venerdì 28 ottobre 2011

DEL PARTITO EUROPEO, DI BERLUSCONI E DEI NOSTRI GUAI

Da un po’ di tempo mi trovo nella scomoda situazione di sfatare un’opinione che non esito a considerare perfino assurda, secondo cui da una parte ci sta Berlusconi e dall’altra l’Europa. Secondo costoro, l’imprenditore brianzolo che ci troviamo ancora tra i piedi, è la fonte di tutti i problemi che abbiamo in Italia, a fronte di un’Europa virtuosa che il cattivone che ci governa ci impedisce di fare.

In effetti, la presenza di Berlusconi costituisce più che una fonte di grande aggravamento del danno, un ingombro, un impiccio a una visione più trasparente della situazione.

Vorrei così proporre uno sguardo che ai puri fini di una maggiore chiarificazione, prescinda dal nostro premier, faccia cioè finta che il tanto auspicato suo abbandono della politica sia già avvenuto. Di fatto, Berlusconi è già cotto a puntino, e molti dei suoi lo abbandonerebbero se solo ci fosse una reale alternativa, così che la questione della sua uscita di scena sembra per molti aspetti solo una questione di tempo.

Il vero partito che avanza in Italia è quello europeo, nel senso dell’establishment europeo. I più influenti componenti italiani di questo circolo esclusivo sono Napolitano, Draghi, Letta, Casini, forse D’Alema, un po’ in sofferenza ultimamente,e costoro sono seguiti fedelmente da uno stuolo di subalterni pronti a tutto pur di compiacerli.

Ormai le vicende legate alla tempesta finanziaria che si è scatenata sull’Italia si sono chiarite.

Esse mostrano impietosamente la pochezza di questa classe dirigente europea. Ad esempio, la vicenda della lettera della BCE al governo italiano è di una gravità inaudita.

Premettiamo che per statuto, la BCE è tenuta a dare pubblicità a tutti gli atti formali che essa compie. Ebbene, la lettera è stata a lungo tenuta segreta. A richiesta, Trichet dichiarò che la BCE aveva mantenuto la segretezza per esigenze interne italiane. Ora sappiamo che si tratta di una menzogna, era la stessa BCE che non voleva fare sapere di avere richiesto una nuova legislazione del lavoro. Che un funzionario di altissimo livello, che non dovrebbe avere competenze politiche, e la cui autonomia viene preservata accuratamente mediante un’apposita normativa, non abbia neanche il coraggio di dire la verità, è illuminante sulla statura di questa classe dirigente, ormai ridotta a dire le bugie per mantenersi a galla.

Se andiamo adesso agli eventi più recenti, è altrettanto sconfortante constatare come questi politici europei che avrebbero lanciato chissà che ultimatum, alla fine si contentino semplicemente di una lettera d’intenti, un nulla travestito da niente, una quisquilia. Dalle solite indiscrezioni, sappiamo qualche dettaglio in più. Quando berlusconi ha mostrato una prima versione della lettera a Napolitano, qualcosa è successo che ha costretto Gianni Letta a modificarla. Qualcuno potrebbe supporre che Napolitano si sia consultato con Draghi, Trichet, forse la stessa Merkel, e tutti assieme costoro abbiano deciso di imporre a Berlusconi quella norma sui licenziamenti che adesso tanti problemi sta creando al governo.

Allora, se togliamo di mezzo il giullare nostrano che crea soltanto confusione nella mente della gente, appare una realtà evidente, l’establishment finanziario globale in versione europea non fa che seguire le orme degli USA, fa le stesse cose ma a scoppio ritardato, con i danni connessi a tale ritardo.

Essi insomma si muovono su due piani: da una parte, agitano la crisi come spauracchio per diminuire il reddito dei più poveri, per ridurne le garanzie in tema di condizioni di lavoro dall’altra, stampano banconote, cioè seguitano a praticare la stessa politica che ha portato allo scoppio della crisi finanziaria. E’ una ricetta che anch’essi sanno che non potrà essere risolutiva, ma che importa? Il fine vero è quello di galleggiare ancora per un po’, garantendosi i propri stipendi e le propria ricchezze, ed ognuno di costoro spera evidentemente di sfilarsi giusto in tempo prima del big bang, del grande scoppio, quello che inevitabilmente arriverà tra alcuni anni, neanche tanti in verità, e a cui non ci sarà alcuna soluzione, improvvisamente tutti con titoli e probabilmente banconote che saranno carta straccia, come nella repubblica di Weimar, dove occorrevano le carriole per trasportare le banconote e dove il prezzo del pranzo al ristorante cresceva durante la consumazione.

Se le cose stanno così, e non capisco come si possa sostenere il contrario, qui la divisione non può più basarsi su Berlusconi, questa è una divisione per allocchi, la divisione si deve per forza basare su chi ammette che un sistema è fallito e decide di cambiare completamente sistema prima che il big bang ci travolga miseramente, e chi invece minimizza, propone politiche di lacrime e sangue alla fine delle quali ci sarà comunque il tracollo che, allo stato degli atti, è inevitabile, facciamocene una ragione.

Meglio, molto meglio, abbandonare il tavolo di questa bisca dove ci siamo seduti, che rimanerci ancora con la pretesa assurda che ci rifaremo. Ce ne andremo con molti meno soldi di quanto ne avevamo quando siamo entrati, ma comunque qualcosa ci sarà rimasta in tasca.

Abbandonare la bisca, significa uscire dai mercati finanziari globalizzati, dare default, trovare un modo di limitare i danni alle persone restituendo quel che si può ai detentori di titoli del nostro stato, adottare politiche protezionistiche, e pagare le materie prime, nella misura strettamente necessaria, tramite risparmio energetico e riciclo dei materiali (in primis i metalli), mediante le risorse del turismo di alto livello, e dell’alta moda, il lusso non muore mai.

Vogliamo sentire dai partiti che intendono proporsi alle prossime elezioni cosa pensano di queste cose, anzi come essi si schierano, se predicano un'austerity senza sbocchi positivi, o accettano di rischiare verso un mondo davvero differente.

1 commento:

  1. Condivido in pieno questa analisi, prima si affronta il default e meglio è.

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