giovedì 31 gennaio 2013

ANCORA SULLE BANCHE

E’ inutile nasconderselo, la questione “banche” è oggi centrale, e mi fa piacere che, malgrado la tendenza a trasformare ogni notizia in pettegolezzo da parte dei media e i tentativi di depistaggio da parte di tanti politici, la faccenda MPS si rifiuta di essere declassata a un semplice episodio di corruzione.

Con ciò naturalmente, non sto negando che corruzione ci sia stata, ma che occuparsi esclusivamente di questi aspetti, che tra l’altro la legge affida alla magistratura che sta dimostrando di fare al meglio il proprio dovere, significa fermarsi alla superficie.

Soprattutto, è davvero insopportabile sentire chi, come Monti oggi pomeriggio, o un docente universitario di cui non conosco il nome stamane a radiotre, sentenziano che il problema sta nella natura pubblica delle banche, ed hanno la faccia tosta di farlo nel 2013, dopo cinque terribili anni di crisi di cui non si vede la fine. E chi e cosa hanno innescato la crisi se non proprio le grandi banche anglosassoni tutte rigorosamente private? ...

Essere anziani, è inutile negarlo, non fa piacere a nessuno, ma almeno un vantaggio c’è, quello di averne viste tante. In particolare, io ho potuto vivere la stagione delle banche pubbliche. Sono stato cliente della Banca Commerciale, un po’ l’emblema di quel tipo di banca. Intanto, essere bancari, era un privilegio, non soltanto dal punto di vista salariale, che li collocava al di sopra di molte altre professioni, ma l’effetto indotto anche da tali privilegi economici, di sentirsi parte di una casta, di un circolo esclusivo che richiedeva il rispetto quasi religioso di una prassi di limpidità e di rispetto per i clienti. Andare in banca allora era un piacere, malgrado il peso sicuramente superiore delle spese da sostenere, perché alla fine questi privilegi salariali qualcuno se li doveva accollare.

Le banche italiane, non v’è dubbio, sono rimaste le meno efficienti del mondo occidentale, ma se invece di correre dietro a caccia di efficienza e di competitività, ci riflettessimo, forse potremmo arrivare alla conclusione che questi aspetti non meritino di funzionare da traguardi.

Che c’abbiamo guadagnato da questa competizione a tutto campo? Non c’hanno guadagnato certo i bancari che sono stati ormai proletarizzati, non i clienti visto che la qualità del servizio si è radicalmente abbassata. Soprattutto, è ormai chiaro che le banche possono essere private soltanto in una maniera strampalata, privatizzando i guadagni ma socializzando le perdite, perché a quanto pare i governi di tutto il mondo si sono convinti che una banca non può essere lasciata fallire.

Cosa sta succedendo all’umanità se contro ogni evidenza sperimentale è possibile lasciar credere alla gente comune che il problema venga dal pubblico e non dal privato? Naturalmente, non tutti i politici sono come Monti, ma la mia impressione rimane che non ci sia la necessaria consapevolezza della gravità della situazione e del livello di decisioni che vanno assunte. Pensare di potere risolvere i problemi immani che abbiamo di fronte con piccoli accorgimenti, magari pretendendo anche di riuscirci senza pestare i piedi a nessuno, è una gravissima illusione, e del resto ancora oggi la Bindi invita Monti a una collaborazione col PD, da far cadere le braccia.

Tutto parte dal presupposto che il denaro sia una merce come qualsiasi altra. La società di mercato, la religione del nostro tempo, si basa proprio sull’assunzione che tutto possa essere trattato come una merce. Uno studioso del secolo scorso come Polanyi individua proprio nell’avere incluso tra le merci oltre al denaro, anche la terra e il lavoro come la responsabilità enorme di questo genere di società. Se pensassimo al denaro come un mezzo per favorire il commercio, se pensassimo alla terra come natura e quindi come tale non monetizzabile, se pensassimo al lavoro non come mezzo al servizio del profitto ma come fine, in quanto il lavoro è modalità di vita dell’uomo, allora finalmente apriremmo gli occhi e capiremmo l’abisso di assurdità connesso alla società di mercato.

