domenica 29 marzo 2009
sabato 28 marzo 2009
IL DOPO-BERLUSCONI
Sembra del tutto fuori tempo e fuori luogo parlare di cosa succederà dopo che Berlusconi avrà abbandonato la politica, proprio oggi che egli può cogliere il suo trionfo tra i seimila delegati acclamanti.
Eppure, l’anagrafe detta sempre le sue regole, anno prima , anno dopo. E oggi, questa nuova formazione politica che inizia il suo cammino ci fornisce un altro dato di riferimento.
Berlusconi ha prima preso un pezzo della sua azienda e ne ha fatto Forza Italia, poi ha comprato alcuni membri influenti di Alleanza nazionale, e ha costretto i riottosi, agendo sia dall’esterno che dall’interno di AN, ad aderire al progetto di fusione nel PDL.
Io non avrei alcun dubbio che Berlusconi continuerà a trattare il proprio partito come fosse proprietà personale: questo è l’uomo, non ci attendiamo cambiamenti.
Tale rapporto proprietario a sua volta sollecita un processo di selezione al contrario: solo i più servili, privi di qualsiasi opinione, vengono valorizzati e promossi dal capo, del tutto incapace di ammettere un qualsiasi contraddittorio: non è certo un caso che nessun giornalista è riuscito a farsi dare un’intervista da berlusconi, che ha un debole per Vespa, che lo lascia fare i suoi soliti monologhi.
Finchè ci sarà il fondatore , nel PDL nessuno oserà sfidarlo, e ci sarà unanimità.
Potrebbe essere però utile immaginare cosa potrà succedere se e quando Berlusconi sparirà dalla scena.
Immaginiamo dunque uno scenario che oggi appare abbastanza realistico: il PDL, con o senza lega, ha la maggioranza, e tutti i suoi organi istituzionali sono farciti da nullità, tipo Quagliarello, Gasparri, Bocchino, Bonaiuti, Capezzone, e personaggi simili. E’ chiaro che in quel momento si viene a creare un vuoto di potere, sia per l’evidente incapacità di tali personaggi di costruire alcunché, sia per la ribellione da parte dei meno accondiscendenti dentro il PDL.
E’ un paradosso, ma nel momento in cui ci libereremo di Berlusconi, si creerà immediatamente un vuoto di potere. Nelle condizioni di grande minorità dell’opposizione come l’attuale, perfino disegni autoritari si potrebbero fare strada. Ciò potrebbe venire, come finora descritto, dall’interno del PDL, ma anche da parte della Lega, che, come ho già specificato in un post precedente, è una forza eversiva per la sua dottrina separatista, razzista, apertamente autoritaria (vedi anche ronde).
Quando si arriverà a quel giorno, sarà importante avere un’opposizione forte ed organizzata.
Eppure, l’anagrafe detta sempre le sue regole, anno prima , anno dopo. E oggi, questa nuova formazione politica che inizia il suo cammino ci fornisce un altro dato di riferimento.
Berlusconi ha prima preso un pezzo della sua azienda e ne ha fatto Forza Italia, poi ha comprato alcuni membri influenti di Alleanza nazionale, e ha costretto i riottosi, agendo sia dall’esterno che dall’interno di AN, ad aderire al progetto di fusione nel PDL.
Io non avrei alcun dubbio che Berlusconi continuerà a trattare il proprio partito come fosse proprietà personale: questo è l’uomo, non ci attendiamo cambiamenti.
Tale rapporto proprietario a sua volta sollecita un processo di selezione al contrario: solo i più servili, privi di qualsiasi opinione, vengono valorizzati e promossi dal capo, del tutto incapace di ammettere un qualsiasi contraddittorio: non è certo un caso che nessun giornalista è riuscito a farsi dare un’intervista da berlusconi, che ha un debole per Vespa, che lo lascia fare i suoi soliti monologhi.
Finchè ci sarà il fondatore , nel PDL nessuno oserà sfidarlo, e ci sarà unanimità.
Potrebbe essere però utile immaginare cosa potrà succedere se e quando Berlusconi sparirà dalla scena.
Immaginiamo dunque uno scenario che oggi appare abbastanza realistico: il PDL, con o senza lega, ha la maggioranza, e tutti i suoi organi istituzionali sono farciti da nullità, tipo Quagliarello, Gasparri, Bocchino, Bonaiuti, Capezzone, e personaggi simili. E’ chiaro che in quel momento si viene a creare un vuoto di potere, sia per l’evidente incapacità di tali personaggi di costruire alcunché, sia per la ribellione da parte dei meno accondiscendenti dentro il PDL.
E’ un paradosso, ma nel momento in cui ci libereremo di Berlusconi, si creerà immediatamente un vuoto di potere. Nelle condizioni di grande minorità dell’opposizione come l’attuale, perfino disegni autoritari si potrebbero fare strada. Ciò potrebbe venire, come finora descritto, dall’interno del PDL, ma anche da parte della Lega, che, come ho già specificato in un post precedente, è una forza eversiva per la sua dottrina separatista, razzista, apertamente autoritaria (vedi anche ronde).
Quando si arriverà a quel giorno, sarà importante avere un’opposizione forte ed organizzata.
giovedì 26 marzo 2009
TITOLI TOSSICI SPARPAGLIATI
Non so voi, ma io, sinceramente, ci capisco sempre meno sulla crisi finanziaria. Avevo creduto di capire che tutti i soldi già spesi dai vari governi, USA in testa, fossero serviti a riacquistare i cosiddetti titoli tossici, cioè titoli difficilmente esigibili: non è così. Scopro così che Obama ha messo a disposizione una cifra spaventosamente alta, pari a 500 miliardi di dollari, per aiutare istituzioni finanziarie private a riacquistarli: aiutarli, cioè richiedendo anche un intervento finanziario di privati. Ma quant’è allora il loro importo totale? Sicuramente oltre i mille miliardi di dollari.
Ma soprattutto, capisco adesso che il riacquisto non serve per buttarli via, per bruciarli, per liberarci di loro: no, serve per riciclarli, per rimetterli ancora una volta in circolazione. A questo punto, mi pare di dover dire che non ci siamo. Qui stiamo solo diluendo l’effetto del loro impatto, non è una soluzione in qualche modo definitiva, è solo un rinviare il momento in cui i nodi verranno comunque al pettine. No, questa decisione di Obama, perfettamente in linea con l’analoga decisione di Bush, non mi convince affatto. Stiamo sprecando risorse, tra l’altro le ultime, dopo non ci sarà con cosa farvi fronte, tentando di tamponare la crisi finanziaria, mentre io credo che le risorse andavano investite per minimizzare l’effetto della crisi finanziaria, secondo me inevitabile, sull’economia reale. Il che corrispondeva a misure per sostenere i bassi redditi, per aprire linee di credito per le imprese. Con quali modalità, non so dire, non sono un economista, ma capisco da profano che è proprio la filosofia dell’intervento ad essere miope. Davvero, oggi credo che la crisi sarà molto più feroce di quanto vorrebbero farci credere, ed anche molto più lunga.
Non saremo certo degli esperti, ma mi pare che in questo momento tutti siano a corto di idee. Ma se casa mia è invasa dalle formiche, magari butterò via e perderò quindi tutti gli oggetti già invasi, ma la mia prima preoccupazione sarà salvare il salvabile. Per quello che capisco invece, qui si mettono a diluire le formiche, sparpagliandole su tutta la casa, su tutto l’arredamento: mi pare una boiata pazzesca!
Ma soprattutto, capisco adesso che il riacquisto non serve per buttarli via, per bruciarli, per liberarci di loro: no, serve per riciclarli, per rimetterli ancora una volta in circolazione. A questo punto, mi pare di dover dire che non ci siamo. Qui stiamo solo diluendo l’effetto del loro impatto, non è una soluzione in qualche modo definitiva, è solo un rinviare il momento in cui i nodi verranno comunque al pettine. No, questa decisione di Obama, perfettamente in linea con l’analoga decisione di Bush, non mi convince affatto. Stiamo sprecando risorse, tra l’altro le ultime, dopo non ci sarà con cosa farvi fronte, tentando di tamponare la crisi finanziaria, mentre io credo che le risorse andavano investite per minimizzare l’effetto della crisi finanziaria, secondo me inevitabile, sull’economia reale. Il che corrispondeva a misure per sostenere i bassi redditi, per aprire linee di credito per le imprese. Con quali modalità, non so dire, non sono un economista, ma capisco da profano che è proprio la filosofia dell’intervento ad essere miope. Davvero, oggi credo che la crisi sarà molto più feroce di quanto vorrebbero farci credere, ed anche molto più lunga.
Non saremo certo degli esperti, ma mi pare che in questo momento tutti siano a corto di idee. Ma se casa mia è invasa dalle formiche, magari butterò via e perderò quindi tutti gli oggetti già invasi, ma la mia prima preoccupazione sarà salvare il salvabile. Per quello che capisco invece, qui si mettono a diluire le formiche, sparpagliandole su tutta la casa, su tutto l’arredamento: mi pare una boiata pazzesca!
lunedì 23 marzo 2009
VERDI E TECNOLOGIA
Nel precedente post, ho messo in evidenza alcune novità assolute introdotte da un pensiero che si definisca verde. Ricordo a tutti che l’economia viene definita come la scienza finalizzata all’aumento della ricchezza. Tralasciando ora di considerare come questa definizione è in realtà un ossimoro, in quanto i termini “scienza” e “fine” sono contraddittori, e non si ha scienza dove c’è una finalità esplicita, rimane il fatto che questa definizione era condivisa da tutte le parti politiche. Quand’è che questa finalità viene in crisi? Quando si pone in piena evidenza il problema ambientale, e quindi l’estrema originalità del pensiero verde sta intanto nel criticare il mito della crescita illimitata sotto l’aspetto quantitativo. E’ un fatto che, pur senza basarsi su presupposti ideologici, vadano sempre più crescendo piccole realtà che criticano il mito della crescita del PIL, come quella che fa riferimento alla rubrica radiofonica su radiodue “Caterpillar”. Pur in presenza di vari aspetti di contraddizione, va avanti una consapevolezza che mi pare abbastanza condivisa, soprattutto tra i più giovani, che il modello dei consumi crescenti non può proseguire, e che un’etica ambientale deve in qualche modo affermarsi.
