martedì 1 settembre 2015

LA SINISTRA IGNORA LA RIVOLUZIONE CONDOTTA DAI CAPITALISTI E DECRETA LA PROPRIA FINE

Chi mi segue con una certa costanza, sa che io ritengo superata la dicotomia sinistra/destra su cui si è basata la politica europea e non solo europea, ormai da più di due secoli.

Alle motivazioni sin qui considerate, e cioè l'estrema semplificazione che questa dicotomia comporta, con l'esclusione di aspetti ormai fondamentali e non trascurabili delle politiche, pena di parlare di un mondo di fantasia invece di quello reale, si aggiunge ormai il suicidio quasi ultimato della sinistra politica di cui vorrei parlare in questo articolo.

Possiamo distinguere tra due distinte sinistre, l'una quella di tradizione socialdemocratica, e l'altra, quella che una volta si chiamava estrema sinistra...

La prima è già finita, in ambito europeo c'è bisogno di una grande dose di immaginazione per capire cosa distingua i partiti socialdemocratici da quelli tradizionalmente definiti moderati e che oggi stanno dentro il partito popolare europeo. Se aggiungiamo come la conversione che ha portato a far coincidere partiti che nei decenni precedenti costituivano l'alternativa che ha attraversato la storia delle forme di collaborazione degli stati europei, è stta tutta a carico della socialdemocrazia che ha abbandonato ogni progetto di welfare e di redistribuzione verso il basso dei redditi, si capisce come questa correente politica, già di per sè inconsistente sul piano teorico, ha finito nei fatti di esistere, e le strutture partitiche ancora esistenti sembrano essere semplicemente destinate a garantire ai dirigenti di continuare la loro carriera politica.
Il discorso è differente nel caso della sinistra vera e propria, che ancora oggi rivendica con orgoglio questo aggettivo.

In questo caso, detto sinteticamente, la sinistra muore compressa tra la sua nominalistica pretesa rivoluzionaria, con i richiami alle tradizioni di pensiero storiche, quali prima di tutto un marxismo sempre più rivisitato e quindi sempre meno somigliante all'originale, e tra un realismo spinto al parossismo, che nei fatti non può che tradursi nell'accettazione supina dello stato presente delle cose, rinviando ad un futuro indeterminato la rivoluzione che rimane sullo sfondo.

Il paradosso di quest'area politica è che le sue strutture organizzative, la cui stessa esistenza dovrebbe essere finalizzata alla rivoluzione, viene al contrario utilizzata per un'attività politica tutta interna al quadro politco-istituzionale presente, senza che neanche ne venga esplicitamente indicato un carattere preparatorio. 
Viene così a configurarsi la fattispecie del partito-nicchia, un'organizzazione finalizzata non a svolgere una vera e propria azione politica, quanto piuttosto ad occupare uno spazio marginale di opinione pubblica e di elettorato. Soprattutto, si viene a configurare un ruolo di militante che, al di là della coincidenza nominalistica, serve sostanzialmente a soddisfare le esigenze di partecipazione politica dei militanti che potranno considerarsi rivoluzionari, anche se in realtà nella prassi effettiva risulteranno pressocchè indistinguibili dagli altri politici, perchè la finalità di autosopravvivenza politica è analoga ai presunti avversari. 
Tuttavia, una contraddizione così stridente tra dichiarazioni rivoluzionarie e prassi conforme alla prassi dominante non potrebbe sopravvivere se non convivesse con la convinzione della propria superiorità morale. 
Ciò che avviene è uno scivolamento incontrollato che rischia di confondere il piano politico ed il piano etico. 
Qui, il discorso diventa complesso, essendo uno dei più dibattuti in filosofia politica. 

