Ha fatto molto scalpore l’intervista rilasciata da Marchionne nel corso della trasmissione “Che tempo che fa”. Marchionne porta alle estreme conseguenze il criterio della massimizzazione del profitto,e, invece di scandalizzarcene, dovremmo essergli grati: egli ci mostra a quali aberranti risultati porta un sistema economico che ha come unico criterio di riferimento la logica del mercato.
La cosa più patetica è la posizione assunta da coloro che potremmo definire socialdemocratici, attenti ai diritti e alle condizioni di vita dei più poveri, ma nello stesso tempo assolutamente sostenitori del capitalismo e dell’impossibilità del suo superamento. Questi dicono che bisogna rispettare i numeri: davanti ai numeri, ogni possibile obiezione è vana. In realtà, i numeri sono in sé entità matematiche, e solo la loro applicazione a uno specifico contesto li trasforma da entità astratte in entità significanti. Quando quindi si citano numeri, bisogna attribuire loro un senso. E’ in questa attribuzione di senso che si gioca la partita decisiva, in quanto si definisce il criterio che si sta adottando. I numeri sono davvero decisivi soltanto quando ci si è accordati sul criterio di riferimento.
Il 1929 è davvero lontano, l’esperienza maturata nel decennio successivo dell’inanità dell’assunzione di misure di rigore in una situazione di grave crisi sembra essersi dissolta, gli insegnamenti di Keynes altrettanto. Ieri, ho appreso che tra l’altro Keynes sosteneva che il pensiero deve propagarsi ovunque, le merci solo di poco e i capitali per niente, mentre oggi si è fatto tutto l’opposto. La cosa più mobile è proprio il capitale, tant’è che la globalizzazione è stata prima di tutto finanziaria, gli esempi di merci che viaggiano per tutto il mondo sono davanti ai nostri occhi (lo sapevate che il 40% dei prodotti di abbigliamento si produce in un unico distretto produttivo cinese???), mentre il pensiero, la mentalità rischia di diventare sempre più localistica.
Che cosa dovremmo concludere allora? A mio parere, che Keynes e i suoi insegnamenti nel mondo globalizzato di oggi vengono rifiutati, che il capitalismo della seconda metà del novecento è definitivamente morto, e che ci ritroviamo piombati almeno due secoli indietro nel capitalismo più spietato. Il concetto che volevo esprimere è che qui si sta attuando una rivoluzione reazionaria economica ma anche ideologica a cui inspiegabilmente anche chi si dichiara più o meno schierato a sinistra non sa resistere, direi anzi che non capisce l’entità dei cambiamenti in corso e si chiede se si può ancora aspirare a un cambiamento verso il socialismo o se non bisogna accettare ormai il capitalismo. E’ questo l’errore, qui non si tratta di difendere una situazione acquisita: se, come ho detto quel capitalismo è finito, è vano chiedere di non cambiare, stiamo già cambiando, e nella direzione opposta a quella sperata.
Le crisi sono i momenti delle grandi trasformazioni, sono opportunità che i politici dovrebbero cogliere, perché ci sarà sempre qualcuno che se ne avvantaggerà. Ricordo che crisi significa trasformazione non disgrazia, calamità: bisogna solo vedere chi se ne avvantaggia. Insomma, fermi non si può stare perché stiamo già in un mezzo in movimento e se non saltiamo giù, finiremo dritti dritti in un gulag.
Oggi, è proprio il momento di ripensare le nostre categorie di riferimento, la nostra ideologia. Dovremmo convincerci che bisogna passare ad un’economia pianificata, in cui la possibilità di impresa sia lecita solo all’interno di un quadro di riferimento definito collettivamente. Il criterio di pianificazione dovrebbe essere la piena occupazione, separando per sempre questo obiettivo da quello della crescita ininterrotta, assolutamente insostenibile a seguito dei galoppanti sviluppi tecnologici. Bisognerebbe creare un sistema fiscale che sia in grado di perequare le differenze di reddito e di calcolare tutti i costi occulti delle attività lavorative.
Soprattutto, dovremmo smettere di pensare che si tratti di lussi che non possiamo permetterci, di utopie come tali irrealizzabili. Ciò che davvero non ci possiamo permettere è continuare come se niente fosse, andare incontro alla catastrofe chiudendo entrambi gli occhi. L’interruzione della crescita è una necessità, e se qualcuno lo considera un’utopia, vorrà dire che la stessa sopravvivenza dell’umanità è un’utopia.
Alla fine, ci ritroveremo più poveri, questo mi pare inevitabile, ma siamo poi certi che più poveri significhi meno felici?