Probabilmente però, c’è un punto che risulta più controverso, ed è quello che riguarda lo sviluppo tecnologico, a cui ho anche accennato in un precedente post. Per secoli, a partire soprattutto dall’Illuminismo, lo sviluppo tecnologico è stato considerato come il bene assoluto. C’è stato cioè un netto capovolgimento: da Galilei che dovette cedere sul sistema di riferimento nel sistema solare di fronte all’autorità della chiesa, si passò ad adorare la scienza e la tecnologia. Spesso, mi tocca leggere di tanti che cercano risposte sulle domande fondamentali della nostra esistenza nella scienza, quando dovrebbe essere chiaro a tutti che la scienza non ha nulla a che vedere con la verità.
Il movimento radicale risulta il più schierato sul versante dell’adorazione della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. Per costoro, nessun ostacolo dovrebbe essere frapposto a chi vuole sperimentare, né all’immissione sul mercato degli oggetti più inutili e più improbabili. A costoro, pare di vedere sempre l’ombra dell’Inquisizione alle spalle di Galilei, intento ad osservare la volta celeste col suo telescopio. Io invece, che pratico l’ambiente della ricerca scientifica, vedo dietro le ricerche condotte, rapidi arricchimenti, carriere costruite, conquista del potere, ed eventualmente della fama, insomma obiettivi più umani che non il semplice esplicarsi dell’ansia di conoscere. In fondo, ogni volta che si aderisce acriticamente a una tesi, si finisce col ricostruire una chiesa, e questi medici della chirurgia estetica, come quelli della genetica più spregiudicata, portano avanti i loro interessi, coperti dalla cortina fumogena di questa chiesa della libera tecnologia in libero mercato. Vorrei qui ricordare che, a causa di uno sviluppo tecnologico fondamentalmente casuale, noi tutti potremmo trovarci nella condizione di dovere subire un prolungamento dello stato di coma come Eluana, solo perché qualcuno ha reso disponibile un dispositivo artificiale chiamato sondino gastrico: la legge che stanno per approvare sembra proprio condurci in questa condizione, inumana ed illogica nello stesso tempo.
La tesi alternativa, che io condivido, è che la tecnologia, al contrario, vada messa sotto controllo, perché gli oggetti che produciamo possano contribuire e non nuocere all’interesse collettivo.
Probabilmente però, c’è un punto che risulta più controverso, ed è quello che riguarda lo sviluppo tecnologico, a cui ho anche accennato in un precedente post. Per secoli, a partire soprattutto dall’Illuminismo, lo sviluppo tecnologico è stato considerato come il bene assoluto. C’è stato cioè un netto capovolgimento: da Galilei che dovette cedere sul sistema di riferimento nel sistema solare di fronte all’autorità della chiesa, si passò ad adorare la scienza e la tecnologia. Spesso, mi tocca leggere di tanti che cercano risposte sulle domande fondamentali della nostra esistenza nella scienza, quando dovrebbe essere chiaro a tutti che la scienza non ha nulla a che vedere con la verità.
Il movimento radicale risulta il più schierato sul versante dell’adorazione della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. Per costoro, nessun ostacolo dovrebbe essere frapposto a chi vuole sperimentare, né all’immissione sul mercato degli oggetti più inutili e più improbabili. A costoro, pare di vedere sempre l’ombra dell’Inquisizione alle spalle di Galilei, intento ad osservare la volta celeste col suo telescopio. Io invece, che pratico l’ambiente della ricerca scientifica, vedo dietro le ricerche condotte, rapidi arricchimenti, carriere costruite, conquista del potere, ed eventualmente della fama, insomma obiettivi più umani che non il semplice esplicarsi dell’ansia di conoscere. In fondo, ogni volta che si aderisce acriticamente a una tesi, si finisce col ricostruire una chiesa, e questi medici della chirurgia estetica, come quelli della genetica più spregiudicata, portano avanti i loro interessi, coperti dalla cortina fumogena di questa chiesa della libera tecnologia in libero mercato. Vorrei qui ricordare che, a causa di uno sviluppo tecnologico fondamentalmente casuale, noi tutti potremmo trovarci nella condizione di dovere subire un prolungamento dello stato di coma come Eluana, solo perché qualcuno ha reso disponibile un dispositivo artificiale chiamato sondino gastrico: la legge che stanno per approvare sembra proprio condurci in questa condizione, inumana ed illogica nello stesso tempo.
La tesi alternativa, che io condivido, è che la tecnologia, al contrario, vada messa sotto controllo, perché gli oggetti che produciamo possano contribuire e non nuocere all’interesse collettivo.
domenica 22 marzo 2009
VERDI E SINISTRA. PRIMA PARTE
In Italia, la lista verde si è sempre presentato come un partito di sinistra, fino, nelle ultime sciagurate elezioni, a convergere nella lista arcobaleno assieme a formazioni di ispirazione marxista.
Ci si potrebbe chiedere se tale collocazione sia quella più confacente a un vero movimento verde, quantomeno a partire dall’ideologia verde, come la propongo nel mio libro.
Qui, inevitabilmente, vengono a galla le differenze con i movimenti di ispirazione marxista.
Il marxismo, sognando una società privata dai bisogni, è fautore di una crescita economica teoricamente illimitata, condividendo questo specifico obiettivo col capitalismo, anche se, naturalmente, differenziandosi nei criteri distributivi, nel definire quindi chi debba fruire di questa ricchezza.
Un movimento che si voglia definire verde, al contrario, non può non porsi il problema della limitatezza delle risorse disponibili. In realtà, la differenza appare perfino più radicale, perché un punto di vista verde non può essere antropocentrico, deve considerare il complesso dei viventi.
Un aspetto, che credo di avere sviluppato io per primo nel mio libro, consiste nel rapporto che l’uomo ha coi suoi bisogni. Se mai voleste leggere il mio libro, non trascurate il capitolo “Bisogni e desideri”, che è tutto dedicato a questo argomento, e in cui concludo che nell’uomo esiste un bisogno di desiderare. Naturalmente, questa tesi viene lì argomentata lungamente e non posso riportare qui quelle argomentazioni. Se però accettassimo quelle conclusioni, dovremmo dedurne che una società privata dei bisogni non sarebbe per nulla augurabile, come a me pare si possa sperimentare in parte già oggi nei paesi più sviluppati.
Riassumendo, dal punto di vista delle politiche di sviluppo economico, sarebbe più logico vedere assieme marxisti e capitalisti da una parte e verdi dall’altra.
Mi fermo qui, rinviando ad altri post altri aspetti importanti che coinvolgano la collocazione dei verdi nelle categorie tradizionali di destra e sinistra.
Ci si potrebbe chiedere se tale collocazione sia quella più confacente a un vero movimento verde, quantomeno a partire dall’ideologia verde, come la propongo nel mio libro.
Qui, inevitabilmente, vengono a galla le differenze con i movimenti di ispirazione marxista.
Il marxismo, sognando una società privata dai bisogni, è fautore di una crescita economica teoricamente illimitata, condividendo questo specifico obiettivo col capitalismo, anche se, naturalmente, differenziandosi nei criteri distributivi, nel definire quindi chi debba fruire di questa ricchezza.
Un movimento che si voglia definire verde, al contrario, non può non porsi il problema della limitatezza delle risorse disponibili. In realtà, la differenza appare perfino più radicale, perché un punto di vista verde non può essere antropocentrico, deve considerare il complesso dei viventi.
Un aspetto, che credo di avere sviluppato io per primo nel mio libro, consiste nel rapporto che l’uomo ha coi suoi bisogni. Se mai voleste leggere il mio libro, non trascurate il capitolo “Bisogni e desideri”, che è tutto dedicato a questo argomento, e in cui concludo che nell’uomo esiste un bisogno di desiderare. Naturalmente, questa tesi viene lì argomentata lungamente e non posso riportare qui quelle argomentazioni. Se però accettassimo quelle conclusioni, dovremmo dedurne che una società privata dei bisogni non sarebbe per nulla augurabile, come a me pare si possa sperimentare in parte già oggi nei paesi più sviluppati.
Riassumendo, dal punto di vista delle politiche di sviluppo economico, sarebbe più logico vedere assieme marxisti e capitalisti da una parte e verdi dall’altra.
Mi fermo qui, rinviando ad altri post altri aspetti importanti che coinvolgano la collocazione dei verdi nelle categorie tradizionali di destra e sinistra.
venerdì 20 marzo 2009
SINISTRA E DESTRA
Molti, leggendo il titolo di questo post, sarebbero tentati dal riportare il testo della famosa canzone di Gaber, dedicata a questo argomento.
Ma, seriamente, ci si potrebbe porre il problema di cosa sia nel 2009 la sinistra, cosa divide in maniera inequivocabile sinistra e destra. Qui, io citerei due differenti criteri.
Il primo considera la sinistra progressista di fronte a una destra conservatrice. Questo primo criterio mi pare stia stretto alla destra, che nell’attualità politica ha svariate volte accusato la sinistra di essere lei la conservatrice.
Un secondo criterio consisterebbe nella differente distribuzione delle risorse, più egualitaria per la sinistra, più diversificata per la destra.
Devo ammettere che questo secondo criterio appare più univoco. Tutti ci aspettiamo che tramite una più accentuata progressività delle aliquote fiscali ed altri atti politici la sinistra attenui la spontanea tendenza dei redditi a divaricarsi.
Il primo criterio invece fa sorgere il problema di stabilire cosa sia il progresso. La definizione più immediata, che farebbe coincidere il progresso con la crescita economica, con l’aumento del PIL, non contenta tutti. Molti, che si guardano bene dall’adorare il PIL, pur tuttavia, si definirebbero progressisti, intendendo quindi progresso in un senso più sfumato e più generale nello stesso tempo. Detto schematicamente, il concetto di progresso sottintende una storia dell’umanità immaginata come una freccia, e quindi caratterizzata da una direzione e da un senso. Questo significa anche dare per scontato che gli uomini hanno di fronte a loro una via che possa migliorare la loro vita. Ciò che è interessante, ma che non si può approfondire qui, è che quindi il concetto di progresso implica anche quello di insoddisfazione. Se dunque il progresso dell’umanità fosse inarrestabile, paradossalmente anche l’insoddisfazione sarebbe invincibile.
