Come dicevo in un recentissimo post, l’atteggiamento
d’intransigenza del M5S con il rifiuto ostinato ad entrare nei meccanismi
compromissori della politica, ha l’effetto paradossale nel complesso, di
incrementare e non di diminuire il tasso di tatticismi, cioè cresce all’interno
delle altre formazioni politiche talmente da riuscire a superare quanto
basterebbe a compensare la carenza di tali pratiche nel M5S.
Ora, è proprio il tempo dei bizantinismi più arzigogolati
che al momento si esercitano sulle formule di governo. Non ricordo in quale
notiziario televisivo, si elencavano con indubbia efficacia umoristica, tutti
gli aggettivi che nel corso di questa repubblica sono stati affiancati a
livello mediale alla parola governo, per potere sfruttare al meglio il potere
delle parole, favorire un certo sbocco governativo inizialmente difficoltoso
tramite un’innovazione linguistica che fornisse la famosa vaselina
all’insediamento del nuovo esecutivo...
Bene, oggi, di fronte ad un leader come Bersani, deliberato
a farsi dare l’incarico di formare il nuovo governo dal capo dello stato,
assistiamo, oltre ad una presunta resistenza dello stesso Napolitano (solite
indiscrezioni, spesso a copertura di tentativi di condizionamento), ad un
esplicito fuoco di sbarramento da parte di tutte le altre formazioni politiche,
per tacere delle resistenze nello stesso PD. Sentivo appunto ieri in un talk-show il rappresentante del
PDL argomentare in maniera che a me appare abbastanza paradossale. Diceva
questi che Bersani può chiedere l’incarico solo se mostra di avere una
maggioranza, e al momento, e su questo aveva ragione, non si vede proprio dove
stia questa maggioranza. Il punto che trovo paradossale è che Bersani dovrebbe
essere la persona che più si dovrebbe preoccupare di avere successo in questo
suo tentativo, e per converso, sarebbero proprio le formazioni politiche
avversarie a dovere gioire del suo insuccesso, che Bersani vada a sbattere
contro il muro, i danni che riceverà saranno tutti a favore di chi è schierato
“da sempre” contro di lui.
Allo stesso modo, anche dentro lo stesso PD, il fallimento
di Bersani renderebbe più agevole l’avanzare di candidature alternative: ecco,
non si capisce perché Bersani ed i suoi amici abbiano tanta fretta di sbattere
contro il muro ed i suoi avversari di evitargli questo incidente, una specie di
capovolgimento come quello che si ottiene a volte tra oggetto e sua immagine
riflessa.
L’unica spiegazione è che per Bersani esista una ragionevole
possibilità di raggiungere questa maggioranza, ma a questo punto si dovrebbe
dire anche come. A questo proposito, credo che sulla spaccatura avvenuta al
senato nel M5S ci sia una grave incomprensione, perché lì l’errore dei
dissidenti è stata quella di abbracciare la logica del male minore. Ora, se si
andasse al senato a votare la fiducia ad un ipotetico governo Bersani, non si
potrebbe ragionevolmente applicare alcuna logica del male minore, e quindi non
si vede perché senatori del M5S dovrebbero così platealmente violare il loro
vincolo (assunto volontariamente, è ovvio) di mandato e dare la fiducia,
stavolta sarebbe chiaro che non si tratta più di un dissenso circostanziato, ma
di un vero e proprio passaggio ad altro fronte (il che non si può comunque
escludere, ma neanche far discendere dal consenso espresso a Grasso, tra
l’altro neanche influente).
Già comunque sui media l’ipotesi Bersani viene
considerata impossibile, o perché Napolitano rifiuti di concedere qualsiasi
forma di mandato, o perché sarebbe destinata a un sicuro fallimento.
Ed ecco che vengono fuori i soliti bizantinismi della
politica italiana, anzi della cosiddetta prima repubblica, quella dominata dalla
DC e dai suoi complessi rituali anche a livello terminologico. Ecco pronta l’espressione
magica “governo di scopo”, anzi un articolo di oggi, mi pare su “La Repubblica”,
ma non so a firma di chi (ne sentivo una sintesi nella rassegna stampa), non
solo è certo che lo sbocco sarà un governo di scopo, ma elenca anche i cinque
punti che dovrebbero appunto costituirne lo scopo.
Ora, l’articolo che ho citato affronta appunto l’aspetto
semantico, se di governo di scopo si tratta, allora bisogna esplicitare tale
scopo. Ma a questo punto sorge un problema non certo secondario, chi ha diritto
a definire tale scopo? Se ho capito bene, l’articolista immagina che gli scopi
li definisca Napolitano, ma questo mi pare travalicare ampiamente il dettato
costituzionale e i limiti che esso impone alle funzioni di tale figura
istituzionale, che esclude mi pare perentoriamente un suo attivo ed esplicito
intervento in questioni di indirizzo politico e programmatico, sennò saremmo
già in piena repubblica presidenziale. Insomma, Napolitano non si può
arrischiare a fare l’Obama dell’Italia, visto che abbiamo un sistema
istituzionale molto differente. Non può spettare a lui di definire i contenuti
dell’azione di governo, salvo violare la costituzione: possibile che a poche
settimane dalla scadenza del proprio mandato Napolitano voglia così
platealmente violare la costituzione, sapendo che qualsiasi accusa contro di
lui lo troverebbe ormai privo dello scudo che la presente figura istituzionale oggi
ricoperta gli offre? Io non lo credo, a me pare che Napolitano si comporti in
modo molto prudente, ed in ogni caso lo spero ferventemente.
