Come promesso, affronto il problema degli aspetti tecnico-istituzionali della recente proposta Berlusconi-Renzi in tema di riforme.
In questo post, mi occuperò del senato e della questione delle preferenze per l'unica camera che rimarrebbe a seguito della riforma, riservando gli aspetti concernenti il premio di maggioranza e quindi la dicotomia proporzionale/maggioritario a un prossimo post.
Cominciamo quindi a parlare del senato.
E proprio osservando cosa dice Renzi e cosa non dicono i giornalisti, che siamo costretti a riflettere sul clima di stupidità in cui siamo immersi...
Sappiamo dunque che il senato non sarà più elettivo, che sarà la camera delle autonomie, che vi parteciperanno di diritto i governatori regionali ed alcuni sindaci e lo faranno senza percepire ulteriori indennità. Peccato che nessuno si periti di farci sapere a che serve questo senato, quali funzioni più o meno importanti sarà chiamato a svolgere.
Ora, ammetterete che sia alquanto stravagante parlare dell'istituzione di questa nuova camera che del vecchio senato avrà soltanto il nome senza capire perchè mai vogliano istituirlo. Insomma, prima dovrebbe venire la finalità, faccio una determinata scelta in tema di strutture istituzionali, perchè lo ritengo utile in direzione di uno specifico scopo. La stessa espressione "camera delle autonomie" andrebbe spiegato e giustificato sulla base delle competenze che le vengono attribuite.
Qui, invece, si discute della riduzione di spesa senza apparentemente neanche considerare che le spese di mantenimento della struttura non si esauriscono certo negli stipendi dei parlamentari.
Visto quindi che le funzioni del senato non si conoscono, non si può tanto meno mettere in discussione la stessa scelta, e quindi non si capisce in cosa i giornalisti ritengano che consista un commento alla proposta, di cosa mai dovremmo discutere e cosa considerare nell'esprimere un giudizio in proposito: eppure, i giornalisti sembrano contentarsi del nulla contenuto nelle notizie su questo aspetto della proposta.
Ma andiamo adesso a considerare i meccanismi che la proposta prevede per l'unica camera di tipo elettivo che rimarrebbe a seguito della riforma.
Prima però, dovremmo minimamente esercitare la nostra memoria. E' ormai da otto anni che la gente si lamenta del parlamento dei nominati, di come sia indegno di una democrazia che i partiti designino loro chi nelle liste elettorali ci va per essere eletto e chi invece solo come riempitivo. Ebbene, fino a pochi giorni fa, i politicanti si mostravano in accordo con questa opinione popolare, si rammaricavano che per colpa degli altri, per colpa di una specie di incantesimo, non fosse stato possible cancellare simile obbrobbrio, pronti appena possibile a togliere a sè stessi questo potere assolutamente improprio di sostituirsi agli stessi elettori. I giornali poi vendevano copie a migliaia e migliaia ironizzando sugli eletti, sempre tra l'indignato e il sarcastico verso questo sistema dei partiti così chiuso in sè e nei suoi privilegi di casta fino a prevaricare lo stesso corpo elettorale che dovrebbe essere il titolare della sovranità in democrazia. Belle parole, belle copie vendute, ma oggi non mi pare di aver letto nè indignazione nè sarcasmo negli articoli giornalistici, improvvisamente essi sono diventati possibilisti verso la questione delle preferenze, otto anni di polemiche sfumate nel breve giro di pochi minuti in omaggio alla omologazione al politico vincente che non si può contraddire troppo nettamente.
Di fatto, questa questione delle preferenze è quella centrale, e tutta una serie di eventi sembra indicare la possibilità concreta che il piano Renzi-Berlusconi possa avere successo.
Vediamo di sviscerarlo per bene.
Comunemente, si dice che l'elettore dovrebbe avere il potere di scegliersi il suo rappresentante. Secondo questo punto di vista, il porcellum ha il torto di non consentire questa scelta. Alcuni che sono contrari ai collegi uninominali sostengono proprio affidandosi a questa argomentazione, che anche in questo caso, con l'indicazione di un unico candidato, si ottiene un efeftto analogo al porcellum.
La stessa corte costituzionale sembra essere caduta nello stesso errore, di approcciarsi alla questione dal punto di vista degli elettori finendo col formulare una sentenza che è gravemente errata e pericolosa. Ha così improvvisato il nuovo concetto di riconoscibilità. Secondo i giudici costituzionali, se l'elettore ha a che fare con una breve lista di candidati che gli permetta di identificare come persone concrete i nomi che legge nelle liste elettorali, allora il problema della mancata espressione delle preferenze non si pone. E' davvero arduo rintracciare una logica in questo argomentare. Anche assumendo il punto di vista della corte, non si capisce cosa cambi nel caso che io abbia piena conoscenza dei candidati, visto che non potrò comunque scegliere tra loro. Insomma, so che il candidato A è una schifezza di persona, mentre quello B è ideale, ma in che modo ciò può aiutare a garantire i miei diritti di elettore non si capisce proprio, dovrò eventualmente far eleggere A invece di B se A sta avanti nella lista proposta. Forse la corte intende dire che l'elettore può scegliere a quale lista dare il voto a ragion veduta perchè sa concretamente chi sarà eletto, ma mi pare che ciò costituisca una ben misera consolazione.
Ciò che io propongo è invece un punto di vista interno ai candidati. Il partito ha evidentemente il diritto di scegliere chi candidare, ma non di sostituirsi all'elettore nell'indicare preferenze. Ciò che avviene col porcellum è proprio questo, che il partito non si limita a scegliere come gli spetta di definire chi candidare, ma con l'ordine di lista definisce anche un ordine di preferenza che non gli può spettare. Insomma, il primo della lista in un determinato collegio per un partito grosso è un sicuro eletto sfruttando anche il contributo degli altri candidati che lo seguono in lista.
Visto così, è chiara la differenza nel caso di collegi uninominali, in quanto così l'elezione di un determinato candidato non può risultare automatica, magari probabile tramite la scelta del collegio facile, ma mai automatica come quando chi ha il 40% dei consensi candida al primo posto un tizio in un collegio che ne eleggerà magari venti. Così, è evidente che il partito non è responsabilizzato nella scelta del candidato, può scegliere il peggiore farabutto o l'imbecille più quesciente agli ordini del partito, e di conseguenza si ha un degrado qualitativo nella composizione delle camere elettive.
Per questo, ritengo che i collegi uninominali non possano essere assimilati a nessun altra fattispecie di collegio che, per il fatto stesso di dovere eleggere più candidati, richiede la compilazione di una apposita lista, così creando l'alternativa preferenza sì o preferenza no.
Nei fatti, Renzi aggira bellamente la sentenza della consulta approfittando dell'inevitabile vaghezza sulla lunghezza massima consentita delle liste bloccate,
La evidente inadeguatezza della sentenza della consulta nel fissare paletti certi ed invalicabili al legislatore sulla questione delle preferenze, finisce con il declassare tale sentenza a una specifica bocciatura del porcellum, e qualcuno maliziosamente potrebbe perfino credere che tutto sia stato preordinato, che ci possa essere qualche forma di complicità da parte di qualche giudice costituzionale.
In ogni caso, non si può non concludere che da questo primo aspetto che abbiamo qui analizzato, la proposta è perfettamente coerente con la legislazione vigente ed un osservatore onesto dovrebbe tranquillamente concludere che la riduzione nella lunghezza delle liste non lenisce le ferite che il procellum ha inferto al reale esercizio della democrazia.
La classe politica mostra così di non riuscire a fare a meno di questo suo potere di scegliersi i suoi parlamentari, tanto da sfidare un'opinione pubblica nettamente e chiaramente contraria, forse contando sull'azione di imbambolimento mediatico già all'opera.
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