Ma, seriamente, ci si potrebbe porre il problema di cosa sia nel 2009 la sinistra, cosa divide in maniera inequivocabile sinistra e destra. Qui, io citerei due differenti criteri.
Il primo considera la sinistra progressista di fronte a una destra conservatrice. Questo primo criterio mi pare stia stretto alla destra, che nell’attualità politica ha svariate volte accusato la sinistra di essere lei la conservatrice.
Un secondo criterio consisterebbe nella differente distribuzione delle risorse, più egualitaria per la sinistra, più diversificata per la destra.
Devo ammettere che questo secondo criterio appare più univoco. Tutti ci aspettiamo che tramite una più accentuata progressività delle aliquote fiscali ed altri atti politici la sinistra attenui la spontanea tendenza dei redditi a divaricarsi.
Il primo criterio invece fa sorgere il problema di stabilire cosa sia il progresso. La definizione più immediata, che farebbe coincidere il progresso con la crescita economica, con l’aumento del PIL, non contenta tutti. Molti, che si guardano bene dall’adorare il PIL, pur tuttavia, si definirebbero progressisti, intendendo quindi progresso in un senso più sfumato e più generale nello stesso tempo. Detto schematicamente, il concetto di progresso sottintende una storia dell’umanità immaginata come una freccia, e quindi caratterizzata da una direzione e da un senso. Questo significa anche dare per scontato che gli uomini hanno di fronte a loro una via che possa migliorare la loro vita. Ciò che è interessante, ma che non si può approfondire qui, è che quindi il concetto di progresso implica anche quello di insoddisfazione. Se dunque il progresso dell’umanità fosse inarrestabile, paradossalmente anche l’insoddisfazione sarebbe invincibile.
mercoledì 18 marzo 2009
LA MAFIA, OVVERO LA SOCIETA' DEGLI AMICI
Alcune settimane fa, in un post ho affrontato il tema secondo me cruciale della classe dirigente in Italia, e delle responsabilità che io penso vadano ascritte ad essa, intesa quindi come totalità, nel processo di degrado in cui versa il nostro paese.
Qui riprendo il tema, sollecitato dalla vicenda USA di una grossa compagnia di assicurazione, i cui dirigenti hanno pensato bene di accaparrarsi grosse prebende, pescando dai fondi recentemente stanziati dal governo USA per il salvataggio della società.
Io credo che la crisi finanziaria scoppiata l’anno passato sia intimamente correlata col problema della selezione della classe dirigente nei paesi a sistema liberal-democratico. Credo che sia entrato in una crisi pressoché irreversibile il meccanismo di selezione mediante consenso. Prima converrebbe ricordare che il consenso è parte del generale meccanismo di mercato. Come io affido alle mie strategie di marketing e alla qualità del prodotto la sorte del detersivo che ho prodotto, così il candidato offre agli elettori sé stesso, la propria faccia, sperando che risulti più attraente della faccia del candidato avversario. Naturalmente, non è fatale che le elezioni si riducano a questo, a un processo di compravendita tra elettore e candidato. L’antidoto è costituito dal fatto che nella società convivano più visioni del mondo, cioè più ideologie. Come avrete letto nei miei precedenti post, io diffido di coloro che rifiutano un approccio ideologico perché mi pare evidente che avere un’ideologia sia inevitabile, e quindi il rifiuto delle ideologie si traduce nell’ideologia unica, condivisa da tutti, cioè nel pensiero unico, quello a cui mi pare tendiamo nelle società più sviluppate, omologate dai potenti mezzi di comunicazione di massa, TV in primis. Se un’ideologia alternativa viene esplicitamente proposta ed ostentata rispetto a quella dominante, ed in Italia ciò è avvenuto fino all’era Berlinguer, allora sono due mondi che si confrontano. Le scelte in questo caso vengono compiute in base a valori, a idee forti, non in base a simpatie ed altri fenomeni emozionali.
Il problema però si pone in maniera ancora più drammatica oggi. Quello che mi pare vada prevalendo è il modello mafioso. Detto in poche parole, questo modello si basa sulla divisione delle persone in amici e non amici. E’ un modello che sta distruggendo la nostra società, avendo una carica eversiva enorme. Lo stato di diritto si basa sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Così, chiunque ricopra una funzione statale, è chiamato a trattare tutte le persone coinvolte dalla sua attività in maniera uguale. Se viene meno questo principio, semplicemente non esiste più lo stato di diritto, e quindi nessuno stato.
Un effetto indotto da questi meccanismi mafiosi consiste nel fenomeno della cooptazione: se chi comanda, ha costituito una sua cerchia di amici che occupano anch’essi ruoli decisionali, l’unica maniera di essere ammessi in questi circoli esclusivi è quello della cooptazione. Ma questa, a sua volta, si basa su un processo di assimilazione: io ti coopto giudicando quanto tu sia omogeneo rispetto all’ambito a cui aspiri. E’ evidente quindi come una classe dirigente che non sia più neanche in grado di ascoltare ciò che viene dalla società, ed ascoltando soltanto attraverso il filtro preliminare della cerchia delle conoscenze (dette impropriamente amici, che per come io ritengo sacra l’amicizia, è un uso che profana il termine stesso), subisca un progressivo e inarrestabile processo di deterioramento. Dico inarrestabile perché è un meccanismo che funziona. Il meccanismo dello scambio dei favori tra potenti non è un aspetto marginale dei nostri sistemi politici, una rara forma di inquinamento di un sistema complessivamente sano. Al contrario è la forma vincente di partecipazione alla vita politica. Non solo, ma questo modello appare anche contagioso, e penso che anche Bruxelles e la UE tutta ha ormai elementi significativi di questo tipo di inquinamento. Allo stesso modo, le prebende generosissime che i dirigenti delle grandi compagnie finanziarie si autoattribuiscono è in fondo un ulteriore aspetto di questa organizzazione mafiosa, per cui il ruolo dirigente che ricopri non riveste per te un carattere di servizio, ma è solo un modo di lucrare tutto quello che puoi approfittando delle tue prerogative.
Per queste ragioni, la mia diagnosi è che i sistemi politici non riescono a guarire da questa malattia, che ormai è entrata nel patrimonio genetico stesso delle liberaldemocrazie, ed anche il malcostume delle compagnie finanziarie non ha alcun meccanismo oggi visibile di autoriforma. Se mi permettete la cattiveria, perfino qui nel mondo dei blogs vige una sorta di meccanismo di scambio.
La rivoluzione, innanzitutto culturale, è per queste ragioni, di estrema attualità, come l’unico modo di uscire da un processo severissimo di degrado. E purtroppo, a causa dell’apparente automatismo con cui si sviluppa la tecnologia, i tempi della rivoluzione non possono tardare, devono incidere sulla realtà prima che il mondo diventi un luogo inospitale.
Qui riprendo il tema, sollecitato dalla vicenda USA di una grossa compagnia di assicurazione, i cui dirigenti hanno pensato bene di accaparrarsi grosse prebende, pescando dai fondi recentemente stanziati dal governo USA per il salvataggio della società.
Io credo che la crisi finanziaria scoppiata l’anno passato sia intimamente correlata col problema della selezione della classe dirigente nei paesi a sistema liberal-democratico. Credo che sia entrato in una crisi pressoché irreversibile il meccanismo di selezione mediante consenso. Prima converrebbe ricordare che il consenso è parte del generale meccanismo di mercato. Come io affido alle mie strategie di marketing e alla qualità del prodotto la sorte del detersivo che ho prodotto, così il candidato offre agli elettori sé stesso, la propria faccia, sperando che risulti più attraente della faccia del candidato avversario. Naturalmente, non è fatale che le elezioni si riducano a questo, a un processo di compravendita tra elettore e candidato. L’antidoto è costituito dal fatto che nella società convivano più visioni del mondo, cioè più ideologie. Come avrete letto nei miei precedenti post, io diffido di coloro che rifiutano un approccio ideologico perché mi pare evidente che avere un’ideologia sia inevitabile, e quindi il rifiuto delle ideologie si traduce nell’ideologia unica, condivisa da tutti, cioè nel pensiero unico, quello a cui mi pare tendiamo nelle società più sviluppate, omologate dai potenti mezzi di comunicazione di massa, TV in primis. Se un’ideologia alternativa viene esplicitamente proposta ed ostentata rispetto a quella dominante, ed in Italia ciò è avvenuto fino all’era Berlinguer, allora sono due mondi che si confrontano. Le scelte in questo caso vengono compiute in base a valori, a idee forti, non in base a simpatie ed altri fenomeni emozionali.
Il problema però si pone in maniera ancora più drammatica oggi. Quello che mi pare vada prevalendo è il modello mafioso. Detto in poche parole, questo modello si basa sulla divisione delle persone in amici e non amici. E’ un modello che sta distruggendo la nostra società, avendo una carica eversiva enorme. Lo stato di diritto si basa sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Così, chiunque ricopra una funzione statale, è chiamato a trattare tutte le persone coinvolte dalla sua attività in maniera uguale. Se viene meno questo principio, semplicemente non esiste più lo stato di diritto, e quindi nessuno stato.
Un effetto indotto da questi meccanismi mafiosi consiste nel fenomeno della cooptazione: se chi comanda, ha costituito una sua cerchia di amici che occupano anch’essi ruoli decisionali, l’unica maniera di essere ammessi in questi circoli esclusivi è quello della cooptazione. Ma questa, a sua volta, si basa su un processo di assimilazione: io ti coopto giudicando quanto tu sia omogeneo rispetto all’ambito a cui aspiri. E’ evidente quindi come una classe dirigente che non sia più neanche in grado di ascoltare ciò che viene dalla società, ed ascoltando soltanto attraverso il filtro preliminare della cerchia delle conoscenze (dette impropriamente amici, che per come io ritengo sacra l’amicizia, è un uso che profana il termine stesso), subisca un progressivo e inarrestabile processo di deterioramento. Dico inarrestabile perché è un meccanismo che funziona. Il meccanismo dello scambio dei favori tra potenti non è un aspetto marginale dei nostri sistemi politici, una rara forma di inquinamento di un sistema complessivamente sano. Al contrario è la forma vincente di partecipazione alla vita politica. Non solo, ma questo modello appare anche contagioso, e penso che anche Bruxelles e la UE tutta ha ormai elementi significativi di questo tipo di inquinamento. Allo stesso modo, le prebende generosissime che i dirigenti delle grandi compagnie finanziarie si autoattribuiscono è in fondo un ulteriore aspetto di questa organizzazione mafiosa, per cui il ruolo dirigente che ricopri non riveste per te un carattere di servizio, ma è solo un modo di lucrare tutto quello che puoi approfittando delle tue prerogative.
