giovedì 1 ottobre 2009

COME SUPERARE IL CAPITALISMO

Con questo post, torno ai temi più generali. Lo faccio anche in risposta a sollecitazioni da parte di chi ha letto il mio libro, e anche a interrogativi venuti fuori su dibattiti su altri blogs.

Come sapete, io credo che il mercato capitalistico sia incompatibile con la semplice possibilità di sopravvivenza, in un futuro non lontano, dell’umanità. Com’è noto, il marxismo, che rappresenta l’unica alternativa realmente praticata al capitalismo, muoveva da ben altre motivazioni. In sostanza Marx supponeva che lo sviluppo capitalistico avrebbe portato a una progressiva miseria dei proletari, in quanto la concorrenza avrebbe imposto ai capitalisti di pagare il lavoro solo lo stretto necessario a permetterne la sopravvivenza, includendo in ciò la possibilità di una certa riproduzione: è ciò che viene definita la teoria del progressivo impoverimento, visto da Marx come il vero motore dell’insurrezione popolare per un nuovo tipo di governo delle nazioni.

Sappiamo tutti che questa teoria si è rivelata del tutto errata, in quanto Marx apparentemente sottovalutava la funzione della domanda in un’economia di mercato. Egli era ossessionato dal momento della produzione, senza percepire che nel capitalismo in realtà lo scopo dell’economia è costituita soltanto dal momento dello scambio: è inutile che io produca una merce se non ho a chi venderla. Keynes capì invece che solo una certa ridistribuzione del reddito verso le classi più povere poteva garantire una crescita duratura dell’economia, in quanto questo reddito così distribuito avrebbe indotto una maggiore domanda, e da qui maggiori scambi. Naturalmente, il discorso è lungo e complesso, e qui ne ho fatto solo una sintesi estrema.

Queste considerazioni servono appunto a chiarire come i marxisti vedano il fatto stesso che la produzione sia affidata a privati come fonte di ogni tipo di problemi. Essi infatti argomentano tutto a partire dalla teoria del plusvalore: se io operaio col mio salario di X lire produco un oggetto che il mio padrone vende a Y lire, la differenza Y –X, chiamata appunto plusvalore, rappresenta una rapina da parte del padrone del lavoro del suo dipendente. Io non starò quia smentire questa teoria, che comunque è evidentemente semplicistica perché staticizza il concetto di valore, come se esistesse una grandezza di questo tipo quantificabile una volta per tutte: il valore di una determinata merce semplicemente non esiste, è un concetto del tutto astratto, essendo funzione di troppe variabili: infine, in questo consiste una parte del rischio d’impresa!

Una visone come la mia, che parte da una differente ideologia, quella che ho chiamato “ideologia verde”, pone invece al centro del problema lo stesso processo di sfruttamento delle risorse naturali, piuttosto che il problema della distribuzione della ricchezza.

Vista quindi da questo punto di vista, chi sia il soggetto che produce non ha in fondo alcuna importanza: sia nel caso di produzione da parte di un’azienda statale, che da parte di un’azienda privata: se questo porta alla diffusione nell’ambiente di prodotti tossici, se questo porta a un esaurimento di una determinata risorsa naturale, il problema rimane uguale. Insomma, all’interno di un’ideologia verde, che privati possano possedere mezzi di produzione non pare costituire una condizione da proibire. Il punto quindi di discrimine tra capitalismo e socialismo marxista non mi sembra quindi necessario riproporlo in un sistema basato su un’ideologia verde.

Vediamo allora quali sono invece gli aspetti normativi che dovrebbero differenziare questo nuovo sistema politico-economico dal capitalismo. Il punto fondamentale è che si deve cessare dal considerare il mercato come automatico regolatore ed ottimizzatore degli eventi economici (e non solo, in verità). Ciò di cui invece abbiamo bisogno è di un sistema a pianificazione, possibilmente anche ad un livello mondiale.

