mercoledì 11 giugno 2014

UN INTERVENTO SU ALCUNI ASPETTI TEORICI DEL PENSIERO POLITICO-FILOSOFICO

Riporto integralmente il commento scritto per un altro blog, sperando che sia comprensibile anche al di fuori dello specifico contesto. 
Qui ho riassunto il nucleo centrale della mia critica al liberalismo e quindi parte dei fondamenti teorici del mio pensiero politico-filosofico...
 
Vedo che alcune tematiche che avevo tentato di suscitare rispetto ad un altro articolo (intitolato "Perchè Renzi è di sinistra"), si sono trasferite qui e così dico la mia anche qui.
Prendo spunto dallo stimolante intervento di Michele Dr, quando egli si chiede se non sia invece possible avere un liberalismo collettivistico (mi scuso per la sintesi probabilmente eccessiva, non sto tentando di distorcere il pensiero di Michele, penso che basterà ai lettori interessati riferirsi direttamente al suo intervento per escludere qualsiasi equivoco in proposito).
La mia risposta alla sua domanda è un no netto ed inequivocabile, a causa dei fondamenti filosofici del liberalismo. Quando parliamo di liberalismo, ci stiamo riferendo ad una complessa teoria politica che conta ormai parecchi secoli di vita, e non è quindi possibile a mio parere partire dall'attualità trascurando ciò che precede, secoli di pensiero liberale che fanno da fondamento a ciò che è apparso più di recente.
Mi vorrei soffermare ancora su questo aspetto storico, perchè ho l'impressione che i liberali diano ormai per scontati i loro fondamenti, costringendo di fatto l'intero dibattito di filosofia politica negli angusti limiti fissati proprio dai fondamenti filosofici del liberalismo. Come è ovvio, se non si ridiscutono più quei fondamenti, di fatto diventa impossibile qualsiasi critica radicale al liberalismo.
Riprendeno il punto sollevato da Michele, vorrei ricordare cosa scrive Locke nel suo "Trattato sul governo". Egli mette al centro della sua attenzione l'uomo naturale, che egli sostiene essere un individuo libero, e una volta che egli entra a far parte di una determinata società le leggi e le regole sociali tendono a ridurne la libertà, creano dei vincoli alle sue scelte. Il punto che mi pare fondamentale è che egli immagina la costituzione della società come un passaggio successivo all'esistenza dell'individuo. Se parliamo dell'individuo fisicamente inteso, la sua sembra una constatazione abbastanza ovvia, ognuno di noi è stato partorito e l'inserimento in un contesto sociale avviene comunque successivamente a questo evento.
Se tuttavia parliamo dell'essere culturale, questa più che una constatazione, costituisce un errore palese, perchè la cultura a cui ci educano ci precede di certo, e cioè è la società a precedere l'esistenza della persona intesa in senso culturale.
L'errore diventa fondamentale perchè la possibilità di scelta non appartiene all'essere naturale ma a quello culturale. L'uomo allo stato selvatico non ha in realtà l'opzione della scelta, non più di quanta ne abbia un gatto a cui noi attribuiamo decisioni dettate da un meccanismo instintuale, nessuno credo si spinga fino a sostenere che un gatto è più libero di un uomo, mi sembrerebbe un modo improprio di usare il termine "libertà". La libertà presuppone la possibilità di scegliere, e la scelta a sua volta presuppone una risposta aperta, e quindi priva di meccanismi automatici, come quelli che attribuiamo all'istinto. Non è un caso che consideriamo un gatto come un essere innocente e attribuiamo le responsabilità soltanto agli uomini adulti, perfino i bambini ne restano fuori.
Se quindi scelta e responsabilità sono esclusive dell'uomo culturale, allora l'ordine cronologico va invertito, in quanto la nostra cultura ci precede, almeno quella che ci impartiscono col processo educativo. E' per questo che, al contrario dei liberali, io credo che la società preceda i singoli individui.
Questo punto viene anche ripreso nell'intervento di Piras che sostiene che noi dobbiamo avere la possibilità, se non danneggiamo gli altri, di comportarci così come siamo. Rispetto a questa frase, ho due motivi di dissenso. L'uno, quello più importante, è che questa nostra essenza individuale semplicemente non esiste, è una creazione dovuta all'errore di prospettiva di cui dicevo, credere che l'individuo preceda la società in cui vive. In principio ci sono singoli individui, ognuno con i propri gusti, i propri convincimenti. In un secondo momento questi singoli individui decidono di dare luogo ad un'aggregazione di tipo sociale. Questa cadenza di eventi è semplicemente inesistente, è appunto un'invenzione del liberalismo e ne costituisce il nucleo ideologico.
L'altro motivo di dissenso sta nel sostenere che io possa fare ciò che voglio se non interagisco con altri. Ma appunto, in una società, interagiamo con gli altri per la stragrande parte dei singoli atti che vanno a costituire la nostra esistenza individuale, e quindi io la considero soltanto una esteticamente pregevole petizione di principio senza effetti pratici sostanziali.

