sabato 29 gennaio 2011
LA CRISI DELLA CLASSE DIRIGENTE
Per fare chiarezza, partirò da più lontano, e per questo, prendo spunto da vari post che mi capita di leggere andando in giro per vari blog. In molti, si respira un'aria di delusione per i comportamenti delle persone, soprattutto dal punto di vista elettorale. Io non mi meraviglio, nè tanto meno mi scandalizzo per queste questioni, sono troppo convinto che la parola libertà tanto sbandierata da liberalismi di ogni tipo, sia in definitiva, per come viene posta, una presa in giro. Io credo che questo anelito per la libertà sia una faccenda di un elite, che nella gran parte delle persone prevalga quel conformismo che discende dalla natura fortemente sociale dell'uomo. Mi rendo conto che la discussione richiederebbe un'argomentazione ben più ampia ed approfondita, ma non voglio distrarmi dal tema specifico che qui affronto.
A partire da queste considerazioni, io credo che sempre in una comunità si viene più o meno spontaneamente a selezionare un gruppo che viene comunemente chiamato classe dirigente, e le decisioni, anche in un quadro istituzionale formalmente democratico, vengono di fatto assunte all'interno della classe dirigente. La rivoluzione, anche se generata da sommosse di cui il popolo è protagonista, finiscono inevitabilmente per corrispondere a niente più che ad una sostituzione di classe dirigente.
Così, io interpreto tutta la crisi del sistema Italia come una crisi interna alla classe dirigente. Gli anni di tangentopoli corrisposero effettivamente ad una piccola rivoluzione, una classe dirigente entrò in crisi, ed in questo vuoto, Berlusconi, proprio sfruttando quelle inchieste giudiziarie che oggi egli attacca, potè prendere il potere. Bisogna però, per interpretare correttamente le cose, capire che la classe politica è solo una parte dell'intera classe dirigente, e così in quegli anni, dietro Berlusconi, ci stava tanta parte dell'establishment economico italiano.
Questo stesso establishmant da un po' di tempo l'ha abbandonato e tenta di sostituirlo. Qui entra in gioco il PD che tanti potenti tentano di insediare al governo, ma qui sorge un problema quasi irresolvibile. I grandi fianzieri italiani sposano in pieno, direi ovviamente, l'ondata liberista che scuote l'intero pianeta, e quindi vogliono sì togliersi dalle scatole Berlusconi, ma nello stesso tempo devono sostituirlo con qualcuno che garantisca il trionfo del liberismo, qualcuno insomma che continui senza tentennamenti la politica praticata da Tremonti.
Il PD risponde positivamente alle sollecitazioni di questa parte dell'establishment, si guarda bene dal "fare cose di sinistra", e sarebbe pronto ad abbandonare ciò che sta alla sua sinistra al suo destino, puntando tutto su un'alleanza col terzo polo.
Sfortunatamente per loro, i partiti hanno interessi non coincidenti con l'establishment, perchè essi sono sul mercato, quello elettorale che è perfino più spietato di quello economico. Così, Casini e Fini sanno bene che solo distinguendosi dal PD hanno un consistente spazio elettorale, e quindi mai e poi mai potrebbero dichiarare una loro alleanza col PD.
In sostanza, tutta la critica, ormai divenuta feroce ironia, verso la non politica del PD non è endogena, non proviene dallo stesso partito, ma viene importata da questo problematico equilibrismo tra il dovere creare un'alleanza larga sufficiente a disarcionare Berlusconi, e nello stesso tempo avere una politica nei contenuti assolutamente continuista, e che perciò deve tenere fuori gente come Vendola.
In un certo senso, questa difficoltà a disfarsi di Berlusconi ha i suoi aspetti positivi, corrisponde all'impossibilità di realizzare un disegno liberista compiuto, come lo vuole gente come Marchionne.
In questa visione, mai dirò che non importa se devo andare col diavolo, purchè ci liberiamo di Berlusconi: certamente voglio che questi se ne vada, ma contemporaneamente non si dovrebbero dare cambiali in bianco a nessuno. La sinistra, quella vera, ha oggi una grande capacità contrattuale, e guai se la svende come vuole fare gran parte della dirigenza PD.
giovedì 27 gennaio 2011
SORU E LA QUESTIONE GENERAZIONALE
mercoledì 26 gennaio 2011
PUNTARE IL MIRINO SUI CORTIGIANI
Vorrei ripartire dalle considerazioni che ho fatto in un recente post: Berlusconi non appare più come il gran capo che tira i fili della situazione, ma come un burattino che non ha più energie e voglia di occuparsi di affari governativi e statali, tutto preso dall’esigenza di difendersi, di mantenere il proprio ruolo di califfo, di potere coltivare impunemente i propri vizietti, anche quando configurassero reati penali.
