Vorrei fare alcune considerazioni sul caso di Eluana, la donna in coma ormai da 17 anni.
La prima osservazione riguarda il merito della questione. Ho letto che chi si schiera per il suo mantenimento in vita, sostiene che non si tratta di interrompere una terapia, ma piuttosto l'alimentazione, e argomenta che, pertanto, se non si alimenta una persona, la si sta di fatto uccidendo.
Nel mio libro, che poi da’ il titolo a questo blog, ho dedicato un capitolo alla bioetica. Lì sostengo un punto che non mi pare molto frequentato nei commenti sulla vicenda che affollano i mass media. Dico che lo sviluppo tecnologico ci porta a disporre di mezzi sempre più raffinati ed efficaci anche in medicina. Qui non si tratta di decidere e dividerci tra chi parla di terapia e chi di alimentazione, ma di riflettere sul fatto che il tipo di trattamento a cui possiamo sottoporre chi si trova in stato di coma è il frutto abbastanza casuale di un certo sviluppo tecnologico. Ciò, d’altra parte che oggi si può fare, ieri non lo si poteva fare. Che importa a questo punto chiamarla terapia o alimentazione? Non possiamo nasconderci dietro un dito, ed equiparare la soluzione fisiologica che viene iniettata in vena ad Eluana al bicchiere d’acqua che non va rifiutato a chiunque ne abbia bisogno. L’alimentazione per via endovenosa non era possibile fino ad alcuni decenni fa. Allora, ci si dovrebbe chiedere: come possiamo affidare a uno sviluppo tecnologico che non controlliamo, ma che subiamo, lo stabilire i confini della vita? La categoria che ad esempio la chiesa cattolica utilizza del massimo prolungamento della vita, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, anche contro la volontà contraria consapevolmente espressa dall’interessato, non somiglia al mito di Faust, non dovrebbe apparire come una bestemmia, come una violazione di una legge naturale a cui siamo sottoposti per il fatto stesso di essere nati? La natura è saggia, l’uomo purtroppo raramente. La natura non prende in considerazione lo stato di coma irreversibile, quello stato che stentiamo a decidere se appartiene alla morte o alla vita. Il problema di Eluana è un problema della contemporaneità, in natura questo problema non esiste: esso esiste perché l’attività antropica dell’uomo ha predisposto dei mezzi che permettono questo stato che non sentiamo come umano, come nostro. Non sappiamo cioè, nessuno sa, come si possa definire uno stato con un cuore che batte e l’attività elettrica cerebrale totalmente assente. In altre parole, si potrebbe dire che qui il problema sta in uno sviluppo tecnologico che non controlliamo, e che quindi chi tiene a rispettare la nostra natura, e la Chiesa ne dovrebbe teoricamente far parte, dovrebbe evitare di creare queste situazioni così lontane da ciò che abbiamo da sempre considerato umane.
Mi vorrei ora soffermare su un altro aspetto che la vicenda porta con sé. Riguarda la profonda carenza di senso dello stato nella nostra società che questa vicenda manifesta. Partirei dalla mozione approvata in Parlamento qualche mese fa a questo proposito. Il Parlamento rivendicava le proprie competenze in materia, nei confronti di una magistratura che, secondo la mozione, la magistratura si arrogava a torto. Ma vorrei chiedere a questi nostri rappresentanti (sigh!): chi vi ha impedito di legiferare in materia? C’è un altro potere dello stato che vi ha impedito di svolgere l’attività legislativa che siete chiamati a svolgere? Siamo in pieno paradosso, un organo accusa altri delle proprie negligenze, siamo davvero alla frutta! I magistrati non possono esentarsi dal dare una risposta, se interrogati, ed accusarli di invadere un campo altrui è insensato, viola qualsiasi dimensione logica delle argomentazioni. I cattolici poi si sono scatenati in una campagna, che non esiterei a definire infame, contro l’esecuzione di una sentenza confermata in tutti i gradi di giudizio, non disdegnando di usare dei vocaboli roboanti, e, come dice Adriano Sofri in un articolo che appare oggi, svuotandone il senso: io sono d’accordo con lui. Davvero, con questa classe dirigente, con questa Chiesa, la situazione della nostra società è pressoché disperata.