Per queste ragioni, la mia diagnosi è che i sistemi politici non riescono a guarire da questa malattia, che ormai è entrata nel patrimonio genetico stesso delle liberaldemocrazie, ed anche il malcostume delle compagnie finanziarie non ha alcun meccanismo oggi visibile di autoriforma. Se mi permettete la cattiveria, perfino qui nel mondo dei blogs vige una sorta di meccanismo di scambio.
La rivoluzione, innanzitutto culturale, è per queste ragioni, di estrema attualità, come l’unico modo di uscire da un processo severissimo di degrado. E purtroppo, a causa dell’apparente automatismo con cui si sviluppa la tecnologia, i tempi della rivoluzione non possono tardare, devono incidere sulla realtà prima che il mondo diventi un luogo inospitale.
lunedì 16 marzo 2009
I GIOVANI MASCHI
Tanto per continuare nella mia personale missione di dividere, invece di trovare facili unanimità, oggi mi occupo dei giovani maschi. I giovani maschi sarebbero quelli all’incirca sotto i trent’anni, e magari anche un po’ più in su. Come ogni discussione di questo tipo, parlo a livello statistico, dando per ovvio e scontato che esistono le debite eccezioni. Parlo quindi, come dovrebbe apparire ovvio, di un fenomeno sociale, e non di casi specifici.
Ebbene, a me pare che in ambiti specifici, e segnatamente nel rapporto tra i sessi, siano intervenuti dei cambiamenti formidabili, e in sostanza che, parallelamente all’auspicata e gradita acquisizione di sicurezze da parte delle donne, si vada verificando una contestuale e per niente augurabile crescita delle insicurezze nei maschi in questa fascia di età. Badate, non sono io da maschio più in su con gli anni che faccio questa diagnosi, ma sono le stessa donne che ripetono spesso: averli degli uomini, dove sono andati a finire? Cioè, le donne lamentano un atteggiamento che, partendo dal necessario rispetto verso gli altri e verso le donne in particolare, finisce nel tradursi in una timidezza di fondo dei maschi che basano le prospettive di successo verso l’altro sesso nell’acquisire una benevolenza della donna bramata. Così, anche in rete, si moltiplicano gli atteggiamenti da cavalier servente, che davvero mi preoccupano, non solo perché denotano una incapacità di mostrare una propria autonoma e definita posizione, anche quando non può che apparire impopolare, ma anche perché alla fine presuppone una donna che non sa difendersi da sola e ha bisogno di essere sostenuta e protetta, ricadendo per vie contorte in una sorta di neo-maschilismo.
Leggiucchiando tra i blogs, non è raro trovare donne che parlano di specifici soggetti maschili, come uomini-oggetto. Io, che penso di conoscere un po’ le donne, se non altro a causa della mia non più verde età, leggo e sorrido, perché trovo queste affermazioni come battute da sindrome da parvenu, da chi solo adesso, seduto alla ricca mensa, può dare libero sfogo ai propri istinti mangerecci senza badare tanto alle forme, anzi imitando un po’ goffamente il commensale del giorno prima. Guai però ai maschi che trattano le donne come oggetti sessuali! Se qualcuno vuole farlo, deve fare attenzione a non farlo pubblicamente. Se qualcuno fa qualche timido tentativo, mal gliene incoglie, e gli improperi da parte di altri maschi in genere sono ripetuti e molto severi.
E’ un fenomeno di costume interessante da studiare e i cui molteplici risvolti, credo, non siano ancora stati ben esplorati.
Ora addosso al post, coraggio!
Ebbene, a me pare che in ambiti specifici, e segnatamente nel rapporto tra i sessi, siano intervenuti dei cambiamenti formidabili, e in sostanza che, parallelamente all’auspicata e gradita acquisizione di sicurezze da parte delle donne, si vada verificando una contestuale e per niente augurabile crescita delle insicurezze nei maschi in questa fascia di età. Badate, non sono io da maschio più in su con gli anni che faccio questa diagnosi, ma sono le stessa donne che ripetono spesso: averli degli uomini, dove sono andati a finire? Cioè, le donne lamentano un atteggiamento che, partendo dal necessario rispetto verso gli altri e verso le donne in particolare, finisce nel tradursi in una timidezza di fondo dei maschi che basano le prospettive di successo verso l’altro sesso nell’acquisire una benevolenza della donna bramata. Così, anche in rete, si moltiplicano gli atteggiamenti da cavalier servente, che davvero mi preoccupano, non solo perché denotano una incapacità di mostrare una propria autonoma e definita posizione, anche quando non può che apparire impopolare, ma anche perché alla fine presuppone una donna che non sa difendersi da sola e ha bisogno di essere sostenuta e protetta, ricadendo per vie contorte in una sorta di neo-maschilismo.
Leggiucchiando tra i blogs, non è raro trovare donne che parlano di specifici soggetti maschili, come uomini-oggetto. Io, che penso di conoscere un po’ le donne, se non altro a causa della mia non più verde età, leggo e sorrido, perché trovo queste affermazioni come battute da sindrome da parvenu, da chi solo adesso, seduto alla ricca mensa, può dare libero sfogo ai propri istinti mangerecci senza badare tanto alle forme, anzi imitando un po’ goffamente il commensale del giorno prima. Guai però ai maschi che trattano le donne come oggetti sessuali! Se qualcuno vuole farlo, deve fare attenzione a non farlo pubblicamente. Se qualcuno fa qualche timido tentativo, mal gliene incoglie, e gli improperi da parte di altri maschi in genere sono ripetuti e molto severi.
E’ un fenomeno di costume interessante da studiare e i cui molteplici risvolti, credo, non siano ancora stati ben esplorati.
Ora addosso al post, coraggio!
sabato 14 marzo 2009
A CHE SERVE IL DECENTRAMENTO?
Già, qualcuno di voi saprebbe dire a cosa serva il decentramento? Dopo la Lega, le cui finalità sono fin troppo chiare, vista la sua ideologia scopertamente razzista, anche una parte del PD, con alla testa Chiamparino, sindaco di Torino, spinge per un decentramento più esteso, anche di tipo fiscale. Eppure, viviamo in un mondo sempre più globalizzato, in cui è agevole, magari proprio sul web, raccogliere le notizie più dettagliate su situazioni riguardanti anche la più remota comunità. Perché mai dunque, se non per motivi di garantire privilegi locali, dovrebbe essere favorito il decentramento della sede decisionale? Mai il mondo è stato più interdipendente, come dimostrabile con mille esempi, mai si è invocato di più l’autogoverno locale.
Qui c’è quindi qualcosa non quadra. Se il governo nazionale non funziona, ciò non dipende certo dalla sua distanza dal luogo dove le sue decisioni devono trovare attuazione: provvediamo allora a cambiarlo.
La verità è che da quando le reti berlusconiane hanno iniziato a diffondere valori e stili di vita dagli USA, la testa delle persone si è sempre più omologata a livello mondiale. Il mito della ricchezza, del possesso degli oggetti come fonte della felicità sono ormai patrimonio della stragrande parte della popolazione. Il decentramento quindi si configura solo come garanzia di non dover condividere con altri dei presunti privilegi locali.
Qui c’è quindi qualcosa non quadra. Se il governo nazionale non funziona, ciò non dipende certo dalla sua distanza dal luogo dove le sue decisioni devono trovare attuazione: provvediamo allora a cambiarlo.
La verità è che da quando le reti berlusconiane hanno iniziato a diffondere valori e stili di vita dagli USA, la testa delle persone si è sempre più omologata a livello mondiale. Il mito della ricchezza, del possesso degli oggetti come fonte della felicità sono ormai patrimonio della stragrande parte della popolazione. Il decentramento quindi si configura solo come garanzia di non dover condividere con altri dei presunti privilegi locali.
giovedì 12 marzo 2009
LA VIA ALTERNATIVA
Ora io dico: vogliamo finirla una buona volta di esorcizzare il termine ideologia? Leggevo spunti da un interessante articolo di Rodotà, che, a mio parere, diceva giustamente che queste continue uscite di berlusconi, seppure con relative smentite, sono delle vere incursioni. Contro cosa sono rivolte queste incursioni? Contro la Costituzione, diceva l’articolo. Ora, bisogna sapersi intendere. Cos’è che non va per Berlusconi nella nostra carta costituzionale? Sono dei principi che egli vorrebbe togliere di mezzo nel suo disegno reazionario. Sono allora questi principi il vero obiettivo dei suoi attacchi. Ed è proprio per questo che queste incursioni risultano particolarmente pericolose e dal suo punto di vista fruttuose. Per cambiare la costituzione, c’è tutto un processo di modifica piuttosto complesso: non basta certamente un’incursione per questo compito. Molto più semplice, purtroppo, è cambiare il modo comune di sentire della gente che ci sta attorno per uno nella sua duplice posizione di premier e di editore di giornali e TV.
Altrove, ho scritto che la Lega, da questo versante, risulta persino più pericolosa. Quest’attacco quindi vuole imporre una svolta ideologica, già in corso e oggi da perfezionare.
Di fronte a ciò, la risposta appare debole e insufficiente un po’ da parte di tutti gli oppositori. In precedenti post, ho ampiamente criticato la politica del PD. Oggi mi tocca l’ingrato compito di criticare voi, o almeno alcuni di voi tra i miei affezionati lettori di questo mio blog.
A volte, leggendo dei post, ho l’impressione che ci si consoli dell’infelice situazione politica facendo come fanno i bambini, che indicano un altro bambino dicendogli cattivo. La stessa ipotesi di potere costruire una politica soltanto sulla base dell’essere contro Berlusconi è inevitabilmente destinata al fallimento.
