martedì 13 settembre 2011

L'AUTOCASTRAZIONE DELLE NORME SUL PAREGGIO DI BILANCIO

Inserire in Costituzione una norma che obblighi al pareggio di bilancio, prima ancora che sbagliato, è assurdo, e tenterò di argomentarlo in termini economici.

Prima però permettetemi di utilizzare una metafora: sarebbe lo stesso che la Chiesa cattolica, che prevede la castità per i sacerdoti, decida di imporre la castrazione a chi voglia prendere i voti. In altre parole, per essere certa che i sacerdoti non violino il vincolo di castità, la rendono fisiologicamente impossibile. Mentre insomma un parlamento può liberamente legiferare per raggiungere il pareggio di bilancio, suona come masochistico imporselo come vincolo costituzionale, un’autocastrazione volontaria senza alcuna apparente logica.

Ma prima ancora, dobbiamo chiederci se questo pareggio di bilancio sia augurabile, se ci sia tra gli economisti, ma anche nelle politiche concrete dei governi, un consenso unanime sui meriti di un bilancio in pareggio. Ricorderò che prima dello scoppiare della crisi, l’Europa, sempre all’avanguardia, soprattutto in Germania, nel magnificare l’importanza di bilanci statali sotto controllo, imponeva un deficit inferiore al 3% del PIL, e debiti inferiori al 60% dello stesso PIL.

Il trattato di Maastricht, che molti di noi considerano un grave errore europeo, era insomma molto più indulgente nel porre vincoli agli stati. E’ davvero illuminante osservare come lo scoppiare della crisi finanziaria spinga gli stati, soprattutto quelli più soggetti alla speculazione internazionale, ad essere più realisti del re: come dire, non solo farò il bravo come la Germania, ma anzi vi mostrerò che sono il primo della classe, che più rigorista di me non ci può essere nessuno.

Si tratta insomma di un atteggiamento di resa verso un fenomeno, quello della crisi finanziaria, che ancora oggi nessuno si azzarda ad affrontare rigorosamente nelle sue cause e nelle terapie conseguenti. E’ come se, per usare un’altra metafora, qualcuno si accorgesse che la sua casa ha problemi strutturali di origine non definita, e, invece di approfondire l’analisi per scoprirne cause e possibili soluzioni, mostrasse ai vicini che ha eliminato gli spifferi degli infissi: eliminare gli spifferi, non contribuisce neanche un poco a risolvere i problemi strutturali, serve solo a sprecare altre risorse economiche preziose in una direzione impropria.

Se quindi mai nessun governo, neanche quello tedesco sempre portatore di una teoria economica ben più rigorosa di quelle in voga nel mondo anglosassone, si è mai sognato di considerare come il bene supremo il pareggio di bilancio, risulta davvero incomprensibile questo DDL costituzionale, che ci ricorda ancora una volta come il governo Berlusconi- Bossi-Tremonti sia il peggior governo possibile.

Se poi passiamo agli economisti, vediamo che quelli più seri non possono che mettere in seria discussione i meriti di un bilancio statale così ingessato. Dico seri nel senso che tentano almeno vagamente di porsi in un’ottica che inquadri il fenomeno economico nella sua completezza, e non che si limiti a dire cosa fare oggi perché lo spread non salga. Chi si mette nell’ottica di avere il consenso immediato del mercato, non può che avere quella ricetta, ma in questo caso non avremmo bisogno di esperti, chiunque di noi capisce che per abbassare i tassi d’interesse sul nostro debito, bisogna mostrare di volerlo ridurre, basterebbe la proverbiale casalinga di Voghera. E’ triste vedere quanti cialtroni ci siano in giro a spiegarci queste ovvietà che, proprio in quanto tali, nascondono la vera natura della crisi e le possibili soluzioni che si dovrebbero prospettare.

Qui, vorrei riportare il link all’articolo con cui l’economista Alberto Bagnai è intervenuto a un forum sull’argomento ospitato anche dal quotidiano “Il Manifesto”. Riassumendo, e quindi tralasciando le argomentazioni lì esposte (raccomando pertanto la lettura integrale), Bagnai conclude che i deficit di bilancio non siano rilevanti ai fini dell’equilibrio economico, ma che lo siano le bilance dei pagamenti. Le bilance dei pagamenti a loro volta sono la somma delle bilance commerciali, cioè il risultato delle esportazioni e delle importazioni di merci, e dei movimenti di capitali, e quindi il deficit di bilancio rientrerebbe in gioco solo per quanto attiene la quota di crediti (titoli di stato) detenuta all’estero. L’autore però si sofferma soprattutto sulla bilancia commerciale, e mostra come esso sia funzione della politica dei cambi: chi importa troppo, si indebita e conseguentemente la sua valuta si svaluta, determinando così un vantaggio di competitività che ripristina l’equilibrio della bilancia commerciale. Conclude l’autore che quindi il problema sta nell’euro perché impedisce l’instaurarsi di questo meccanismo di compensazione.

Ho riportato questo articolo perché attinente al tema del post, ma non perché io sia d’accordo con l’autore.

Ad esempio, che l’euro introduca dei problemi suoi propri, io non avrei dubbi, ma ciò non spiega perché è tutta l’area euro, Germania compresa, ad essere nella tempesta, perché lo sia tutto il primo mondo, inclusi USA e Giappone. A me pare che ogni economista si appassioni alla propria tesi, e concentri così la propria attenzione a singoli aspetti. Che un deficiti di bilancio sia costantemente in rosso, lo sosteneva Keynes, e l’Europa del welfare, quella che andò avanti fino ai primi anni ottanta, lo praticava. Dire che il pareggio di bilancio sia la panacea è errato come dire che sia irrilevante, così come la bilancia commerciale, la cui situazione è sì importante, ma non costituisce l’unico dato fondamentale di cui tenere conto.

Ciò di cui invece non si parla, è cosa questo mercato finanziario farà del mare di cartaccia (titoli per l’astronomica cifra di 610 milioni di miliardi di dollari, pari a circa dieci volte il PIL mondiale) che attualmente vi transita: mi sento autorizzato a definire cialtrone chiunque proponga misure di austerità per risolvere la crisi senza sapere dare una risposta in merito. La verità è che si tratta di un problema senza soluzione, e che ognuno tenta di galleggiare il più a lungo possibile rinviando la data del “redde rationem” (cioè, della resa dei conti).

3 commenti:

  1. Dopo la crisi del '29, la ripresa negli Stati Uniti fu resa possibile solo grazie ad una politica di grandi investimenti realizzati completamente a debito dal governo Usa.
    Nel momento in cui gli Usa, spaventati dalla crescita del debito pubblico, decisero un piano di rientro, innescarono, nel '37, un'ulteriore grande crisi, che li indusse a sospendere questi piani.
    Questo precedente di quasi un secolo fa testimonia secondo me meglio di ogni altra cosa come il "pareggio di bilancio" sia una boiata pazzesca.
    Probabilmente, esso è un'imposizione tedesca che ha il solo scopo di tenere in vita artificialmente il cadavare Italia (altro che Titanic), per non perdere i crediti che lo Stato teutonico vanta nei nostri confronti.

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  2. Metafore tranchants, specie la prima! Concordo su tutta la linea e trovo che sarebbe davvero incredibile (ma temo già lo sia) che gran parte della società pieghi la testa di fronte a queste solenni minchiate e accetti i diktat della finanza internazionale e dei suoi sicofanti.

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  3. Dico seri nel senso che tentano almeno vagamente di porsi in un’ottica che inquadri il fenomeno economico nella sua completezza, e non che si limiti a dire cosa fare oggi perché lo spread non salga.

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