Se questo è vero, allora il vero fronte che si oppone a una svolta politica non è tanto il califfo stesso, ma quella che dovremmo ormai definire la sua corte, un manipolo di fedelissimi che occupano posizioni di grande potere non in base a propri meriti, ma proprio in quanto servi fedeli del padrone. Un padrone dicevo latitante ormai dalla scena politica vera e propria, ma ancora indispensabile a questa corte per mantenere i propri privilegi, quello che col suo nome, la sua fama, il suo istrionismo, è ancora l’unico a potere garantire consensi elettorali sufficienti a costoro per mantenersi al potere.
Guardare i talk-show politici, se ha avuto mai un senso, lo sta perdendo, perché ormai i vari membri del PDL vanno lì a urlare, a sovrapporre la loro voce a quella di chi argomenta in maniera opposta, senza più alcun ritegno ad apparire come dei semplici e indiscutibili maleducati, incapaci di articolare un’argomentazione in maniera vagamente comprensibile.
Sembrerebbe impossibile uscire da questa situazione, un gruppo che ha tuttora la maggioranza del parlamento, e il cui unico fine appare quello di mantenersi in sella. Le cose non sono esattamente così però, perché comunque il problema della successione diventa sempre più di attualità, e connesso ad esso sorge la questione della competizione. Defezioni se ne intravedono, fedelissimi come Emilio Fede tentano di tirarsi fuori dalle inchieste, e comunque non tutti sono disponibili a svolgere il ruolo di pasdaran come fa la Santanchè. Sono piccoli sintomi, piccoli smottamenti, ma le frane, anche quelle impetuose, così cominciano, con spostamento minimi di terreno, e che poi a poco a poco crescono.
Abbiamo a questo punto due distinte strategie per l’opposizione. L’una si mostra rassicurante verso la corte del califfo, dicendo che gli va bene anche un governo a guida PDL, ma senza Berlusconi. E’ quella sposata dal PD, oltre che dal terzo polo, che tenta quindi con l’arma della carota, chiedendo il solo sacrificio del capo, ma dando un lasciapassare alla corte: vi salveremo se mollate il vostro capo. A mio parere, è una strategia fallimentare. La corte è la reale protagonista della resistenza, non ne è un semplice complice, e deve procedere con la logica implacabile del “boia chi molla”, tutti a guardarsi per attaccare chi in qualche modo anche indiretto può fare sospettare una sua defezione. Non è un caso che oggi una nullità come la Santanchè abbia assunto un potere straordinario proprio per il suo estremismo addirittura patetico, ma ritenuto comunque adeguato al clima.
C’è in realtà una strategia alternativa, consistente invece in un forte attacco non più tanto allo stesso Berlusconi, ma alla sua corte. Se costoro, persone assai modeste da molti punti di vista, si rendono conto di essere nel mirino al posto del loro capo, essendo fondamentalmente dei codardi, allora potrebbero cominciare a disertare. L’attacco va portato appunto sottolineando le loro personali responsabilità: confermare la fiducia a questo governo, risulta una complicità oggettiva con Berlusconi, e quindi rischiano di condividerne la sorte. Quando egli cadrà, essi pure cadranno, a meno ché non rifermino oggi: insomma, la’rma del bastone piuttosto di quella della carota. Bisogna farli sentire nel mirino, attaccarli ad uno ad uno, elencando le loro personali responsabilità, magari rivangando antiche malefatte anche ricadenti alla prima repubblica. Bisogna colpirli ad uno ad uno, difficilmente troveranno una solidarietà come la trova il capo, proprio perché come capo è garante della loro stessa sopravvivenza politica. Mi chiedo, se fosse colpito ad esempio Cicchitto, chi mai solidaridazzerebbe con lui, con tutti gli odi reciproci che affollano il PDL?
Avrà l’opposizione questo minimo di capacità di adottare una tattica davvero efficace? Purtroppo, ne dubito, data la modestia di questo personale politico.
lunedì 24 gennaio 2011
MA VELTRONI C'E' O CI FA?
Che voglia di rilancio del PD in una certa fascia di opinione! E’ bastato che Veltroni parlasse al Lingotto, ed ecco che sono partiti gli applausi, i consensi: finalmente il PD esce dal pantano, ecco l’antiBerlusconi che mancava, ecco il nuovo condottiero!
Ma l’attesa a volte ci fa dei pessimi scherzi, e così plaudire può risultare un’azione sciocca, possibile solo in presenza di una lettura acritica del discorso di Veltroni. E’ sui contenuti, sulle proposte che egli avanza, che bisogna andare a guardare.