Se quindi il denaro smettesse di essere considerato una merce, allora si capirebbe come le banche non potrebbero che essere pubbliche, come degli uffici statali preposti alla raccolta del risparmio e all’erogazione del credito.

Il discorso ovviamente ci porta molto lontano e così preferisco fermarmi qui, almeno per il momento, è un discorso che riprenderò appena possibile.

3 commenti:

  1. Mi permetto un contributo al tuo ragionamento, questa volta solo come risparmiatore. Ho sempre messo qualcosa da parte dal mio reddito di lavoro per eventuali disgrazie future e per i miei figli. Quello che chiedo per questo reddito diventato risparmio è solo di ritrovarlo in futuro magari non eroso dalla svalutazione e pertanto l'interesse che può bastarmi è quello che mi possa bastare per mettermi al riparo dall'aumento dei prezzi. Non sto facendo con questo risparmio strani investimenti, e non desidero che altri facciano operazioni spericolate con i miei depositi. Portare questi risparmi a una banca pubblica o a una privata per me può essere uguale, anzi portarli ad una banca pubblica potrebbe darmi un senso di sicurezza maggiore rispetto a qualche possibile fallimento. Questo ragionamento minimale credo che possa accumunare la quasi totalità dei risparmiatori, se gli viene raccontato con onestà cosa si intende per risparmio e per credito. Se poi la banca eroga a tantissimi soggetti il suo credito la possibilità di suo fallimento è proprio remota perché solo qualcuno di quelli che hanno ricevuto credito potrà fallire e non tutti. Una grande banca pubblica potrebbe benissimo assolvere al questo compito. Certo potrebbero esistere anche in parallelo tante piccole banche private che magari si specializzano sul territorio, ma piccole e con i depositi assicurati presso una società di assicurazioni pubblicamente controllata.

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  2. La prima norma, trovata già quasi un secolo fa da Roosevelt dopo la storica crisi del '29, fu quella della seprazione tra banche di affari e banche commerciali. Questa legislazione servì ad evitare fallimenti bancari clamorosi per svariati decenni, fino a che Billy Clinton malauguratamente nel '98 la abrogò causando ciò che oggi osserviamo. Ciò che le banche hanno fatto è stato di investire i risparmi dei clienti in titoli in funzione speculativa, e quindi coinvolgendo anche questi inconsapevolmente nelle loro spericolate operazioni finanziare.
    La cosa importante è capire però perchè dopo l'esperienza del '29 e il successo avuto dalla separazione dei due differenti tipi di banche, gli USA ci siano ricascati. Non è che siano stupidi o distratti o superficiali, il fatto è che gli USA non riuscivano più ad avere una reale fase economica espansiva, e si tratta quindi di un gesto nello stesso tempo consapevole e disperato per tentare la continuazione della crescita ininterrotta che per il capitalismo non è un lusso, ma un requisito essenziale anche soltanto per sopravvivere.
    Oggi, dopo che sono noti i limiti oggettivi che la limitatezza delle risorse pone, ogni ipotesi di crescita ininterrotta risulta in tutta evidenza come una follia, decretando così il fallimento del capitalismo, non, badate, dello specifico capitalismo finanziario, ma del capitalismo in tutte le sue versioni.

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    1. Penso anch'io che la crescita ininterrotta si mangia il pianeta e l'uomo stesso. Abbiamo anche alle spalle i risultati fallimentari del socialismo totalitario. Penso a una moderna socialdemocrazia, ma molte esperienze di socialdemocrazie hanno ingrassato i peggiori capitalisti Vanno trovati in qualche modo i percorsi per un nuovo equilibrio.

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