martedì 25 ottobre 2011

LA FALSA DEMOCRAZIA DEI TALK SHOWS

Durante il programma “TV talk”, rubrica del sabato pomeriggio, il conduttore di “Piazzapulita”, in risposta a un altro intervento ha testualmente affermato che avere contraddittorio in TV costituisce una forma di democrazia.

E’ una frase che credo riassuma tutto ciò che non va nei talk show politici che abbiamo almeno in Italia (altrove non so).

Qualcuno spieghi a Formigli che le cose sono un po’ più complicate.

Facciamo un esempio. Supponiamo che in una certa comunità si formino tre differenti opinioni, ed a qualcuno una delle tre non garbi completamente. Può naturalmente controbattere in maniera esplicita a questa tesi, ma ciò costa fatica ed è soggetta ad insuccessi. Allora, un metodo furbetto potrebbe essere quello di organizzare un bel dibattito tra i sostenitori delle altre due posizioni.

La furbizia ovviamente consiste nell’individuare nelle due posizioni l’universo delle opzioni possibili. In TV le cose vanno proprio così, pensate ad esempio ad un bel dibattito tra Enrico Letta e la Santanchè. Cosa ci può essere di più democratico di un dibattito tra i rappresentanti dei due maggiori partiti italiani? Eppure, noi sappiamo che questi due individui, lungi dall’esaurire tutte le possibili opzioni politiche, in realtà interpretano due posizioni coincidenti al 95% e proporre un loro dibattito significa costringerci a discutere di quel 5% che li separa, ed ignorare così il restante e preponderante 95% che hanno in comune e che una certa parte di cittadini non condivide.

Ora, il punto è che questo è un problema di carattere generale. Da un esempio abbastanza banale si può già intravedere quanto sia complesso il problema della definizione e della realizzazione di condizioni democratiche.

Ciò è tanto più vero in una società estremamente conformista come la nostra. Se facciamo coincidere la democrazia col dare la parola sia al PDL che al PD, o magari col garantire la parola a tutti i partiti rappresentati in Parlamento, nella realtà facciamo un’operazione di negazione più vera e più radicale di democrazia nel momento in cui escludiamo dall’universo delle opinioni possibili quelle che non hanno già rappresentanza in parlamento.

E’ l’impostazione preferita da Ballarò, che anzi è proprio costruita sulla divisione in due campi avversi dei partecipanti al dibattito. Poco importa a quel punto che questi si collochino fuori dai partiti, il farli sedere a destra o sinistra già li etichetta e in qualche misura li costringe a schierarsi da una parte. Tutto il dibattito è appunto costruito sulla contrapposizione, su un clima in definitiva da stadio: o sei romanista o sei laziale.

Chi è più anziano ricorderà uno dei primi programmi condotto da quel furbastro di Gianfranco Funari, che divideva il pubblico in due schieramenti contrapposti, e quindi verrebbe da dire nulla di nuovo, il clima da stadio piace.

In parte, anche Annozero seguiva uno schema analogo. Sappiamo che anche la legislazione sulla “par condicio” ha influenzato le scelte dei conduttori, e si tratta in effetti di una trappola terribile.

Ciò che comunque dovrebbe essere chiaro a tutti, è che la scelta di un gruppo di ospiti che non possono che essere in numero molto limitato, risulta sempre limitativa delle opinioni possibili e che per chi non partecipa, l’esistenza di un dibattito tra posizioni differenti è la situazione peggiore possibile in quanto nulla è più efficace nel mortificare una certa opinione che l’essere completamente ignorata.

Ora, questi talk shows finiscono sempre più per somigliare ad un teatrino, in cui i protagonisti recitano una loro parte. Anzi, siamo in piena commedia dell’arte, ognuno impersona una maschera, chi Arlecchino, chi Pantalone, e ciò richiede che i personaggi invitati siano sempre gli stessi, o meglio vengano pescati da un insieme ben delimitato, che sapientemente comprende parlamentari, esperti a vario titolo, giornalisti, polemisti e personaggi televisivi.

