Sulle questioni attinenti la
normativa sul lavoro, si è aperta una partita molto delicata in cui, per come
si sono messe le cose, non sarà facile trovare una soluzione.
Stavolta, il fatto che qualcuno
si è opposto senza cedere minimamente, ha dato luogo ad un’aggregazione
crescente, che di fatto isola la diarchia Monti/Napolitano lasciandola nella
scomoda posizione di essere ostaggio delle destre. E’ come quando basta un
cristallino di un sale per provocare da una soluzione apparentemente limpida la
precipitazione di un solido in quantità notevoli. In fondo, resistere a quanto
pare almeno oggi, paga.
Apparentemente, il primo e più
fermo nucleo di resistenza è stata la FIOM, che a cascata ha spinto la CGIL ad
assumere la stessa posizione di dissenso, e poi ancora il PD, prima nella sua
parte più a sinistra. La cosa più interessante è però costituita dal capitolare
di un’area di centro. Prima Angeletti che comincia col dire che l’accordo non
c’è con quel testo, poi Bonanni che con tempismo notevole si riaggrega alla UIL
senza preoccuparsi neanche di giustificare la propria incoerenza. Allo stesso
modo, Veltroni non commettendo l’errore di altri, capisce che l’asse
Bersani-D’Alema tiene e si sposta subito sulle loro posizioni, costringendo
Enrico Letta a tornare sulle sue prime dichiarazioni. Perfino Casini vuole
essere della partita, e se anche Casini manifesta una certa prossimità a
Bersani, per Monti, ma soprattutto per Napolitano, le cose si mettono davvero
male...
Mi pare che nella sostanza l’articolo
18 verrà salvato, lasciando solo correzioni estetiche per salvare la faccia al
governo. Monti, il novello Andreotti che richiamavo nel precedente post, potrà
accreditarsi quest’altra riforma come quella mancata degli ordini
professionali, come quella mancata dei tassisti, come quella mancata dei
farmacisti. Del resto, Monti punta ad essere credibile, che a governare ci
pensino altri.
Dicevo che il sommo sconfitto
sarà invece Napolitano, visto che proprio in questi ultimi giorni si sta
consumando un divorzio difficilmente rimarginabile tra lui e il PD. Ha voluto
tirare troppo la corda, e la corda alla fine si è spezzata e chi si è fatto
male è lui, e non il PD come egli forse sperava. Ormai, mi pare un Presidente condannato
a finire mestamente il proprio mandato, privo ormai di quella carta dell’influenza
sul partito di provenienza, fischiato in Sardegna e chissà dove ancora lo sarà,
e il ricordo del suo mandato non sarà certo lusinghiero per i danni che il suo
atteggiamento troppo interventista e troppo filomercati hanno portato, in modo
forse irreversibile, alla democrazia nel nostro paese.
Nessun commento:
Posta un commento