Detto ciò, vorrei aggiungere che ho motivi di dissenso rispetto anche al pensiero comunitarista di cui Taylor costituisce uno degli esempi più importanti.
Ciò che mi sembra sbagliato del pensiero comunitarista è che si tratta di una teoria volontaristica. Essi cioè dicono che una società deve sforzarsi di essere comunitaria, cioè il comunitarismo è in tale tipo di pensiero una scelta deliberata che va compiuta perchè positiva ed augurabile.
Al contrario, io penso che noi siamo comunitari a prescindere, cioè senza bisogno che esprimiamo un'opzione esplicita in tal senso. Penso che la dimensione sociale dell'uomo sia la premessa stessa dell'esistenza delle società, le quali possono esistere soltanto perchè le differenze individuali sono di tipo marginale. A noi possono sembrare gigantesche perchè come membri di questa società la nostra attenzione viene attirata dai conflitti che sorgono proprio a causa di queste differenze di dettaglio, ignorando così quella gran parte di cose che ci accomuna.
Quella che è ormai diventata la mia personale crociata contro il liberalismo non è dovuta al fatto che io ritenga l'individualismo distruttivo rispetto a un comunitarismo costruttivo, ma perchè ritengo estremamente pericoloso lo stesso ignorare la capacità reciproca di condizionamento. Costruiamo delle società liberali a misura di persone libere, e ci ritroviamo a dovere gestire società sostanzialmente omologate. Il pericolo sta appunto nel potere elevatissimo che un determinato individuo può esercitare anche fuori dagli organi istuzionali, soltanto perchè ha i mezzi finanziari e mediatici per determinare i comportamenti collettivi.

Mi fermo qui, scusandomi per la lunghezza del commento, pronto a chiarire i punti che la sintesi a cui mi sono costretto abbiano reso alquanto oscuri.

2 commenti:

  1. Costruiamo delle società liberali a misura di persone libere, e ci ritroviamo a dovere gestire società sostanzialmente omologate.... scrivi
    La libertà dei liberisti è un esercizio possibile solo entro le regole prescrittive dell'assunto di fondo delle loro teorie, ed ovvero che nessuno oltre il cogitante che emerge a sè stesso come Ego può compiere la scelta migliore e più responsabile possibile. In questo senso, ciò che voleva essere possibilità diventa in un battibaleno necessità, ciò che si presupponeva essere arbitrio diventa stretta regola prescrittiva. Questo è il paradosso, e la nevrosi, della modernità e del pensiero moderno così come oggi lo conosciamo e, ahinoi, lo subiamo: siamo liberi di essere ciò che è già prefigurato necessariamente essere. L'impersonalità più alta del personale. Non c'è spazio alle relazioni fra individui e alle possibilità ricombinatorie (parola inesistente ma che qui usiamo per farci intendere) che dalle relazioni, anche a volte conflittuali, vengono a determinarsi quale emergenza del cambiamento reciproco.

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  2. ... e poi, perchè farsi rappresentare e governare da qualcuno che propugna che "sapersi fare bene i fatti propri" è condizione necessaria affinchè la società progredisca? A spese di chi "saprà farsi bene i fatti propri"? A spese della collettività. Ecco perchè non può essersi nessun senso civico nelle politiche liberiste e nessun progresso sociale: perchè tutti sono contro tutti... e più di tutti chi ha il potere e fa di tutto per conservarlo ed accrescerlo, e non redistribuirlo e calmierarlo.
    Quindi, farsi rappresentare da un liberista è antipopolare, è l'atto di eutanasia politica più alto e pernicioso che un popolo può compiere, è un suicidio assistito.

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