Recentemente, alcuni editoriali su importanti quotidiani nazionali ha riportato all’interno del dibattito politico l’attenzione sui problemi legati all’immigrazione. Un concetto chiave di questo dibattito è quello dell’identità nazionale, nella versione “identità padana” da parte della Lega. La difesa della propria identità culturale sembra in effetti una causa degna di essere combattuta, ma trovo quanto meno singolare che a nessuno di costoro che sono intervenuti sull’argomento si siano chiesti se esista nel 2010 una identità italiana, e in che cosa essa consista. Possibile che questi grandi intellettuali si siano appena svegliati da un lungo letargo, e solo ora si accorgano che l’Italia è cambiata? Sarebbe interessante che essi ci spiegassero quali siano questi elementi della nostra identità che vadano preservati, ma forse dovremmo anche interrogarci su come e perché certi elementi identitari siano scomparsi o siano in grave pericolo. In assenza di ciò, è ovvio che il sospetto che l’identità venga tirata in ballo per motivi strumentali è più che lecito. Se poi guardiamo al contenuto specifico degli interventi, diventa palese che gli elementi identitari richiamati siano, che strano, tutti di origine religiosa, ed ancora più strano sembra il fatto che essi siano richiamati essenzialmente sempre in riferimento all’islamismo.
Si è parlato ad esempio del presepe: ebbene, parliamone. Io, in virtù della mia età, vi posso raccontare quale fosse la tradizione del natale quando ero un bambino, cioè negli anni cinquanta in Sicilia. A quel tempo, l’albero di natale non esisteva: solo a partire dagli anni sessanta qualcuno timidamente cominciò a fare l’albero. Al contrario, il presepe era presente in tutte le case, era una cosa pressoché obbligata: non solo, c’era associata la tradizione dello zampognaro, che girava per le case suonando davanti al presepe. Qualcuno potrebbe rimpiangere questa tradizione: vorrà dare la colpa all’Islam? Sono forse stati questi immigrati di fede musulmana che c’hanno fatto perdere la tradizione, la nostra voglia di compiacerli? Chi e cosa c’ha costretti a passare all’albero, il vero attuale simbolo del natale anche italiano? Su, grandi intellettuali, non è poi un così gran sforzo ricostruire i fattori che c’hanno fatto perdere questo elemento identitario: chi aveva la tradizione dell’albero prima di noi? Non sarà che le picconate all’italianità le abbiamo ricevute semplicemente attraverso i messaggi mediatici, senza bisogno alcuno di invasione di persone fisiche? Non sarà che l’albero è arrivato nelle nostre case assieme alla Coca-Cola, non sarà che i McDonald hanno invaso tutto il mondo? Dov’erano questi attenti e rigorosi intellettuali, questi difensori d’ufficio dell’identità in questo mezzo secolo d’invasione di cultura anglosassone? Ma non erano essi i vati della società aperta, quella che ha consentito al signor B. di imporci con le sue TV dai lontani anni settanta i serials, le telenovelas? Evviva la concorrenza, o entrare in concorrenza con il nostro piccolo mondo contadino è lecito solo ai forti? Possibile che questi opinionisti non si siano ancora accorti della rivoluzione culturale già avanzata nel nostro paese attraverso i messaggi pubblicitari palesi ed occulti veicolati dalle TV e dalla quella stessa stampa su cui scrivono? Per tracciarne un profilo lungo questi ultimi decenni, non basterebbe un libro, ma invece la loro sensibilità ha atteso il crescente numero di musulmani che risiedono nelle nostre città per risvegliarsi a difendere un’identità culturale ormai nei fatti scomparsa da lungo tempo.
Difendono la cultura occidentale questi signori, non l’identità nazionale già messa a dura prova da ben altri influssi, interessati a farci cambiare ed a stimolare nuovi tipi di consumo, il criterio del profitto come unica motivazione lecita per condizionare le persone.
Difendiamo dunque un mondo divenuto futile, un nostro modus vivendi fatto di futilità, il SUV che invade le nostre strade come simbolo di una civiltà che non è seria, dove cioè non si diventa mai adulti, almeno nel senso che si ritiene così importante circondarli di oggetti di ogni genere come mezzo per conseguire la nostra personale felicità. Siamo infine sinceri, ciò a cui sommamente teniamo, ciò che vogliamo difendere con le unghie e coi denti, è un modello di consumi crescenti fine a sé stesso: peccato che ciò somigli tanto ai passeggeri del Titanic che vanno incontro all’iceberg danzando, come noi andiamo incontro al disastro ecologico prossimo venturo difendendo un modello di vita incompatibile con l’ambiente.
