giovedì 5 marzo 2009

IL ’68 E I RAGAZZI DEL TERZO MILLENNIO

Io sono della generazione dei sessantottini, una generazione davvero particolare, che è riuscita a influenzare la storia del mondo. Non parlerò degli eventi di quegli anni, la cosa sarebbe troppo lunga. Mi basta sottolineare che essa viveva di due differenti aspirazioni, l’una sul terreno propriamente politico, ed era di segno egualitario e apertamente marxista, l’altra invece agiva su un piano culturale più generale. Vorrei sottolineare che, malgrado soggettivamente questi due aspetti venissero vissuti come strettamente correlati (ricorderete tutti l’espressione “il personale è politico”), obiettivamente direi che essi corressero parallelamente senza quella correlazione che noi intendevamo dar loro.
Ora, vorrei considerare l’effetto spartiacque del 68, considerando il prima e il dopo.
Poiché il 68 nacque proprio come un movimento di contestazione dell’esistente, la nostra generazione rifiutò in blocco la cultura che la precedeva, e questo avvenne davvero in maniera globale. Per chiarirvi l’idea, a me la musica che piaceva a mio padre, tipo Nilla Pizzi et similia non è mai piaciuta, anzi mi ha davvero fatto schifo. Come capite, quindi, la questione della contestazione non riguardava i principi massimi. Al contrario, era davvero un nuovo modo di vedere il mondo, e quindi non poteva che coinvolgere tutta la cultura popolare che la precedeva immediatamente. Quindi, c’era una portata generazionale in questo movimento, era davvero una lotta dei figli contro i padri. Quando si rivendicava l’istruzione gratuita, come l’amore libero, il rock contro la melensa musica melodica degli anni 50, lo si faceva da un punto di vista generazionale.
Cosa è successo dopo il 68? Calma, non voglio fare la storia di questi ultimi 40 anni, me ne guardo bene. Voglio solo considerarne due aspetti, che per me sono cruciali.
Il primo è la netta divaricazione avvenuta tra le tematiche politico-marxiste e quelle di cultura libertaria, tanto che nel breve volgere di 10-15 anni la politica riprese a svoltare a destra, mentre l’evoluzione del costume lo osserviamo anche oggi.
Il secondo aspetto che volevo sottolineare è che da allora una simile contestazione generazionale non è più avvenuta. Anzi, quello che io osservo con grande stupore, ma anche con un certo rammarico, è che i giovani di oggi, quelli che chiamo i giovani del terzo millennio, sono estremamente condizionati dai giovani d’allora, i loro genitori, tra qualche anno, i loro nonni. Questo lo si vede bene nel campo culturale generale. Prendiamo la musica degli anni 60: i nostri figli la adorano. Vogliamo considerare i miti politici: sospetto che tra i giovani pochi sappiano davvero qualcosa di Che Guevara, ma il suo mito continua imperterrito.
Nel frattempo, sono successe due o tre cose di una certa rilevanza, soprattutto su un piano squisitamente politico. Citerò qui la questione del mercato del lavoro. Ebbene, noi abbiamo rivendicato per noi il posto di lavoro e la sua stabilità. Cosa abbiamo dato ai nostri figli? Abbiamo dato la precarietà. Volevamo la democrazia diretta, stiamo lasciando in eredità un voto che oscilla tra il voto di scambio e il voto dettato dalla TV. Abbiamo voluto le pensioni anche baby: tuttora un numero credo dell’ordine delle centinaia di migliaia di persone gode di pensione a meno di sessanta anni di età (e poi magari lavora pure). Cosa lasciamo ai nostri figli? La pensione non sarà più retributiva, ma contributiva. Per chi non fosse esperto in materia, significa fregargli un bel po’ di denaro, perché la retributiva tiene conto dello stipendio a fine carriera, certo più elevato, mentre quello contributivo fotografa l’evoluzione del reddito durante tutta la carriera lavorativa.
Eppure, i giovani, non dico quelli che votano lega, ma quelli di sinistra, rifiutano totalmente di contestarci, con la debole motivazione che la lotta dev’essere contro il padrone e non tra poveri. Qui però non si tratta di argomentare sui diritti e sui torti, qui si tratta di una forma direi di orgoglio, di capacità di rivendicazione, in assenza della quale questi giovani non andranno da nessuna parte. Eccerto che anche nel 68 a molti nostri padri non c’era proprio nulla da contestare, ma in ogni caso una generazione, se vuole cambiare la storia, deve rivendicare un suo specifico, e per fare questo deve contestare l’esistente, e l’esistente vi piaccia o no, sono i vostri padri.

6 commenti:

  1. A quasi un giorno di distanza, questo post non raccoglie neanche un commento. Che dire? L'argomento non attizza? Eppure tentavo garbatamente di provocare i ragazzi, ma niente da fare, non si fanno provocare. Un silenzio assenso allora? Ne dubito fortemente. Io intepreto a mio modo e in modo politicamente assolutamente scorretto: non hanno le palle per replicare!

