Premetto che so che Ratzinger è persona molto erudita, di tantissime letture, un teologo di grandissimo calibro.
Premetto inoltre di avere gradito la frecciata lanciata ai cristiani della domenica, a coloro che vi si riconoscono, ma in maniera passiva.
Capisco quindi perfettamente il riferimento critico a costoro, e posso capire che lanciare queste accuse all’interno di un paragone può svolgere un’efficace azione retorica. Capisco meno, lo confesso, il benevolo riferimento agli agnostici.
Aggiungo che lo capisco tanto poco da suscitarmi perfino il dubbio che egli non conosca il significato della parola “agnostico”, il che, lo ammetto da me, è incredibile per un uomo che della filosofia in senso lato ha fatto un po’ la motivazione della sua vita.
Non sarà che papa Ratzinger giochi invece con questo termine, in modo tale da depotenziare il dilagare dell’agnosticismo nella nostra società?
Allora, sarà bene partire dal significato che ha questo termine, o almeno dal significato che esso ha per me, agnostico convinto (confesso che considero la frase del papa un assist per parlare di una questione per me della massima importanza, ma forse per tanti un po’ pallosa).
Allora, per capire il mio agnosticismo, bisogna partire dal linguaggio. Sembrerà incredibile, ma solo recentemente la filosofia si è occupata del linguaggio, tanto che oggi si può parlare di una filosofia del linguaggio.
Trovo sorprendente la distrazione di tanti filosofi per il linguaggio, proprio a partire dal fatto che esso costituisce il veicolo, l’unico in verità esistente, del nostro pensiero, quello che consente la stessa attività speculativa, che io posso analizzare ed elaborare tesi solo perché dispongo di questo mezzo.
Come ogni mezzo, anche il linguaggio ha i suoi propri limiti, non è qualcosa con cui io possa fare ciò che credo, devo considerare se una determinata attività può trovare nel linguaggio uno strumento ad essa adeguato. Io posso ben disporre di un bel paio di sci, ma non penserei mai di andare sull’asfalto con gli sci ai piedi, perché l’uso degli sci è confinato alla presenza di neve.
Comunemente, nessuno di noi riflette sui limiti del linguaggio, e in verità nell’uso quotidiano il linguaggio sembra uno strumento perfettamente adeguato alle nostre necessità sia di comunicazione che di riflessione interiore. Non sarebbe saggio porci problemi sul linguaggio quando lo si usa in modo convenzionale, ad esempio per scambiarsi semplici informazioni, o quando devo riflettere su come sia meglio collocare una determinata mobilia in una stanza: per tutti questi usi, il linguaggio lavora benissimo e non ha bisogno di essere sorvegliato.
Questa straordinaria adattabilità del linguaggio a contesti del tutto differenti non deve però mai farci dimenticare che esso è in ogni caso un prodotto dell’umanità, è il frutto di una cultura sedimentatasi nel corso dei secoli, e in realtà ogni lingua ha alcune sue peculiarità che la rendono in qualche misura differente da tutte le altre. Certamente, sono riscontrabili tra le differenti lingue tanti elementi in comune, e non si può certo dubitare che la struttura dei linguaggi è strettamente correlata ad elementi fisiologici, a come insomma è costituito il cervello ed al suo modo di funzionamento, così intrinsecamente vocato all’acquisizione ed all’uso del linguaggio, come del resto chiunque può osservare nel procedimento, apparentemente magico, di apprendimento linguistico nei bambini, non possiamo non meravigliarci di come i nostri piccoli riescano ad apprendere i termini ed il loro uso, presto in grado di trasporlo in contesti del tutto nuovi.
Sono convinto che meravigliarci è sempre bene, ma in verità la sorpresa sta nella nostra struttura di uomini, in come siamo fatti, e non nel linguaggio: sorprendiamoci, come dovremmo sorprenderci del sorgere quotidiano del sole. Se la terra gira attorno al proprio asse (come attorno al sole), allora il succedersi del giorno e della notte diventa comprensibile. Allo stesso modo, che il linguaggio sembra creato apposta per noi non è così sorprendente se si considera che è lo stesso uomo che ne è creatore ed utente: è stato costruito sul nostro stampo, e quindi siamo perfettamente adatti, come uomini al suo uso.