NonUnaDiMeno
14 ore fa
Temi scottante e pieno di contrasti ideologici, culturali e religiosi, quello che proponi in quest'articolo, in modo chiaro e razionale.
RispondiEliminaMi chiedo spesso, al di là degli esperti, al di là delle barriere ideologiche, ecc., qual è la strada perché entri nella zucca di tutti che il concetto di identità (e quindi razziale) è un concetto astratto scientificamente inesistente e superato dai passi avanti che la scienza archeoantropologica ha fatto. Da ragazzino ebbi a gestire veementemente la mia appartenenza alla identità siciliana in quel di Torino. Non stiamo andando incontro soltanto al disastro ecologico e umanitario, più disgraziatamente al disastro delle intelligenze. Io, alla mia età, non riesco più, a farmene una ragione, eppure dovrei considerarmi praticamente alla stregua di un saggio...
Siete stati bellissimi e bravissimi tutti e due
RispondiElimina( lo scrittore e il commentatore).
Molto bello questo post dove razionalità ed emozionalità si fondono.
Non so Vincenzo, mi sembra che tu liquidi facilmente il senso di appartenenza ad una nazione . Personalmente io amo il mio paese e mi sento Italiana forse non sapendo specificatamente cosa significhi, so per certo che non riconosco nell'essere italiano quella persona che gira in SUv come tu dici ( ma non ho niente contro i SUV più che altro mi sembrano inutili ed ingombranti in città) oppure quella che insulta il migrante o il meridionale. Essere italiano vuol dire riconoscersi in quei costumi culturali e morali di fratellanza, solidarietà, vuol dire sentire un moto di orgoglio quando si legge di cittadini italiani che si sono fatti valere per il loro coraggio, la loro umanità, la lotro scienza nel mondo. E' riconoscere i propri luoghi ed amarli in modo viscerale ed istintivo. Vuol dire essere aperti all'accoglienza, alla contaminazione, all'incontro.
RispondiElimina@Riverinflood
RispondiEliminaNon so se esiste un'identità nazionale, se ci fosse, almeno potrebbe giustificare la stessa esistenza di confini nazionali (perchè mai, sennò?). Antonella dice, mi pare motivatamente, che per lei esiste un'identità italiana. Io, più modestamente, volevo sottolineare che la globalizzazione in primis finanziaria del mondo è la vera distruttrice delle differenze, e che questo è triste in sè: in un post, riportavo le mie sbalordite impresiiooni da un recente viaggio in Cina.
Per il resto, sono d'accordo con te, disastri ambientali e disastri delle capacità critiche vengono avanti assieme.
Solita ipocrisia italiana che ci fa sentire emancipati se adottiamo usi e costumi americani, mostrandoci indifferenti, in questo caso, alla perdita della nostra identità nazionale, per poi rivendicarla solo per giustificare il non più tanto sottile razzismo che serpeggia in molti di noi e soprattutto in chi ci governa.
RispondiEliminaa mio modesto parere l'identità di un popolo, di una nazione è un continuo divenire, bisogna far tesoro e prendere il buono dalle culture di coloro che decidono di vivere qui, per necessità o per scelta, senza per questo dimenticare le nostre tradizioni, come si dice in cucina: fusion, un giusto mix di culture diverse.
RispondiEliminaCome dico sempre a mia figlia quando si lamenta di certi atteggiamenti della mamme olandesi, prendi il meglio da loro e per il resto fai come ti hanno insegnato qui
@Paola
RispondiEliminaGrazie del commento così generoso :)
@Antonella
RispondiEliminaCome dicevo in commento precedente, credo che tu abbia ragione. Difatti, io tenevo solo a sottolineare che il colonialismo economico è il vero fattore della distruzione delle tradizioni nazionali, ma mi pare che tu sia sostanzialmente d'accordo con me.
@Ornella
RispondiEliminaDella serie: debole con i forti e forte con i deboli, anche questa è forse un costume nazionale.
@Zefirina
RispondiEliminaE' sicuramente come tu dici: rimane da vedere quale sia il motore di questo divenire, che mi pare abbastanza manovrato, e che ci porta in un mondo monoculturatizzato. Se invece prevalessero le contaminazioni, come tu dici, allora sarebbe una cosa augurabile.
