Le grandi manovre sono già iniziate.
Mentre proprio nel cuore stesso del centrodestra si svolge un’aspra lotta che attraversa sia la Lega che il PDL, ed analoghi sommovimenti sono osservabili anche all’interno del PD, si inizia alla grande l’operazione di creare un cordone sanitario tra questo mondo dei politicanti in scomposta agitazione nel sentire un certo fetore mortuario proveniente dal vecchio leader sempre più in difficoltà, e il resto del paese.
La grande stampa inizia così a mettere in campo i suoi pezzi più prestigiosi, e chi può fare questo gioco sporco meglio di famosi politologi?
Il popolo, l’insieme dei cittadini, deve stare al suo posto, esprimere la propria volontà nei modi che gli esperti stabiliscono essere leciti.
Già circa un anno fa, a seguito delle manifestazioni studentesche che diedero luogo anche ad incidenti, ci fu Saviano a cui evidentemente il successo deve aver dato alla testa, a spiegare agli studenti l’etichetta delle manifestazioni di piazza, cosa si può fare e cosa non si può fare, il politically correct assunto anche a norma di comportamento degli scontri sociali.
Vabbè, Saviano è giovane ed anche simpatico, e gli si può perdonare queste strambe prese di posizione.
Adesso invece sono le corazzate a muoversi, e la tenaglia si stringe attorno ai movimenti attraverso le parole d’ordine del populismo e dell’antipolitica.
Di populismo orizzontale parla la Urbinati, con un chiaro scivolamento semantico di un termine già di per sé ambiguo, e da lei allargato in maniera tale da includere praticamente tutti i movimenti di base, tutto il campo della politica che si manifesti fuori dalle sedi istituzionali.
Questa politologa concepisce la democrazia come un sistema in cui la rappresentanza attraverso partiti e parlamento dovrebbe costituire l’universo politico. Il problema sarebbe quindi quello di perfezionare i meccanismi istituzionali di rappresentanza, e bandendo appunto come pericolo populista qualsiasi partecipazione politica diretta dei cittadini.
A me invece sembra che la democrazia debba essere intesa in maniera dinamica, che essa si possa davvero esplicare solo come equilibrio tra strutture istituzionali e partecipazione diretta dei cittadini in forme che non richiedono una loro normazione, come il riflesso dello scontro politico correttamente inteso, e le cui forme e dinamiche nessuno può preventivamente determinare.
L’altro punto di attacco è quello a partire dalla riesumazione del termine “antipolitica”, che io ricordo fu ripetutamente utilizzato in primis dalla Mafai a proposito di Grillo.
Adesso, è il politologo Galli che lo riprende in un abile articolo in cui l’autore afferma e poi si contraddice, apparentemente quindi adotta più punti di vista tra loro perfino alternativi, ma il risultato così ottenuto è quello comunque di riportare nel dibattito politico questo termine.
Le parole, si dice, sono pietre, intendendo così che hanno un impatto profondo nella nostra vita.
E’ per questo che il linguaggio deve essere attentamente sorvegliato, come vanno sorvegliati i neologismi ed anche i termini ripescati da epoche differenti.
Ho scritto del termine “omofono” che non si sa cosa voglia significare, e qui un discorso analogo devo fare a proposito del termine antipolitica.
L’uomo come essere sociale è inevitabilmente politico. Qualunque sia la politica che porta avanti, essa va considerata nei suoi concreti contenuti. A nessuno dovrebbe essere consentito di ergersi a proprietario del termine politica, e che quindi sia titolato a stabilire chi fa politica e chi fa antipolitica.
Tacciare una certa posizione politica come antipolitica è un atto che oggettivamente mette a rischio la libertà politica stessa, la facoltà che a tutti dovrebbe essere concessa di esprimere le proprie opinione e di operare conseguentemente. E’ un modo per impedire un sereno confronto basato su opposte argomentazioni, è un modo insomma per eliminare dal dibattito preliminarmente, cioè senza entrare nel merito, le opinioni altrui.
Vorrei dire a Galli che nessuna delle fattispecie che egli elenca è davvero antipolitica, neanche quella della rinuncia che egli cita inizialmente: anch’essa, nel rifiutarsi alla partecipazione è politica, almeno nel senso di influenzare il pensiero altrui. Anche chi volontariamente si rifiutasse alla politica, in quanto membro dell’umanità, non riuscirebbe ad evitare di togliere incisività al proprio comportamento.
A fronte di questi interventi teorici di politologi, ci tocca sentire ciò che dicono i nostri rappresentanti (sic!). Sabato mattina la Lanzillotto aggiungeva il suo personale contributo alla vanificazione del risultato del referendum sull’acqua. E’ penoso vedere queste nullità, nominate dal loro stesso ceto di politicanti, disquisire su come gli elettori non abbiano capito, di come non capiscano da sé, e di come sono i partiti che devono guidare i cittadini verso la giusta via. E tutto questo per giustificare la richiesta pressante di liberalizzazioni.
A questo genio, non passa per la testa quanto ci sia di politico nel definire i cosiddetti beni comuni e nel loro affidamento a una dimensione pubblica. Tutta presa da ciò che le è stato dettato o dai suoi capi o dai lobbisti di turno, pretende che tutti siano prede del pensiero unico: tanto più incapaci e privi di autonomia intellettuale, tanto più arroganti verso i cittadini.
Ti condivido in pieno. E' come se oltre a dover devolvere il potere politico a persone che con il voto scegliamo ( o dovremmo realmene poter scegliere) fossimo anche obbligati a protestare secondo i canoni che decidono loro e decidere chi ci rappresenta tra un ventaglio di papabili tirati su dalle "corazzate" di cui tu scrivi giustamente nel post. Su Saviano oramai c'é da passare oltre purtroppo, e da tempo...
RispondiEliminaragazzo buona giornata, stavo leggendo il tuo post ed è molto interessante dal mio punto di vista personale sul tema si parla qui, ma vi consiglio di inserire alcune foto nel post
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