Ora, i filosofi amano forzare i limiti del linguaggio, anzi possiamo aggiungere che proprio nell’antica Grecia questo sport di chi usasse più spregiudicatamente il linguaggio è nato ed è stato molto praticato.
Nella scuola eleatica, in Parmenide che ne fu il massimo esponente, abbiamo proprio questa crescente tendenza ad abusare del linguaggio. Per intenderci, Parmenide parla dell’essere e del non-essere. Questa coniazione di quest’espressione, non essere, ha qualcosa di patologico, insomma il grande Parmenide gioca con le parole, le combina seguendo apparentemente le regole grammaticali, ma evidentemente in maniera non convenzionale.
Togliamo un equivoco, io non ho nulla contro un uso non convenzionale del linguaggio, anzi è ciò che ci aspettiamo dalla poesia, tutta la letteratura trova la sua stessa vocazione in un uso particolare, particolarmente significativo, del linguaggio. Anche in saggistica a volte ci si può spingere fino al punto di dovere coniare nuovi termini, ma il punto sta nel fatto che man mano che l’uso si allontana da quello consueto, maggiore deve essere l’attenzione, la sorveglianza, per capire se non stiamo finendo con l’abusare del linguaggio.
A questo punto, conviene dare un esempio esplicito di un abuso del linguaggio, e delle sue regole sintattiche che in realtà funzionano come regole logiche.
Tutti noi usiamo il principio di causalità. Innanzitutto dove lo usiamo, possiamo essere più precisi? Lo usiamo nel linguaggio, è quando pensiamo o parliamo che facciamo uso del principio di causalità, per respirare ad esempio, non ne abbiamo certo bisogno.
Con questa precisazione, ricordo che il principio di causalità prevede che un certo fenomeno debba essere considerato come effetto di una causa che lo precede, e che questa causa sia anch’essa effetto di una causa che la precede. Questo principio è un principio linguistico, che tra l’altro funziona alla perfezione. Pensiamo adesso di usarla ripetutamente, in maniera consecutiva e senza smettere più. Andremmo così a ritroso, ma questo processo a ritroso non può che avvenire all’infinito, perché ogni causa deve, per obbedienza allo stesso principio di causalità, essere effetto di una causa precedente.
Se adesso, per speculare sull’origine del mondo, io ponessi il problema della causa prima, avrei violato il principio di causalità. Non dico, badate, che non è lecito credere nell’esistenza di una causa prima, dico piuttosto che questa credenza non può essere oggetto di argomentazione, deve insomma trovare una sua giustificazione al di fuori del linguaggio e delle sue regole, non è qualcosa su cui sia possibile condurre un dialogo, si può credere, come si suol dire, per fede.
Ora, la fede può venire o da un ambiente conformista, in cui quella credenza è assunta come evidente e nessuno ha motivo o capacità di metterla in discussione, oppure per una folgorazione, come capitò a Paolo sulla via di Damasco. In entrambi i casi, non ha senso discuterla, o almeno per me che prendo sul serio le regole linguistiche, questa discussione non ha senso (come molte altre cose della nostra vita del resto, tipo perché una certa donna mi arrapa, è un’evidenza su cui non ha senso discutere).
Ho così evidenziato, spero chiaramente, le basi del mio agnosticismo, non credo che l’ontologia possa essere oggetto di argomentazione, ognuno è ben libero di credere ciò che gli aggrada, ma tali credenze non possono essere oggetto di argomentazione razionale, al massimo costituiscono letteratura.
Si può vivere senza ontologia, senza avere la più pallida idea di cosa sia l’essere in sé? Io direi di sì, credo che si tratti di false questioni, e che la serenità o la felicità nella propria vita si può ottenere senza appassionarsi punto per l’ontologia.