Personalmente, ritengo del tutto errata ed anzi pericolosa la totale separazione che la teoria politica liberale opera tra politica ed etica, facendo coincidere questa con la morale individuale. Non posso però contemporaneamente che considerare egualmente errata la negazione di uno spazio proprio della politica che, non potendo ignorare il problema del potere, ha bisogno di una propria teoria e prassi. La politica non può che trovare fondamento su una teoria etica, e questa dei fondamenti dovrebbe a mio parere rimanere come il legame più stretto tra i due piani. Invece, nella sinistra avviene l'esatto contrario. I fondamenti del marxismo-leninismo, nei fatti emendato fino alla sua negazione, ma a parole abbracciato, pretendono di essere scientifici e quindi senza la necessità di una fondazione morale, e la pratica invece appare  dominata da considerazioni esclusivamente etiche, fino a rendere indistinguibile la pratica politica da quella di un qualsiasi associazione con finalità appunto etiche o religiose. 

Il tema delle migrazioni ha messo in evidenza questi aspetti con una chiarezza totale. 
Così, questo tema non viene affrontato come pertinente alla politica e quindi con la capacità di dare una risposta che soddisfi almeno il tema della praticabilità in collegamento con una finalità da conseguire sul piano politico complessivo. 
Per essere chiari, la praticabilità di cui parlo non è quello di avere il consenso per praticarla, guai anzi se la politica non riesca ad immaginare scenari che stiano fuori dal quadro delle opinioni prevalenti, non  sarebbe neanche politica, ma soltanto gestione dell'esistente. Io parlo di praticabilità sul piano teorico, cioè se soddisfa ad alcuni paramentri di conoscenza della tematica e di conseguenzialità logica. 
E' per questo che l'accusa di buonismo che viene così veementemente da loro respinta, è nei fatti del tutto meritata, perchè si basa esclusivamente su una concezione del bene e della necessità di praticarlo senza considerarne le condizioni al contorno e di come le buone intenzioni rischino sempre di trasformarsi in pessimi risultati.
Tuttavia, la sinistra non sembra accettare neanche la conseguenza della natura puramente morale della propria scelta, e quindi rifiuta sdegnosamente la dimensione di impegno personale che essa comporta. 
Quando qualcuno li invita ad ospitare i migranti a casa loro, tende a sottolinearne il carattere morale e quindi individuale, e da questo punto di vista pare un invito del tutto giustificato.
Gli argomenti che la destra più xenofoba utilizza strumentalmente, risultano tuttavia in sè del tutto convincenti. 
Allo stesso modo, anche il dibattito riguardante l'europa ed in particolare la vicenda Tsipras sembra non appartenere per niente all'ambito politico, ma ancora una volta assunta sulla base di considerazioni di tipo strettamente personale, come "c'ha fatto sognare", come se la finalità della politica dovesse essere quella di soddisfare le esigenze estetiche ed esistenziali personali della gente intesa come soggetti di azione politica. 
Anche sul piano della praticabilità, la difesa ad oltranza e contro ogni evidenza contraria della necessità di crescente unificazione europea sembra un esempio emblematico dei limiti della sinistra, come se la tradizione internazionalista propria della sinistra debba meccanicamente comportare entità statali sempre più ampie, e non la necessità di praticare politiche che nascano sin dall'inizio dalla loro sostenibilità su un piano globale. 

La natura potenzialmente rivoluzionaria dell'attualità con i mutamenti radicali che già comporta rispetto al recente passato, mette così in evidenza la natura prepolitica della sinistra che si richiama in modo sempre più vago ad una tradizione marxista, rimane cieca rispetto al cambiamento così netto del quadro politico complessivo, nei fatti supporta una visione della politica come una pratica individuale sostanzialmente legata al soddisfacimento di proprie esigenze personali e il semplice prospettare alcuni obiettivi di fondo che tuttavia appaiono conseguibili solo attraverso il miracoloso convergere spontaneo delle opinioni personali. 

La sinistra in ambito politico è così del tutto morta, un resto di un passato più o meno glorioso, sfociato ormai al livello di un associazinismo di opinione.

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