Un altro aspetto si è evidenziato nel dibattito riguardante la povera Eluana. Anche su questo punto, ho dovuto registrare una sostanziale solitudine per quanto riguarda il mio personale modo di vedere. Questo si è evidenziato quando alla fine sembrava che tutta la posizione a favore dell’interruzione dell’alimentazione di Eluana fossa basata sulla difesa di una sfera individuale in tali tipi di scelte.
Il principio quindi in discussione riguarda il concetto di libertà, dei suoi limiti e della sua applicazione nella nostra società. Così però, si regala all’avversario tutto lo spazio di dibattito sui temi essenziali di cosa sia vita e cosa sia morte: e vi pare poco!
In genere quindi, devo mio malgrado registrare questa timidezza verso una proposta collettiva su tutta le questioni fondamentali, sia che riguardino la bioetica, sia che riguardino la struttura di uno stato democratico, chi deve decidere, come si garantisce l’equilibro dei poteri, e così via.
Chiedo a conclusione di questo lungo ma per niente esauriente post se non dovremmo considerare con attenzione l’ipotesi di una nuova ideologia che sostituisca quella nei fatti già superat che il ’68 c’ha consegnato, e contrastare l’ideologia berlusco-leghista che tende rapidamente ad avanzare? Se i tuoi avversari propongono una serie di iniziative dettate da una concezione di fondo con certi caratteri di coerenza, se queste iniziative trovano una sponda formidabile anche in un incremento del tasso ideologico della Chiesa di Ratzinger, non credete voi che occorra opporsi con una visione complessiva altrettanto coerente e complessiva? Come dicevo in un precedente post, perfino Bersani ha ricominciato ad usarlo? Vogliamo essere più timidi di Bersani?
Altrove, ho scritto che la Lega, da questo versante, risulta persino più pericolosa. Quest’attacco quindi vuole imporre una svolta ideologica, già in corso e oggi da perfezionare.
Di fronte a ciò, la risposta appare debole e insufficiente un po’ da parte di tutti gli oppositori. In precedenti post, ho ampiamente criticato la politica del PD. Oggi mi tocca l’ingrato compito di criticare voi, o almeno alcuni di voi tra i miei affezionati lettori di questo mio blog.
A volte, leggendo dei post, ho l’impressione che ci si consoli dell’infelice situazione politica facendo come fanno i bambini, che indicano un altro bambino dicendogli cattivo. La stessa ipotesi di potere costruire una politica soltanto sulla base dell’essere contro Berlusconi è inevitabilmente destinata al fallimento.
Un altro aspetto si è evidenziato nel dibattito riguardante la povera Eluana. Anche su questo punto, ho dovuto registrare una sostanziale solitudine per quanto riguarda il mio personale modo di vedere. Questo si è evidenziato quando alla fine sembrava che tutta la posizione a favore dell’interruzione dell’alimentazione di Eluana fossa basata sulla difesa di una sfera individuale in tali tipi di scelte.
Il principio quindi in discussione riguarda il concetto di libertà, dei suoi limiti e della sua applicazione nella nostra società. Così però, si regala all’avversario tutto lo spazio di dibattito sui temi essenziali di cosa sia vita e cosa sia morte: e vi pare poco!
In genere quindi, devo mio malgrado registrare questa timidezza verso una proposta collettiva su tutta le questioni fondamentali, sia che riguardino la bioetica, sia che riguardino la struttura di uno stato democratico, chi deve decidere, come si garantisce l’equilibro dei poteri, e così via.
Chiedo a conclusione di questo lungo ma per niente esauriente post se non dovremmo considerare con attenzione l’ipotesi di una nuova ideologia che sostituisca quella nei fatti già superat che il ’68 c’ha consegnato, e contrastare l’ideologia berlusco-leghista che tende rapidamente ad avanzare? Se i tuoi avversari propongono una serie di iniziative dettate da una concezione di fondo con certi caratteri di coerenza, se queste iniziative trovano una sponda formidabile anche in un incremento del tasso ideologico della Chiesa di Ratzinger, non credete voi che occorra opporsi con una visione complessiva altrettanto coerente e complessiva? Come dicevo in un precedente post, perfino Bersani ha ricominciato ad usarlo? Vogliamo essere più timidi di Bersani?
mercoledì 11 marzo 2009
ENEL INCONGRUA
Ieri sera mi è arrivata la bolletta dell'Enel, con una lettera acclusa. Questa lettera mi comunica che stavolta, a differenza delle precedenti, la lettura non è stata effettuata, ma calcolata (senza spiegare il perchè). Poi dice: l'importo è maggiore di quello delle altre volte, ma malgrado ciò, noi la riteniamo congrua.
Quindi, ipotizzano un aumento del consumo di almeno un terzo, e la ritengono congrua? E in base a quale criterio?
Un altro piccolo tassello nel processo di degrado della nostra società, un altro episodio come mille altri del disprezzo dei deboli da parte dei forti.
Quindi, ipotizzano un aumento del consumo di almeno un terzo, e la ritengono congrua? E in base a quale criterio?
Un altro piccolo tassello nel processo di degrado della nostra società, un altro episodio come mille altri del disprezzo dei deboli da parte dei forti.
martedì 10 marzo 2009
L'EMBRIONE OBAMA
L’ho detto: sono Obama-scettico, e da ieri ne ho un motivo in più. Nel merito: non sono d’accordo nell’utilizzare gli embrioni per scopo di sperimentazione scientifica come se fossero oggetti. Capisco, non sono persone, ma sono progetti di persone,e questo non ci sarà nessun Obama che me lo possa far dimenticare. Io sono contrario alla sperimentazione su animali…figurarsi! Molti sostengono che le cellule staminali si possono ottenere diversamente, ma anche se così non fosse, io sono anche medicina-scettico: trovo che la medicina ha un tale livello di finanziamento, che davvero ne ha cambiato perfino la natura. Ma su questo tornerò in un altro post.
Ma sono Obama-scettico per il modo con cui l’ha motivato, dicendo che la ricerca non può essere finanziata seguendo un’ideologia. Quando qualcuno dice così, mi metto in allarme, perché non credo a un pensiero che possa non essere ideologico, e quando si nega di essere ideologici, significa solo che si nasconde la propria ideologia per farne così l’ideologia implicita e quindi il pensiero unico. Da questo punto di vista, Obama si comporta come un ayatollah iraniano, che da’ per scontata la teocrazia, e bolla come eversiva ogni opinione contraria.
Ma sono Obama-scettico per il modo con cui l’ha motivato, dicendo che la ricerca non può essere finanziata seguendo un’ideologia. Quando qualcuno dice così, mi metto in allarme, perché non credo a un pensiero che possa non essere ideologico, e quando si nega di essere ideologici, significa solo che si nasconde la propria ideologia per farne così l’ideologia implicita e quindi il pensiero unico. Da questo punto di vista, Obama si comporta come un ayatollah iraniano, che da’ per scontata la teocrazia, e bolla come eversiva ogni opinione contraria.
lunedì 9 marzo 2009
LE NOSTRE SICUREZZE INSICURE
Le compagnie di assicurazioni rappresentano una metafora della nostra civiltà. A che serve una compagnia di assicurazione? Cosa ci assicura davvero? E’ possibile avere sicurezze nella vita o non è invece normale, naturale, come deve in realtà essere, che noi si viva nelle insicurezze? Anche tralasciando l’attualità, che vede tante compagnie di assicurazioni sull’orlo del fallimento, in cosa sta il fondamento stesso della loro esistenza? La ricerca stessa della sicurezza non costituisce invece l’assicurazione di perdere la propria vita? Perché guardare al futuro ed estraniarsi così dal presente? A noi non basta la felicità presente, seppure abbia senso lo stesso parlare di felicità, vogliamo la sicurezza che lo saremo sempre felici. Cosa è meglio allora del circondarci di mille oggetti, che ci facciano credere che l’uso che ne potremo fare ci allontani dalla fatica, dalla fame, dal freddo, dalla sofferenza? Eppure basta qualche decina di cellule geneticamente mutate per rimanere in balia del dolore e della morte. Ho già trattato l’argomento della cosiddetta medicina preventiva, che non può prevenire nulla nei fatti, ma ancora ci balocchiamo con questa nostra voglia della felicità per sempre, fino, con le religioni monoteiste, ad immaginare il paradiso, luogo dove alla fine, se siamo stati bravi, troveremo la felicità eterna. Sarebbe tanto più saggio goderci la salute, la vita presente, senza che le preoccupazioni per il futuro ce lo rovinino, sempre alienati dal qui e dall’adesso.
CCHIU PIL PI TUTTI...
Ancora cemento? Ma che immaginazione gente!
Usiamo questa crisi per cambiare il mondo! Basta con questa adorazione del PIL (cchiu pil pi tutti…, direbbe Albanese). Sapete che esiste il movimento per la decrescita felice? Io non sono d’accordo con loro, ma sono d’accordo a vivere circondati da un numero minore di oggetti. Risparmio energetico, ma non soltanto energetico. Vedo che non solo in Italia, un po’ in tutto il mondo più sviluppato, non si sono davvero fatti i conti con la compatibilità tra il modello di società che pratichiamo e le risorse naturali. Se non lo facciamo ora, nel pieno della crisi, quando mai più lo faremo?
Usiamo questa crisi per cambiare il mondo! Basta con questa adorazione del PIL (cchiu pil pi tutti…, direbbe Albanese). Sapete che esiste il movimento per la decrescita felice? Io non sono d’accordo con loro, ma sono d’accordo a vivere circondati da un numero minore di oggetti. Risparmio energetico, ma non soltanto energetico. Vedo che non solo in Italia, un po’ in tutto il mondo più sviluppato, non si sono davvero fatti i conti con la compatibilità tra il modello di società che pratichiamo e le risorse naturali. Se non lo facciamo ora, nel pieno della crisi, quando mai più lo faremo?
domenica 8 marzo 2009
IL MIO OTTO MARZO
Uno spunto di riflessione alle donne, proprio l’otto marzo.
E’ meglio sottolineare o minimizzare le differenze tra i sessi?