Gli scopi dell’azione di governo non possono che essere
stabiliti dalle forze parlamentari, e del resto, anche uscendo dal dettato
costituzionale, fosse malauguratamente lo stesso Napolitano ad assumersi l’onere
di definirli, nessuno potrebbe togliere alle stesse forze parlamentari la
scelta di accettare tali obiettivi o di rigettarli: insomma, non se ne esce, un
governo di scopo è con tutta evidenza un governo pienamente politico, anzi,
qualsiasi governo politico è innanzitutto un governo di scopo. Semmai in un
passato più o meno recente, si è inteso politico come partitico, cioè come
sigle che forniscono i ministri per la composizione dei governi, si è inteso
male, la politica non può che intendersi come contenuti dell’azione politica,
cos’altro sennò?
Sorge quindi il dubbio che nella presente situazione, vi sia
in atto il pietoso tentativo di camuffare un governo del tutto politico sotto l’espressione
“governo di scopo”. In particolare, ciò, nella mente degli organizzatori, a
quanto si sa per il momento operatori mediali, servirebbe a superare l’impervio
scoglio di costituire un nuovo governo di larghe intese, cioè appoggiato da
tutte le forze politiche salvo il M5S. Insomma, il PD avrebbe la foglia di fico
del termine “scopo” per dare luogo alla famosa alleanza con il PDL, altrimenti
indigeribile per il proprio elettorato.
Saremmo quindi di fronte a dei meschini sotterfugi che servirebbero
per questi falsi giornalisti sempre al soldo di qualcuno o di qualche progetto,
a reiterare la sciagurata politica imposta dal rigore di marca burocratica, quella
stessa che ha dato tanta pessima immagine di sé nei recenti fatti di Cipro.
Conviene quindi tornare, aldilà dei bizantinismi
terminologici, al nocciolo della questione che non può che riguardare
l’eventuale possibilità di individuare una vera maggioranza. Visto che a
seguito dei veti incrociati, questa possibilità sembra inesistente, allora si
deve necessariamente ammettere che nessun governo otterrà la fiducia da queste
camere. Visto altresì che Napolitano non ha oggi il potere di sciogliere le
camere, non rimane che prendere atto che si dovrà insediare un governo nominato
dal capo dello stato ma senza fiducia da parte delle camere. Seppure qualcuno
potrà considerare questa soluzione come non regolare, dovrà tuttavia ammettere
con me che nella presente contingenza è l’unica del tutto rispettosa della
costituzione e contemporaneamente della politica (quella insomma della
maggioranza impossibile).
Non ritengo a questo punto un ulteriore bizantinismo quello
di definire un simile esecutivo come “governo del presidente”, nel senso direi
etimologico di governo che gode soltanto del mandato presidenziale, ma che non
gode di alcun appoggio preliminare per la sua azione nel parlamento, dovrà
sudarsi tutti i provvedimenti che vorrà avere approvati. Va da sé che
difficilmente un provvedimento economico potrà trovare un’ampia maggioranza, e
ciò implica che si tratta di una situazione provvisoria che il nuovo capo dello
stato nel frattempo eletto potrà agevolmente risolvere sciogliendo il
parlamento, ed indicendo nuove elezioni ragionevolmente nel prossimo autunno
(farle a giugno, impedirebbe di approvare quelle misure a parole sostenute da
una vistosa e palese maggioranza, quali la nuova legge elettorale e la
riduzione del costo della politica mediante varie concomitanti misure).
Di fronte a tutto questo, rimane l’atteggiamento di rifiuto
pregiudiziale del M5S che però appare sempre più come un pugile che crede di
poter vincere sul ring, combattendo da fermo contro un avversario che al
contrario ruota attorno a lui, non si vede come possa prevalere. In realtà, un
modo c’è, ed è se indossa una corazza impenetrabile, ma forse Grillo ed i suoi
dovrebbero riflettere sul fatto che se metti dentro la corazza tante differenti
persone, non v’è modo di garantire che tutte rimangano al coperto, qualcuna di
certo si farà tentare dall’ipotesi di uscire allo scoperto, mettendo così a
rischio non solo la sua sola persona, ma l’intero movimento. In verità, sarebbe
la prima volta che un atteggiamento statico possa risultare vincente su un
atteggiamento dinamico, forse la forza vera del M5S sta nella staticità del
quadro politico, se messi alla frusta dalle condizioni obiettive e dallo stesso
M5S questi cambiano davvero, mi sa tanto che per Grillo l’ora della politica si
accorcia di molto. Ma forse, chissà, lo scopo di Grillo non era quello di
prevalere, ma di incidere, di cambiare la politica, e così avrebbe ottenuto il
proprio scopo prima di quanto si potesse pensare: vedremo!
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