Per il resto, per l’intima convinzione di vivere in una realtà in fondo misteriosa, ritengo di dare una grande importanza alla dimensione del sacro nella mia vita, di sacro, non di religioso, perché ritengo che le religioni rivelate, nella loro pretesa di dare ragione di tutto, di fatto distruggono ogni dimensione di mistero, e dove non c’è mistero, non c’è sacralità.
Non credo Ratzinger abbia sbagliato termine, e nemmeno frase, che era, lo ricordo, "Gli agnostici che a motivo della questione su Dio non trovano pace e le persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli "di routine".
RispondiEliminaUn agnostico le domande comunque se le pone, per poi sospenderle non trovando risposta. C'è dunque più ricerca del divino in loro che in tanti cattolici che dicono di aver fede.
P.S.
Razionalmente si è già arrivati oltre la causa prima, anche mantenendo il principio di causalità.
in punta di piedi ti passo il mio intervento sulle frasi di Ratzinger.
RispondiEliminaciao
http://www.lacrisi2009.com/2011/09/le-frasi-di-freiburg.html
Negli ultimi anni ho smesso di lottare contro ogni evidenza ed ho smesso di provare rimorsi a riguardo: sono un'agnostica! Di quelle che non riescono a trovare risposte su quale sia il senso della vita, di quelle che davanti a tutto il male e alla sofferenza che c'è nel mondo non crede possibile che esista un Dio misericordioso. Però ammetto d'aver gradito anch'io le parole di Ratzinger, perchè effettivamente credo di essere molto più degna io dell' eventuale Regno di Dio di tanti fedeli di routine che conosco, proprio perchè soffro sinceramente per i mali dell'umanità e non nego mai il mio aiuto a chi è in difficoltà, siano essi parenti , amici o semplici conoscenti.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la "filosofia del linguaggio" tu dici che solo recentemente se ne può parlare; ebbene, mi si è accesa una lampadina in testa e sono andata a prendere il mio ormai vecchio libretto universitario con l'indicazione degli esami sostenuti: "Filosofia del linguaggio" 27/30 (24-5-1973), non male ti pare? :-D
Prendo spunto dalle due osservazioni che mi fa Rouge per rispondere a tutti voi.
RispondiEliminaNon ho capito il post-scriptum. Tu dici che la mia argomentazione non è convincente? Ma questo richiederebbe che tu argomenti a tua volta, cosa che non fai.
In ogni caso,la causa prima era solo un esempiuo di qualcosa che introduce eccezioni alle regole logico-sintattiche.
Il cristianesimo ce ne offre altre. Ne citerò due.
Il fatto che Dio sia uno e trino viola il principio di identità.
Ancora, il concetto di miracolo, che veiene inteso come un'eccezione alle leggi fisiche. Anche questa costituisce un'eccezione logico-sintattica non accettabile.
Se conveniamo che la morte sia un evento irreversibile, allora la resurrezione costituisce una violazione della legge su cui conveniamo. Insomma, io sono ben pronto ad accettare che la morte non sia un evento irreversibile, che esista una probabilità non trascurabile che si possa risorgere, ma non che la morte sia davvero irreversibile salvo quando intervenga il miracolo. Ciò mette in dubbio non la singola legge, ma il fatto stesso che vi possano essere leggi, il che implica che non ci sia neanche l'oggetto di possibili argomentazioni.
Sulla prima osservazione di Rouge rispondo qui (ho spezzato per l'eccessiva lunghezza).
RispondiEliminaCertamente che non dubito che Ratzinger sappia bene cosa sia l'agnosticismo, certamente meglio di me.
Il mio era un modo, come dire, scherzoso o sbarazzino di introdurre la mia personale tesi.
E la mia tesi non fa dell'agnostico un dubbioso, uno che non si pronuncia perchè non saprebbe cosa dire, un tormentato, ma uno che ha risolto alal radice il problema, roconoscendo l'impossibilità di rispondere ad alcune domande. Se a una domanda non si può rispondere all'interno di un dialogo che rispetta criteri di razionalità, ciò può solo significare che quella domanda non è lecita.
In realtà, se esaminiamo le questioni che riguardano la realtà che ci circonda e la nostra stessa realtà di uomini, arriviamo a un punto che rimane senza risposta.
