mercoledì 28 aprile 2010

RICOLFI, TREMONTI ED ALTRI FEDERALISTI

Luca Ricolfi è un editorialista politico de “La stampa”, che ha, a quanto pare, un’idea fissa in testa, il federalismo. Egli, abilmente, si guarda bene dallo schierarsi apertamente a favore del federalismo, non intende farsi identificare come leghista. Egli piuttosto, sostiene che la questione del federalismo stia al centro della politica, vuole insomma apparire come uno studioso che si limita a constatare fenomeni obiettivi che avvengono sotto i suoi occhi, come un fisico che assistesse al moto di un grave e eseguisse delle misure allo scopo di comprendere il fenomeno, guardandosi bene, ovviamente, dall’esprimere una preferenza verso il modo in cui il fenomeno si manifesta. E’, dicevo, una posizione abile, perché non richiede nessuna assunzione di responsabilità, lasciandogli il comodo compito di studioso. L’efficacia di questo approccio al federalismo è che le sue affermazioni, fatte da una persona che non si dichiara di parte, sembrano per questa stessa ragione più autorevoli. E’ un po’ come le pubblicità che reclamizzano prodotti con il testimonial rigorosamente in camice, il camice che ne certifica il suo ruolo di esperto, con ciò stesso conferendo al suo messaggio un’autorità assoluta, la stessa che questa società attribuisce alla scienza.

Io, che sono un po’ più smaliziato, quanto meno in virtù della mia età, non mi faccio abbindolare da questo atteggiamento, chiederei al giornalista di essere convinto, e per convincermi, mi occorrono argomentazioni. Peccato che, come è costume dominante sulla grande stampa, le affermazioni sono sempre fatte in stile apodittico, pretendono cioè di essere di per sé evidenti. Tutta questa storia del federalismo, in verità, viene portata avanti con questo stile di autoevidenza, che tende a inibire qualsiasi obiezione contro di essa: come dire, ma se non capisci una cosa tanto ovvia, devi proprio essere abbastanza tonto. Quando finalmente finirà quest’orgia di potere di queste nuove destre, si potrà fare la storia delle rivoluzioni linguistiche che sono intervenute in questo periodo, cambiando profondamente il nostro mondo simbolico. La più grave è forse dovuta alla Lega, i cui componenti non si sottraggono alla consuetudine di dire baggianate con un tono sicuro e che non ammette repliche: più la sparano grossa, più pretendono di essere dalla parte della ragione.

Tornando a Ricolfi, in un suo recente articolo, egli, criticando PD e PDL, dice che la questione del federalismo fiscale, aggiungendo anche il problema dell’assetto istituzionale dello stato, spacca entrambi i partiti, finendo addirittura per far perdere senso alla consueta contrapposizione sinistra-destra. Il vero centro della politica italiana è costituito dal federalismo fiscale, ed egli lo intende come un’esigenza per la modernizzazione del paese (sic!). Ora, non è che io sia particolarmente affezionato a questi termini in politica, ma mi pare che ci sono motivazioni ben più serie che ne possono mettere il crisi l’utilità semantica, e mi pare francamente una sciocchezza credere che, udite udite, sia il federalismo a mettere il crisi lo stesso concetto di destra e sinistra.

Sul federalismo dovrò tornare, qui vorrei solo ricordare le risibili motivazioni che Tremonti portò quando fu ospite di “Annozero” per sostenere questa sua visione federalista. Dunque, la prima delle due motivazioni era che solo chi sta in un luogo può conoscere le problematiche del posto. Stiamo scherzando, nell’era di internet, quando tutte le informazioni circolano vorticosamente in tutto il mondo, abbiamo bisogno di essere fisicamente in un posto per conoscerlo, stiamo scherzando? La seconda motivazione è che il federalismo fiscale impone una responsabilità a chi assume una autonoma responsabilità di gestione di bilancio. Anche qui, ma stiamo scherzando? Qualcuno dovrebbe avvisare Tremonti che la Regione Siciliana ha la sua autonomia addirittura prima della promulgazione della Costituzione, dal 1946 se non erro. Vogliamo esaminare con quali esiti, con quale uso distorto delle risorse finanziarie? La mia esperienza è esattamente opposta: man mano che si scende lungo la scala del potere, coinvolgendo nella gestione chi vi è più vicino, le cose peggiorano. Chi vede a portata di mano quell’interesse specifico e privato a cui tanto tiene, dell’interesse generale se ne sbatte. Se ne è in grado, tenta di fregare il vicino di stanza. Dico cioè che coinvolgere una comunità nella gestione delle proprie risorse significa anche, non bisognerebbe dimenticarlo, coinvolgere il singolo individuo nella gestione delle proprie personali risorse. E secondo voi, cosa prevarrà?