Il discorso di Veltroni sostanzialmente sposa la svolta economica di Marchionne, proponendo, udite udite la profondità del personaggio, di ridurre il debito pubblico da una parte, e la lotta alla precarietà dall'altra. Cominciamo da quest'ultima: mi chiedo se Veltroni ci sia o ci faccia. Dunque, nel mondo è in atto un'offensiva liberista che vede Marchionne in primissima fila, e che naturalmente vede il lavoro e i lavoratori come merce, e Veltroni è d'accordo con marchionne ma sarebbe contro il lavoro precario? Qui proprio non si capisce più nulla, si mette in crisi il diritto di sciopero, si mette in crisi il criterio stesso di rappresentanza, e poi si vorrebbe contestare quella che forse per tanti è un'esigenza vitale di flessibilità dell'azienda. Insomma, l'accordo di Mirafiori è ben più antioperaio della possibilità di assumere personale in forma precaria, lo capirebbe anche uno sciocco, ma Uolter no, lui non l'ha capito.
Sulla riduzione del debito pubblico, siamo proprio alla farsa: il problema è di essere per la riduzione del debito o quello delle modalità, di stabilire chi esce questi soldi? Se tu non dici chi paga la differenza, allora sei il Berlusconi 2, quello che parla per prendere in giro la gente.
Ponevo nel titolo la questione di quanto ciò che Veltroni dice sia frutto di insipienza o di furbizia, io penso ci siano entrambi gli elementi, ma quando leggo Scalari, allora lì non ho dubbi, Eugenio ci fa, e con lui ci fa tutta quella fascia di classe dirigente che in lui si identifica, e che ha un vitale bisogno di trovarsi un concorrente per la successione a Berlusconi, e con questa esigenza spasmodica, non è possibile andare tanto per il sottile e fare un’analisi critica delle parole di Veltroni, c’è abbastanza cerchiobottismo da soddisfare questi palati.
venerdì 21 gennaio 2011
EURO STAMPATI DALL'IRLANDA: UN FATTO INQUITETANTE
In sostanza, l'Irlanda avrebbe stampato banconote, naturalmente in euro, per coprire parte del suo debito. Ora, capisco perfettamente le motivazioni ed i vantaggi da parte di questo paese, tutti noi, se potessimo, invece di faticare per guadagnare del denaro, troveremmo molto più vantaggioso fabbricarcelo in casa.
Ciò che davvero è sbalorditivo è il contorno. La BCE non avrebbe sollevato obiezioni, affermando di essere stata avvisata. Ora, un'istituzione che sta da quando è stata istituita a rompere le scatole sul rigore finanziario, improvvisamente acconsente a comportamenti da falsari?
E tutta la stampa internazionale, sempre così solerte a ricordare e raccomandare sacrifici e risparmi, stavolta si volta da un'altra parte, fa finta di non vedere? Per rimanere in Italia, gente come Monti, come Giavazzi, tanto per citare due personaggi molto noti nell'establishment economico, non dice nulla in proposito: come è possibile?
Ma mi chiedo, questo silenzio a comando, questo fare i forti con i deboli, e mai criticare i potenti, ma sarà forse un nuovo tipo di mafia?
Se insomma i fatti riportati corrispondessero al vero, allora davvero dovremmo concludere che ci sono fatti molto strani e segreti molto preoccupanti che circolano nella UE e nelle sue istituzioni.
mercoledì 19 gennaio 2011
LIBERIAMOCI DEL FANTOCCIO
Le note vicende che sembrano venir fuori dalle intercettazioni telefoniche delle ninfette ospiti del premier, sollevano una pluralità di aspetti. Da una parte c’è l’aspetto squisitamente giuridico, mentre un altro aspetto importante è quello dell’etica pubblica. Un terzo aspetto è quello della sicurezza del premier, ma io vorrei piuttosto soffermare su un quarto aspetto, che concerne la funzionalità stessa del premier, cioè del fatto che egli sia effettivamente nelle condizioni di svolgere il proprio ruolo istituzionale.
A ben vedere però, questo quarto aspetto potrebbe essere disaggregato in due distinti sub-aspetti. Il primo riguarda la sua ricattabilità, ed è questo primo sub-aspetto (chiamiamolo per comodità 4a) su cui si è soffermata l’attenzione dei mass media e degli stessi politici. In realtà, per una disamina più esaustiva, bisognerebbe però considerare un sub-aspetto 4b, e cioè l’affiorare in Berlusconi di aspetti psicopatologici. Dalle cronoche che sono apparse, soprattutto a partire dalle intercettazioni, viene fuori un quadro davvero raggelante. Da ciò che ho letto ieri, due cose mi hanno colpito particolarmente. La prima riguarda la sua compulsività come descritta dalle ragazze. Esse affermano che egli le chiama ossessivamente al telefono, con ciò manifestando una vera e propria dipendenza da loro. Non si tratta quindi di telefonate estorte dalle ragazze richiedendo questo o quel regalo o favore, no è egli stesso a chiamarle perché scambiare qualche stupida battuta più o meno amorosa diventa per Berlusconi un fatto determinante, quasi vitale direi.
