logica globalistica che vede nel massimizzare la dimensione di mercato in cui far operare meccanismi di concorrenza.
Se davvero crediamo che anche l'economia vada in ultima istanza finalizzata all'uomo, e quindi alla piena occupazione, allora per valorizzare proprio il lavoro umano, dobbiamo lottare contro l'abbassamento dei prezzi, le cose devono costare abbastanza da rendere il lavoro umano sufficientemente remunerativo, senza che esso venga in conflitto con i progressi in termini di produttività dei miglioramenti tecnologici.
La conseguenza è che oggi predicare il ripristino della sovranità nazionale in campo economico con meccanismi inevitabilmente protezionistici, ben lungi dall'essere un atto retrivo, costituisce l'unico modo reale per mettere all'ordine del giorno dell'intero mondo il superamento della logica capitalista: nulla più del proprio esempio, del dimostrare nei fatti che io l'ho fatto e così lo possono fare utti gli stati, può fu8nzionare da detonatore per salvare l'umanità dalla catastrtofe ambientale.
Un'ultima notazione la riservo al nostro premier, che continua a predicare che la salvezza dei paesi europei sta solo nell'Europa, che senza questa dimensione comune, nessun paese può pensare di uscirne bene, io vorrei appunto imporre un punto di vista sperimentale.
Anch'io sono convinto che sarebbe bene che l'europa uscisse dalla crisi con decisioni comuni, ma non tanto da chiudermi gli occhi e non vedere che al contrario domina una logica nazionale da furbetti, quella in sostanza di usare l'europa per favorire in realtà il proprio paese.
Come ho avuto modo di dire svariate volte ormai, trovo questo atteggiamento gravemente irresponsabile perchè finirà cominque col distruggere qualsiasi progetto di costruzione europea, ma avendo nel frattempo alimentato rancori robusti che potrebbero portare ad esiti tragici seppure oggi del tutto imprevedibili.
La verità, caro Monti, è che la Svezia, la Repubblica ceca e svariati altri paesi che hanno optato per una propria moneta nazionale, si trovano in una posizione assolutamente migliore di paesi come l'Italia che hanno invece optato per l'euro. Le ragioni sono ben note, e qui non c'è bisogno di ribadirle, tutte ragioni che potyrebebro essere rimosse se solo vi fosse la volontà politica di farlo. Purtroppo, questa volontà non c'è proprio per il prevalere di piccoli calcoli di bottega, ed allora si deve uscire dall'euro, affrontando tutte le gravi conseguenze che ne seguiranno, ma evitando almeno le ben più gravi conseguenze che già oggi si appalesano nel rimanere prigionieri di quest'esperimento già fallito.
Lo dico nel contesto di questo articolo proprio per riconfermare come i fatti ci tirino per i capelli verso la soluzione nazionale, l'unica che ci permetta di uscire dal circolo vizioso dell'essere schiavizzati al meccanismo perverso di un capitalismo ormai non più in grado di uscire dalla crisi.
sabato 17 dicembre 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento