lunedì 15 novembre 2010

IL LEADERISMO E IL PD

Oggi affronto un argomento particolarmente controverso, soprattutto a sinistra. Si tratta di ciò che viene designato col termine “leaderismo”. Vediamo innanzitutto di definirlo nella maniera migliore, cosa che nessuno apparentemente si cura di fare. E’ d’altra parte un destino comune a neologismi, in questo caso chiaramente derivato dall’inglese, che divengono in breve tempo di uso molto comune, potremmo dire termini di moda. Leaderismo sembrerebbe essere inteso come la tendenza a costituire le formazioni politiche attorno ad una figura politica. In effetti, questa tendenza è davvero forte. Basti pensare al caso più eclatante, quella del PDL costruito attorno a Berlusconi, alla Lega Nord ed al suo padre-padrone Bossi, all’UDC ed a Casini, al FLI ed a Fini, ed all’IDV di Di Pietro. In sostanza, quasi tutto l’arco parlamentare vede formazioni politiche costruite attorno ad un leader con la maggiore eccezione costituita dal PD.

Ebbene, non si può certo non convenire su un giudizio senz’altro negativo sul fatto che le formazioni politiche vengano costituite attorno ad una specifica persona. Anche dopo questa ammissione, si dovrebbe però argomentare meglio questo giudizio così perentorio. A me sembrerebbe che il difetto stia nella moltiplicazione senza fine delle formazioni politiche, e nella loro, in qualche misura conseguente, labilità. Il problema insomma non starebbe nel fatto che esista un leader riconosciuto, ma piuttosto sul fondarsi dei partiti su motivazioni contingenti ed inconsistenti. Se immaginiamo una personalità come Gandhi o anche come Mandela, siamo certi che i movimenti politici che hanno suscitato avessero una valenza negativa?

Scavando scavando, credo che dovremmo alla fine convenire che non ha senso prendersela col leaderismo. Pensare che la polarizzazione personale sia il problema della politica italiana è chiudere gli occhi alla realtà. Qui, abbiamo non so quanti leaders che passano allegramente da una formazione all’altra, pronti a riciclarsi a seconda della direzione del vento. Berlusconi, quello che ha costituito il partito-azienda, pur’egli ha dovuto rifondare il partito, passando da FI a PDL, tanti dirigenti del PCI si sono allegramente riciclati prima nel PDS, poi nel DS, e infine nel PD. Per non parlare dei vari mastella, dei tanti socialisti pervenuti al PDL, di ex-radicali ormai disseminati sull’intero arco politico. E dove mettiamo gli ex-democristiani? Sarebbe, dico io, questo il leaderismo? Ma mi faccia il piacere avrebbe argutamente detto il grande Totò.

Il problema del mondo politico italiano è la nomenclatura, sempre uguale a sé stessa, che passa attraverso le sconfitte più cocenti senza mai pagare dazio, senza mai assumersi minimamente la responsabilità dei propri atti. Il pizzino di Latorre in diretta TV è la dimostrazione dimostrata che la nomenclatura non conosce neanche confini di partito, tutti assieme a tramare, a farsi sgambetti, a mantenersi in un equilibrio precario sostenendosi alle spalle dei propri pari e pronti a scalciare via nuove entries. Figurarsi se questa nomenclatura così simile al politburo gerontocratico dell’ultimo Breznev può sopportare il sorgere di nuovi protagonisti e, quel che più conta, delle idee che essi portano con sé.

La gente però si riconosce nel volto di questi nuovi protagonisti, è stufo dei vari baffini, dei vari amerikani che con i loro accordi e i loro dissidi sempre un filino al di sotto del livello pubblico, hanno bloccato la politica italiana.

Non è più solo il solito volto di Vendola, le primarie milanesi di ieri hanno il volto per molti aspetti nuovo di Pisapia. Alla nomenclatura PD non rimane che mettersi da parte, ammettere che non rappresentano più nessuno. Temo piuttosto che seguiteranno lungo la loro linea politica sempre più spostata a destra. Ma cosa li distinguerà allora dal neo-terzo polo di Casini e Fini? Perché mai allora questo tipico elettore moderato dovrebbe scegliere il rimboccarsi le maniche del povero Bersani al lapalissismo (scusate l’ardito neologismo) del Casini di turno?

Vendola, lo dissi già, credo su questo stesso blog, non mi entusiasma, troppi silenzi sulle proposte politiche. Ma come faremo mai fuori questi mammut della politica italiana? Questi, in questo assolutamente simmetrici a Berlusconi, sono disposti a trascinare l’intero paese nella loro rovinosa caduta. In fondo, più che Bersani, Veltroni o D’Alema, le vere vittime delle primarie di ieri sono i Rienzi, i Civati e perfino Di Pietro, tutti fatti fuori di fatto da una crisi della dirigenza PD ormai galoppante e che trascinerà anche loro ai margini.

4 commenti:

  1. beh come spesso accade mi trovi d'accordo. si potrebbe intitolare un film, o un libro, "gioie e dolori del leadirismo". il leaderismo diventa un problema se, oltre al leader, c'è il vuoto; la struttura politica si "familizza"; crolla la dialettica. ed un grave problema del leadirismo, anche per così dire dei leaderismi più "illuminati", è il problema della continuità (problema che iniziano ad avere in america latina, un continente che in questa fase ripone le speranza più concrete di un mondo migliore - a parer mio, naturalmente).
    sul pd, che dire, è come sparare sulla croce rossa.. se la dirigenza dà appena appena la possibilità agli iscritti di iscriversi, questi fanno esattamente (e giustamente) l'opposto di quello che gli viene proposto. che, di solito, è la brutta copia degli "altri" (quello che vien proposto, intendo):

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  2. Io vedo un problemo politico nel leaderismo, ma non la causa del problema che è più profonda. Insomma, il leaderismo è un effetto della crisi politica e non la sua causa.
    Il problema delle formazioni politiche o dei movimenti legati a delle particolari personalità, è che, passato il leader, rischi di dissolversi anche il movimento o partito, se non si è stati capaci di costruire basi ideologiche a sostegno del movimento stesso.

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  3. @vp
    Il punto è che se le formazioni politiche si formassero in continuazione,ed altrettanto rapidamente si sciogliessero, e non lo facessero attorno alla figura di un leader, allora tutto andrebbe bene? Siamo certi che il problema stia nel fatto di avere un leader riconosciuto, e non piuttosto nella labilità stessa delle formazioni politiche?

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  4. @Ramingo
    Epperò un vero leader deve creare basi ideologiche, o magari semplicemente politiche, e poi dovrebbe lasciare ad altri, essere transitorio.
    E' una questione insomma di qualità del leader.

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