La seconda cosa che mi ha colpito è la sua stessa dichiarazione appunto di ieri, quando egli, rifiutando sdegnosamente l’ipotesi di dimettersi, ha aggiunto che al contrario egli si diverte. Ora, non sarebbe doveroso chiedersi che rilevanza possa avere il fatto che egli si diverta o si rattristi? Strano che non abbia finora letto nessun commento su questa frase, ma sembrerebbe consequenziale concludere che ormai Berlusconi sceglie cosa fare solo sulla base dell’effetto psicologico che gliene deriva. Insomma, egli non si dimette perché quanto gli sta accdendo è un’occasione ludica, e che se se ne diverte, allora e finchè non smette di divertirlo, egli continuerà a non dimettersi ed anzi a comportarsi così. Sembrerebbe, anche se non ho competenze di tipo psicologico, che egli sia in piena fase di regressione infantile, quando è ancora lecito comportarsi secondo criteri di autocompiacimento.
A questi due fatti che ho elencato, se ne potrebbero aggiungere moltissimi altri, che mostrano ormai un uomo succube delle proprie fissazioni, sempre più infantili, e senza nessun reale interesse per lo svolgimento di un’attività politica, ma neanche pubblica. Non è un caso che quando non racconta barzellette, quando non da’ sfogo al suo estremo esibizionismo, quando non guarda le ninfette seminude che gli girano attorno, magari facendosi toccare il sedere, egli si addormenti. Non si tratta di singoli episodi, ormai è evidente che Berlusconi non è più in grado di ascoltare un discorso senza in pochi minuti crollare in un sonno profondo, lo fa ascoltando il capo dello stato, come in parlamento durante gli interventi dei parlamentari, e probabilmente si deve dedurre che lo faccia anche durante gli incontri internazionali. Certamente, l’avanzata età favorisce questa incapacità a resistere al sonno, ma c’è un elemento determinante, ed è la caduta d’interesse. Io, che giovane non sono più, constato da alcuni anni come quando un determinato programma televisivo privo per me d’interesse funzioni benissimo come sonnifero: a lui capita lo stesso, ma evidentemente in contesti del tutto differenti. Il giorno che dovessi constatare che mi addormento durante la conferenza tenuta da un collega, mi dimetterei da professore, ma poiché invece ho ancora interessi scientifici, ciò che mi capita davanti alla TV (e non per tutti i programmi) non mi capita nello svolgimento delle mie funzioni pubbliche.
Insomma, Berlusconi è un pover’uomo, ormai vittima di sé stesso, e il suo passo indietro non lo fa perché la sua patologia è troppo grave per consentirgli una tale scelta responsabile: come egli stesso ha ammesso, il passo indietro non lo diverte, e se non lo diverte non lo compie.
Si pone però a questo punto il problema di come fermarlo, e non è un problema da poco. Avendo egli costruito un partito come propria proprietà personale, essendo circondato da persone molto modeste, scelte perché pronte a una fedeltà assoluta, questo ceto politico non lo metterà mai alla porta spontaneamente. Mi ha colpito a Ballarò la dichiarazione di Alfano che, senza mezzi termini, ha ammesso che il PDL senza Berlusconi non potrebbe neanche esistere. Forse, sarebbe stato il caso di chiedere al ministro come questo partito possa operare con un capo che non è più neanche interessato a far qualcosa che possa avere anche una vaga parvenza di rilevanza generale, e che pretende di comandare solo per il fatto di essere Berlusconi. Secondo me, già oggi governo da una parte, e PDL dall’altra, difatti operano senza Berlusconi, e ciò che davvero Alfano intendeva è che senza Berlusconi essi sono convinti di non beccare più voti.
Cosa dire poi dell’altra gamba della maggioranza, costituita dalla Lega? Fino a che punto il patto scellerato siglato ormai più di dieci anni fa di essere sodali potrà ancora tenere? Ciò che tiene assieme questa maggioranza è ancora lui, è sempre Berlusconi che è un grandissimo venditore di sé stesso e della sua stessa pochezza umana. Io credo che nessuno odi Berlusconi più dei leghisti, e che prima o poi lo scaricheranno, ma quando ciò potrà avvenire?
