Era come pensavo, anche da morto Mario Monicelli fa parlare di sé. In commenti su altri blog, avevo sin dall’inizio sottolineato il valore simbolico che il grande regista aveva inteso dare al suo gesto. Ho trovato ad esempio del tutto errata l’interpretazione data da Pupi Avati in una sua intervista ascoltata alla radio, che considerava questo suicidio come un atto di disperazione, di un uomo che si era isolato e non aveva poi retto questo stesso isolamento che si era ritagliato.
Come dovrebbe risultare chiaro oggi a tutti, speriamo anche allo stesso Avati, non c’è alcuna disperazione in questo gesto, c’è una scelta consapevole e probabilmente ben meditata, seppure tragica. Egli ha scelto di suicidarsi, e non si è dato, l’eutanasia, come incredibilmente sosteneva ancora ieri sera ad “Ottoemezzo” quell’ignorante di Lupi, che evidentemente neanche sa il significato di eutanasia, e pensa sia sinonimo di suicido.
Il suicido, quello più violento, quello che non si può nascondere, come il gettarsi dalla finestra, ha davvero un contenuto scandaloso per la nostra cultura occidentale, e quindi non soltanto per i cristiani. Mette cioè a rischio uno degli assiomi di questa nostra cultura dominante, che la vita possa essere non più degna di essere vissuta, e che si possa consapevolmente scegliere di darle fine.
Noi viviamo in una società in cui non si parla di morte, in cui esistono famiglie dove i genitori nascondono ai figli l’immanenza della morte, la natura passeggera del nostro essere vivi, e lo fanno perfino evitando di citare davanti a loro i conoscenti morti, di farli assistere ai funerali. La natura scandalosa della morte trasforma perfino in un difetto l’essere vecchi, col caso emblematico dello stesso capo del governo che si “asfalta” il cranio, ingurgita botulino, stira tutto ciò che è stirabile, preferendo alla fine apparire come un mostro piuttosto che come un vecchio. I gesti come quello di Monicelli ci richiamano appunto alla finitezza della nostra vita, al fatto che l’individualismo di questa società finisce col rendere tragico ciò che è assolutamente naturale, la vita inizia e la vita finisce. Le religioni monoteiste si sono inventate l’infantile bugia dell’aldilà, mentre io credo che dovremmo riconoscere di essere parte di un tutto, da cui proveniamo e in cui siamo destinati a ritornare.
Io ad esempio vorrei essere seppellito nella nuda terra, senza bare ed altri orpelli, proprio per potere ritornare al più presto nel circolo vitale, essere concime per nuovi fiori (ma mi dicono che la legge lo proibisca).
Tornando a Monicelli, vorrei qui riconoscere il giusto merito al Presidente Napolitano, a cui non ho risparmiato in altre occasioni aspre critiche, che ha fatto una dichiarazione molto coraggiosa ieri, in qualche modo certificando il fatto che Monicelli era riuscito ancora una volta, giusto sul limitare della sua esistenza, a mandare i propri messaggi, vincendo quel tentativo di trasformare una scelta lucida e convinta in un gesto di disperazione. In quanto scelta consapevole, il suicido di Monicelli fa scandalo, e quindi ha raggiunto in pieno il suo obiettivo.
mi trovi totalmente d'accordo. anzi, se permetti, riporto questo pezzo anche su occhioclinico.
RispondiEliminaps: grazie per la segnalazione sul ddl gelmini, che defaillance!! ho decisamente bisogno di un assistente che si prenda parte del lavoro o quanto meno che riveda le bozze :)
Spero d'avere anch'io la possibilità ed il coraggio di un ultimo scatto di volontà, al momento opportuno. Onore a Monicelli!
RispondiEliminaIl gesto di Monicelli è stato scandaloso perché ha spiazzato i nostri schemi culturali. Ai quali non siamo più abituati ad allontanarci. Anche in questo Mario ha fatto qualcosa di rivoluzionario.
RispondiEliminacompletamente d'accordo con te.
RispondiEliminadevo dire che però mi ha fatto impressione questo gesto così "drammatico", ma credo di capire che Monicelli volesse avere come sempre l'ultima parola, la libertà di scelta.
RispondiEliminae per la menta persa non mi pare che questa società nasconda la morte a nessuno che vedo troppe barbarie e violenze perpretrate a danni dei più deboli e i bambini sono bombardati da informazioni e immagini pù che violente, il problema è che molti di loro non hanno nessuno vicino che spieghi loro il significato di quello che vedono o sentono
Credo sia stato esclusivamente un supremo gesto di libertà. O forse così mi piace interpretarlo.
