Stavolta parliamo di Università, che tra l’altro è il mio luogo di lavoro. In un post certo non è possibile trattare esaurientemente l’argomento. Vorrei però dire qualche cosa chiara in proposito.
La stampa, soprattutto di destra, ha condotto un’aspra campagna su comportamenti viziosi nell’Università, suscitando le reazioni indignate degli operatori dell’Università. Io dico: è vero o no che esista un problema di nepotismo all’Università? Sì, non possiamo certo negarlo. E’ vero che l’organizzazione della didattica risente di un punto di vista di parte dei docenti? E’ vero, neanche questo si può obiettivamente negare. E’ vero che ci sono state nel decennio passato troppe promozioni, e che oggi abbiamo all’Università una specie di piramide capovolta, stretta alla base e larga al vertice? Anche questo è innegabile.
Da cosa dipende questa situazione? Certamente la causa prima e più importante è costituita dalle decisioni assunte dal legislatore, in particolare per quanto riguarda le promozioni. Con i concorsi indetti da una legge del 1998, si stabiliva la famigerata ternatura. Si stabiliva cioè che, a fronte di un posto da ricoprire, la commissione di concorso dovesse indicare una terna di vincitori. Questo meccanismo è famigerato, perché innesca un processo di scambio: tu impegni una certa somma e indici un concorso, terni uno dei miei e io, a mio volta, indico un concorso e ti permetto di avere un altro promosso. In sostanza, con il badget di due posti, se ne potevano chiamare sei.
Per il resto, direi che la responsabilità maggiore è tutta del mondo accademico, perché il nepotismo si attua dirigendo in maniera falsata i concorsi.
Detto questo, rimane tutto intero il problema dell’Università, nel senso che stiamo parlando di una struttura vitale per una società. Quando la Gelmini afferma di tagliare i fondi per l’Università per eliminare gli sprechi, dice le bugie. I fattori di spreco sono già operanti nell’Università. Se ho promosso a professore ordinario uno che non lo merita, il Ministro o riesce a farlo dimettere, oppure tagliando semplicemente i fondi, non elimina per niente il problema. L’Italia già spende per il settore dell’istruzione superiore e per la ricerca molto meno di paesi con economie confrontabili alle nostre: meno, anzi di parecchio.
Quindi, se il governo dice che taglia i fondi perché ci sono stati sprechi, è come dire che, poiché l’Università sta male, tanto vale ucciderla del tutto!
Vogliamo allora chiarire un concetto che mi pare fondamentale, e che mi pare dimentichino sia il governo, che, su versanti opposti, i miei colleghi? L’Università è un bene di tutta la nazione, e dovrebbe essere cura massima di chi governa renderla migliore possibile. E’ della nazione, e non di chi ci lavora, o almeno non solo di chi ci lavora. Io credo che in molti casi gli operatori dell’Università si siamo comportati come se l’Università dove lavorano fosse un loro bene personale. Del resto, il processo di autonomizzazione delle Università, iniziato negli anni novanta, ha obiettivamente favorito una visione particolare da parte di quegli stessi che le leggi indicavano come coloro che dovevano progressivamente andare a gestire l’Università. Oggi, la legge assegna quasi tutte le decisioni alle singole Università, salvo ovviamente il punto fondamentale: le entrate, che provengono tuttora quasi esclusivamente dallo Stato.
Nella mente del legislatore, ciò doveva favorire un virtuoso processo di sana competizione tra i differenti Atenei, inducendo quindi un processo di miglioramento dei servizi didattici e della ricerca. La storia dimostra che le cose non stanno affatto così, e questa vicenda dell’Università ricalca sostanzialmente una moda imperante ormai a tutti i livelli, la moda del decentramento. Io trovo che questa ipotesi del decentramento, portata avanti adesso anche attraverso una serie di modifiche costituzionali, sia infausta. Anche qui, il PD, buon ultimo, si è acriticamente accodato alle iniziative della Lega, con la differenza che la Lega sa bene quali sono i vantaggi che ne può ottenere, il PD non capisce invece, come al solito, le conseguenze obiettive che ne deriveranno.
Ma questo è un altro discorso. Nel presente contesto, io vorrei lanciare l’ipotesi di accentramento dei poteri sull’Università: una provocazione che vorrei fosse raccolta da tutti i sapientoni che pontificano sull’Università.
NonUnaDiMeno
39 minuti fa
Gli stessi problemi che si stanno vivendo qui in Francia. Noi siamo in sciopero ormai da un mese con iniziative diverse da un'università all'altra contro il decentramento e la cosiddetta "autonomia" dell'università che altro non è che un modo per mascherare il disimpegno dello stato e la privatizzazione della ricerca e dell'istruzione...
RispondiEliminaChiara, però, credimi, in Italia, siamo combinati ben peggio. Almeno sotto due aspetti, quello delle risorse dedicate all'istruzione e alla ricerca scientifica, e alla italica carenza di senso dello stato, che, per quanto ne so, in Francia c'è invece: tutti sembrano invidiare la burocrazia francese.
RispondiEliminaPer il resto, la globalizzazione dell'economia, che pure oggi manifesta i suoi effetti più nefasti, impone le sue regole, o almeno ci prova...