La cosiddetta liberazione delle donne può semplicemente ridursi all’emancipazione delle donne? O non si può verificare addirittura l’opposto, e cioè che l’emancipazione delle donne possa contrastare la liberazione delle donne?
Quello cioè di cui io dubito è che l’equiparazione delle donne agli uomini possa rischiare di tradursi in un’omologazione, quando avremmo tanto bisogno proprio dell’elemento femminile nella politica, nella società per cambiare positivamente il nostro modello di vita, fondamentalmente costruito invece sull’elemento maschile.
La questione è certo complessa, ma la enuncio in formato post.
E in ogni caso, vorrei mandare un affettuoso e sincero augurio a tutte le donne, a quelle belle e a quelle meno belle, a quelle giovani e a quelle meno giovani, a quelle gialle, a quelle rosse, a quelle nere, a quelle bianche, qualunque sia il colore dei loro occhi.
E’ meglio sottolineare o minimizzare le differenze tra i sessi?
La cosiddetta liberazione delle donne può semplicemente ridursi all’emancipazione delle donne? O non si può verificare addirittura l’opposto, e cioè che l’emancipazione delle donne possa contrastare la liberazione delle donne?
Quello cioè di cui io dubito è che l’equiparazione delle donne agli uomini possa rischiare di tradursi in un’omologazione, quando avremmo tanto bisogno proprio dell’elemento femminile nella politica, nella società per cambiare positivamente il nostro modello di vita, fondamentalmente costruito invece sull’elemento maschile.
La questione è certo complessa, ma la enuncio in formato post.
E in ogni caso, vorrei mandare un affettuoso e sincero augurio a tutte le donne, a quelle belle e a quelle meno belle, a quelle giovani e a quelle meno giovani, a quelle gialle, a quelle rosse, a quelle nere, a quelle bianche, qualunque sia il colore dei loro occhi.
giovedì 5 marzo 2009
IL ’68 E I RAGAZZI DEL TERZO MILLENNIO
Io sono della generazione dei sessantottini, una generazione davvero particolare, che è riuscita a influenzare la storia del mondo. Non parlerò degli eventi di quegli anni, la cosa sarebbe troppo lunga. Mi basta sottolineare che essa viveva di due differenti aspirazioni, l’una sul terreno propriamente politico, ed era di segno egualitario e apertamente marxista, l’altra invece agiva su un piano culturale più generale. Vorrei sottolineare che, malgrado soggettivamente questi due aspetti venissero vissuti come strettamente correlati (ricorderete tutti l’espressione “il personale è politico”), obiettivamente direi che essi corressero parallelamente senza quella correlazione che noi intendevamo dar loro.
Ora, vorrei considerare l’effetto spartiacque del 68, considerando il prima e il dopo.
Poiché il 68 nacque proprio come un movimento di contestazione dell’esistente, la nostra generazione rifiutò in blocco la cultura che la precedeva, e questo avvenne davvero in maniera globale. Per chiarirvi l’idea, a me la musica che piaceva a mio padre, tipo Nilla Pizzi et similia non è mai piaciuta, anzi mi ha davvero fatto schifo. Come capite, quindi, la questione della contestazione non riguardava i principi massimi. Al contrario, era davvero un nuovo modo di vedere il mondo, e quindi non poteva che coinvolgere tutta la cultura popolare che la precedeva immediatamente. Quindi, c’era una portata generazionale in questo movimento, era davvero una lotta dei figli contro i padri. Quando si rivendicava l’istruzione gratuita, come l’amore libero, il rock contro la melensa musica melodica degli anni 50, lo si faceva da un punto di vista generazionale.
Cosa è successo dopo il 68? Calma, non voglio fare la storia di questi ultimi 40 anni, me ne guardo bene. Voglio solo considerarne due aspetti, che per me sono cruciali.
Il primo è la netta divaricazione avvenuta tra le tematiche politico-marxiste e quelle di cultura libertaria, tanto che nel breve volgere di 10-15 anni la politica riprese a svoltare a destra, mentre l’evoluzione del costume lo osserviamo anche oggi.
Il secondo aspetto che volevo sottolineare è che da allora una simile contestazione generazionale non è più avvenuta. Anzi, quello che io osservo con grande stupore, ma anche con un certo rammarico, è che i giovani di oggi, quelli che chiamo i giovani del terzo millennio, sono estremamente condizionati dai giovani d’allora, i loro genitori, tra qualche anno, i loro nonni. Questo lo si vede bene nel campo culturale generale. Prendiamo la musica degli anni 60: i nostri figli la adorano. Vogliamo considerare i miti politici: sospetto che tra i giovani pochi sappiano davvero qualcosa di Che Guevara, ma il suo mito continua imperterrito.
Nel frattempo, sono successe due o tre cose di una certa rilevanza, soprattutto su un piano squisitamente politico. Citerò qui la questione del mercato del lavoro. Ebbene, noi abbiamo rivendicato per noi il posto di lavoro e la sua stabilità. Cosa abbiamo dato ai nostri figli? Abbiamo dato la precarietà. Volevamo la democrazia diretta, stiamo lasciando in eredità un voto che oscilla tra il voto di scambio e il voto dettato dalla TV. Abbiamo voluto le pensioni anche baby: tuttora un numero credo dell’ordine delle centinaia di migliaia di persone gode di pensione a meno di sessanta anni di età (e poi magari lavora pure). Cosa lasciamo ai nostri figli? La pensione non sarà più retributiva, ma contributiva. Per chi non fosse esperto in materia, significa fregargli un bel po’ di denaro, perché la retributiva tiene conto dello stipendio a fine carriera, certo più elevato, mentre quello contributivo fotografa l’evoluzione del reddito durante tutta la carriera lavorativa.
Eppure, i giovani, non dico quelli che votano lega, ma quelli di sinistra, rifiutano totalmente di contestarci, con la debole motivazione che la lotta dev’essere contro il padrone e non tra poveri. Qui però non si tratta di argomentare sui diritti e sui torti, qui si tratta di una forma direi di orgoglio, di capacità di rivendicazione, in assenza della quale questi giovani non andranno da nessuna parte. Eccerto che anche nel 68 a molti nostri padri non c’era proprio nulla da contestare, ma in ogni caso una generazione, se vuole cambiare la storia, deve rivendicare un suo specifico, e per fare questo deve contestare l’esistente, e l’esistente vi piaccia o no, sono i vostri padri.
Ora, vorrei considerare l’effetto spartiacque del 68, considerando il prima e il dopo.
Poiché il 68 nacque proprio come un movimento di contestazione dell’esistente, la nostra generazione rifiutò in blocco la cultura che la precedeva, e questo avvenne davvero in maniera globale. Per chiarirvi l’idea, a me la musica che piaceva a mio padre, tipo Nilla Pizzi et similia non è mai piaciuta, anzi mi ha davvero fatto schifo. Come capite, quindi, la questione della contestazione non riguardava i principi massimi. Al contrario, era davvero un nuovo modo di vedere il mondo, e quindi non poteva che coinvolgere tutta la cultura popolare che la precedeva immediatamente. Quindi, c’era una portata generazionale in questo movimento, era davvero una lotta dei figli contro i padri. Quando si rivendicava l’istruzione gratuita, come l’amore libero, il rock contro la melensa musica melodica degli anni 50, lo si faceva da un punto di vista generazionale.
Cosa è successo dopo il 68? Calma, non voglio fare la storia di questi ultimi 40 anni, me ne guardo bene. Voglio solo considerarne due aspetti, che per me sono cruciali.
Il primo è la netta divaricazione avvenuta tra le tematiche politico-marxiste e quelle di cultura libertaria, tanto che nel breve volgere di 10-15 anni la politica riprese a svoltare a destra, mentre l’evoluzione del costume lo osserviamo anche oggi.
Il secondo aspetto che volevo sottolineare è che da allora una simile contestazione generazionale non è più avvenuta. Anzi, quello che io osservo con grande stupore, ma anche con un certo rammarico, è che i giovani di oggi, quelli che chiamo i giovani del terzo millennio, sono estremamente condizionati dai giovani d’allora, i loro genitori, tra qualche anno, i loro nonni. Questo lo si vede bene nel campo culturale generale. Prendiamo la musica degli anni 60: i nostri figli la adorano. Vogliamo considerare i miti politici: sospetto che tra i giovani pochi sappiano davvero qualcosa di Che Guevara, ma il suo mito continua imperterrito.
Nel frattempo, sono successe due o tre cose di una certa rilevanza, soprattutto su un piano squisitamente politico. Citerò qui la questione del mercato del lavoro. Ebbene, noi abbiamo rivendicato per noi il posto di lavoro e la sua stabilità. Cosa abbiamo dato ai nostri figli? Abbiamo dato la precarietà. Volevamo la democrazia diretta, stiamo lasciando in eredità un voto che oscilla tra il voto di scambio e il voto dettato dalla TV. Abbiamo voluto le pensioni anche baby: tuttora un numero credo dell’ordine delle centinaia di migliaia di persone gode di pensione a meno di sessanta anni di età (e poi magari lavora pure). Cosa lasciamo ai nostri figli? La pensione non sarà più retributiva, ma contributiva. Per chi non fosse esperto in materia, significa fregargli un bel po’ di denaro, perché la retributiva tiene conto dello stipendio a fine carriera, certo più elevato, mentre quello contributivo fotografa l’evoluzione del reddito durante tutta la carriera lavorativa.
Eppure, i giovani, non dico quelli che votano lega, ma quelli di sinistra, rifiutano totalmente di contestarci, con la debole motivazione che la lotta dev’essere contro il padrone e non tra poveri. Qui però non si tratta di argomentare sui diritti e sui torti, qui si tratta di una forma direi di orgoglio, di capacità di rivendicazione, in assenza della quale questi giovani non andranno da nessuna parte. Eccerto che anche nel 68 a molti nostri padri non c’era proprio nulla da contestare, ma in ogni caso una generazione, se vuole cambiare la storia, deve rivendicare un suo specifico, e per fare questo deve contestare l’esistente, e l’esistente vi piaccia o no, sono i vostri padri.