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  2. Non ti ho risposto, perché non l'avevo letto, ed ero venuta a curiosare nel tuo blog :)
    Ma se l'avessi visto mi sarei fermata di certo.
    Fermata, ma che commento lascio?
    Non solo, ancora un volta, mi piace quanto scrivi, ma sono soprattutto piena di dolore e preoccupazione. Dov'è il lavoro per i giovani? Sento parlare quasi solo di sfruttamento a cui non ci si ribella per paura di perdere anche quel piccolo, probabile piccolo turno che ti hanno CONCESSO.
    Sono tanti i problemi dei giovani di oggi, che, nonostante l'orgoglio e la voglia di indipendenza, sono costretti a rimanere in casa coi genitori che li mantengono (Ricordi, i Bamboccioni del Padoa Schioppa?)
    Bene, questi poveri bamboccioni non si mettono a fare la lotta generazionale; e chi li mantiene? Forse sono anche piegati da un minimo di gratitudine verso i genitori.
    Mi fermo qui, caro Vincenzo.
    A presto!

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  3. Anch'io lo avevo letto, ma cosa dire? E' tutto vero

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  4. Vi confesso che mi vergogno un po' per lo stile del commento che non mi appartiene, ma volevo incrementare il livello della provocazione. Comunque, i ragazzi seguitano a non rispondere, no hope!
    Lara, vedi, proprio questa gratitudine percepita verso i genitori mi preoccupa. La mia generazione, partendo dalle premesse del 68, è pervenuta a una società di cui non possiamo che vergognarci. Il conto del dare e dell'avere non si può fare sul fatto che li manteniamo: ci mancherebbe anche questo, dopo aver tolto loro il lavoro, e prima ancora del lavoro, il fatto di percepirlo come un loro diritto. La mia generazione è cresciuta forte. Mi ha colpito la testimonianza di un uomo che diceva di non avere neanche il bagno in casa. Io il bagno ce l'avevo, ma come la vita scorreva nella sua essenzialità, che poi sarebbe che i miei genitori faticavano tutta la santa giornata per potere condurre un'esistenza minimamente decorosa. Ricordo bambino quando la TV cominciò ad arrivare nella mia città, e noi si andava la domenica pomeriggio al bar a vederla, consumando un gelato, e quanto questo risultasse così gratificante!
    Erano genitori poveri, ma attenti, forse perfino oppressivi, ma mio padre aveva una sua fisionomia, per niente tollerante invero, ma questa la considero una fortuna. Ho trascorso l'adolescenza sognando la mia autonomia, difendendo coi denti, magari nel silenzio, una visione del mondo molto diversa. E ci sono alfine riuscito, andando a vivere da solo presto. Adesso, abbiamo una generazione di genitori insignificanti, dietro l’ultimo reality, che hanno toalmente perso la loro memoria, e con la memoria la loro stessa identità.

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  5. Per contestare qualcuno devi in qualche modo rivestirlo di una qualche autorità, i giovani d'oggi non vi contestano perchè manco vi riconoscono come possibili interlocutori.
    Rivendichi con orgoglio la generazione del '68, e mi può anche stare bene, ma come dici tu stesso è la stessa che ha tradito le proprie aspettative. Ha cambiato il mondo, sicuramente, ma forse non in meglio.
    In qualche modo vi siete adagiati sul fatto che la vostra parte l'avevate fatta e siete diventati come i vostri padri se non peggio. Che ne è rimasto di quella stagione? Qualche buon brano rock, un paio di miti che avete stampato su T-shirt e mercificato, il rimpianto, solo vostro. La generazione del '68 che è entrata in politica non ha fatto nè meglio nè peggio di chi l'ha preceduta: si è conformata e basta.
    Io vengo dopo come generazione, sono quello di mezzo. Quello che impara a disegnare al tecnigrafo mentre già si comincia ad usare autocad; quello che nasce analogico e gli si impone il digitale, che incomincia a lavorare con l'idea del posto fisso per poi scoprire che non c'è più. La generazione muta, sfigata, nata proprio mentre voi costruivate il vostro mito, cresciuta a pane e eroina, troppo vecchia per il '68, troppo giovane per il '77, troppo stupida per l'85, troppo morta per le stagioni dopo, morta prima ancora di nascere.
    Ai giovani d'oggi, tranne rare eccezioni, credimi, non frega un cazzo nè di voi nè di noi, perchè a nessuna generazione frega niente di chi l'ha preceduta.
    La differenza è che prima i padri si imponevamo, oggi no. Tutto qui.
    Un saluto.

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  6. @Rouge
    Mi pare che siamo abbastanza d'accordo. Solo due punti vorrei rimarcare:
    - non sono affatto orgoglioso della mia generazione, tutt'altro! Dico che i nostri figli dovrebbero buttare fuori i miei coetanei dalle stanze del potere.
    - essere condizionati dalla storia che ci precede non è un fatto che si percepisca soggettivamente (non gliene frega...), ma si può riscontrare oggettivamente nella vita di oggi, che vive nei miti soprattutto libertari di allora, magari senza capire che libertario e liberista finiscono per somigliarsi. Allo stesso modo la musica e così via. Bisognerebbe che si riprendessero il mondo che gli appartiene, ribellandosi all'omologazione imposta dalla nostra società.
    Comunque grazie del contributo, a presto!

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