Per tutto ciò che ho detto, ritengo che bisogna aprire gli occhi agli elettori, bisogna dirglielo che questa alleanza che ci governa è ormai allo sbando, e che l’agenda politica è ormai in mano al difficile equilibrio tra Gianni Letta da una parte e Giulio Tremonti dall’altra, che sono dei ciechi, qualunque sia la loro opinione su Berlusconi, nel credere che sia ancora questi a comandare. Vorrei che passasse sui grandi mezzi d’informazione, almeno su quelli che contrastano il premier, questa reale immagine di un uomo ormai politicamente finito, o forse dobbiamo dire decotto, tenuto su come si potrebbe fare come un burattino da un nuovo gruppo di potere che lo disprezza e lo ha già privato di ogni potere reale, e che lo tiene su soltanto per prendere in giro loro, questi distratti elettori che ancora credono che egli svolga effettivamente la funzione di premier. Soltanto il rischio di un tracollo elettorale potrebbe convincere il PDL e più ancora la Lega a finire con questa finzione paralizzante, così nociva agli interessi della nostra nazione.
martedì 18 gennaio 2011
REFERENDUM E DEMOCRAZIA
Ma la Camusso ha ragione a invocare il rispetto del risultato del referendum? Si dice, lo dicono praticamente tutti i commentatori che questo referendum è l’immagine stessa della democrazia, lo dice la FIM che la democrazia ha decretato la scelta del sì all’accordo, ma tutti costoro hanno davvero ragione?
Io credo di no, e per argomentare questa mia opinione, tento di rifare sinteticamente la storia recente di questa vicenda.
Qui, come è già stato autorevolmente detto da tanti, non si sta parlando di un accordo. Qui il ruolo giocato dalle organizzazioni sindacaòli non FIOM è stato del tutto passivo. Il padrone, l’AD della FIAT Marchionne che, data la situazione data, è davvero il padrone di tempi che furono e speravamo definitivamente superati, ha fatto tutto da sé, ha scritto un testo e l’ha sottoposto alle organizzazioni sindacali con la formula “prendere o lasciare”, definendo nel contempo una procedura referendaria come accettazione da parte dei lavoratori di quanto aveva imposto al tavolo della trattativa, mai effettivamente avvenuta.
Il referendum è cioè stato imposto dal padrone, mentre, con tutta evidenza, esso doveva svolgere una funzione interna alle organizzazioni sindacali. Non è però una semplice questione di chi lo indice questo referendum, è che esso doveva tenersi prima e non dopo la sottoscrizione da parte dei sindacati non FIOM. Se queste organizzazioni sindacali avessero avuto così tanto a cuore la democrazia, allora essi avrebbero dovuto consultare i lavoratori prima di sedersi al tavolo col padrone. Ciò avrebbe avuto l’effetto ovvio di sancire un’unità sindacale imposta dai lavoratori, ciascuna organizzazione sindacale avrebbe cioè vincolato i propri comportamenti alla volontà espressa dai lavoratori.
Invece, si è avuto un totale capovolgimento delle procedure, essi hanno firmato un accordo separato e il padrone, la controparte, e non loro ha consultato i lavoratori.
Questi soloni della democrazia dovrebbero forse ricordarsi che votare non è sempre esercizio di democrazia, molti dittatori impongono un loro referendum, o con me o contro di me, e in tali evenienze questi stessi soloni non esiterebbero a dire che in tali condizioni la consultazione popolare deve soltanto sanzionare ciò che di fatto è già stato deciso.
Mi chiedo quale processo di ottundimento mentale si stia propagando per il mondo, con pochi potenti che riescono ad imporre a popolazioni distratte, pigre e codarde la loro volontà, Non è bastato che tali potenti, con un comportamento irresponsabile abbiano trascinato l’intero mondo in una crisi finanziaria di cui ancora non si vede l’uscita, innumerevoli replicanti del credo liberista stanno sempre lì pronti a spiegarci che la realtà è questa, che, sebbene sia sgradevole, è inutile opporsi alla realtà.
Diciamolo allora chiaramente che è non solo possibile, ma addirittura doveroso, porsi prospettive di un mondo differente, denunciando la sostanziale follia di teorie che, se portate alle estreme conseguenze, determinerebbero la stessa estinzione dell’umanità: di fronte alle teorie distruttive dominanti, non bisogna esitare un istante a qualificarle come follia a cui opporsi con qualsiasi mezzo.
lunedì 17 gennaio 2011
MA QUESTA FIDANZATA COME DISCOLPEREBBE BERLUSCONI?