Lo sai che sono "tarda", Vincenzo, e che di grandi sistemi economici ne mastico zero via zero. E dunque non capisco la tua affermazione "... dicono che bisogna rispettare i numeri: davanti ai numeri, ogni possibile obiezione è vana...". Credo che per numeri tu intenda dané. Perché - mi chiedo - non si dovrebbero rispettare i numeri? Se un'azienda non fa "numeri" (soldi), come paga i dipendenti? Se uno Stato non fa "numeri", in che modo può sostenere il sociale, gli investimenti, la ricerca, l'istruzione...?
RispondiEliminaÈ stato brutale, il discorso di Marchionne, non lo nego: ma, dal mio punto di vista, è così demonizzato - da destra e da manca - perché ha detto quello che nessuno vuole sentire: la verità.
Premesso che non sono in grado di argomentare dei grandi problemi di economia e di finanza, mi chiedo comunque: se queste grandi aziende si accontentassero di ottenere profitti meno stratosferici, invece di voler accumulare ricchezze neanche immaginabili per gente comune come me, ecco se non ci fosse tutta questa ingordigia per il guadagno non si ridimensionerebbero di molto le varie problematiche industriali e della grande finanza?
RispondiEliminaInfine, sentire Marchionne definirsi un "metalmeccanico" (ragione per cui non entrerebbe in politica) è davvero osceno nei confronti di chi quel lavoro lo fa veramente per poco più di mille euro al mese!
@BC
RispondiEliminaTu pensa adesso al caso opposto, che mi pare si avvicini sempre più, una fabbrica tendenzialmente a lavoratori zero (ricordo che trent'anni fa la FIAT solo a Mirafiori aveva 250.000 operai, ed adesso non ne fa neanche un quinto in tutte le fabbriche italiane), che paga quei pochi dipendenti pochi euro (tanto, con disoccupazione crescente, bisognerà contentarsi), e nello stesso tempo realizzi rpofitti enormi. Credi che interessi a nessuno tranne che ai proprietari il fatto che ci sia questa montagna di utili? Perchè ti prospetto questa situazione che in fondo non fa che estremizzare quella che marchionne vorrebbe realizzare? Perchè dobbiamo prima o poi ricordarci che tutto si fa per noi uomini. Sembra ovvio, ma nel clima iper-ideologico in cui viviamo non lo è, che gli uomini dovrebbero lavorare per sè stessi, per vivere meglio, per un interesse generale. Se riportassimo l'uomo al centro della politica, e subordinassimo leconomia alla politica, invece di fare il contrario, allora la domanda, e quindi i famosi numeri, sarebbero ben altri.
Io vorrei un sistema economico che si chiedesse: questa impresa quanti posti di lavoro crea? Perchè se non ne crea a epiuttosto ne distrugge, per me è una iattura, non qualcosa da porre come fine delle nostre politiche. Quello che forse si tarda a capire è che un aumento di produzione non determina automaticamente più occupazione, mentre determina automaticamente danni ambientali.
Alla fine, la politica potrebbe decidere che l'industria automobilistica da' pochi posti di lavoro rispetto ai danni che produce, che è meglio che Marchionne se ne vada in Serbia o dove vuole lui, e che magari smettessimo di usare tanto l'automobile e sviluppassimo un formadabile sistema di mobilità collettivo. E' solo un'ipotesi, ma la politica dovrebbe decidere lei cosa fare, e non essere subordinati alle scelte di un privato cittadino qual è Marchionne.
@Ornella
RispondiEliminaCome forse si deduce anche dal mio precedente commento, la mia opinione è che ci voglia più politica, che se chi ci governa fosse in grado di compiere delle scelte coerenti con l'interesse generale, Marchionne sarebbe considerato per quello che è, un privato cittadino con teorie da demente. Infatti la follia ha una sua logica implacabile: è follia perchè onclude anche un solo elemento assurdo.
Già 20 anni fa sostenevo che il pianeta sarebbe scoppiato quando il miliardo di cinesi avessero avuto il livello di vita occidentale... e non solo per un fatto di sostenibilità dell'eco-sistema
RispondiEliminama perchè i cinesi (oggi 1.400 milioni) avrebbero dovuto garantire il loro sviluppo economico con materie prime ed energetiche non più solo cinesi e con il bisogno di sempre nuovi mercati... i mercati e le materie prime si prendono con le armi come noi occidentali sappiamo benissimo...