8 commenti:

  1. Senza distinguere tra nord e sud, in Italia esistono zone produttive e zone improduttive, zone in cui la gestione amministrativa porta frutti e servizi ai cittadini, zone dove questi mancano o sono scadenti. Sono anni ormai che i soldi ricavati dalle zone produttive finiscono per aiutare le zone improduttive. La solidarietà è un bene ma non se diventa una zappa sui piedi di tutti. Questa dinamica non solo toglie ossigeno alle zone produttive (che non possono reinvestire e quindi progredire), ma non aiuta neanche le zone improduttive, che se stanno in piedi grazie a questi trasferimenti, tuttavia non migliorano la propria efficienza. La domanda è: vogliamo mantenere questo meccanismo che ci sta portando nel baratro oppure proviamo a premiare chi produce permettendogli di crescere e responsabilizziamo chi non produce a darsi da fare per rendersi più competitivo?

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  2. @Remo
    Il punto però è se il federalismo aiuta o no, e su questo non mi pare che tu argomenti. Se a una regione che so dominata dalla malavita organizzata, distrutta moralmente da una etica pubblica di pessima qualità, dico che da quel momento in poi, dovrà gestire da sè i propri soldi, significa condannarla per sempre. Naturalmente, qualcuno può credere che l'autogestione responsasbilizi, ma permettimi di considerarlo articolo di fede. C'è chi crede ai miracoli, e così può anche credere al miracolo di un federalismo redentore. Io preferirei, ma di molto, che la mia Sicilia sia piuttosto governata da un'autorità centrale: sarebbe sicuramente un male minore rispetto a quei gaglioffi dei deputati regionali siciliani.
    S3e insomma immagino che esista un virus che ha inquinato un ambiente, non posso contare fideisticamente sull'autoguarigione, devo intervenire drasticamente, se necessario chirurgicamente. Con questo, avrò almeno chiarito, spero, che non sono per il mantewnimento dello status quo, tutt'altro.

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  3. Con me sfondi una porta aperta, ne ho già parlato in un post dell'argomento.
    Non vedo perché se il fisco è amministrato dalla regione Sicilia o dalla Lombardia dovrebbe essere più efficiente che se amministrato dallo Stato. Tutti dicono che lo è. Ora spiegatemi PERCHE'? C'è nessun giornalista capace di porre questa semplice domanda a tali esperti che diffondono il loro vangelo?

    Remo. Io non so quali sarebbero queste zone "improduttive" di cui tu parli ma la ricchezza di certe regioni è dovuta al lavoro di tanti meridionali che vivono in zone considerate improduttive. Semplicemente la ricchezza viene trasferita da una parte all'altra dell'Italia (cioè da sud a nord) ma a questo punto arrivano i federalisti e dicono: "no! La ricchezza del nord è stata fatta solo dal nord e il sud non ci ha nessun merito!" dicendo una palese fandonia di cui qualsiasi studente di economia si renderebbe conto.

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  4. Quello che mi ha colpito nel saggio di Ricolfi sul federalismo fiscale è il metodo che ha utilizzato per raggiungere 4 fondamentali obiettivi: calcolare il grado di dipendenza di un territorio dalla spesa pubblica corrente, «il parassitismo netto»; valutare il grado di esosità del fisco, «il reddito comandato»; stimare la dissipazione di risorse pubbliche, «lo spreco»; confrontare i consumi effettivi di territori con differenti livelli di prezzi, «il potere di acquisto locale». Penso che passare da una gestione fiscale statale a una gestione regionale agevoli gli amministratori, permetta più trasparenza e maggior controllo da parte del cittadino. Di conseguenza maggior attenzione e responsabilità da parte delle amministrazioni locali, anche grazie all'introduzione di incentivi per chi mostra di saper gestire bene e non sprecare e viceversa. Tuttavia Ricolfi è il primo a riconoscere, con molta onestà intellettuale, il valore determinante di un dato poco misurabile: la volontà delle persone a cui è affidato il nostro futuro. Perché nessuno può escludere che l'applicazione del federalismo possa risolversi nelle stesse dinamiche di sempre, così come fu la legge sul decentramento regionale in passato. Spes ultima dea.

