domenica 4 luglio 2010

DECRESCITA E POLITICA

Oggi, ho deciso di tornare con maggiore impegno su un sito di estremo interesse, in sostanza collegato alle tematiche della decrescita (qui). Mi sono in particolare soffermato su un documento collettivo, abbastanza lungo e complesso, che però ho letto con grande attenzione per intero, come spero vogliate fare anche voi. Non so cosa voi sappiate, se siate adeguatamente informati sul movimento per la decrescita. Io ho conosciuto questo mondo tramite il libro “La decrescita felice”, scritto da Maurizio Pallante. Vi dico subito che, pur convenendo col testo sulla necessità di frenare la crescita, o addirittura di non averne affatto e anzi ridurre il PIL, ho trovato complessivamente le tesi lì illustrate insoddisfacenti per una serie di motivi che sarebbe inutile qui specificare. Inutile perché invece la lettura del documento che citavo all’inizio, e che evidentemente usa un approccio differente e fa riferimento a persone differenti, mi è sembrato fornire una visione certamente più interessante e stimolante delle tesi della decrescita.

Non intendo qui dare un giudizio dettagliato di questo documento, perché ciò richiederebbe che io ne facessi un’analisi puntuale, cosa impossibile dopo una semplice lettura inevitabilmente affrettata.

Dirò tuttavia che trovo molti punti di convergenza per quanto attiene la prima parte, lì dove gli autori enunciano una serie di problematiche riferite alle moderne società occidentali.

Qual è allora il punto centrale del dissenso? Nella seconda parte, quella propositiva, del che fare, viene avanzata l’ipotesi della creazione di un nuovo soggetto politico, quindi risulta palese la scelta di andare oltre le semplici esperienze di associazionismo, ma, malgrado gli autori si dilunghino nel definire le caratteristiche che a loro parere un soggetto politico originale dovrebbe avere, non convince la questione di fondo, che poi coincide con la volontà di farne un soggetto appunto “differente” da quelli esistenti.

Scrivono dunque gli autori che “sarebbe interessante da questo punto di vista il tentativo di mettere in scena una nuova tipologia di soggetto politico che non competa per il potere, inteso come dominio sugli altri, nemmeno attraverso la conquista elettorale degli apparati statali, ma che si proponga e agisca in uno spirito di servizio.” Questa frase introduttiva non può da sola illustrare le tesi del documento, ma tuttavia ne definisce il punto centrale, il rifiuto della competizione per il potere. Ora, malgrado gli autori si affrettino a spiegare che usano “potere” nel senso di “dominio sugli altri”, in verità nel seguito del documento sarebbe del tutto vano ricercare in che senso invece si debba correttamente intendere potere. E’ davvero difficilmente comprensibile come nello stesso momento in cui si vuole dare una caratterizzazione politica ad un determinato movimento, si metta da parte il problema del potere.

Per non lasciarvi dubbi, aggiungerò che il seguito del documento è assolutamente coerente con questo rifiuto del confronto sul problema del potere. Per gli autori, in verità, questa iniziativa andrebbe oltre le esperienze associazionistiche non sugli aspetti metodologici che mi pare invece essi vogliano mutuare da queste, ma nel fatto che invece di porsi un singolo obiettivo, come nell’associazionismo, questo soggetto si porrebbe una pluralità di obiettivi e contemporaneamente quello, in qualche misura centrale, del cambiare le forme stesse della partecipazione politica.

Perché dissento da tale impostazione? Perché chiaramente così come è formulato, il documento risulta di fatto reticente. Non affronta infatti minimamente il problema di come qui ed ora, nell’Italia o nell’Europa se si pensa ad un soggetto transnazionale e nel 2010, si possa fare avanzare gli obiettivi che pure puntigliosamente gli autori elencano.

A me sembra che questo soggetto non possa in alcun modo definirsi politico in quanto, se guardiamo in particolare alla parte del documento che elenca gli elementi di caratterizzazione, sembra emergere, anche se non in maniera esplicita, che tale soggetto pone più attenzione a soddisfare le esigenze dei propri membri che a costituire uno strumento per definire la sorte dell’intera comunità, che mi pare in definitiva l’obiettivo della politica.