SULLE VOTAZIONI
Allora, parlo a quelli a cui non piace né PDL, né Lega, né UDC, né PD, cioè sospetto quasi tutti i miei lettori. Dobbiamo deciderci, e farlo presto. Per le elezioni, tre alternative:
- votare il meno peggio (vedi PD)
- votare scheda bianca
- presentarsi con una propria lista
Accantonando la terza ipotesi perché richiede certi tempi, non rimane che decidersi tra il votarlo e il non votarlo il PD. I sostenitori della prima ipotesi sono quelli del male minore. Io però vorrei dire loro che se è un male, prima o poi bisogna eliminarlo. Allora, facciamolo subito, tiriamoci questo dente cariato, aggreghiamoci compatti sull’ipotesi della scheda bianca, contribuiamo a un tracollo del PD, e forse alla fine dovranno pure convincersi ad andare a casa.
- votare il meno peggio (vedi PD)
- votare scheda bianca
- presentarsi con una propria lista
Accantonando la terza ipotesi perché richiede certi tempi, non rimane che decidersi tra il votarlo e il non votarlo il PD. I sostenitori della prima ipotesi sono quelli del male minore. Io però vorrei dire loro che se è un male, prima o poi bisogna eliminarlo. Allora, facciamolo subito, tiriamoci questo dente cariato, aggreghiamoci compatti sull’ipotesi della scheda bianca, contribuiamo a un tracollo del PD, e forse alla fine dovranno pure convincersi ad andare a casa.
LA STAMPA SERVA
La breve notizia che voglio riportarvi è che l’edizione odierna de “Il Foglio”, invece di essere costituita delle solite otto pagine, ne ha quattro in più, ed a colori. Indovinate perché: per insultare il canale televisivo francese che aveva riportato la famosa presunta frase sulla Bruni, pronunciata da Berlusconi. Leggete bene: un aumento del costo di stampa ben superiore al 50%! Bene, indipendentemente da quale sia la verità dei fatti, quello che colpisce è come Giuliano Ferrara interpreta al meglio il suo ruolo di lacchè del suo padrone, nonché suo finanziatore: niente altro da aggiungere
mercoledì 4 marzo 2009
L'IPERMEDICINA
Ho visitato, come penso molti di voi, il sito dell'associazione luca coscioni sul ddl sul testamento biologico, ma veramente è complicato, almeno per me che non sono un giurista, proporre un testo adeguato sulla base di una serie di emendamenti.
Io so però che andrebbe riformulato cosa intendiamo oggi per medicina, perchè questa pseudo-scienza sta diventando invasiva della nostra stessa vita.
Il problema della medicina si propone nel contesto della cosiddetta prevenzione. Cominciamo con l'usare i termini corretti: la prevenzione di cui si parla dovrebbe invece essere detta "diagnosi precoce". Ebbene, si predica difatti, una società di ipocondriaci che, pur percependo uno stato di salute, dovrebbero sottoporsi a una serie di analisi di ogni tipo, solo per verificare quello che già sanno: che stanno bene. Ma che vita sarebbe questa di sospettare sempre la presenza di malattie, che la nostra propria sensibilità non ci manifesta?
Non voglio escludere che singole e specifiche malattie, per le loro caratteristiche subdole, possano beneficiare di una diagnosi precoce che solo dei test strumentali possono individuare, ma farne la filosofia di fondo di una sedicente medicina moderna mi pare un altro, ulteriore elemento della follia in cui viviamo in questa nostra civiltà-inciviltà.
Poi c'è il capitolo, quello tra l'altro di maggiore attualità, della fine della vita: qui veramente si percepisce in pieno quanto uno sviluppo essenzialmente casuale della medicina intenda influenzare nel modo più soffocante la nostra personale esistenza. Ciò avviene a partire dal fatto che, se esiste un mezzo tecnologico, questo vada usato. Credo che sperimentiamo tutti nella nostra esperienza quotidiana quanto perfino l'oggetto più inutile, se prodotto, per il fatto di essere nuovo, finisce poi per essere venduto ed utilizzato.
Nel contesto della medicina, questo sviluppo tecnologico rischia di tradursi in un'intollerabile ingerenza nelle nostre scelte più personali, quelle che dovrebbero essere salvaguardate.
La legge dovrebbe ricordare nella maniera più netta che lo scopo della medicina, la sua stessa ragione di esistenza, sia quella di guarire, cioè di ripristinare, da uno stato di malattia, uno stato di salute. Questo noi chiediamo alla medicina,
· no di trasformare il nostro corpo seguendo i criteri estetici imperanti, come si fa nel settore della chirurgia estetica più spregiudicata.
· no di donare la maternità seguendo i nostri personali desideri
· no di donarci scampoli di immortalità, costringendoci a prolungare alcune funzioni vitali di base, anche in assenza di quegli aspetti che noi perfettamente sappiamo essere inerenti allo stesso concetto di vita
· no a una continua sequenza di analisi che ci rassicuri su ciò di cui dovremmo essere convinti, perché se sospettassimo di essere malati, significa automaticamente esserlo.
Io chiedo molto più di quello che viene detto dalla maggior parte di voi, che ognuno è libero di scegliere col testamento biologico. Io chiedo piuttosto che si definisca chiaramente quali sono i confini della medicina: aldilà di questi, non stiamo più parlando di medicina. Così, sarebbe ora di usare un nuovo termine, potrei proporre l’ ”ipermedicina”, proprio per indicare chiaramente che si tratta di un campo di estrapolazione delle conoscenze mediche dal loro precipuo campo di azione, a nuovi campi. Non vorrei costringere nessuno nelle condizioni di Eluana all’interruzione delle funzioni vitali di base, ma per favore, non chiamiamola più medicina. Questo è quello che ritengo sia un campo di battaglia ideologico, e pertanto fondamentale: l’uso delle parole è davvero quello che determina le condizioni fondamentali dell’esistenza, visto che noi viviamo in un universo simbolico da quando nostra madre c’ha insegnato il linguaggio.
Io so però che andrebbe riformulato cosa intendiamo oggi per medicina, perchè questa pseudo-scienza sta diventando invasiva della nostra stessa vita.
Il problema della medicina si propone nel contesto della cosiddetta prevenzione. Cominciamo con l'usare i termini corretti: la prevenzione di cui si parla dovrebbe invece essere detta "diagnosi precoce". Ebbene, si predica difatti, una società di ipocondriaci che, pur percependo uno stato di salute, dovrebbero sottoporsi a una serie di analisi di ogni tipo, solo per verificare quello che già sanno: che stanno bene. Ma che vita sarebbe questa di sospettare sempre la presenza di malattie, che la nostra propria sensibilità non ci manifesta?
Non voglio escludere che singole e specifiche malattie, per le loro caratteristiche subdole, possano beneficiare di una diagnosi precoce che solo dei test strumentali possono individuare, ma farne la filosofia di fondo di una sedicente medicina moderna mi pare un altro, ulteriore elemento della follia in cui viviamo in questa nostra civiltà-inciviltà.
Poi c'è il capitolo, quello tra l'altro di maggiore attualità, della fine della vita: qui veramente si percepisce in pieno quanto uno sviluppo essenzialmente casuale della medicina intenda influenzare nel modo più soffocante la nostra personale esistenza. Ciò avviene a partire dal fatto che, se esiste un mezzo tecnologico, questo vada usato. Credo che sperimentiamo tutti nella nostra esperienza quotidiana quanto perfino l'oggetto più inutile, se prodotto, per il fatto di essere nuovo, finisce poi per essere venduto ed utilizzato.
Nel contesto della medicina, questo sviluppo tecnologico rischia di tradursi in un'intollerabile ingerenza nelle nostre scelte più personali, quelle che dovrebbero essere salvaguardate.
La legge dovrebbe ricordare nella maniera più netta che lo scopo della medicina, la sua stessa ragione di esistenza, sia quella di guarire, cioè di ripristinare, da uno stato di malattia, uno stato di salute. Questo noi chiediamo alla medicina,
· no di trasformare il nostro corpo seguendo i criteri estetici imperanti, come si fa nel settore della chirurgia estetica più spregiudicata.
· no di donare la maternità seguendo i nostri personali desideri
· no di donarci scampoli di immortalità, costringendoci a prolungare alcune funzioni vitali di base, anche in assenza di quegli aspetti che noi perfettamente sappiamo essere inerenti allo stesso concetto di vita
· no a una continua sequenza di analisi che ci rassicuri su ciò di cui dovremmo essere convinti, perché se sospettassimo di essere malati, significa automaticamente esserlo.
Io chiedo molto più di quello che viene detto dalla maggior parte di voi, che ognuno è libero di scegliere col testamento biologico. Io chiedo piuttosto che si definisca chiaramente quali sono i confini della medicina: aldilà di questi, non stiamo più parlando di medicina. Così, sarebbe ora di usare un nuovo termine, potrei proporre l’ ”ipermedicina”, proprio per indicare chiaramente che si tratta di un campo di estrapolazione delle conoscenze mediche dal loro precipuo campo di azione, a nuovi campi. Non vorrei costringere nessuno nelle condizioni di Eluana all’interruzione delle funzioni vitali di base, ma per favore, non chiamiamola più medicina. Questo è quello che ritengo sia un campo di battaglia ideologico, e pertanto fondamentale: l’uso delle parole è davvero quello che determina le condizioni fondamentali dell’esistenza, visto che noi viviamo in un universo simbolico da quando nostra madre c’ha insegnato il linguaggio.
martedì 3 marzo 2009
BLOG: UN PRIMO BILANCIO
Oggi traccio un primo bilancio di questa mia prima fase di presenza in rete.
Niente grandi sorprese, devo ammettere, molta voglia di esprimersi in giro, ed anche tanta voglia di aggregazione. Nulla di male in questo, purchè non si debba poi pagare il costo di comportamenti conformisti. Direi che c'è soprattutto la voglia di essere confermati nelle proprie opinioni, poca curiosità di scoprire opinioni differenti, un dialogo quindi che stenta ad avviarsi. Avviare un dialogo non significa convenire col tuo interlocutore, ma essere comunque in grado di scorgere le sue ragioni, e poi magari anche polemizzarci.
