venerdì 1 gennaio 2010

DDL GELMINI PER L'UNIVERSITA'

Lo scorso autunno la Gelmini ha presentato un DDL di riforma dell'Università (informazioni qui). E' un provvedimento che se approvato, influenzerebbe fortemente l'attività degli Atenei. Voglio qui di seguito riportare un mio secondo intervento su questo argomento presso un forum della mia Università (qui il dibattito precedente). Nei commenti potrò rispondere ad eventuale integrazione delle informazioni.

Non è gradevole, se non francamente imbarazzante,continuare un dibattito che si è voluto suscitare, e che purtroppo però vede due soli docenti partecipanti.

Ci si potrebbe chiedere cosa trattiene i colleghi dal farci conoscere la loro opinione a proposito di un DDL che presumibilmente influenzerà profondamente la nostra quotidiana attività. Ciò è tanto più inquietante se si considera come parallelamente gli interventi a proposito del bilancio del nostro Ateneo non sono certo mancati, così come precedentemente sui criteri di suddivisione dei fondi PRA. I colleghi quindi non si ritraggono dal farci conoscere la loro opinione su questioni importanti, ma che certo non sono così fondamentali come il DDL Gelmini di cui si parla in questo Forum.

Ciò che posso arguire è che prevalga tra i colleghi una qualche forma di ricerca di ottimizzazione delle proprie risorse, per cui essi si impegnano lì dove ritengono di avere una possibilità ragionevole di influire sui risultati, mentre si astengono deliberatamente dal dedicare tempo e sforzi intellettuali nella direzione di questioni che ritengono al di fuori della loro portata.

Il punto che vorrei sottolineare è appunto che questa stessa consapevolezza di inadeguatezza rispetto ai problemi fondamentali del proprio luogo di lavoro è già un risultato molto significativo: potrei aggiungere che, assieme al taglio dei fondi, la vera riforma universitaria si poggia proprio su questo apparentemente ragionevole tralasciare le cose il cui luogo di decisione è distante da noi. Insomma, sembrerebbe che il risultato più importante del processo di autonomizzazione degli Atenei portato avanti da una ventina d’anni a questa parte, sia paradossalmente quello di coinvolgere i docenti in un processo di gestione dei dettagli, subendo peraltro passivamente il quadro generale in cui questi stessi atti di gestione si iscrivono.

Io ho però l’impressione che alcuni tra i miei colleghi più influenti tralascino di intervenire con motivazioni del tutto differenti, che cioè essi siano magari intervenuti in qualche misura nella stessa elaborazione del testo e che ne siano complessivamente soddisfatti. Perché allora occuparsi di un dibattito che si vede essere nato in modo così asfittico, coinvolgendo solo due colleghi? Meglio lasciare le acque calme, e attendere serenamente che il DDL venga approvato.

L’Università diviene così lo specchio stesso della nostra società, in cui un ceto dirigente ha trovato come interesse prevalente gestire sé stesso e l’inamovibilità del proprio potere piuttosto che governare saggiamente il paese.

Se invece i provvedimenti di legge si giudicano sulla base delle loro risultanze sperimentali, e così rientro nel merito del dibattito, allora credo che tutti dovremmo convenire che il maggiore potere conferito ai singoli Atenei negli ultimi decenni è stato gestito assecondando interessi particolari. Mi meraviglia che Renato che si occupa come me di scienze sperimentali non voglia trarre le giuste conclusioni dalla verifica appunto sperimentale dei risultati di gestione decentrata delle risorse da parte dei docenti dei singoli Atenei. Il problema attuale delle Università è la carenza di principi di responsabilità. Quando un determinato organo collegiale vota una determinata delibera, sa già dall’inizio che non sarà chiamato a risponderne degli effetti: basta usare l’accortezza di non violare alcuni principi formali. Un sistema irresponsabile però non può funzionare, o meglio, può soltanto continuare ad andare avanti all’infinito verso un inevitabile e progressivo degrado.

Il punto quindi non sta nel valutare se il Dipartimento di Fisica dell’Università di Catania sia migliore o peggiore del Ministro dell’Università, ma piuttosto nella possibilità di potere ricostruire le responsabilità specifiche di determinati atti. Ricostruire una centralità delle decisioni mi pare assolutamente indispensabile. Altrove, gestioni decentrate funzionano, ma ciò richiede un coinvolgimento diretto dei singoli operatori nell’esito delle gestioni. Negli USA, tante università sono private, e sembra ovvio che chi ci mette i soldi, è assolutamente coinvolto nei risultati delle iniziative su cui egli stesso ha investito. Anche i docenti, del resto, avendo contratti individuali, non possono prescindere dai risultati che il loro specifico contratto ha generato, senza con ciò perdere la possibilità di conseguire nuovi vantaggiosi contratti.

Adottare quindi un modello decentrato con una centralizzazione delle risorse significa attuarne una sua applicazione caricaturale. Esistono quindi obiezioni di tipo teorico e di tipo sperimentale a continuare a perseverare in un modello con tutta evidenza inattuabile.

Analogamente, l’immaginare una qualsiasi innovazione strutturale, rifiutandosi di garantirne il finanziamento, si traduce inevitabilmente nell’impossibilità di prevederne gli effetti reali, come tentavo di mostrare nel precedente intervento a proposito di figure di docente di cui non si definisce a priori la dimensione numerica.

In un modello centralistico invece, il Ministero potrebbe stabilire una serie di criteri sufficientemente rigidi per la destinazione delle risorse, non solo come già fa verso i differenti Atenei, ma anche specificamente verso i differenti settori scientifico-disciplinari. Se poi la suddivisione non è ottimale, è chiaro che sono i criteri a non funzionare, ed allora si cambiano, ed in ogni caso è il Governo della Repubblica ad esserne responsabile: almeno, si potrà dire che esso ha ricevuto la fiducia di un Parlamento eletto (magari con una legge elettorale diversa dall’attuale, diciamo, almeno decente, ma questo è un altro discorso).

Questa legge invece, non solo non ricostituisce una centralizzazione doverosa delle decisioni, ma addirittura ci lascia in balia di un Consiglio di Amministrazione estraneo al mondo accademico, presumibilmente colluso col potere politico, e in definitiva ancora una volta irresponsabile.


5 commenti:

  1. giornata troppo piena per leggere attentamente il tuo scritto... ma torno.. intanto tanti affettuosi auguri di un buon 2010

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  2. Grazie, auguriamoci reciprocamente che il 2010 sia un po' meno peggio del 2009, non mi pare una richiesta eccessiva... :)

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  3. Approvo il tuo ragionamento e concludo con le tue stesse parole:

    L’Università diviene così lo specchio stesso della nostra società, in cui un ceto dirigente ha trovato come interesse prevalente gestire sé stesso e l’inamovibilità del proprio potere.

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  4. @Paola
    La parola chiave di tutta la nostra società è proprio "irresponsabilità": amen!

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  5. Salve, vorrei porre alla vostra attenzione il seguente blog relativo allo stato universitario attuale italiano.
    Rettore Virtuoso

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