I fisici interpretano i fenomeni in base all'esistenza di quattro tipi di forze, ma , ovviamente direi, non possono dire nulla su queste forze in quanto tali. La sfida sarebbe quella di unificare questi quattro tipi di forze, ma anche allora rimarrebbe il mistero su quell'unico tipo di forza.
Nella nostra vita quotidiana, sperimentiamo questa nostra capacità di sentire, di provare dolore e piacere, di avere il senso della bellezza, ma tuto questo ci accade e non permette di costruire alcun dialogo che riguardi ciò che pure costituisce tanta parte della nostra vita.
Mi chiedo perchè se posso convivere con l'attrazione che provo per le donne senza che sappia da cosa ciò derivi, dovrei avere problemi a convivere senza sapere l'origine del mondo. Dal mio punto di vista, la prima domanda è molto più importante, ma fa parte della dimensione umana di potere solo squarciare in maniera estremamente parziale il muro di mistero che ci circonda. Questo non dovrebbe causare frustrazione, perchè in realtà dovrbbe essere accettata come la nostra più autentica dimensione umana.
Ciao Vincenzo,
RispondiEliminal'argomento sta tornando di moda;
a distanza di secoli da Voltaire si discute ancora sulla libertà di coscienza - e di incoscienza, che è ancora meglio;
a questo proposito ti lascio un articolo in cui si ho dibattuto la questione.
http://valterbinaghi.wordpress.com/2011/08/22/la-gnosi-o-dellanticristo1-di-valter-binaghi/
è tornato di moda l'anticristo, gli armigeri si preparano alle crociate.
Saluti.
Cartabaggiana
bene precisarlo:
RispondiEliminaio sono agnostico.
scusa per questo commento fuori tema, ma c’è un problema di urgenza che interessa tutti i blog
RispondiEliminaComunicazione
Sulle rettifiche in blog e multe ho inserito questa lettera che passo
Cordiali saluti
http://www.lacrisi2009.com/2011/09/rettifiche-in-questo-blog-gia-fatto.html
Tu ne fai una questione di linguaggio, intendendo che Ratzinger abbia usato (volutamente o no, non ha importanza) un termine sbagliato. Io penso che non abbia sbagliato termine. A questo punto si pone un problema: chi confonde il termine "agnostico", Ratzinger, io o tu?
RispondiEliminaPer me un agnostico è una persona che a una data domanda sospende il giudizio non essendo in grado di dare una risposta certa: la domanda non risolta però rimane. Per te, mi pare di capire, un agnostico è chi si pone una domanda, capisce che non può dare una risposta, accetta la cosa e finita lì, da quel momento in poi la domanda non è valida (perchè? il fatto che l'uomo non sia in grado di rispondere non toglie che esiste una risposta). Nel primo caso, in cui si campa ugualmente tranquilli, ma ci può stare che qualcuno si tormenti, la ricerca continua, nel secondo la ricerca si è interrotta. Non saprei definirlo, ma "agnostico" non credo sia il termine adatto.
Sul poscritto: argomentarlo in due parole è complicato, se vuoi se ne parla in altra sede. Comunque era solo per dire che una definizione logica di dio (prima causa) è già stata data, non dimostrata perché indimostrabile, ma data.
@FRancesco
RispondiEliminaUtile contributo il tuo, ma spero che tutto si sgonfi da sè, questi ormai blaterano a vanvera, neanche a fare i criminali riescono...
@cartabaggiana
RispondiEliminaSì, l'avevo letto già quando hai postato il commento, condivisibile per la massima parte.
A differenza di te, sono convinto che sia del tutto inutile argomentare con chi ha una fede, non necessariamente religiosa, insomma una credenza non argomentabile razionalmente.
@Rouge
RispondiEliminaNon posso aggiungere niente, è proprio come dici tu, due differenti modi di vedere l'agnosticismo.
Naturalmente, sono convinto della mia tesi.
Provo con un ulteriore argomentazione.