Avrei potuto scrivere “programmazione”, ma invece voglio proprio usare un termine che so non gode di una buona fama. E’ quello che c’hanno fatto credere i fautori del mercato: i fautori della pianificazione non tengono conto della realtà, si immagino un certo mondo, e costringono il mondo reale ad adattarsi a questo loro modello teorico.

In realtà, della pianificazione non si può fare a meno, se si pensa a un mondo centrato sull’uomo e sulla pluralità degli esseri viventi. Se noi immaginiamo un mondo in cui ci sia piena occupazione, e in cui l’attività economica non deve correre tanto da consumare e distruggere in breve tempo qualsiasi tipo di risorsa naturale, ogni attività economica, anche proposta da soggetti privati, deve essere sottoposta a un controllo di organi tecnici che ne garantiscano la congruità con la pianificazione fatta. Che poi i piani vadano fatti secondo criteri corretti, tenendo conto di tutte le variabili possibili, e che possano essere sottoposti a revisioni frequenti eseguite in tempi brevi, tuto questo va da sé: l’esperienza storica di pianificazioni fallimentari non implica una connotazione negativa dello stesso termine!

La seconda condizione che dovrebbe differenziare un tale nuovo tipo di sistema istituzionale consisterebbe nell’abolizione della successione: non sarebbe quindi possibile prevedere che alcuni possano ereditare beni da genitori o da altri soggetti. Questa condizione in verità dovrebbe trovare spazio nello stesso capitalismo, che prevede appunto la regola della pari opportunità. Tale regola non ha mai trovato applicazione alcuna, e quindi i capitalisti stessi violano quella regola che avevano messo a fondamento del superamento dei sistemi feudali.

Mi fermo per il momento qui, scusandomi per la schematizzazione estrem impostami dal mezzo utilizzato.

22 commenti:

  1. Mi riprometto di rileggerlo. Intanto però alcune osservazioni.
    La prima riguarda Marx. Sosteneva che il sistema per sua natura sarebbe collassato in tempi storici non in tempi geologici (in altre parole al tempo la percezione della fine delle risorse ambientali appariva molto più remota di quanto non si stia rivelando). Quindi la previsione che il sistema di produzione e di consumo capitalistico collassasse potrebbe essere giusto solo con l'aggiunta che se il collasso dovesse avverarsi esso sarebbe doppio e definitivo, coincidendo l'economico con l'ambientale.
    Mi sembra invece estremamente problematico il controllo che tu proponi da parte di una super bruocrazia ambientale, che andrebbe a concentrare nelle sue mani, di fatto, un potere sterminato proponendosi come classe dominante al posto di quella capitalistica.
    Vedo in essa un po' gli stessi problemi teorici del controllo socialista della produzione: elites di burocrati. Da un punto di vista puramente teorico, il sistema socialista di produzione e di consumo, una volta che non fosse in competizione militare-economica con il sistema capitalistico, dovrebbe essere eco sostenibile in quanto produrrebbe pianificando i consumi: quindi non più produzione illimitata per consumo illimitato al fine di avere profitto illimitato, ma produzione per il consumo "giusto" fisiologico al sistema ed eco compatibile.

    Ci penso ancora sù a quanto da te scritto e se del caso mi rifarò vivo.

    ciao, silvano.

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  2. Grazie per le semplificazioni.L'idea sarebbe auspicabile, ma per realizzarla dovremmo essere tutti onesti.E' l'onestà la base di tutto e quella che purtroppo manca.
    Riguardo alle successioni,penso che ,se si abolissero,la norma verrebbe aggirata con le donazioni e il divario fra più ricchi e meno ricchi ,o meglio, ricchi per merito proprio o per merito di altri, non si potrebbe eliminare.
    Un saluto.Scusa se sono sempre critica,sarà che ho perso le speranze.