A me pare, al contrario, che, dato per scontato che Berlusconi si circondava di giovanissime e procaci donzelle, invitate a cena, se tutto ciò si dimostrasse avvenisse in presenza della fidanzata, l'unica cosa che mi verrebbe da concludere è che questa fidanzata sarebbe anch'essa abbondantemente depravata.
A me, con tutta evidenza, sembra che l'annuncio di Berlusconi sia l'ultima di una serie interminabile di menzogne che questo personaggio sforna a ritmo industriale: una bugia fin troppo patetica, perchè vorrebbe smentire un'ipotesi di reato chiamando a testimone questa fidanzata, di cui finora non si è saputo nulla, e che nelle circostanze date sembrerebbe più che una fidanzata una compagna di perversioni a sfondo pedofilo.
sabato 15 gennaio 2011
LA RAPPRESENTANZA DI CHI NON SI PIEGA
No, voglio occuparmi di un aspetto collaterale, ma secondo me comunque della massima importanza.
Ebbene, a Mirafiori come mesi fa a Pomigliano, la posizione contraria agli accordi della FIOM ha ricevuto più consensi dei suoi aderenti, giungendo stavolta a sfiorare addirittura il 50% dei consensi rispetto a un 30% di iscritti (credo calcolati sul totale dei sindacalizzati).
La deduzione che ne faccio è che esiste una fascia di popolazione operaia che ritiene di doversi opporre alla svolta liberista che è diventata il credo dominante nei mass media, e che la sua consistenza numerica supera nettamente la sua rappresentanza sindacale. Il punto che vorrei sostenere è che il problema di un'insufficiente rappresentanza sia una questione di carattere geenrale, e che anzi sia massima in ambito esplicitamente politico.
Ritornando a un mio "pallino", credo che il problema della classe dirigente, della sua scarsa qualità, e della difficoltà ad un suo ricambio, sia una questione ben più grave di ciò che concerne la popolazione nel suo complesso. La posizione del PD riguardo al referendum è una chiara cartina al tornasole dell'incapacità del più grande partito di opposizione a rappresentare quello che con tutta evidenza dovrebbe costituire il proprio elettorato.
Ripartiamo allora da qui, dalla necessità vitale di rappresentare questa vasta fascia di popolazione che nè decenni di TV berlusconiana nè sedici anni di berlosconismo rampante in politica hanno piegato, ancora con la schiena dritta a sostenere i propri diritti. Forse, oggi la prima priorità dovrebbe essere quella di contrastare con tutti i mezzi, e innanzitutto non votandoli, questi sedicenti loro rappresentanti. I vari Chiamparino e Fassino vadano a casa, a stento rappresntano ormai sè stessi.
mercoledì 12 gennaio 2011
ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DELLA FIAT?
Dirò con franchezza come la penso: alle condizioni poste da Marchionne, sarebbe un suicidio per gli operai votare sì al referendum, e sarebbe una sconfitta politica epocale per tutti noi. Ciò che io penso è che la battaglia più grossa si gioca ormai sul pèiano ideologico, bisogna convincere gli operai che i diritti siano un lusso da sacrificare al mantenimento del posto di lavoro. Io non lo credo, ma il punto mi pare comunque un altro.
Ragioniamo allora sull’esito probabile, ma per addirittura scontata della vicenda FIAT. Stiamo ai fatti: già oggi la direzione dell’azienda nata dalla fusione con la Chrysler sta in America, e già oggi la gran parte della produzione è concentrata in Brasile. In altre parole,, la FIAT non esiste già più, e gli stabilimenti italiani hanno una funzione puramente marginale nel quadro della produzione complessiva dell’azienda. Anche il numero dei lavoratori impiegati è abbastanza modesto, tra Melfi, Pomigliano e Mirafiori, siamo all’incirca a quindicimila lavoratori. Con questo numero, è inutile, anzi francamente fuorviante, evocare il passato storico di quest’azienda, che nei lontani anni sessanta impiegava una cifra di operai spaventosa, assolutamente non confrontabile con i numeri di oggi: ben duecentocinquantamila.
Ciò quindi che deduco è che la FIAT abbandonerà presto in ogni caso l’Italia, e anche s enon lo facesse, il ruolo marginale nel quadro complessivo è già un fatto che qualunque esito del referendum non modificherà. Credo che Marchionne abbia tanta voglia di lasciare l’Italia, ma deve mantenere la forma per garantire lo sbocco commerciale alle sue autovetture che l’Italia tuttora garantisce, e che le sue provocazioni siano evidenti e ben mirate a giustificare la partenza totale dall’Italia nel giro di pochi anni.
