lunedì 8 giugno 2009

LO SVILUPPO EDILIZIO (PARTE SECONDA)

Nel precedente post, di cui spero ricordiate qualcosa, malgrado il troppo tempo trascorso, prendendo spunto da un’inchiesta di report, tentavo, proprio con un approccio diverso da quello dell’inchiesta giornalistica, considerare la correlazione tra alloggi nei centri urbani e alloggi al di fuori di essi.
Dopo avere lì tratteggiato alcuni aspetti della situazione di sviluppo incontrollato di edificazione fuori dai centri urbani, qui tenterò di considerare la situazione dei nostri centri urbani, Ciò che dirò, sarà in particolare riferito a centri medio-grandi, con una popolazione che sia significativamente maggiore di centomila abitanti. Il motivo di questa scelta sta nel fatto che mi pare che molti problemi derivino, addirittura con un certo automatismo, proprio da un fattore dimensionale.
La città è sorta lungo la storia dell’umanità dall’esigenza sociale degli uomini, cioè dal volere vivere assieme, e questa comunanza ha ben poco di romantico, derivava anzitutto da vantaggi pratici dello stare in stretta prossimità gli uni agli altri. Non starò qui a stilare un elenco di tali vantaggi, ma riprenderò alcuni di questi più avanti.
La città si caratterizza subito per avere un dentro e un fuori, quindi nell’includere i cittadini appunto, e nell’escludere gli altri, gli stranieri, i nemici. A questo scopo, le città si dotano di mura di cinta che consentono l’accesso solo attraverso degli specifici varchi, appositamente sorvegliati.
Certamente, nell’antichità, differenti modelli di insediamenti abitativi si svilupparono, ma ovviamente una tale analisi storica esula dallo scopo di questo post. Facciamo adesso un grande balzo temporale e arriviamo all’inizio del secolo passato, quando si verifica una vera e propria rivoluzione nei mezzi di locomozione. Nell’ottocento, era stata la ferrovia la grande invenzione che doveva stravolgere completamente le modalità e le stesse possibilità di mobilità delle persone. La ferrovia, tuttavia, serviva a collegare centri urbani l’uno con l’altro, e pertanto il suo impatto diretto sui centri urbani fu limitato. Diverso fu l’impatto, come ben sappiamo, dell’introduzione dei mezzi su gomma, di quei mezzi cioè che in qualche modo erano in grado di adattarsi alle strade esistenti, incluse quelle urbane già utilizzate per il passaggio di carri trainati da animali. Ecco, io fisserei una linea di demarcazione, costituita dal sempre più crescente uso degli autoveicoli sin dai primi anni del secolo passato. Il motivo è, credo, evidente a tutti: gli autoveicoli hanno profondamente cambiato la città, tanto profondamente da influenzarne non soltanto l’aspetto, quanto la loro stessa natura. Da una parte, la motorizzazione ha modificato la struttura delle città, a cui ha imposto strade più larghe, asfaltate, dall’altra fa sentire le persone, per cui siamo addirittura costretti a usare il termine “pedoni” ospiti ben poco graditi. Diciamolo chiaramente: le nostre città sono ormai città di macchine, motorini, furgoni e mezzi di tutte le dimensioni e fogge. Non è più possibile neanche ritrarre in una foto una città in cui non compaia qualche autoveicolo, fossimo anche all’alba del solstizio di estate.
Rinviando a un prossimo ulteriore post un tentativo di analisi delle molteplici, e, ahimè, nefaste conseguenze del traffico urbano, ciò che mi preme sottolineare qui è che questo stesso traffico sembra smentire ciò che si sosteneva nel servizio di report, e cioè che in città ci si sposta a piedi e con i mezzi pubblici. Naturalmente, ogni città può adottare dei provvedimenti di limitazione del traffico, ma non mi pare che finora ci si sia indirizzati davvero verso una soluzione degna di questo nome di questo problema. Inoltre, anche forse incoraggiati dalla disponibilità di tali mezzi di locomozione, le città si sono parecchio espanse, e davvero già in un centro di medie dimensioni è pressoché impossibile coprire tutti i percorsi a piedi. Anche dove sono state adottate limitazioni al traffico, il risultato sembra essere stato quello di appesantire ulteriormente la fascia perimetrale alla zona interessata. Insomma, tempi di percorrenza lunghi, grande consumo unitario di carburante. Nel frattempo, la politica complessiva si sottrae al proprio ruolo di indirizzo verso specifiche forme di locomozione. Sembra ieri il 1973, nel pieno della crisi petrolifera di allora, quando Magri proclamava la fine dell’uso dei mezzi individuali di locomozione a favore dei mezzi pubblici di trasporto, e siamo ancora allo stesso punto di allora. Sono appena pochi mesi che, in risposta alla crisi economica globale maggiore dal dopoguerra, si danno incentivi a favore dell’acquisto della propria autovettura, con la motivazione buona per tutte le stagioni della grave crisi di sovrapproduzione di auto.
Le città dunque, schiacciate tra la carenza di una politica di programmazione e gestione del loro territorio, e una simmetrica carenza di politica del traffico, a rimorchio delle esigenze di budget e di profitto dell’industria automobilistica, sono diventate dei veri e propri mostri, dove il vivere decentemente è divenuto pressoché impossibile, malgrado i prezzi nelle zone centrali siano assurdamente elevati. Evidentemente, come capita quasi sempre nelle società avanzate, la percezione soggettiva delle proprie condizioni di vita è obnubilata dalla cultura dominante e dai messaggi mediatici che espropriano tutti dalla loro propria personale esistenza. (continua…)

1 commento:

  1. @Gio
    Anche gli studenti stanno in questo mercato, ma non credo che possano essere l'elemento cruciale, anche perchè anch'essi hanno le loro rigidità. Pagare anche soltanto una stanza arredata condivisa con un altro studente è per tante famiglie una sfida economica non indifferente.

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