Ma come sempre, Vincenzo!
RispondiEliminaRispondo qui da te.
RispondiEliminaIl tuo primo commento Vincenzo non era affatto chiaro. O almeno non per me. Certo se tu avessi scritto quanto poi hai riportato nel secondo, la mia risposta sarebbe stata totalmente differente.
In realtà mi eri invece parso alquanto approssimativo per instaurare un confronto.
Tutto questo ovviamente strideva con l'idea che mi sono fatta di te.
Aggiungo che discorrere degli argomenti che posto, certo, mi fa piacere.E' quello che cerco, e non condiscendenza e solidarietà...due cose che mi pare non arrivino da nessun mio lettore.
Ah ma ne parlano ancora? Ed io che pensavo che i veri problemi del Paese fossero altri..; che pirla che sono!
RispondiEliminaL'integrazione vera risolve tutto; l'identità é un concetto che tende ad evolversi con il tempo proprio come la storia del presepe e dell'albero. E' chiaro che quando si cerca in ogni modo di impedire questa integrazione é ovvio che poi si arriva a fare discorsi come quelli di certi editoriali di cui hai fatto menzione.
Ciao!
Daniele
Sei stato in grado di sviscerare un tema dall'enorme complessità con una capacità di analisi straordinaria.
RispondiEliminaSul quale potrei aggiungere ragionamenti su ragionamenti a non finire, dalla logica degli stati-nazione al senso dei confini nazionali passando per il significato di usi, costumi e abitudini e alle differenze tra di essi.
E invece aggiungo solo una cosa, proprio a proposito della Sicilia. Fino all'effettiva Unità d'Italia, avvenuta per il sud con modalità anche parecchio discutibili, il meridione d'Italia, e con esso l'isola siciliana, hanno conosciuto un periodo oscuro senza paragoni.
Il periodo di maggiore illuminismo per una delle più splendide isole di questo pianeta, se si esclude il periodo di Federico II di Svevia, ha avuto luogo proprio durante la dominazione arabo-islamica, quando per la prima volta la Sicilia faceva i conti con la libertà di culto e con un progresso sociale e culturale del tutto inedito.
Sono anche queste piccole parentesi storiche che dovrebbero farci riflettere profondamente quando qualcuno, in maniera del tutto ideologica e superficiale, in questo paese, tende a tirare in ballo la cosiddetta "identità nazionale".
@Daniele
RispondiEliminaIntegrazione come contaminazione io direi...
@Alessandro
RispondiEliminaSì, io penso che ci sia una voluta ambiguità sul termine identità, come su tanti altri. La manipolazione dello stesso vocabolario è essa stessa divenuta un forma di manipolazione politica.
Si d'accordo. Contaminazione é prendere dall'altro e dare al contempo parte di sé. Ci vorrebbero "semplcemente" sensibilità e sensibilizzazione....
RispondiEliminaE quindi un benessere, o parvenza di benessere quando c'è crisi permettendo, che non è progresso, ne tantomeno progresso civile, e anzi arretramento.
RispondiElimina@Alberto
RispondiEliminaLa soluzione credo sia quella di trovare un punto di equilibrio in ciò che consumiamo: non credo che nessuno di noi pensi a rinunciare a tutti gli oggetti tecnologici di cui siamo circondati. Non v'è però dubbio che andare avanti come facciamo è pura follia: peccato che non tutti la pensino così.
Non sarà che l’albero è arrivato nelle nostre case assieme alla Coca-Cola, non sarà che i McDonald hanno invaso tutto il mondo?
RispondiEliminaCerto! Solo che, quando si parla così, si viene bollati come antiamericani e quindi comunisti, anche se ciò non corrisponde alla realtà.
La nostra identità, se d'identità vogliamo parlare, è stata soffocata e straziata dalla società dei consumi nel suo complesso, con i media che ci devastano il cervello a colpi di pubblicità esplicita e anche strisciante, e imponendo modelli di vita e di comportamento standard.
Ormai persino su certi autobus della mia città c'è un televisore posto in alto, vicino al'autista, che trasmette pubblicità in continuazione.
Questo è solo un piccolissimo esempio, perché il discorso sarebbe ben più vasto. Ma serve a capire come siamo ridotti.