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  3. @Silvano
    Diciamo che dovremmo fare i passi necessari uno alla volta:
    1) Immaginare una società ideale
    2) Immaginare come arrivarci
    3) Immaginare come non farla degenerare.
    Io stavo affrontando il primo punto e osservavo come il non prevedere la proprietà privata dei mezzi di produzione sia una condizione non necessaria. Questo implica l'ammettere che nessuno obbliga gli uomini ad avere uguali capacità economiche perchè non ho mai creduto che gli uomini siano eguali, come recitato dall'Illuminismo, che poi per secoli passa il tempo a ridefinire questo concetto di uguaglianza. Credo piuttosto al concetto di fratellanza, che implica concetti come uguale dignità, uguali opportunità e robetta così che non è però mai stata attuata, guarda un po'!
    Tu affronti il punto tre, che ovviamente è un punto estremamente critico. In linea di principio, io penso ad una società in cui il potere sia distribuito ed impersonale nello stesso tempo. Quando penso alla pianificazione, non la immagino come se il compagno Stalin deve stabilire il piano quinquennale per creare l'industria pesante in un paese che non l'ha mai avuta. Credo a strumenti di democrazia diretta che servano a costruire una decisione che una volta assunta sia vincolante per tutti. E' chiaro che non ho ancora un'idea chiara della struttura istituzionale che dovrebbe supportare e garantire tale potere diffuso: non ne avrei neanche le competenze giuridiche richieste. Penso comunque a compiti e reponsabilità decisionali limitati nel tempo e nello spazio, un po' come avviene già oggi per i magistrati: svolgono un compito che si riferisce a uno specifico distretto e possono essere spostati anche di sede. Magari, si dovrebbe prevedere un meccanismo automatico che obblighi i vari funzionari a ruotare sia come luogo di assegnazione che come ruolo vero e proprio. Il problema del cristallizzarsi di una burocrazia ce l'ho ben presente, e credo sul punto tre sia il principale problema come tu hai subito osservato. La verità è però che anche in una società di mercato come la nostra, questo mercato non ha mai garantito che non si vengano a costituire isole inamovibili di potere. La tendenza innata dell'uomo a concentrare potere sulla propria persona è un problema irresolvibile in maniera definitiva. L'importante è averne consapevolezza, predisporre quindi strumenti che lo contrastino senza pensare nel contempo di annullarne del tutto gli effetti.

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  4. @Kinnie51
    L'obiezione che tu fai è più che giustificata. Però... proprio tu che hai letto il mio libro, che mi hai citato proprio sullo specifico punto sul tuo blog, sai già che io immagino addirittura di distruggere la struttura sociale chiamata famiglia, proprio per rompere questo legame perverso che porta a situazioni fondamentalmente feudali. Ciò, a sua volta, mi espone a critiche ben più severe, conme le tue e di altri, di quanto sia inumano togliere il compito di crescita ed educazione dei figli ai rispettivi genitori: insomma, le prendo da destra e da sinistra :-D

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  5. Mi ha colpito questa tua idea di" distruggere la struttura sociale chiamata famiglia" già sentita del resto.Quello che mi domando e cosa ci mettiamo al suo posto,forse sono io che non ci arrivo,ma i figli chi dovrebbe crescerli un'istituzione apposita,lo stato.In tal caso vengono i brividi a pensare a cosa ne uscirebbe.Concordo con te che troppa famiglia porta a situazioni di tipo feudale ma nessuna famiglia a cosa porta?

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  6. @Stefania
    Lo so, è dura da accettare, ma già oggi i genitori sono abbastanza distratti dai loro compiti, e affidano i figli alla TV, all'asilo, insomma, non è che oggi la famiglia sia tutta questa struttura educativa, se non vogliamo parlare di una fanta-famiglia che non esiste più!
    Penso proprio a una struttura collettiva, ma mica a un riformatorio. Immagino strutture aperte, dove chiunque possa andare a trascorrere tempo coi piccoli. La molteplicità della società dovrebbe manifestarsi pienamente, senza che una monocultura possa trovare luogo di diffusione in queste strutture. Questo, mi rendo conto, è l'aspetto più controverso di tutto il mio libro, ma vi invito a dimenticare i luoghi comuni che l'idea di orfanotrofio o riformatorio trova nella nostra mente. Qui, si tratta in verità, di immaginare qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che andrebbe elaborato, coinvolgendo il meglio di pedagogisti e anche di sociologi: insomma, le perplessità le condivido, sono anche mie, ma quello che dovremmo evitare è di rifuggire da un'idea di questo tipo, senza prima averla approfondita adeguatamente.

