domenica 15 febbraio 2009

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA CRISI ECONOMICA

Tremonti mi pare abbia detto alcune cose giuste sulla crisi economica, e le abbia detto con un certo anticipo. Non v'è dubbio che la globalizzazione finanziaria che si è avuta soprattutto negli ultimi due decenni è stata condotta in maniera dissennata, in definitiva in assenza di regole. Egli dice: nella finanza si è verificata la crisi e nella finanza stessa va risolta. Questa affermazione però mi pare discutibile. Nei fatti, la finanza non è un universo isolato. Se così fosse, la gran parte delle persone non ne sarebbe coinvolta, in quanto le attività finanziarie sono molto limitate per chi dispone di poco denaro. La finanza in definitiva è un affare da ricchi: solo se hai una certa quantità di denaro in più di quello che serve per il sostentamento della tua famiglia, ti poni il problema di cosa farne. Il fatto è, e credo che la situazione attuale ce ne dia alcune evidenze, che la finanza ricade sempre all'interno dell'universo economico, ne è, potremmo dire, un sotto-insieme. Visto che si tratta di un'osservazione abbastanza ovvia, è difficile credere che davvero i responsabili dell'economia non si rendano conto delle ovvie ricadute della crisi finanziaria su quella che viene definita l'economia reale. A me pare invece che nessuno sappia bene che pesci pigliare.
Le conclusioni del G7 che si è tenuto ieri non sembrano suggerire alcun percorso organico che possa portare fuori dalla crisi. L'unica cosa, apparentemente, che è stata riaffermata è stat l'esigenza di evitare il protezionismo: insomma, si è stabilito coasa non fare, ma non cosa fare. Certamente, alcune nazioni hanno deciso di investire grandi quantità di denaro per sostenere l'economia, ma possiamo dire che sia stata chiaramente tracciato un percorso coerente? Questo richiederebbe dire di sì ad alcune misure e dire di no ad altre, cioè scegliere alcune, io credo che dovrebbero essere poche, direzioni specifiche che possano portare fuori dalla crisi. Essendo le risorse limitate, non sembrerebbe opportuno ipotizzare un intervento a pioggia, come a me pare invece si configuri nelle politiche fin qui annunciate nei paesi più industrializzati.
In Italia poi, davvero il governo sembra impaurito, come paralizzato, investendo qua e là risorse limitatissime senza enunaciare uno straccio di strategia generale. Tremonti dice di non essere un economista, e se ne fa un vanto perchè egli disprezza gli economisti, invitandoli anzi a tacere dopo aver constatato la loro capacità nulla di prevedere la crisi. Ebbene, potremmo dire a Tremonti che ce ne siamo ben accorti della sua incompetenza in economia: Tremonti balbetta e tutto il governo balbetta. Siamo come messi alla finestra ad assistere a cosa succede nel resto del mondo, sperando che ci tirino fuori dalla crisi. Ma se è scoppiato un incendio in casa, forse sarebbe opportuno, prima ancora che arrivino i vigili del fuoco, che provassimo a far qualcosa per aiutarci Anche le misure auspicate dal PD ed enunciate ieri mi sembrano appartenere allo stessa tipologia: sparare nel mucchio, sperando di colpire almeno uno dei bersagli.
A me pare che questa incapacità della politica ad affrontare i problemi economici è dovuta paradossalmente a una visione sostanzialmente economicista della politica, e quindi in una visione così ristretta delle proprie competenze, da dovere alla fine affidarsi alla scienza economica. Ma questa scienza economica soffre di un peccato originale, quello di essere una scienza a tesi. Viene infatti definita come la scienza che serve a massimizzare la ricchezza. Questa definizione tuttavia implica una finalità che le scienze non possono avere. La fisica, la chimica non hanno finalità, organizzano mediante un loro linguaggio la realtà nella maniera più comoda (razionale). La scienza economica quindi dovrebbe a rigore essere chiamata la disciplina economica. Nel contesto di questa discussione l’avere una certa finalità implica un’incapacità ad avere una visione “obiettiva”. Se poi la politica abdica ai propri compiti affidandoli all’economia, capite come si diventi prigionieri di un meccanismo che ci espropria dall’assumere decisioni davvero innovative, costringendoci a seguire una via già tracciata, già sperimentata, e in verità, per nulla desiderabile.

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