L’aspetto però di massimo dissenso è che più volte nel documento si fa riferimento a un soggetto politico altro, cioè l’ipotesi prospettata è quella di un soggetto “stampella” se mi passate il termine: esso cioè non vuole sporcarsi le mani con la gestione del potere, immagina una struttura di gestione interna orizzontale, molto rispettosa dei singoli membri, quindi in sostanza enfatizzando l’egualitarismo interno, ma non disdegnerebbe comunque di supportare forze politiche tradizionali sia nelle esplicitamente citate esperienze locali e occasionali, senza mai escludere per altro un rapporto di collaborazione sistematica con una specifica forza politica.

In sostanza, questo soggetto esporterebbe tutti i problemi che la partecipazione attiva alla politica comporta verso non meglio definite organizzazioni politiche, e sarebbe quindi questo il sistema, che io chiamerei stratagemma, per definire quest’organismo in equilibrio quasi acrobatico tra associazione e partito.

In conclusione, a mio parere, un qualsiasi soggetto che non ponga al centro dei suoi obiettivi il perseguimento sistematico dell’interesse generale e contemporaneamente gli strumenti, le strategie e le tattiche per conseguirlo, non può definirsi politico: non si tratta di politica, come non si tratta di politica nel caso delle famose fabbriche di Vendola. In un caso come nell’altro, mi sembra piuttosto un modo per occultare un problema che non si riesce a superare. La mia personale risposta richiede qualche scelta preliminare più radicale, proprio a livello filosofico ed antropologico, e non è un caso che il documento tralasci questo livello delle questioni, pur se nei fatti queste scelte sono già state operate, ma in forma implicita, e forse addirittura inconsapevole.

8 commenti:

  1. questi sono i problemi di cui,secondo me, vale la pena occuparsi.

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  2. Conosco la tesi della decrescita felice, l'avevo letta in passato ma non mi aveva entusiasmato particolarmente nel suo complesso; non ho ancora letto il documento che hai linkato ma ho letto il tuo post che, conoscendoti, lo riassume secondo me fedelmente con sincerità ed onestà intellettuale, dando poi anche quello che é giustamente il tuo punto di vista. Io credo che il punto non sia quello di demonizzare il potere ma il fatto che un organismo politico scelto dalla gente utilizzi il proprio potere per, come tu stesso hai scritto porre " al centro dei suoi obiettivi il perseguimento sistematico dell'interese generale..."

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  3. @Paola
    Sì, ma non sembrerebbe che ci sia molto interesse in proposito... :-D

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  4. @Daniele
    Il potere è un problema in cui è inevitabile incappare. E' come se qualcuno che vuole tenere pulito l'appartamento dove abita, non si voglia confrontare col problema del lavoro che tale pulizia richiede: magari fosse possibile!

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  5. Ma dove sono più i nobili ideali!? Ormai politica è sinonimo di potere, soprattutto del potere di migliorare la propria condizione economica.

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  6. E dove sono più i valori nobili come quello di impegnarsi per il bene comune?! Ormai politica è solo sinonimo di potere, il potere di migliorare la propria situazione economica!

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  7. Nessuno si è mai occupato degli interessi generali
    Un uomo per prima cosa fa i suoi interessi... e se non fosse in grado di fare nemmeno i suoi interessi come potrebbe fare quelli generali?
    Dice giustamente Cioran
    Quando uno vuole fare i miei interessi mi basta per considerarlo un mio nemico
    Ho parafrasato ma il senso è questo
    mirco

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  8. @Ornella e Mirco
    Una sana dose di ottimismo eh :-D
    Io rimango dell'opinione che le persone davvero intelligenti dovrebbero essere interessate al bene comune, e che sia solo la stupidità in definitiva a determinare le scelte meschine ed egoistiche.

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