Se l'agnosticismo fosse quello che fa intendere Benedetto XIV, allora lo si potrebbe usare di continuo nella vita di ogni giorno, perchè è un fatto abituale di non saper rispondere a una determinata domanda.
Ciò che caratterizza l'agnostico è che egli non pensa di non saper dare una risposta, ma piuttosto che non esista una risposta. Si potrebbe perfino dire che questa convinzione (non esiste una risposta) è un punto fermpo che rende l'agnostico una persona con cinvinzioni ben ferme.
Il punto più discutibile è cosa esattamente significhi che non esiste una risposta. Per molti, la cosa finisce qui, c'è una domanda e noi non sappiamo formulare una risposta.
Invece, io credo che, come già dicevo precedentemnte, l'impossibilità di rispondere comporti direi automaticamente che la domanda non sia lecita, che quindi essa non abbia alcun significato.
Infine, come dicevo, credo che se si è davvero convinti che fare queste domande è una specie di gioco di società per adulti, queste domande non ci interrogano più: ne vedo insomma una radice culturale, ce le poniamo perchè viviamo in una cultura che ne fa dei punti fondamentali della propria stessa costituzione.
@ Vincenzo: Ma l'impossibilità di rispondere non significa affatto che la domanda non sia lecita, significa semplicemente che non è possibile rispondere in maniera razionale. Se esiste la domanda esiste anche la risposta, negarlo violerebbe, per dirla con te, il principio di polarità in cui versa il genere umano. L'agnostico a questo punto si ferma, si astiene dal giudizio, ma non lo annulla (perdonami, ma non credo esistano più accezioni del termine: o è uno o è l'altro).
RispondiEliminaIl fatto, mi sembra, è che tu rapporti tutto quanto al piano umano e ai cinque sensi in cui è costretto, e facendo questo, ti do ragione, davvero non c'è spazio di discussione: a un certo punto l'uomo necessariamente si ferma perchè soggetto ai propri vincoli. Però se ammetti l'esistenza di altri piani, e questo la mente umana lo fa, il discorso cambia: già solo per averlo pensato questo "esiste". Se ammetti "realtà" come il pensiero, o le emozioni, o le intuizioni, o le sensazioni, non dimostrabili scientificamente, perchè non ammettere anche altro che non può essere dimostrato con i mezzi umani? Da qui la sospensione del giudizio, ma la domanda rimane. A questo punto un credente accetta la cosa per fede, l'agnostico si interroga cercando la risposta, non la trova e si astiene dal giudizio, ma c'è più ricerca del divino nel secondo che non nel primo: da qui le affermazioni del papa.
Uhmm.... ti ho convinto? :)
@Rouge
RispondiEliminaIl tuo ultimo commento solleva problemi ben più ampi, che sarebbe impossibile sviluppare qui.
Però ti dirò che no, non credo che una cosa pensata esista per il fatto stesso di essere pensata, perchè ritengo che ciò non abbia alcun senso, per le cose che ho già detto.
Io, seguendo Wittgenstein, parto dal linguaggio ordinario.
Dire che un albero esiste, si capisce bene cosa significhi.
Dire che il neutrino esiste, già richiede lo sviluppo e la condivisione di una apposita teoria.
Dire che esiste Dio, è ancora un terzo tipo di affermazione, che implica la fede.
Dire che esiste l'ippogrifo, cioè un animale immaginario, è ancora un ulteriore uso della parola "esistere".
Tu, come Platone e gli idealisti (sei in ottima compagnia), fai a mio parere confusione sul fatto che una stessa parola, in contesti del tutto differenti, assume un significato del tutto differente.
Ciò ovviamente ci porta lontano, io rimango al fatto che il linguaggio è stato creato per gli usi quotidiani, e ogni altro uso va attentamente sorvegliato, in caso contrario diventa un giochino fine a sè stesso.
Allora, per capire il mio agnosticismo, bisogna partire dal linguaggio. Sembrerà incredibile, ma solo recentemente la filosofia si è occupata del linguaggio, tanto che oggi si può parlare di una filosofia del linguaggio.
RispondiElimina