RispondiEliminaCredo si vogliano vedere in quel gesto significati che non hanno nulla a che vederne. Per me è stato solo il gesto sconsiderato di un vecchio di 95 anni a cui la vita ha dato molto e a cui hanno diagnosticato un brutto male, ritrovandosi senza la forza e la voglia di affrontarlo.
RispondiEliminaSi dice che la morte fa parte della vita, ed è verissimo, ma anche la malattia ne fa parte, come le difficoltà e la sofferenza, e se si deve accettare il primo assunto si deve accettare anche il resto.
Leggo in giro su questa faccenda parole come "libertà" che non hanno nulla a che vedere con la vita e tantomeno con la morte. L'uomo è un essere vincolato dai suoi cinque sensi, vincolato dal suo ambiente, dalla sua cultura, dal proprio modo di pensare (imposto o auto imposto), dalle proprie origini, dal proprio passato, vincolato dallo spazio e dal tempo: l'uomo è la cosa che più si allontana dal concetto di libertà, che non può che essere relativa. Reclamarla nella morte è assurdo come pensare di esserlo nella vita.
In definitiva in quel gesto non ci vedo coraggio, non ci vedo libertà, solo disperazione.
Un saluto.
Non lo interpreto come te Rouge.
RispondiEliminaPer me non è un gesto sconsiderato, né di libertà, o disperazione: semplicemente la scelta (più o meno condivisibile) di staccare la spina nell'unico modo possibile finché se ne hanno le capacità, in una società che poi non te lo permette e prende il controllo del tuo corpo quando raggiunge sofferenze indicibili o uno stato vegetativo
Forse è come dice Lucien. Eppure, anche se si fosse trattato di un gesto del tutto privato, assume oggettivamente un carattere rivoluzionario, esemplare in quanto compiuto da un personaggio famoso. In fondo, si tratta sempre della rivendicazione di una libera scelta, quella della massima libertà perchè estrema e definitiva.
RispondiEliminaVorrei poi ricordare che gli indiani d'america, diventati ormai definitivamente vecchi ed incapaci di concorrere al benessere della propria comunità, si allontanavano dal villaggio, lasciandosi morire d'inedia in solitudine. Chi ha avuto animali domestici, sa che anch'essi, ormai sfiniti dalla vecchiaia, si isolano e si lasciano morire rifiutando l'alimentazione.
Ciò ci dovrebbe evidenziare quanto questo atteggiamento sia assolutamente naturale, e quanto questo attaccamento parossistico al prolungamento della nostra vita sia patologico e derivi da una specifica ideologia, quella occidentale ormai trionfante in tutto il mondo.
Accostare il suicidio di Montanelli all'eutanasia mi sembra una forzatura strumentale che non sta proprio in piedi. Insomma, non confondiamo le cose. Qui siamo solo di fronte a una scelta personale senza valori aggiunti. Le scelte si compiono considerando due o più opzioni, in questo caso continuare a vivere da malati (dopo una lunga vita vissuta e goduta appieno, da privilegiato) o rifiutarsi di farlo. Nel primo caso c'è una speranza (di vita), nel secondo no, ne posso solo dedurre che disperazione in Monicelli ci fosse, e d'altronde credo che in tutte le scelte di questo tipo ci sia. Per cui la scelta consapevole si riduce a un atto di fuga volontaria dall'affrontare la propria vita. Si fugge per coraggio? Forse, ma non credo che la casistica a favore sia tanto ampia. E' stata una scelta di libertà? Forse, anche qui, ma se avesse voluto avere quel significato probabilmente si sarebbe peritato di farlo sapere. E' rimasto invece un fatto privato e personale, consumato in solitudine e a cui si deve il rispetto della scelta, ma senza cercare motivi nascosti perchè non voluti.
RispondiEliminaRiguardo a ciò che dici Vincenzo a proposito dell'attaccamento parossistico alla vita nella nostra società, mi sembra che sia altrettanto naturale esserlo. Gli uomini di tutte le epoche e culture sono attaccate alla vita così tanto da cominciare ad avere una fede certa e incrollabile in una vita dopo la morte, e lo dimostra tutto il culto dei morti (che trova il punto più alto nell'Egitto di qualche migliaio di anni fa, non proprio occidentale), presente ad ogni latitudine e cultura. Non credo che i pochi casi da te citati dimostrino il contrario, certo non che sia un "atteggiamento assolutamente naturale": i vecchi indiani che sceglievano l'isolamento erano un numero estremamente limitato, non fosse altro che l'età media e la prospettiva di vita di allora non era certo così elevata per farne un fenomeno diffuso, sono però pronto a scommettere che anche in occidente ci siano stati casi in numero analogo di anziani che hanno perso la voglia di vivere e si siano lasciati andare. Sugli animali non mi sembra il caso di fare paragoni con l'esistenza umana, che mi pare un attimo più complessa.