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  7. La teoria marxista secondo cui Y-X=furto ai lavoratori è semplicistica, tuttavia corretta. Il valore delle merci è si dato da molte variabili, tra essi anche tutti i costi di intermediazione che, a mio avviso, sono un vero e prorpio ladrocinio!Esagerati e non motivati.Soprattutto con l'entrata in corsa dell'Euro.

    Per quanto riguarda l'inquinamento ambientale io prrei tasse.Di entità elevatissima...mi pare fosse l'dea di Piguet.

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  8. Invece circa l'eredità la penso come Kinnie51.
    Per ricostruire tutto il sistema economico la moneta dovrebbe svalutare a tal punto da divenire carta straccia e riportare tutti sullo stesso livello...

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  9. @Guernica
    Qui, il problema è più di fondo. Marx sostiene che l'unico valore vero è quello del lavoro necessario per ottenere un oggetto. Il che implicherebbe però che se un imprenditore, per assurdo, mette i propri operai ad intrecciare fili d'erba, le trecce ottenute hanno un valore altissimo. Qui, mi pare, c'è un uso improprio del termine "valore", che non è detto debba essere definito da un mercato, ma che comunque un criterio in qualche modo oggettivo di quantificazione del valore, legato alla sua utilità, dovrebbe esserci.
    Per il resto, l'idea di tasse ambientali, come la "carbon tax" è buona (però si dovrebbe anche pagare qualunque misura una stato prendesse per aumentare il consumo di anidride carbonica). Il problema prioritario rimane, soprattutto in una società ad economia statica, la piena occupazione, ed è questa esigenza che impone la pianificazione in economia.

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  10. molto interessante, da rileggere più volte

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  11. @Andrew
    Grazie dell'interesse che manifesti.

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  12. Si, è per quello che ritengo anche io semplicistica la visione di Marx.
    Improprio l'utilizzo del termine "valore".Tuttavia la tesi, in senso stretto, che si sostiene non è errata, considerando il surplus in valore del prodotto immesso sul mercato.

    Con pianificazione precisamente cosa intendi?
    Che lo Stato dovrebbe stabilire cosa, come, quanto produrre e come distribuire?
    Mantenendo la proprietà dei mezzi di produzione?

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  13. E una questione di priorità. Nel capitalismo l'obiettivo principale, che sta al di sopra di tutto il resto, è quella di fare profitto. E' una sua regola, se non la si rispetta si viene scavalcati e messi ai margini del sistema. Quindi è nel suo DNA che il raggiungimento del profitto sia più importante della tutela ambientale, del rispetto dei lavoratori, del rispetto dei principi morali. In questo senso non esistono capitalisti buoni o capitalisti cattivi. E' il sistema stesso che lo chiede. E rispettarlo è necessario per poter sopravvivere. A riguardo c'è un bellissimo documentario dal titolo "The Corporation" che consiglio a tutti di vedere. Per questo motivo non credo assolutamente che il mercato si possa autogestire Il rispetto delle sue regole ci porterà allo sfacelo. Non piace a nessuno la burocrazia, ma se non vogliamo essere mangiati dai pescecani, ce la dobbiamo far piacere. E regolamentare.

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  14. @Guernica
    La pianificazione andrebbe fatta collettivamente (brutto chiamarla statale, collettiva rende meglio il concetto). Sulla proprietà dei mezzi di produzione, ci sarebbe un sistema misto, come del resto c'è stato in Italia per svariati decenni. Le aziende statali possono garantire il raggiungimento delle finalità della pianificazione, mentre privati si possono inserire in questo quadro purchè stiano all'interno del piano, e quindi con una funzione inevitabilmente gregaria, e dietro apposita autorizzazione.