Perchè non provi a spiegare (non è polemico il mio intervento) al miliardo di cinesi che si devono accontentare, che mettano in atto una politica di decrescita felice... meglio poveri e felici...come del resto lo sono stati per millenni
Sì il sitema capitalista e quello comunista cinese sono follia...
Ma se noi italiani abbassiamo la competitività e ci avviamo sulla strada di un nuovo sistema di sviluppo pensi che i cinesi abbiano pietà di noi...? O che lo abbiano i cugini francesi o vicini tedeschi...?
Non ho soluzioni... Io non sono un politico... sono un comico... d'altronde i comici non hanno mai guidato eserciti nè governi, e non perchè non ne siano capaci ma perchè per farlo bisogna essere folli...
Non so che cosa ho scritto ma prima o poi lo capirò
buon tutto
Cazzo non mi son neanche firmato.... mirco
RispondiElimina@mirco
RispondiEliminaIntanto, conviciamoci che dobbiamo vivere come i cinesi: questa è la logica conclusione dei ragionamenti di marchionne. Anche questa mi pare duretta da realizzare...
Eppoi, i cinesi dovranno faticare tanto soltanto per avvicinarsi a noi, e già le prime contraddizioni si sviluppano anche lì. Contentiamoci di fare la nostra parte, e se ci conviciamo noi, forse convinciamo altri...
Che poi si tratti di un'impresa quasi disperata, questo lo vedo anch'io, malgrado faccia finta di niente... :-D
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RispondiEliminaCondivido il tuo scritto Vincenzo. Ho sperato che questa crisi potesse portare almeno nuovi spunti, nel pensiero economico dominante. E' stata una speranza vana, dal momento che i fautori del capitalismo sfrenato detengono anche il potere mediatico.
RispondiEliminaOh, finalmente! Il tuo commento l'ho capito benissimo, e mi va a genio soprattutto l'ultimo paragrafo: "...alla fine, la politica potrebbe decidere che l'industria automobilistica dà pochi posti di lavoro rispetto ai danni che produce, che è meglio che Marchionne se ne vada in Serbia o dove vuole lui...". La politica, trattandosi di un'azienda privata, non può DECIDERE, ma può non dare più incentivi o menate del genere. E Marchionne - privato cittadino, ma anche A.D. dell'azienda privata - se ne va in Serbia. E quando i lavoratori disoccupati e i sindacati scenderanno in piazza, a chi sarà giusto diano la colpa? Alla politica o al "privato cittadino" Marchionne?
RispondiEliminaE se fossimo entrati nella fase di discesa del capitalismo che lo porta alla sua inevitabile agonia, con tutti i colpi di coda che ne conseguono. Cosa poi ci aspetti chi può dirlo?
RispondiElimina@Ramingo
RispondiEliminaSoprattutto, credo che ci sia una classe dirigente mediocre e fortemente succube alla cultura dominante.
@BC
RispondiEliminaL'essere privato cittadino, in sè, non esenta da colpe. Io le darei ad entrambi, ecco :)
@Alberto
RispondiEliminaCome dicevo nella risposta a Ramingo, quello che purtroppo manca è una consapevolezza collettiva a livello di classe dirigente, non soltanto quella che c'è, il che sarebbe anche ovvio, ma anche in chi, e qui io penso prevalentemente ai giovani, volesse candidarsi a nuova classe dirigente. La crisi è un'opportunità, ma l'esito dipende dalla consapevolezza, anche di un gruppo ristretto, ma comunque in qualche modo coordinato, quella consapevolezza che onestamente non vedo.
La corsa ai guadagni senza investimenti è il male maggiore secondo me, perchè i grandi economisti, gli speculatori e gli industriali si sono dimenticati del fatto che è la base che spende e fa andare avanti il paese e fa circolare la moneta
RispondiEliminaMauchionne ha detto una triste verità che è quelle che in Italia non c'è un 'economia anche fiscale che permetta al settore industriale di andare avanti.
Hai tagione tu:ilproblema sta nelle tasse e nei costi per illavoto, direi anche nell'ivestimento sul lavoro e non sul guagagno fine a se stesso.
L'affermazione di poveri e felici io la approvo in pieno, ma non peveri nel senso classico ma diciamo che se avessimo il necessario con solo qualche sovrappiù ( per ecempio per dirla come un ricco una villa all'estero e non 45 ville ai Caraibi!) e quindi la possibilità di avere quello che basta per vivere più qualche soddisfazione ( una bella vacanza, una casetta al mare di famiglia e pertutta la famiglia, un conto aperto in libreria , un ristorante almeno una volta al mese, un cinemino e cose così...) sarebbe meglio per tutti!
Un caro saluto