Scusa gli errori e la lunghezza: Monicelli (non Montanelli) e premurato (non peritato) :)
RispondiEliminaUn saluto
@Rouge
RispondiEliminaIl punto mi pare sta in questo, se ci si concepisce come individuo, o come parte di un tutto. Non v'è dubbio che in una cultura basata sull'individuo, come quella tramandata dalle religioni monoteiste, la morte è un punto finale, e perfino la credenza nell'aldilà non è sufficiente generalmente ad addolcire il momento del trapasso. Tuttavia, sono rimasto una volta colpito dall'intervista alla TV di una suora che dichiarava di aspettare con trepidazione la morte, che leggeva come sacrificio il vivere.
Per chi crede invece che l'individuo è una parte di un tutto a cui tutti partecipiamo, allora la morte è solo una trasformazione.
Vedere quindi il darsi la morte come un evento disperato, potrebbe essere semplicemente il sovrapporsi del proprio punto di vista a quanto effettivamente accaduto, leggere con i propri occhi una realtà che magari è completamente differente. Quello che volevo sottolineare è che la cultura occidentale individualista non può accettare il suicidio, ma in realtà non può accettare neanche la morte, perchè se l'individuo è una realtà effettiva e non un'apparenza fallace, allora la fine dell'individuo è una fine senza appelli, che finisce col mettere in crisi lo stesso concetto di realtà.
Perdonami se continuo la discussione, ma la trovo piuttosto intrigante.
RispondiEliminaAnche le religioni monoteiste credono che si faccia parte di un tutto, in questo caso chiamato Dio. La cultura dell'individuo invece è propria del non credente, che non crede in un'anima e dunque che ci sia possibilità di vita ultraterrena o di "trasformazione". Le religione monoteiste al contrario proprio nel credere nell'anima (fatta di materia divina) vedono il trapasso come un ricongiungersi a Dio visto come padre di tutti (dunque tutti fratelli, dunque negazione dell'individualismo) . Ciò che differenzia chi crede è ciò che avviene immediatamente dopo, nel credere cioè in un giudizio che le può portare in paradiso o all'inferno (o anche in purgatorio, come nel cattolicesimo) prima del giudizio finale, oppure in una reincarnazione o quant'altro. Per cui per le religioni monoteiste la morte è solo il punto finale della vita terrena del corpo ma non della vita ultraterrena dell'anima. Il fatto che se ne abbia timore è perchè la maggioranza dei credenti lo è per modo di dire e, credimi che ne ho conosciuti, chi ha veramente fede non teme la morte.
Riguardo al secondo punto condivido ciò che dici a proposito della crisi del concetto di realtà nella cultura occidentale (applicato dunque a una società non credente), anche se leggere la realtà con i propri occhi può essere detto in ogni caso, non solo in chi lo vede come evento disperato, ma anche in chi lo vede come evento scandaloso. Non trovi?
Ho il massimo rispetto per la scelta di Monicelli, che reputo coraggiosa. Mi ha molto addolorata quando ho sentito la notizia, perché è naturale restare scossi da una decisione che è tragica, ma, fedele alla mia concezione dell'esistenza e dell'individuo, l'ho rispettata e persino ammirata.
RispondiEliminaUna persona è libera di darsi la morte, se vuole.
A proposito poi di quella salma imbalsamata del nostro premier, che non vuole invecchiare - ma è già vecchio - e vorrebbe pure vivere in eterno - ha il terrore della morte -, c'è da dire che è brutto come uno spaventapasseri, mentre il novantenne Monicelli era, oltre al resto, un gran bel vecchio, molto affascinante. Ma si sa, è tutta una questione d'intelligenza. Che il messia lombardo non ha.
Anch'io ho apprezzato molto le parole di Napolitano. Erano necessarie, specialmente in un Paese come il nostro, dominato da superstizioni dure a morire.
@Rouge
RispondiEliminaIl discorso sulle religioni monoteiste ci porterebbe troppo lontano, magari ci farò un post.
Sull'ultimo punto invece ti volevo fare notare come non ci sia la simmetria che tu dici. Nessuno infatti definirebbe disperato un vecchio che utilizzi tutti i dispositivi tecnologici per mantenersi in vita. Non sono d'accordo, e quando verrà la mia ora spero di avere il coraggio e la possibilità di evitare questo accanimento, ma costringere i comportamenti degli altri a una mia ottica, questo non lo farei mai. Critico per questo chi impone a chi fa una scelta differente l'etichetta di disperato.
@Romina
RispondiEliminaTu dici brutto come uno spaventapasseri, io dico mostruoso, nel senso che quel volto testimonia tutti gli artifici che ha subito, ma il concetto mi pare lo stesso :)