Alcuni giorni fa, ho partecipato a una discussione su uno dei blog che frequento che, partendo da aspetti molto specifici, ha finito col coinvolgere questioni molto più generali.
Per chi non vuole andare sul link, cosa che comunque raccomanderei (ma non perdetevi i commenti perchè lì nasce la discussione), riassumo brevemente.
In sostanza, si sollevavano obiezioni sull'uso del verbo penetrare a riguardo del coito, anche sulla base del fatto che per il maschio questo verbo si usa in forma attiva, mentre per la femmina in forma passiva. Senza disperderci su questioni connesse, la cosa su cui volevo qui soffermarmi era la proposta sollevata da alcuni di utilizzare un'altra parola, di sostituire il verbo incriminato che magari permettesse un suo uso in forma attiva per la femmina.
Voglio riportare una frase scriutta da Luciano, in risposta alla mia osservazione sull'inutilità del cambio delle parole:
"l’uso dei verbi rispetto all’azione è indifferente, non lo è affatto rispetto ai parlanti".
Naturalmente, sono del tutto d'accordo con Luciano, e capisco che le mieconsiderazioni precedenti potessero essere equivocate.
Pertanto, riprendo la questione qui in modo di meglio sviscelarla.
Dicevo quindi che il punto non è se le parole influenzino i parlanti, ma il modo in cui ciò avviene.
Partiamo allora dalla considerazione (a partire da Wittgenstein) che le parole in sè non esistono, sono dei segni in un complesso sistema di segni, il linguaggio appunto, e quindi è solo in collegamento con uno specifico contesto linguistico che la parola assume un preciso significato. Ciò implica che a rigore una stessa parola può, e spesso effettivamente ha, una pluralità di significati, differente in dipendenza del contesto...
Se tutto ciò è vero, tuttavia ciò non ci dice ancora tutto. Alla fine, i significati che si vanno stratificando nel corso del tempo su uno specifico termine, finiscono col qualificarlo.
Si vengono così a costituire delle influenze reciproche anche tra i differenti significati di una stessa parola, con vari possibili risultati di questa operazione, quale tra gli effewtti più comuni la tendenza a un'assimilazioine di significati, a un accostamento.
Quando scegliamo uno specifico termine, noi non siamo in grado sin dall'inizio di prevedere tutti gli effetti conseguenti.
Sul linguaggio, si svolge la guerra forse più importante, una guerra culturale che finisce col decretare vittorie e sconfitte secondo una dialettica complessa e fondamentalmente imprevedibile, almeno nel risultato finale.
Per questo, sono più che mai convinto che pensare di sostituire impunemente dei vocaboli secondo un nostro pio desiderio, rischia spesso di causare effetti anche opposti a quelli che volevamo ottenere.
a volte ho l'impressione che dietro un apparente parlare " corretto" non corrisponda poi un agire correttamente, per esempio se io uso il termine cieco per definire una persona privata della vista non lo trovo scorretto, trovo ipocrita definirlo non vedente, ho chiesto alla mia amica Laura se l'aggettivo cieca la offendesse e lei trova più offensivo il fatto che siano considerati individui di serie b.
RispondiEliminaPersonalmente trovo la lingua italiana molto sessista, declinata spesso al maschile, non esiste un genere neutro che pur il latino aveva.
@zefirina: credo che con il tuo esempio tu abbia toccato uno dei nervi scoperti della questione, e cioè l'imposizione linguistica, la "lingua dei vincitori" sui vinti. E' sempre un "altro" a definire come un "cieco" debba essere nominato (e dunque significato).
RispondiEliminasu questo punto non posso rispondere non so chi abbia coniato il termine cieco per un non vedente, nel caso specifico
Elimina@md
RispondiEliminaIl punto è però se si vinca fuori o proprio all'interno stesso dell'universo linguistico.
Io propendo per questa seconda ipotesi, che è innazitutto sul piano culturale che si vince o si perde, e che quindi il vincitore non è definibile a monte della battaglia linguistica stessa.
Non so, Vincenzo. Secondo me lo scambio di parola è (o dovrebbe essere) un’attività in ci si predispone al cambiamento, trasformazione, per cui può capitare di riprendersi indietro una parola che non è più la “mia”, ma che è stata arricchita dal contatto con “altre” parole. Senza contare che ognuno ha il diritto di esprimere in prima persona il “come”, ossia dare la sua interpretazione. Per cui, prendendo ancora ad esempio il famigerato verbo “penetrare”, sono del tutto convinta che se uno ci tiene proprio, e ritiene che sia quello “l’abito” più idoneo a descrivere la cosa, il fatto, ovviamente può continuare a farlo. Ma, come io non nego a lui quella possibilità, lui non neghi a me la possibilità di usare altre parole che potrebbero meglio esprimere il “mio” modo di sentire.
