martedì 17 febbraio 2009

SULLE ELEZIONI IN SARDEGNA

L’esito delle elezioni in Sardegna costituisce un evento politicamente molto rilevante. In sostanza, si conferma la predominanza della destra, mentre il declino della sinistra si conferma aldilà di ogni più fosca previsione. E’ interessante verificare le modalità con cui ciò è avvenuto: partecipazione al voto in declino, grande quantità di voti non espressi (schede bianche e nulle), come pure risulta interessante considerare chi è stato eletto, un politico pressoché ignoto, e infine il fatto che lo sconfitto non potesse essere considerato un uomo della nomenclatura politica del PD, si può dire di tutto su Soru, ma non v’è alcun dubbio che sia un uomo con un suo proprio profilo politico. Quindi, la sconfitta della sinistra è avvenuta nelle condizioni potenzialmente a lei più favorevoli. Io interpreto l’esito del voto come il proseguo di una crescente disaffezione verso i politici da parte degli elettori, come anche testimoniato dalla scarsa partecipazione al voto. A sinistra, mi pare che l’influenza prevalente sia stata dettata dalla critica al quartier generale: in sostanza, a mio parere, Soru ha pagato il prezzo dell’insoddisfazione per la politica del PD a livello nazionale. A destra invece, gli elettori sembrano di stomaco buono, non vanno tanto per il sottile, la faccia di Berlusconi, evidentemente, paga ancora, malgrado tutto, aggiungerei io. Come dice Veltroni, è nella, crisi che si cambia, ed evidentemente sarebbe il caso di cambiare molte cose a sinistra, Veltroni incluso, naturalmente. Purtroppo, c’è una classe politica a sinistra, da una parte ben puntellata all’interno di una solida trama di potere, estesa anche ad altri poteri dello stato e della finanza, dall’altra, com’è ovvio, per niente disposta a suicidarsi. Ci vorrebbe una capacità organizzativa dei dissensi che si manifestano nella società, e proprio tra gli elettori della sinistra in prevalenza. Invece, vedo tante brave e generose persone impegnate nel sociale su tante iniziative, alcune davvero da incoraggiare, ma senza una capacità di incidere, perché per incidere si paga un prezzo enorme. In fondo, per cambiare la politica, si dovrà almeno provvisoriamente utilizzarne alcuni dei suoi mezzi, che a molti di noi fanno schifo. Qualcuno però, magari indossando dei solidi guanti, questa robaccia che infetta la nostra società, dovrà toglierla. Secondo me, spetterà a giovani, quelli che più pagano il marcio che sta in giro, e che, potenzialmente, dovrebbero avere più energie e più resistenza per tale ardito compito.

2 commenti:

  1. Condivido anche se resto perplesso sul fatto che spetta ai giovani tentare il cambiamento. La stragrande maggioranza di essi non mi pare su posizioni rivoluzionarie anche se qua e là noto posizioni di decisa frattura di alcuni giovani con quanto esprime la cosiddetta "sinistra del pd". Ma non sono come quei giovani del 68 che autonomamente decisero il grande "scavalco a sinistra"; per arrivare a ciò sarebbe determinante che molti adulti dessero il buon esempio.

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  2. Molto più di buoni esempi. Il lavoro dev'essere di squadra, e certo l'esperienza serve. Dicevo solo che bisogna dividersi i ruoli. Ai giovani credo andrebbero quei ruoli più pubblicamente esposti, ai "vecchi" l'azione dietro le quinte. Se uno come me non ha per decenni svolto attività politica se non nel proprio lavoro, qualcosa significherà. Se poi ci fosse qualcuno che l'avesse svolta, tanto peggio: ci vogliono nomi nuovi.

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