L’alternativa a questo atteggiamento di apertura, della ricerca del dialogo, è quello di issare bandiere, cioè di approntare criteri discriminatori. Insomma, del tipo: chi non è con me, è contro di me. E’ un atteggiamento tipico delle nostre società, e non me ne meraviglio più di tanto, ma dai giovani un pochino in più di curiosità, di pura curiosità, me la sarei aspettata. Ciò ci richiama anche ad un tema generazionale: ne parlerò in un prossimo post.
Niente grandi sorprese, devo ammettere, molta voglia di esprimersi in giro, ed anche tanta voglia di aggregazione. Nulla di male in questo, purchè non si debba poi pagare il costo di comportamenti conformisti. Direi che c'è soprattutto la voglia di essere confermati nelle proprie opinioni, poca curiosità di scoprire opinioni differenti, un dialogo quindi che stenta ad avviarsi. Avviare un dialogo non significa convenire col tuo interlocutore, ma essere comunque in grado di scorgere le sue ragioni, e poi magari anche polemizzarci.
L’alternativa a questo atteggiamento di apertura, della ricerca del dialogo, è quello di issare bandiere, cioè di approntare criteri discriminatori. Insomma, del tipo: chi non è con me, è contro di me. E’ un atteggiamento tipico delle nostre società, e non me ne meraviglio più di tanto, ma dai giovani un pochino in più di curiosità, di pura curiosità, me la sarei aspettata. Ciò ci richiama anche ad un tema generazionale: ne parlerò in un prossimo post.
domenica 1 marzo 2009
IDEOLOGIA LEGHISTA
Oggi vorrei tornare sull’antiberlusconismo, che per me rimane un aspetto della generale tendenza minoritaria dell’opposizione in politica. Mi sono deciso a tornare sulla questione leggendo una specie di analisi psicologica su Berlusconi.
Per me, chi si candida alla direzione del paese, si deve qualificare in base alle cose che propone di fare, e non per essere contro qualcuno e qualcosa: perfino proclamare la difesa pura e semplice della democrazia non può funzionare da nucleo di aggregazione se non si articola in un progetto coerente. Allora, sul personaggio, nulla da dire, nessuno più di me potrebbe dirne il peggio. Una volta Ghezzi, quello di “Fuori Orario”, ebbe a dire che la differenza più significativa tra il centro-sinistra e Berlusconi era di tipo estetico. Io continuo a pensarla come lui: Berlusconi è una persona oscena, raccoglie in sé le peggiori caratteristiche dell’italiano, o meglio, la parte delle caratteristiche che più ci distinguono dagli altri europei, e quindi vanno a costituire il clichè dell’italiano medio che si sono costruiti all’estero. La sensazione che mi provoca la sua apparizione sullo schermo televisivo è immediatamente sgradevole, davvero non trovo nulla di gradevole nella sua persona, già, direi, nell’espressività facciale. Detto ciò, sarebbe ora che ci dicessimo la verità, e cioè che, almeno fino alle ultime elezioni, la politica praticata dal centrodestra e dal centrosinistra erano pressoché indistinguibili. La politica già da tempo, certamente almeno dalla caduta del muro di Berlino, è diventato un puro e semplice esercizio di potere. Attorno ai politici si è costruito un robusto e impenetrabile gruppo di potere, costituto da imprenditori e finanzieri, dal giornalismo quasi al completo, e perfino da magistrati. Gli unici che sono esclusi da questo circolo esclusivo sono la generalità dei cittadini, trattati da questo punto di vista come sudditi. Il patto sociale indicato come l’origine della costituzione dell’autorità statale trova il suo fondamento nella difesa dei deboli: i forti, i potenti non hanno mai avuto bisogno dello stato, da forti, erano in grado di difendersi da sé. Lo stato trova il fondamento stesso della sua costituzione nella sua vocazione a difendere i più deboli. Oggi, quando si prospetta un conflitto tra un entità più debole e una più forte, qual è il ruolo svolto dallo stato? Ognuno di noi, nella sua vita quotidiana ha sperimentato sulla propria pelle quanto sia indifeso di fronte ad esempio a un fornitore di servizi, erogati da banche, assicurazioni, ENEL, TIM, Vodafone, tanto per citarne alcuni. Regolare questi conflitti è proprio lo scopo più tipico di uno stato, e sono regolazioni a costo zero: solo una volontà pervicace di stare dalla parte dei potenti ha potuto permettere che tutti i governi non siano intervenuti su queste questioni: poi scopriamo tutto quello che è successo a proposito di UNIPOL e comprendiamo perché neanche il centrosinistra fosse interessato ad intervenire in materia.
Oggi certo, c’è un problema in più, che è costituito più dalla Lega Nord che da Berlusconi. La Lega Nord è difatti, a mio parere, l’unica formazione politica coerentemente ideologica della politica italiana, e il suo disegno politico è apertamente autoritario. Berlusconi, come tutti i mediocri megalomani, si è circondato di un ceto politico mediocre, se non apertamente scadente: basti elencare la Gelmini, i Gasparri, i Bocchino, i Quagliarello, i Bonaiuti, e tanti altri (l’elenco sarebbe lunghissimo). Il risultato è che nessuno tra i suoi osa contraddirlo, lo assecondano pedissequamente, ma in tal modo, egli è terribilmente solo, solo col suo smisurato narcisismo. La Lega invece non teme di contraddirlo, forte del suo radicamento sul territorio, ed anzi gli impone i suoi temi e la sua tempistica politica. Secondo me, oggi governa più la Lega più di quanto non faccia Berlusconi. Cosa fare allora? Bisogna costituire una nuova ideologia che si possa opporre a quella dominante: questo sito è dedicato proprio a questo specifico compito, a cui ho già dedicato il libro che vedete pubblicizzato sul mio profilo: se non troverete citata musica, film o romanzi qui, è proprio perché non considero questo blog personale.
Questa riprecisazione è opportuna, dopo che i primi post sono già diventati vecchi per i tempi di questo mezzo di comunicazione. Ritornerò ancora sull’argomento, siate pazienti con me, sono anziano…eheheh.
Per me, chi si candida alla direzione del paese, si deve qualificare in base alle cose che propone di fare, e non per essere contro qualcuno e qualcosa: perfino proclamare la difesa pura e semplice della democrazia non può funzionare da nucleo di aggregazione se non si articola in un progetto coerente. Allora, sul personaggio, nulla da dire, nessuno più di me potrebbe dirne il peggio. Una volta Ghezzi, quello di “Fuori Orario”, ebbe a dire che la differenza più significativa tra il centro-sinistra e Berlusconi era di tipo estetico. Io continuo a pensarla come lui: Berlusconi è una persona oscena, raccoglie in sé le peggiori caratteristiche dell’italiano, o meglio, la parte delle caratteristiche che più ci distinguono dagli altri europei, e quindi vanno a costituire il clichè dell’italiano medio che si sono costruiti all’estero. La sensazione che mi provoca la sua apparizione sullo schermo televisivo è immediatamente sgradevole, davvero non trovo nulla di gradevole nella sua persona, già, direi, nell’espressività facciale. Detto ciò, sarebbe ora che ci dicessimo la verità, e cioè che, almeno fino alle ultime elezioni, la politica praticata dal centrodestra e dal centrosinistra erano pressoché indistinguibili. La politica già da tempo, certamente almeno dalla caduta del muro di Berlino, è diventato un puro e semplice esercizio di potere. Attorno ai politici si è costruito un robusto e impenetrabile gruppo di potere, costituto da imprenditori e finanzieri, dal giornalismo quasi al completo, e perfino da magistrati. Gli unici che sono esclusi da questo circolo esclusivo sono la generalità dei cittadini, trattati da questo punto di vista come sudditi. Il patto sociale indicato come l’origine della costituzione dell’autorità statale trova il suo fondamento nella difesa dei deboli: i forti, i potenti non hanno mai avuto bisogno dello stato, da forti, erano in grado di difendersi da sé. Lo stato trova il fondamento stesso della sua costituzione nella sua vocazione a difendere i più deboli. Oggi, quando si prospetta un conflitto tra un entità più debole e una più forte, qual è il ruolo svolto dallo stato? Ognuno di noi, nella sua vita quotidiana ha sperimentato sulla propria pelle quanto sia indifeso di fronte ad esempio a un fornitore di servizi, erogati da banche, assicurazioni, ENEL, TIM, Vodafone, tanto per citarne alcuni. Regolare questi conflitti è proprio lo scopo più tipico di uno stato, e sono regolazioni a costo zero: solo una volontà pervicace di stare dalla parte dei potenti ha potuto permettere che tutti i governi non siano intervenuti su queste questioni: poi scopriamo tutto quello che è successo a proposito di UNIPOL e comprendiamo perché neanche il centrosinistra fosse interessato ad intervenire in materia.
Oggi certo, c’è un problema in più, che è costituito più dalla Lega Nord che da Berlusconi. La Lega Nord è difatti, a mio parere, l’unica formazione politica coerentemente ideologica della politica italiana, e il suo disegno politico è apertamente autoritario. Berlusconi, come tutti i mediocri megalomani, si è circondato di un ceto politico mediocre, se non apertamente scadente: basti elencare la Gelmini, i Gasparri, i Bocchino, i Quagliarello, i Bonaiuti, e tanti altri (l’elenco sarebbe lunghissimo). Il risultato è che nessuno tra i suoi osa contraddirlo, lo assecondano pedissequamente, ma in tal modo, egli è terribilmente solo, solo col suo smisurato narcisismo. La Lega invece non teme di contraddirlo, forte del suo radicamento sul territorio, ed anzi gli impone i suoi temi e la sua tempistica politica. Secondo me, oggi governa più la Lega più di quanto non faccia Berlusconi. Cosa fare allora? Bisogna costituire una nuova ideologia che si possa opporre a quella dominante: questo sito è dedicato proprio a questo specifico compito, a cui ho già dedicato il libro che vedete pubblicizzato sul mio profilo: se non troverete citata musica, film o romanzi qui, è proprio perché non considero questo blog personale.
Questa riprecisazione è opportuna, dopo che i primi post sono già diventati vecchi per i tempi di questo mezzo di comunicazione. Ritornerò ancora sull’argomento, siate pazienti con me, sono anziano…eheheh.
Iscriviti a:
Post (Atom)