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  5. Scusa, ma dove lo vedi il "maggior controllo da parte del cittadino"? Tu pensi che in Lombardia Formigoni sia più "controllabile" o Errani in Emilia (per citare due presidente regionali uno di centrodestra e uno di centrosinistra che ricoprono l'incarico per la TERZA VOLTA, come dei dittatori, contro la Costituzione)? Oppure sul comune governato dalla mafia, con consiglieri e assessori controllati dalle organizzazioni criminali? Quale potere di controllo avrebbe il cittadino? A me sembra il contrario e cioè che aumenterebbe il controllo dell'istituzione locale SUL cittadino, ostaggio delle corporazioni, delle associazioni e delle lobby, legali o illegali (pensare agli interessi di Comunione e Liberazione nel campo della sanità lombarda). Il clientelismo, male cronico di questo paese sarebbe rafforzato perché è evidente che se si vota alle elezioni comunali per eleggere un sindaco che io conosco e incontro per la strada e il cui operato può decidere della mia carriera personale è il SUO potere di controllo su di me, ad aumentare. Dove sta tutta questa "trasparenza" ed "efficienza"? Non vi rendete conto di quanto saremmo manipolabili e ricattabili?

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  6. Se trasferiamo il potere che ha un presidente su una nazione al livello di un sindaco in una piccola comunità cittadina, facciamo un danno enorme, perché noi creiamo un tiranno, un despota, viceversa, in una comunità piccola i capi devono avere un piccolo potere, non un grande potere, che è esattamente il contrario di quanto si è fatto dagli anni '90 al grido di "più potere ai sindaci". Signori, questa non è democrazia, democrazia significa potere al popolo, non potere ai capi.
    Se vogliono fare la democrazia sul serio rafforzino il potere del cittadino, sottopongano per legge il bilancio comunale, il piano regolatore al giudizio popolare, questa è democrazia, ma non lo fanno perché loro non vogliono la democrazia, vogliono tanti feudatari sottoposti a un vincolo di fedeltà nominale a feudatari più grandi fino ad arrivare al grande sovrano che l'unico potere effettivo che ha è quello di muovere guerra(ce lo insegnavano alle elementari , vassalli, valvassini e valvassori, ve lo ricordate?) questi vogliono riportarci al medioevo e il federalismo è uno dei mezzi che hanno scelto per farlo.

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  7. @Remo
    Condivido le considerazioni di Matteo. Qui, non c'è nessuno che sia per lo spreco o che chieda elemosine al nord, su questo sfondi una porta aperta. Ciò a cui sfuggi, è perchè ci dovrebbe essere un maggiore controllo da parte del cittadino. Del resto, non è che stiamo provando qualcosa di integralmente nuovo. Tu dici che prima ci stava lo stato che ripianava le perdite. Ciò è vero solo parzialmente, ma anche in questa evenienza, chi mi spiega perchè una gestione più oculata non c'è stata: non sarebbe stato un vantaggio per il cittadino? Purtroppo, le cose non stanno così, perchè la preoccupazione dei più è quella di ingraziarsi i potenti. Potrei citare per conoscenza diretta anche l'autonomia degli Atenei, il risultato è disastroso. Se c'è mal costume, meglio che quelli che comandano siano un numero più limitato, ruberanno comunque un po' di meno.

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  8. un ente locale che oggi fallisse, pagherebbe le conseguenze di scelte fiscali che non sono tutte e interamente imputabili a sé, vuoi perché gran parte delle risorse di cui dispone è il frutto della complessa alchimia delle compartecipazioni, della perequazione e delle addizionali su imposte decise e definite nei loro elementi portanti da leggi dello Stato, vuoi perché una buona porzione della spesa è anch’essa irrigidita dalle norme e dalle scelte statali (si pensi al pubblico impiego). Senza considerare che di solito il rischio di default degli enti territoriali non dipende, o non solo, dal passivo di bilancio o da una gestione poco accorta delle risorse pubbliche. Tale rischio è infatti tanto più basso quanto più amico è il Governo nazionale, come dimostrano i casi del Comune di Roma e del Comune di Catania, salvati dalla bancarotta per gentile concessione dell’esecutivo Berlusconi (nel 2008 sono stati regalati 500 milioni di euro alla giunta Alemanno e 174 a quella di Scapagnini). Proprio per questo modo di procedere, sarebbe meglio che gli amministratori locali non solo siano più responsabili, ma che siano effettivamente più autonomi.

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