”Per restare in Europa è necessario un esame di coscienza collettivo che deve riguardare anche i comportamenti individuali di molti italiani di ogni parte politica e sociale. Molti italiani devono comprendere che non siamo più negli anni ottanta e tanto meno negli anni settanta. Il mondo è radicalmente cambiato e anche noi dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e le nostre aspettative in senso europeo per mantenere una nostra prospettiva in Europa”.
Un breve periodo, questo che cito, che è un compendio della deriva pericolosissima in cui la sua classe dirigente sta precipitando l’intera Europa.
Ebbene, Presidente, come si può con un minimo di ragionevolezza assumere come categoria fondamentale l’Europa? Mi chiedo se Lei si renda conto che nel sollecitarci ad adeguarci all’Europa dei nostri giorni, Lei ci sta nei fatti chiedendo di rinunciare a dire la nostra su cosa questa Europa debba essere. Quando si va a costituire una federazione di stati, i governi degli stati aderenti dovrebbero fare un passo indietro rinunciando ad una parte significativa dei propri poteri, e su questo so che potremmo entrambi convenirne.
Il passo successivo sarebbe però quello di stabilire in favore di chi questa cessione vada compiuta, è questo l’aspetto realmente decisivo nel qualificare lo stesso intero processo federativo, e qui temo che le nostre strade si dividano.
Molto semplicemente, a me pare che tale cessione richieda una straordinaria partecipazione delle intere popolazioni interessate, in quanto soltanto una legittimazione popolare potrebbe assicurare un potere autonomo effettivo alle strutture federali, e nello stesso tempo qualificare tali poteri come poteri democratici.
Il passo fondamentale ed a mio parere ineludibile, è quello dell’elezione a suffragio universale di una assemblea per scrivere il testo della costituzione della federazione europea, da un passaggio di questo tipo non si può prescindere senza inficiare profondamente la natura stessa della struttura europea che andiamo a costituire.
A un percorso come quello che propongo, si confronta quello reale, caratterizzato dalla resistenza da parte dei singoli stati a cedere potere all’unico organismo elettivo (seppure a quote predefinite), costituito dal parlamento di Strasburgo, ma soprattutto, e questo costituisce l’aspetto più pericoloso, da organismi decisionali europei irresponsabili, quali la Commissione e la BCE, in particolare nel campo della politica economica: è cronaca di questi giorni l’influenza determinante degli acquisti dei nostri titoli pubblici da parte della BCE nel determinare i tassi d’interesse e quindi il discostamento del bilancio da quello primario. Poiché in tali operazioni la discrezionalità della BCE è totale, chiunque si rende conto di quanta parte di sovranità nazionale è stata espropriata da soggetti che non sono democraticamente legittimati.
Così, caro Presidente, qui non è in gioco soltanto quanto un progetto federale possa procedere, ma la stessa natura delle strutture europee.
Detto francamente, a me pare che la classe dirigente europea si comporti come un apprendista stregone, maneggia cioè degli strumenti potentissimi in campo politico ed economico, senza avere piena consapevolezza dei pericoli in essa insiti.
Come ho tentato di illustrare, i singoli stati rivendicano la propria sovranità, espressa da parlamenti più o meno democraticamente eletti, a cui si contrappone un potere europeo irresponsabile e dal punto di vista della democrazia rappresentativa del tutto illegittimo.
Ciò costituisce un mix esplosivo, perché i governi nazionali, tra l'altro preda di spinte chiaramente esterofobe, sono costretti per raggiungere il consenso dei propri elettori a rivendicare sempre più il proprio interesse nazionale, in un quadro in cui essi non hanno più questo potere, sequestrato da organismi europei che possono portare avanti politiche in maniera arbitraria, non avendo l’esigenza di essere eletti.
La BCE e la Commissione possono costringere l’intera Europa in una camicia di forza, come sembra nei fatti che intendano fare, senza che i governi nazionali vi si possano opporre, e determinando per questa via un incanalamento dello scontento dei loro cittadini verso altri stati. E’ questo il pericolo, l’ordigno nucleare che gli apprendisti stregoni europei stanno maneggiando come se si trattasse di un semplice petardo, il manifestarsi di una rivalità tra singoli stati in forme che potrebbero risultare gravissime.
Sarebbe saggio ricordare che la storia senza guerre dell’Europa è molto recente, che nel passato i conflitti interstatali erano in Europa la norma, come sarebbe altresì saggio non dimenticare che continuiamo a usare lingue differenti, e già oggi i tedeschi inveiscono contro gli stati mediterranei spreconi e parassiti, mentre questi da parte loro inveiscono contro i privilegi che l’adozione della moneta unica concede agli stati più forti, la Germania in primis: mi chiedo a chi tutto ciò possa giovare, chi può davvero credere che si debba agevolare una situazione che mette obiettivamente in opposizione gli interessi di nazioni differenti. So bene che oggi la situazione non è così critica, ma i meccanismi che si sono messi in atto, se non bloccati in tempo, potrebbero presto trasformare gli stati europei da partners verso una crescente integrazione, a irriducibili avversari e forse presto nemici.
Così Presidente, questa Europa non solo non ha speranze di andare avanti, ma rischia di portare l’orologio della storia con le lancette indietro verso periodi infausti che vorremmo non tornassero più.
L’unica decisione saggia da prendere è recedere da un tale progetto, abbandonare questa deriva verso situazioni pericolose, ed avanzarne uno completamente nuovo, una totale rifondazione dell’ideale europeo su basi quali quelle che tentavo di tratteggiare.
Vorrei poi capire Presidente cosa intende quando afferma che non siamo più negli anni settanta ed ottanta, cosa c’è dietro l’ovvietà di tenere conto del calendario.
Molte cose sono cambiate da allora, ma bisognerebbe capire tra tutte le cose che sono cambiate, quali siano quelle che devono maggiormente attrarre la nostra attenzione, e, credo, esprimere anche delle valutazioni su cosa è migliorato e cosa sia peggiorato, mentre apparentemente Lei propone un ruolo da spettatori: dovremmo cogliere lo spirito dei tempi ed adeguarci, Lei sembra suggerire.
Nella sostanza, mi corregga se sbaglio, ma Lei sembra, così come viene fuori da quelle poche parole che Lei scrive, sposare in pieno l’ondata neoliberista partita, guarda caso, proprio negli anni ottanta da Lei evocati.
Sì, certo 40 anni non passano mai invano, e tantissime cose sono cambiate anche nella nostra vita quotidiana, ma ciò che più di tutto è cambiato è il nostro modo di pensare, il prevalere di una mentalità mercantilista tutta centrata sul possesso di oggetti, e quindi sulla necessità di produrne sempre di più ed a prezzi sempre più bassi: è questo ciò che noi dovremmo apprezzare come cambiamento dei tempi?
Presidente, mi permetta, non so se Lei se ne sia accorto, ma nel frattempo un altro aspetto è cambiato, ed è l’avanzare dei problemi di compatibilità ambientale: una crescita ininterrotta come predicato dal pensiero dominante, è del tutto incompatibile con la stessa sopravvivenza del genere umano. Forse, se fosse questo l’aspetto di cambiamento epocale su cui porre la nostra attenzione, si giungerebbe anche a conclusioni ben differenti in politica, ma il pensiero dominante giudica questi timori come dei lussi che non ci possiamo permettere, tutto possiamo permetterci, tranne che riflettere sul futuro dell’umanità.
Concordo, un'Europa di lavoratori, uomini e donne. Un'Europa partecipata e non malsopportata.
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