La prima osservazione riguarda il merito della questione. Ho letto che chi si schiera per il suo mantenimento in vita, sostiene che non si tratta di interrompere una terapia, ma piuttosto l'alimentazione, e argomenta che, pertanto, se non si alimenta una persona, la si sta di fatto uccidendo.
Nel mio libro, che poi da’ il titolo a questo blog, ho dedicato un capitolo alla bioetica. Lì sostengo un punto che non mi pare molto frequentato nei commenti sulla vicenda che affollano i mass media. Dico che lo sviluppo tecnologico ci porta a disporre di mezzi sempre più raffinati ed efficaci anche in medicina. Qui non si tratta di decidere e dividerci tra chi parla di terapia e chi di alimentazione, ma di riflettere sul fatto che il tipo di trattamento a cui possiamo sottoporre chi si trova in stato di coma è il frutto abbastanza casuale di un certo sviluppo tecnologico. Ciò, d’altra parte che oggi si può fare, ieri non lo si poteva fare. Che importa a questo punto chiamarla terapia o alimentazione? Non possiamo nasconderci dietro un dito, ed equiparare la soluzione fisiologica che viene iniettata in vena ad Eluana al bicchiere d’acqua che non va rifiutato a chiunque ne abbia bisogno. L’alimentazione per via endovenosa non era possibile fino ad alcuni decenni fa. Allora, ci si dovrebbe chiedere: come possiamo affidare a uno sviluppo tecnologico che non controlliamo, ma che subiamo, lo stabilire i confini della vita? La categoria che ad esempio la chiesa cattolica utilizza del massimo prolungamento della vita, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, anche contro la volontà contraria consapevolmente espressa dall’interessato, non somiglia al mito di Faust, non dovrebbe apparire come una bestemmia, come una violazione di una legge naturale a cui siamo sottoposti per il fatto stesso di essere nati? La natura è saggia, l’uomo purtroppo raramente. La natura non prende in considerazione lo stato di coma irreversibile, quello stato che stentiamo a decidere se appartiene alla morte o alla vita. Il problema di Eluana è un problema della contemporaneità, in natura questo problema non esiste: esso esiste perché l’attività antropica dell’uomo ha predisposto dei mezzi che permettono questo stato che non sentiamo come umano, come nostro. Non sappiamo cioè, nessuno sa, come si possa definire uno stato con un cuore che batte e l’attività elettrica cerebrale totalmente assente. In altre parole, si potrebbe dire che qui il problema sta in uno sviluppo tecnologico che non controlliamo, e che quindi chi tiene a rispettare la nostra natura, e la Chiesa ne dovrebbe teoricamente far parte, dovrebbe evitare di creare queste situazioni così lontane da ciò che abbiamo da sempre considerato umane.
Mi vorrei ora soffermare su un altro aspetto che la vicenda porta con sé. Riguarda la profonda carenza di senso dello stato nella nostra società che questa vicenda manifesta. Partirei dalla mozione approvata in Parlamento qualche mese fa a questo proposito. Il Parlamento rivendicava le proprie competenze in materia, nei confronti di una magistratura che, secondo la mozione, la magistratura si arrogava a torto. Ma vorrei chiedere a questi nostri rappresentanti (sigh!): chi vi ha impedito di legiferare in materia? C’è un altro potere dello stato che vi ha impedito di svolgere l’attività legislativa che siete chiamati a svolgere? Siamo in pieno paradosso, un organo accusa altri delle proprie negligenze, siamo davvero alla frutta! I magistrati non possono esentarsi dal dare una risposta, se interrogati, ed accusarli di invadere un campo altrui è insensato, viola qualsiasi dimensione logica delle argomentazioni. I cattolici poi si sono scatenati in una campagna, che non esiterei a definire infame, contro l’esecuzione di una sentenza confermata in tutti i gradi di giudizio, non disdegnando di usare dei vocaboli roboanti, e, come dice Adriano Sofri in un articolo che appare oggi, svuotandone il senso: io sono d’accordo con lui. Davvero, con questa classe dirigente, con questa Chiesa, la situazione della nostra società è pressoché disperata.
complimenti per la lucida intelligenza con cui hai affrontato sia la questione (fondamentale!) dello sviluppo tecnologico incontrollato e dei confini con la violazione della legge naturale (che dovrebbe in effetti essere la VERA preoccupazione dei religiosi) sia quella delle vergognose carenze e arretratezze legislative.
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