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  15. @Giudaballerino
    Sono pienamente d'accordo su quello che scrivi. A me interessava però sottolineare come il capitalismo, essendo costruito come una catena di S. Antonio, non può prevedere un livello produttivo costante, perchè inevitabilmente crollerebbe. Ha sempre bisogno di crescere, ma questa crescita è appunto quello che ci porterà all'esaurimento delle risorse naturali, ed infine a collassare, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza dell'umanità.

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  16. Concordo del tutto con la seconda parte.
    Non concordo per nulla sulla prima.
    Non è questa la sede per disquisire sulla teoria del plusvalore e del pluslavoro o sulla caduta tendenziale del saggio del profitto. Io che sono marxista credo nella sua sostanziale validità, tu che non lo sei invece la reputi sbagliata.
    Dico però che la teoria del progressivo impoverimento delle masse a me sembra che proprio in questi ultimi anni si stia rivelando corretta. A parte il fatto che in linea di massima i profitti sono cresciuti molto più che i salari, quindi c'è stato di fatto un impoverimento "relativo" anche se non in termini assoluti dovuto soltanto all'evoluzione straordinaria delle tecnologie e quindi della capacità produttiva. Però ultimamente stiamo assistendo a un impoverimento anche in termini assoluti, cioè non soltanto a paragone con i profitti, ma anche rapportato ai bisogni biologici e sociali dei lavoratori che non riescono più ad essere soddisfatti.

    Il concetto è semplice: bisogna aumentare i profitti e per farlo bisogna ridurre i salari. Questo è quello che sta avvenendo e in questa direzione va l'azione anche a livello politico intrapresa dai vari governi negli ultimi anni(abolizione della scala mobile, precarizzazione del lavoro, destrutturazione della contrattazione nazionale e del ruolo nazionale del sindacato).
    E' vero che nel secolo scorso, fino agli anni 70-80 si è assistito in molti paesi alla crescita dei consumi e quindi anche a quella dei salari. Però adesso questo processo sembra stia finendo e stia iniziando una nuova fase del capitalismo e la crisi ne è il sigillo.
    E' chiaro che la crescita dei consumi può arrivare fino a un certo punto, proprio dal punto di vista economico, perché fino a un certo punto si possono aumentare i salari massimizzando al contempo i profitti.
    E' chiaro che la fase espansiva del capitalismo è terminata. Il problema non è più conquistare nuovi mercati, ma reggere la concorrenza a livello globale, quindi tenere al di sotto di una certa soglia i salari. E' chiaro che abbassando i salari anche i consumi diminuiscono, ma questa è una contraddizione inestricabile del capitalismo che a lungo andare porterà al suo crollo. Per essere concorrenziale il capitalista ha bisogno di tenere bassi i salari, ma d'altra parte ha bisogno di aumentare i consumi per cui i salari non possono rimanere bassi. Queste due tendenze opposte e di eguale forza si scontreranno inevitabilmente e già iniziano a scontrarsi.

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  17. Poi quello che secondo me bisognerebbe mettere in rilievo è il ruolo dei lavoratori poiché è il lavoro è potenzialmente il centro propulsivo del superamento del capitalismo. E' il proletariato l'unico che ha questo interesse, non la borghesia.

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  18. @Matteo
    Conquistare nuovi mercati, o quanto meno nuovi consumatori, è inevitabilmente necessario nel capitalismo. Io ho sempre pensato che l'obiettivo principale del'intervento armato in Iraq fosse, prima ancora dello sfruttamento del petrolio, proprio di aprire un nuovo mercato all'interno dell'area chiave medioorientale. Ancora un avolta sottolineo questo fatto che capisco è tuttaltro che ovvio. Ai capitalisti non interessa per nulla produrre in sè, ma produrre per vendere, e quindi devono necessariamente trovarsi un cliente. Il momento del passaggio di proprietà è proprio quello in cui si registra il controvalore monetario della transazione nel PIL. Chi compra però deve trovarsi il denaro necessario per l'acquisto, e in definitiva tutti questi passaggi di denaro sono quelli che costituiscono l'attività economica. Se questo flusso di denaro per qualsivoglia ragione si interrompe, non è che si ha un rallentamento dell'economia, si genera una crisi economica disastrosa. Ricordo in tempi recenti ciò che successe in Argentina: la paura di perdere i propri soldi depositati in banca, fece fallire le banche, che ovviamente non potevano disporre dei soldi depositati (avendoli dato in prestito, sennò che banca sarebbe?). Il discorso è piuttosto complicato, lo affronto nel libro: qui posso solo accennarlo.