Così, capita abbastanza spesso che un conduttore di talk show partecipi ad un altro talk show come invitato, in un meccanismo di specchi che riflettono lo stesso oggetto, moltiplicandone a piacimento le relative immagini.

Siamo quindi in un circolo autoreferenziale che oggettivamente si impone al pubblico come una totalità. Come chiunque di noi finisce col frequentare più o meno sempre le stesse persone, parenti ed amici che si rinnovano lentamente, così la TV si presenta come un circolo chiuso che comprenderà un numero non molto maggiore di cento personaggi che si danno il cambio anche con funzioni diverse, una volta magari conduttor,e un altro invitato.

Devo dare atto a Gad Lerner che il suo programma costituisce comunque un’eccezione, visto che il ricambio di ospiti è in qualche misura assicurato, molto più che in qualsiasi altro programma.

Rimane da capire perché i conduttori insistino tanto sulle stesse persone, quando è facile anche sul web pescare le opinioni più disparate, a volte ben argomentate. Il nome noto aumenta l’audience forse, ma dubito che questo sia l’unico motivo di questo insistere sugli stessi personaggi. Sospetto che essi subiscano robuste pressioni dai loro editori, ma forse anche questa spiegazione è parziale.

In questa situazione, mi sembrerebbe più democratico, non me ne voglia Formigli, al contrario far sentire una voce per volta. Se un conduttore intervista un unico personaggio, la situazione di parzialità è palese, una persona non può rappresentare da sola un universo di opinioni, al prossimo appuntamento, ci sarà una voce differente. Naturalmente, in questo tipo di programma, il ruolo del conduttore sarebbe fondamentale, perché starebbe a lui mettere alle stretta l’intervistato, non consentirgli di fare comizi, ma sarebbe lo stesso conduttore a fare da contraddittorio, inteso però non come l’altra posizione possibile, un’evidente sciocchezza, ma come una verifica della validità delle argomentazioni avanzate dall’intervistato, e quindi tutt’altro rispetto alle interviste di quel tartufo di Fabio Fazio.

Chissà se qualche editore TV se la sentirebbe di fare una rubrica giornaliera di durata inferiore ad un’ora, consistente appunto in un’intervista ad un personaggio non noto che abbia qualcosa di originale da proporre.

7 commenti:

  1. non guardando mai la tv non so che rispondere ma se le cose stanno così, mi trovi pienamente d'accordo con quello che scrivi

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  2. C'è più democrazia e dibattito nel caos informativo dei blog che non nei dibattiti televisivi. Ma intanto questi dibattiti credo che vengano seguiti da tanti e il danno è enorme. I nostri politici si precipitano appena sanno di essere invitati, sono consci che la politica si fa in buona parte con questo teatrino. Concordo con te; schiacciano le altre idee e anche i ragionamenti riflessivi e riducono tutto a stupide contese.

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  3. Diciamo che hai acceso la luce in una stanza in penombra . I talk shows sono guidati sin dai minimi particolari: dalle inquadrature, al contraddittorio. Ballarò mi mette disagio e gli unici che ascolto veramente sono i professori universitari che qualche volta sono invitati a dare pareri tecnici. Più che altro i politici si pongono come degli attori più o meno capaci di parlare, di vivere la contesa, di duellare. Una scena ricorrente che mi è rimasta impressa è stata quella con Rosi Bindi . Ad anno zero, appena scoppiata lo scandalo Ruby disse : vedrete cosa faremo, basta parole, ci saranno sorprese. Dopo sei mesi a ballarò disse: Vedrete cosa faremo. Non staremo con le mani in mano, Ci saranno sorprese

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  4. @Zefirina
    Che dirti, complimenti, nell'ignorare la TV c'è solo da guadagnarci.

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  5. @Francesco
    Del resto, lo stesso nome ne sottolinea il valore eminentemente spettacolare...

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  6. @Antonella
    Bentornata!
    La Bindi è una che ci marcia in questi show.
    Eppure, a me sembra un amezza nullità, come del resto un po' tutti i dirigenti del PD...

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