Se questo è il quadro complessivo, se l’auto è ormai un prodotto stramaturo, che già satura i mercati, almeno quelli del primo mondo, se il prodotto FIAT è nella fascia medio-bassa, a corto di miglioramenti tecnologici che l’azienda ha deciso consapevolmente di ridurre al minimo, non c’è futuro nella FIAT. Forse, sarà possibile un giorno avere in Italia un governo che disincentivi l’uso dell’autovettura personale, che sia in grado di offrire un servizio di mobilità sia a corto che a medio e lungo raggio pubblico efficiente, e che una tale politica possa essere favorita oggettivamente dalla mancanza di un’azienda automobilistica italiana.
Per questo, la provocazione di Marchionne va accettata sino in fondo, la sua proposta va cioè rigettata e che egli vada verso nuovi lidi, lasciandoci con la possibilità di sviluppare l’economia italiana verso settori più innovativi. La dipartita della FIAT è anche una nuova opportunità da cogliere al volo: non facciamoci dominare dalla paura, accettiamo la sfida, e dimostriamo che una nazione migliore è possibile, e che il punto centrale di una nuova politica stia nel far tornare l’uomo al centro di essa.
venerdì 7 gennaio 2011
LA CRISI AVRA' TERMINE PER MAGIA?
La prima cosa da puntualizzare è che è stata una scelta esplicita dei governi importare una crisi del sistema bancario al sistema finanziario globale. Si poteva scegliere cioè di far fallire le banche, come del resto è stato fatto per unba di esse, la Lehman Brothers, con consegfuenze certo nefaste per tanti risparmiatori che avrebbero visto dissolversi nel nulla i loro capitali. Ebbene, la scelta è stata quella di ripartire il danno sull'intera platea dei cittadini, anche su quelli nullatenenti. Mi chiedo a quale criterio di equità abbia corrisposto questa scelta, se non sarebbe apparso più equo far pagare chi, con una responsabilità quantomeno oggettiva, consistente nella scelta di affidare i propri capitali a chi non meritava quest'atto di fiducia, piuttosto che distribuire il danno a chi non era per niente coinvolto nella vicenda, perfino a chi è stato costretto ad assumere su di sè un debito nella situazione estrema di nullatenente.
La cosa non finisce comunque con questa scelkta iniziale, i vari G hanno adottato delle scelte che appaiono ora errate, hanno caricato i bilanci pubblici di debiti importati dalle banche, ed hanno assunto delle scelte di rigore finanziario imposto ai propri stesi bilanci. forsae non a tutti è chiaro che la causa prima della crisi, l'esistenza dei cosiddetti "titoli spazzatura" non è stata minimamente rimossa, questi titoli stanno ancora in giro sui mercati finanziari a continuare ad influenzare il loro andamento. Insomma, è come se un mare fosse stato minato, e un ammiraglio avesse deciso non di rimuovere le mine, ma soltanto di blindare più efficacemente le navi (cioè le istituzioni finanziarie), caricando tra l'altro il costo sulle industrie siderurgiche, e il giorno dopo questo stesso ammiraglio avesse chiesto conto e ragione dei loro bilanci a queste stesse industrie siderurgiche, rapinate il giorno prima da lui stesso. In ogni caso, tutti comprendono che se le mine che si dovessero accumulare sulle paratie di rinforzo approntate fossero troppo numerose, questa blindatura sarebbe inefficace a svolgere questo ruolo di protezione, e la loro deflagrazione contemporanea causerebbe egualmente quei danni che si volevano evitare.
La questione più rilevante però è ancora un'altra, e cioè se la cura della crisi possa passare attraverso una ricetta liberista, assunta come dogma, insomma quella che potremmo definire la "dottrina Marchionne". In sostanza, quella stesso mercato che ha causato una crisi così profonda viene individuato come cura, il veleno improvvisamente asurto ai fasti di medicina. Qui, bisogna tornare a ragionare, e ragionare significa ripercorrere le tappe che hanno portato l'umanità a sposare l'economia di mercato. Se così si facesse, si scoprirebbe un'ovvietà che però oggi è diventata un tabù, e cioè che al centro di ogni scelta dell'umanità ci deve stare l'uomo, e accanto all'uomo la preservazione della natura in senso lato. E' in definitiva un approccio iperideologico che ignora completamente la catena logica che ha portato alla scelta del mercato, e così facendo trasforma il mercato da mezzo a fine della politica.
Questa pervicacia di governanti di tutto il mondo a rifiutarsi di ripensare il sistema economico come finora l'abbiamo concepito non può che portare danni e forse perfino calamità da cui sarà difficile se non del tutto impossibile risollevarsi.