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  19. quando passo da queste parti trovo sempre da imparare. mi ricordo quando cominciai a studiare il marxismo a scuola, l'isegnante ci fece leggere un trafiletto sul plus valore... non ci capii niente.
    un abbraccio

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  20. @Maria Rosaria
    E tu passa spesso :)

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  21. Vincenzo, forse non sono stato abbastanza chiaro nell'esprimere la mia opinione.
    Partiamo con un esempio che ci riguarda da vicino. Questa crisi ha avuto un risvolto finanziario ma alla sua base vi sono, come è stato espresso non da me ma da alcuni economisti, ragioni industriali e direi anche strutturali, che riguardano la natura stessa del capitalismo. Non è stata causata dalla "troppa avidità" questa è una lettura credo molto superficiale che nasconde la vera portata del fenomeno.
    La finanza "malata" si deve al fatto che molti individuo in America vivevano con un tenore di vita al di sopra delle loro effettive possibilità. Perché? perché per fare aumentare i consumi si è dovuto fare pressione sui consumatori per "spremerli" fino all'ultima goccia di sangue. Ora però il reddito dei consumatori non era affatto cresciuto proporzionalmente alle necessità della produzione, ma al contrario era stato tenuto basso. Quindi se si consumava bisognava indebitarsi. Allora si sono inventati appositi prodotti finanziari che hanno permesso di rinviare i debiti di ognuno in modo da permettergli di continuare ad acquistare case (o quello che è). Naturalmente arriva un certo punto in cui i nodi vengono al pettine e allora si ha una crisi.
    Quindi l'origine di questa crisi, e io credo di tutte le altre crisi future via via sempre più disastrose, è la tensione esercitata da due forze opposte: da una parte la necessità del sistema produttivo di aumentare indefinitamente i consumi, dall'altra l'esigenza del sistema di tenere bassi i salari e i redditi da lavoro per massimizzare i profitti. Queste due esigenze sono incompatibili, l'una esclude l'altra, come si vede facilmente. E questa è una contraddizione irrisolvibile del capitalismo se non col superamento dello stesso.

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  22. @Matteo
    Eppure, c'è ancora un aspetto su cui non posso concordare. Tu continui a sostenere in definitiva la teoria del progressivo impoverimento, ma lo fai contro ogni evidenza sperimentale: è da centocinquanta anni che Marx e i suoi seguaci attendono, ma inutilmente. Potrei banalmente dire che un capitalista intelligente riesce a noderare il profitto che vuole ottenere: ciò è possibile ed è anche avvenuto. Come saprai, il contenimento dei salari è avvenuto con la globalizzazione, confrontandosi cioè con mercati del lavoro di tipo schiavistico, non è certo dipeso da una scelta unilaterale dei capitalisti occidentali. Poichè però aree di esportazione a basso costo come Cina ed India cominciano a divenire anche interessanti mercati di acquisto di merci, visto che comincia ad esserci una certa capacità di spesa, qualche respiro alla domanda mondiale la daranno. Tu insomma aspetti il momento in cui la domanda non potrà più alimentare una crescita della produzione, mentre io penso che, prima di arrivare a quel momento, avremo già fatto fuori ogni risorsa naturale, dove io includo aria, acqua, ogni cosa che è indispensabile alla sopravvivenza. Riassumendo, tu, da buon marxista preconizzi l'autoesaurimento del capitalismo a causa delle proprie insanabili contraddizioni, io invece ho paura che il capitalismo saprà in vari modi sopravvivere alle sue contraddizioni, e che perirà con l'umanità stessa finchè non avrà ingoiato l'intero pianeta.
    Sono due posizioni entrambi rispettabili, ma in ogni caso certo differenti.

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