RispondiEliminaCredo inoltre che anche il linguaggio in qualche modo sia un “manufatto” in cui siamo agiti, per cui guardo sempre con un certo favore alla possibilità di agirlo con un qualche tentativo di creatività. Nei limiti del possibile. Non è solo questione di “intendersi”, ma di quale abito dare ai fatti, come vestirli. Credo che anche questo faccia parte del fare cultura.
(Rozmilla)
@Rozmilla
RispondiEliminaBene, se c'è una certa comunità, che ovviamente è anche comunità linguistica, che utilizza una certa parola, non ci si può riunire attorno a un tavolino e proporne una nuova, così astrattamente, per decisione formale.
A mio parere, soltanto se una microcomunità interna alla comunità globale comincia ad usare un altro termine come scelta interna a tale gruppo più ristretto, allora a partire da questo trampolino è possibile intraprendere una battaglia linguistica nell'ambito della comunità complessiva, e nessuno a priori può sapere se avrà successo in questa impresa. Dopodichè, la comunità a seguito della battaglia sarà un po' differente, perfino nel caso che la battaglia si perdesse, qualche traccia resta comunque.
sono affascinata da tutto ciò che riguardo il linguaggio e l'uso o l'abuso di un termine piuttosto che di un altro, il vocabolario è un amico indispensabile che consulto spesso, e mi piace provare ad usare un vocabolario più vasto e non sempre lo stesso scarno
RispondiEliminaVoglio farti notare che dove tu parli di “battaglia” io parlo di “scambio” (ci avevo pensato appena dopo averti inviato il prec. commento). Questo è già molto indicativo di tutto un modo diverso di intendere le cose, un habitus diverso. Non so se questo poi va di pari passo anche con la scelta delle parole, ma ti faccio notare che c’è una certa comunanza di campo tra i termini “battaglia” e “penetrare” - vocaboli sulla stessa lunghezza d’onda, voglio dire. Così come possiamo intendere i rapporti interpersonali tra uomo e donna (ma non solo) come una battaglia, oppure (diversamente) come uno scambio di energie (ma anche aumento e conservazione di energie, invece di scarico e consumo di energie).
RispondiEliminaPer questo penso che se di cambiamento si potrà parlare, non dovrà avvenire là fuori, ma partire da dentro, in ognuno di noi, e “tra” di noi. Ma questo l’avevi detto anche tu.
Il problema, secondo me, è che il mondo è dominato da un modello generalmente “maschile” di intendere le cose, un modello che poi abbiamo introiettato, e che continuiamo a ritrasmettere.
Non so se avevi letto il test della Irigaray sui bambini, che avevo trascritto nel post di Md …
(rozmilla)
@zefirina
RispondiEliminaIl linguaggio è in effetti la cosa più affascinante in assoluto che abbiamo.
@Rozmilla
RispondiEliminaCome darti torto? Certamente che battaglia, che pure in sè non ha necessariamente un connotato negativo, sottolinea l'aspetto competitivo, lo scambio l'aspetto cooperativo, ma davvero credo che l'una cosa non escluda l'altra, che ci sia cooperazione ma anche competizione nei rapporti interpersonali.
Sulla quesitone "penetrazione", vedo che ritorni, evidentemente non ti ho convinto.
Vorrei quantomeno fugare un possibile equivoco, che l'ambito di uso è più del tipo tecnico-descrittivo o se vuoi medico-fisiologico, ma mai lo userei come descrizione di un rapporto intimo tra un maschio ed una femmina. Si dice fare l'amore, o meno dolcemente fare sesso, ci sono tante e tali espressioni che poi ognuno di noi utilizza quella specifica a seconda del contesto, non è insomma che sia un sostenitore di quello specifico termine, ma nello stesso tempo sono contrario alle censure, almeno a quelle che non trovo giustificate.
Ciò che hai riprotato sul tuo commento sui bambini apre una discussione enorme sulla differenza ed anche come essa si rapporta con un pari trattamento, ma non è cosa da affrontare su un commento, naturalmente.