lunedì 12 luglio 2010

ANCORA SU POMIGLIANO

Vorrei sottoporvi alcune mie riflessioni a partire dai noti fatti di Pomigliano.

Un mio interlocutore sosteneva la tesi che il fatto stesso di avere una grande azienda nel territorio, con l’indotto effetto di un aumento dell’occupazione, avrebbe certamente danneggiato la camorra. E’ una tesi nota proprio all’interno della sinistra: il valore di promozione del lavoro. Naturalmente, in linea di principio, io concordo con questa tesi. Eppure, siamo poi certi che in questo concreto e specifico caso le cose stiano così, che avere qualche sparuto disoccupato in meno costituisca per la criminalità organizzata un danno, un pericolo per il suo potere indiscusso nel contesto locale? Le cose sono un po’ più complesso, come scrivevo:

“Contesto nella maniera più assoluta che la FIAT sia un'alternativa alla camorra, e considero crederlo un tragico errore. Marchionne detta le condizioni della sopravvivenza agli operai, allo stesso, identico modo in cui lo fa la camorra. E se devi voltarti da un'altra parte, e pazienza, ci sarà poi un momento in cui lotterai la camorra: per il momento, ti tocca accettare di subire un’estorsione. Si tratta in questo caso di affermare da parte del padrone che tu non sei nessuno, che se vuoi mangiare, devi produrre bene velocemente e soprattutto in silenzio. certo che ci potrà un giorno essere un riscatto, ma accettare oggi di essere usato come una merce, lascerà tracce indelebili sul territorio, che diventerà sempre più camorristico, perchè alla camorra questo modo di fare della FIAT sta benissimo, è esattamente il suo stesso modo. Del resto, l’esempio storico non sembra indicare che gli insediamenti industriali abbiano cambiato la situazione prima di tutto culturale che c'è sul territorio. Il gruppo di potere è sempre lo stesso, a volte palesemente criminale, a volte in doppio petto, ma diciamolo, come potrebbe convivere la FIAT in un territorio camorristico se non per un accordo non scritto esistente? Gli industriali investono per far soldi, altro che lotta alla criminalità organizzata, ma di che mondo parliamo, di uno di fantasia?

Le teorie sugli effetti benefici delle attività produttive contro la criminalità organizzata, le conosciamo tutti. Peccato che si tratta di teorie senza riscontri sperimentali, e quindi infondate. Io parlo di fatti e non di teorie, tutto qui. Schematicamente, per togliere manovalanza alla criminalità, ci vorrebbe la piena occupazione. Quando impieghi una persona su dieci, ce ne sono ancora nove disponibili. Inoltre, le attività produttive hanno due effetti, uno di creare ricchezza e l'altra di creare lavoratori. Questo secondo è l'effetto benefico, ma richiede il rispetto della dignità del dipendente da parte del datore di lavoro, ma quando questi, in questo caso marchionne parla come un mafioso, ovvero come il marchese del grillo (io sono io e tu non sei nessuno), allora questo effetto di sentirsi una persona socialmente utile e portatore di diritti, non c'è più. Rimane la produzione della ricchezza, che ovviamente viene vista molto bene dalla criminalità organizzata: significa più spaccio di cocaina, e rate estorsive più alte. Purtroppo, un certo marxismo rinforza l'opinione del tutto erronea che alla fine l'aspetto strutturale è quello decisivo. Io rimango dell'opinione che quel che più conta è ciò che abbiamo nel cervello, e quindi penso che per combattere la criminalità organizzata non è questione di creare un clima adatto, ma piuttosto lottarla nella mentalità di ogni giorno, e quando occorre anche militarmente.

7 commenti:

  1. questo me l'ero perso ed è in effetti molto convincente.
    Ma come si fa a garantire la piena occupazione che tolga manovalanza alla criminalità?

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  2. una tesi la tua condivisibile, non è facile convivere con certe realtà senza scendere a compromessi, chi giustamente non li ha accettati non è qui a raccontarlo...l'hanno fatto fuori!

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  3. Personalmente credo che sì, la presenza di una grossa azienda in grado di dare lavoro a numerosi cittadini del luogo in una terra come la Campania, martoriata come tante altre dalla presenza di una mafia locale che si costituisce come vera e propria "alternativa allo Stato", sia un'occasione per limitare il potere di attrattiva che la Camorra può suscitare nelle popolazioni residenti.

    Ma poi bisogna capire in che consiste la sfida alla Camorra. Perché se la sfida è tra uno Stato che difende strenuamente i diritti dei suoi appartenenti, che ne tutela le libertà individuali e collettive, che ne difende il benessere economico, psicologico e sociale e le associazioni mafiose dall'altra, si tratta di una sfida impossibile da raccogliere. Una sfida che, anche se dolorosa e lunga a finire, è obbligatorio raccogliere.

    Ma se la scelta è tra un sistema militarmente violento che sottopone i suoi membri alla rinuncia di ogni libertà, di ogni dignità, di ogni diritto e un sistema fondato sulle stesse logiche e che sostituisce la mano militare con la violenza del ricatto psicologico, non credo che ci sia troppo da combattere.

    E' una gara tra aziende quotate in borsa costruite con gli stessi parametri e con gli stessi obiettivi. Ed è una corsa all'oro per la quale non trovo, sinceramente, alcuna utilità...

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  4. @Paola
    Mettendo proprio la piena occupazione, e non l'aumento del PIL, come obiettivo dell'economia.

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  5. @zefirina
    La discussione originale verteva proprio sulle scelte che gli operai avrebbero dovuto prendere al referendum di pomigliano: io sostenevo che bisognava resistere e rischiare anche la chiusura dello stabilimento.

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  6. @Alessandro
    Niente da aggiungere alle tue belle parole. Nelle condizioni date, la lotta alle organizzazioni criminali è un'impresa davvero disperata.

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  7. Già, come disse Keynes: basta fare buchi e poi riempirli...

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