sabato 9 luglio 2011

RIFLESSIONI SUL SENSO COMUNE

Oggi, parlerò di filosofia, una delle mie passioni, anche se non la coltivo adeguatamente. Inoltre, ritengo il blog un mezzo non ideale per parlare di tali argomenti, anche se devo ammettere che frequento almeno due bloggers (qui e qui), che hanno una straordinaria capacità di sintesi e chiarezza discorsiva tale da scrivere degli interessanti post di filosofia.
E' proprio da un post di uno di questi blogger che prende spunto questo mio post. In particolare, sono stato stimolato dal concetto di "senso comune", che per chi legge la fonte originale, sembra costituire il vero fondamento delle tesi lì esposte. Dirò anzi che se tale concetto non regge, rischia di conseguenza di crollare l'intero impianto del ragionamento lì sviluppato. Dato che la discussione richiede un certo approfondimento, ho optato, invece dell'inserire lì un commento, di provare ad intervenire con maggior dettaglio con un apposito post.
In verità, "senso comune" è un'espressione che oggi viene utilizzata in contesti differenti, ed apparentemente anche con significati differenti.
Senza pretendere di ripercorrere la storia di questo concetto, formulerò così l'ambiguità che io trovo insita in questa espressione.
Da una parte senso comune può significare ciò che significava per Aristotele, modelli di apprendimento, di funzionamento della nostra mente che così accosta questo concetto alle intuizioni pure ed alle categorie kantiane. Ancora per altri senso comune viene identificato come la tendenza spontanea a credere dell'esistenza in una realtà materiale ed alla esistenza di altri soggetti a noi simili.
Un significato profondamente differente è quello che lo identifica come un certo bagaglio di credenze condivise da una certa comunità.
Preferisco vedere le cose nella mia ottica, secondo cui nell'uomo si può identificare un aspetto naturale ed uno culturale. La differenza fondamentale sta nel fatto che la natura ci è data, sfugge al nostro controllo, costituisce quello che si indica come patrimonio genetico, mentre la cultura è quell'insieme di esperienze collettive che l'umanità ha accumulato nel corso della sua storia. Naturalmente, in ultima istanza, anche la cultura deriva dalla nostra natura, nel meccanismo stesso di sua costituzione. Ciò però non pregiudica l'utilità di operare questa distinzione.
Adesso, appare chiaro che l'ultimo tipo di definizione del senso comune comporta un coinvolgimento della cultura, mentre le prime due definizioni sembrano riferirsi a caratteristiche innate della nostra specie.
Ora, se il senso comune si riferisce al funzionamento della mente, e quindi ne traccia i limiti, allora esso si riferisce all'intero universo mentale, e conseguentemente riguarda qualsiasi tipo di sapere, filosofia inclusa. Conseguentemente, non avrebbe alcun senso considerare un'opposizione, o comunque una distinzione tra senso comune e filosofia.
Se invece senso comune si riferisce a una cultura di base condivisa, allora certamente tale distinzione è del tutto appropriata.
A questo punto però, una volta ammesso che il senso comune è legato a una specifica cultura, allora viene meno la sua universalità, esisteranno più tipi di senso comune.
Che senso ha allora riconoscerlo come un fondamento fermo nell'uomo? Così si finisce per svalutarlo, e sembra inevitabile declassarlo a una forma elementare, imperfetta di conoscenza, ricadendo così in una visione tradizionale che da' la supremazia al pensiero critico.
Se invece, come nel post che ho citato, si vuole operare una selezione all'interno del senso comune (emendarlo si dice lì), allora si capisce che il punto fondamentale smette di essere il senso comune, ma acquista rilevanza fino ad assumere il ruolo più importante, il criterio di selezione.
C'è, mi pare insomma, nell'intervento citato, una pretesa impossibile, quella di non accettare pedissequamente il senso comune, e nello stesso tempo considerare negativamente un coerente criterio di selezione.
C'è un ultimo elemento che volevo sottolineare: siamo certi che il senso comune nella sua accezione più ampia, in quanto cultura, non sia inevitabilmente anch'esso ideologico? Pensiamo davvero che le culture popolari siano esenti da elementi ideologici? Io mi spingerei fino a dire che forse proprio nel senso comune sta il massimo dell'ideologismo. Quando una certa teoria, filosofica, politica o religiosa riesce a trionfare, lascia tracce profonde nel pensiero comune, e talvolta queste tracce durano per un tempo lungo coinvolgimento molte generazioni e presentandosi così come tradizione.
La mia opinione è che l'uomo sia intrinsecamente ideologico, inevitabilmente ideologico, ma non vi trovo nulla di così negativo. I danni si hanno quando questa ideologia viene occultata, non vi è consapevolezza di essa, si finisce per far coincidere quella specifica ideologia come unico sistema di pensiero possibile: non sarà allora che proprio un malinteso senso comune costituisca il massimo rischio?

2 commenti:

  1. La tua analisi non fa una piega!

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  2. Questo blog è mente che soffia. Devo ammettere che in un primo momento ho pensato che non avevo nulla di interessante da offrire, ma dopo aver letto alcuni post la mia opinione è cambiata radicalmente.

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