Ieri, la vicenda dei
provvedimenti riguardanti il mercato del lavoro ha raggiunto una prima
conclusione. Dal risultato fin qui raggiunto, non v’è dubbio che Monti ne esca
come un novello Andreotti, abilissimo in tattica politica, capace di fissarsi
degli obiettivi, di fatto molto di dettaglio, ma che nello stesso tempo fanno
immagine. Nella realtà, nessun politico, neanche il tanto vituperato
Berlusconi, è un venditore di fumo come Monti, solo che il suo fumo piace tanto
ai mercati finanziari (la famosa credibilità, che, immagino, sia come la
simpatia, un quid non meglio specificabile), e ciò la dice lunga su cosa possa
significare porre la politica sotto il tacco del valore dello spread, incapace
di rivendicare la propria supremazia e quindi di regolamentare il funzionamento
degli stessi mercati.
L’abilità tattica di Monti nella
presente vicenda sta, detto succintamente, nel fatto che egli ha seguito un
certo percorso di cui era possibile prevedere due differenti sbocchi, e la
furbizia sta nel fatto che entrambi gli esiti possibili lo avrebbero avvantaggiato.
Per illustrare questa tesi,
dobbiamo tornare alle prime dichiarazioni della Fornero sulla volontà del
governo di intervenire sull’articolo 18, praticamente a ridosso
dell’insediamento in autunno del governo Monti.
Allora, tutti dovremmo ricordare
le dichiarazioni di fuoco dei sindacalisti, non soltanto di Landini o della
Camusso, ma anche di Angeletti e di Bonanni, tutti a giurare che avrebbero
fatto le barricate se si fosse toccata questa norma. Di fronte a queste fiere
dichiarazioni, Monti in persona fece un passo indietro, mise quest’argomento in
quarantena. Nel frattempo, si iniziò a mettere sullo stesso tavolo altri
argomenti, riguardanti l’ingresso nel mercato del lavoro e inoltre una
revisione delle forme di tutela per chi perde il lavoro. Lo scopo era chiaro,
in sostanza fare confusione come un abile giocatore di carte che dispone tante
carte sul tavolo, avendo tuttavia un unico scopo, procurarsi quella unica
fatidica carta che gli possa consentire di chiudere la combinazione vincente.
Tale giochetto richiede non
soltanto abilità nel distrarre gli avversari, ma si avvantaggia anche di altri
giocatori compiacenti, che improvvisamente scoprono che i veti messi possono
anche essere tolti perché “è meglio un accordo anche non ottimale, piuttosto
che subire un diktat”, come risulta dal Bonanni pensiero, una vera miniera di
aforismi.
Qui però succede un inghippo non
previsto, la coppia sindacale Angeletti-Bonanni che ha sempre proceduto di
comune accordo, tende a spezzarsi perché Angeletti sembra resistere alla
svendita del Bonanni, e punta i piedi rischiando di associarsi alla Camusso.
Qui, tutti cominciano a preoccuparsi, e negli ultimi due giorni questi
sindacalisti vengono sottoposti a un pressing indecoroso da parte di politici
vari, e neanche il Capo dello stato si astiene da tale pratica, quasi intimando
la chiusura dell’accordo. E’ troppo per il povero Angeletti, che cuor di leone
non è mai stato, il quale infine capitola...
Ecco, da qui in poi la strada di
Monti è tutta in discesa, perché qualunque cosa decida di fare la Camusso, per
lui va comunque bene.
Se la Camusso aderisce
all’accordo, si capisce che il suo è un successo personale di grande effetto,
avere costretto i sindacati a concedere ciò che solo qualche anno fa si era
rivelato impossibile, ed anzi aveva messo in seria crisi lo stesso governo
proponente.
Ma, e questo è l’aspetto meno
ovvio, per Monti il diniego della CGIL va altrettanto bene, almeno su un piano
tattico, perché questa organizzazione si trova isolata, determina una
spaccatura sindacale e quindi un indebolimento obiettivo del fronte dei
lavoratori, e nello stesso tempo induce nel PD delle dinamiche, il cui esito,
seppure non scontato, sembra indebolire questo partito nel suo complesso,
rafforzando la sua ala destra.
Voglio ricordare che Monti non è
di centro, come furbescamente tenta di accreditare Casini per guadagnare la
centralità dello schieramento politico, ma è definitivamente di destra, di una
destra perfino più a destra di Berlusconi e di Bossi, della destra dei padroni,
dei ricchi, dei potenti, questo ci dice la sua storia.
Così, mai come oggi è chiaro che
la vera vittima sacrificale della svolta che ha portato Monti a presiedere il
governo della nostra repubblica, è il PD, ed in particolare il suo segretario,
che si trova a dovere tenere assieme un partito mai così spaccato come a
seguito dell’insediamento dell’attuale governo, e credo che Bersani ne sia
profondamente grato a Napolitano, proprio un bel regalo presidenziale alla
vigilia delle vacanze natalizie, un babbo natale così, Bersani non se l’era
sognato neanche nel peggiore incubo della sua vita.
C’è un ulteriore motivo per definire
volpe il professore Monti, perché ricorda la favola della volpe e dell’uva.
Dopo avere per settimane insistito che il governo puntava all’accordo, che
avanzare previsioni pessimistiche non aveva molto senso, visto che mancava
ancora l’incontro decisivo, ed era quella la sede dove l’accordo andava
perfezionato, improvvisamente si riscopre decisionista, derubrica l’incontro
prima tanto solennizzato, in un’occasione di illustrazione (non di trattativa)
dell’ipotesi governativa, sostenendo l’irrilevanza della mancata adesione CGIL,
proprio come la volpe che, non potendo raggiungere il grappolo troppo in alto,
sostiene che l’uva è acerba.
analisi dei fatti ben delineata. ciao
RispondiEliminaOttima analisi davvero. Anche se il Pd ne esce sì con le ossa rotte, ma nel ruolo di vittima. Francamente non mi sembra.
RispondiElimina@Francesco
RispondiEliminaGrazie della visita :)
@BC
RispondiEliminaChe il PD come partito sia vittima non v'è dubbio, che poi i suoi dirigenti siano complici, questo è altrettanto vero.