C'è poi la specificità italiana, che però a me appare più come un'anticipazione di ciò che avverrà in tutto il mondo, almeno in quello occidentale, il sistema Italia come un modello che altri seguiranno purtroppo.
Una nazione in cui si parla di centoventi miliardi di evasione fiscale annua, di un costo della corruzione pari a sessanta miliardi annui di euro, è chiaramente una nazione che ha abbandonato ogni carattere democratico, che si è tramutata di fatto in un'associazione a delinquere globale. Chi governa, non dovrebbe curare il taglio alla cultura e all'istruzione (dicendo da analfabeti, che con la cultura non si mangia), ma trovare una soluzione anche parziale a problemi di tale dimensione, e che come extra-effetto hanno quello di degradare il vivere civile di questa nazione. Naturalmente, parziale non può significare uno o pochi punti percentuali di recupero di queste somme, ma percentuali a due cifre.
E' però evidente che sarebbe vano aspettarsi da un ministro come Tremonti che ha promosso il cosiddetto "scudo fiscale", che proporrei di ribattezzare "regalo agli evasori", questo salto di qualità: stanno tutti lì a galleggiare, come fa certa materia organica a volte puzzolente. Per galleggaire in questa nostra povera Italia non bisogna risolvere i problemi, perchè risolverli significa sconvolgere equilibri ed interessi forti coinvolti, quanto piuttosto mettere toppe, pannicelli caldi che permettano all'economia di non crollare, rimanendo solo malata, tanbto i dani li pagano sempre i più deboli.
giovedì 6 gennaio 2011
CHE BRUTTI CEFFI QUESTI LEGHISTI!
E' chiaro che non ci stanno solo i leghisti comebrutti ceffi di questa lunga pagina oscura della vita civile di questo nostro derelitto paese, ma oggi mi andava di occuparmi di loro, e così ho fatto.
lunedì 3 gennaio 2011
I MIEI PERSONALI AUGURI PER IL 2011
Ecco, l'aspetto che trovo più interessante della situazione odierna è l'esistenza di un fronte di resistenza tenace, che non intende piegarsi al potere dominante. Da una parte, la FIOM insiste nella constatazione ovvia, seppure riconosciuta da ben pochi soggetti politici, che l'accordo sottoscritto tra FIAT e gli altri sindacati è costitutivamente nullo, in quanto contraddice diritti garantiti dalla Costituzione, e quindi indisponibili, cioè non negoziabili.
Dall'altra, si affaccia un protagonismo studentesco che appare sempre più come un vero e proprio movimento generazionale. Ho sostenuto in tempi non sospetti che oggi temi politici di enorme rilevanza hanno indubbi risvolti generazionali. Naturalmente, il ruolo giocato dalla famiglia tende ad occultare tale tipo di problemi: tramite il meccanismo della solidarietà familiare, sembra addirittura che i giovani siano la parte favorita, che i genitori siano quasi vittime di giovani che da questi mantenuti se la possono spassare senza dovere faticare lavorando. La realtà è opposta come sappiamo, i giovani sono vittime di un sistema che tende sempre a privilegiare chi già ha, che ha anche per motivi puramente anagrafici. Ho stigmatizzato la sostanziale idiozia che intanto crea un sistema sanitario finalizzato ad allungare la vita media, che tenta, allo scopoo di ridurre le spese previdenziali, di spostare in avanti il momento del pensionamento. Così però costoro non sembrano rendersi conto che data la penuria di posti di lavoro disponibili, ciò si traduce nel costringere gli anziani a lavorare anche su una sedia a rotelle, sottraendo nel contempo il lavoro magari al nipote di questo anziano.
Ebbene, sembra affacciarsi come dicevo un nuovo protagonismo, in grado intanto di proporre forme di lotta originali, capace di non dividersi scioccamente sul tema della violenza, malgrado tromboni di tutti i tipi sempre pronti a dare consigli non richiesti. A me pare che la violenza non venga esaltata tra questi giovani, ma neanche bandita, è una possibilità da utilizzare soltanto quando sia strettamente necessaria.
A questi studenti, a questi giovani che mi sembrano la parte più creativa di questo fronte di resistenza, il fatto che esistano fasce operaie che non si piegano che non sono disposti a svendere la propria dignità per nessuna ragione, mi pare un grande elemento di forza ulteriore, del fatto che una politica di alleanze si possa costituire.
Quei dirigenti sindacali che sottoscrivono sotto dettatura del padrone, quei dirigenti politici che assumono un atteggiamento di ignavia vanno considerati a tutti gli effetti nemici, io direi perfino traditori del loro stesso ruolo.
Bene, questa timida nota di ottimismo è il reale augurio che sento di rivolgere ai miei lettori: buon 2011!