martedì 19 giugno 2012

DISTRUGGIAMO AL PIU' PRESTO LA RICCHEZZA FITTIZIA

Per i liberisti è troppo dura ammetterlo, ma i mercati finanziari, presi come riferimento assoluto, come giudice supremo dei comportamenti di soggetti pubblici e privati, non funzionano nè poco, nè tanto, proprio non funzionano. Chi lo crede, lo fa, non può che farlo, dogmaticamente, come uno che si tappi gli occhi per non vedere la realtà che gli sta attorno.
Quando nel 2008 l'amministrazione Bush in scadenza decide di mettere centinaia di miliardi di dollari a disposizone del sistema bancario per evitarne il fallimento, ha assecondato il mercato, o vi si è opposto nella maniera più ferma? Il mercato aveva inequivocabilmente sancito il fallimento delle banche, e decidere di fornire questa enorme dose di liquidità significa nè più nè meno che contraddire la logica di mercato: se ne saranno accorti i soloni che predicano il liberismo da colazione a cena, gente insomma come Giavazzi?
Dovrebbero, dire il contrario sarebbe come metterne in dubbio la capacità di intendere e di volere, e mai vorrei dire che Giavazzi è così stupido da non vedere cose così evidenti...

E nel nostro piccolo, nell'ambito dell'Europa, l'iniezione di liquidità da parte della BCE di ben mille miliardi di euro, non corrisponde anche in questo caso ad una plateale violazione delle regole dell'equilibrio automatico dei mercati? Perchè la BCE doveva creare dal nulla tanto denaro, perchè mai doveva intervenire così pesantemente per puntellare le banche? Le banche che riescono ad essere accettate dal mercato, che sopravvivino, quelle che non possono che falliscano.
No, le banche fanno eccezione, che falliscano gli stati, questo è possibile, se un paese non viene promosso dai mercati, che soccomba, ma le banche no, non possono fallire.
Eppure, anche questa immissione di liquidità è il motivo vero della tregua sugli spread a cui abbiamo assistito nei primi mesi di quest'anno, passato l'effetto temporaneo, tutto è ritornato come prima.
Lo dico oggi, quando è già chiaro che l'esito delle elezioni greche non serve a tranquillizzare i mercati, che i motivi strutturali di questa crisi non possono essere risolti con i pannicelli caldi.
Tutto sta nello specificare cosa dobbiamo intendere con l'espressione "pannicelli caldi" nel presente contesto.
Sono pannicelli caldi gli eurobond, il fondo salvastati, sono pannicelli caldi anche l'uscita dall'euro. Tutto ciò viene agitato come soluzioni della crisi, ognuno così convinto di aver trovato la formula giusta, e che polemiche con i sostenitori del rigore, tutti protesi a scoprire le magagne degli avversari, ma sempre ignorando le proprie.
Eppure, sarebbe ben arduo negare la vera natura della crisi, lo sforzo estremo dell'occidente di continuare a godere di privilegi economici sostanziosi rispetto al resto del mondo attraverso la creazione di una ricchezza fittizia generata con la sconsiderata immissione di liquidità. Se questo è il problema, allora davvero non ha senso pensare che si tratti di una fase passeggera e che questa sia risolvibile con mezzucci, quali il rigore tanto esaltato da liberisti di ogni tipo, o sull'opposto versante lo svincolarsi dalla Germania della Merkel. Per quanto si possa criticare la Merkel, certo nessuno potrà affermare che la crisi è dovuta alle sue politiche, la crisi le preesisteva, e ciò che dobbiamo riconoscere è che la Merkel ha dato la risposta più sbagliata possibile.
Così, per certi versi, chi riconosce l'assurdità delle proposte liberiste, può finire per risultare più dannoso di loro nel costringere il dibattito nell'ambito angusto che divide gli europei che sono a favore e quelli che sono contro gli eurobond.
Se davvero le banche hanno finito per incartarsi in una situazione di fallimento di fatto, rinviato con tutti i mezzi possibili, allora davvero parlare d'altro diventa una fuga dalla realtà, il desiderio comprensibile ma non giustificabile di non fare i conti con la realtà, di pretendere che tutto si risolva con una formula magica che ci permetta di continuare a condurre una vita simile a quella che conosciamo, con i livelli di consumo a cui siamo abituati.
Chi come me sostiene che la crisi in cui si sono ridotte le banche nel decennio passato non può più salvarle, e con loro salvare i titoli che quasi tutti hanno in portafoglio anche se spesso per importi modesti, non può che essere guardato con sospetto visto che tutti ci augureremmo di non dovere cambiare tipo di vita, e le cassandre, sempre così solerti a ricordarci le difficoltà in cui ci dibattiamo, non godono certo di buona fama.
Il rifiuto ad ammettere che quel poco che possediamo, magari messo da parte con sacrifici non indifferenti, vale molto meno di quanto abbiamo creduto fino al giorno precedente, ci porterà verosimilmente a perdere tutto in questo parossistico tentativo di ignorare la realtà irresolvibile della crisi. Se ammettiamo che la natura della crisi sta in questa creazione di ricchezza fittizia, sembra ovvio che non ci sia modo alcuno di risolverla se non distruggendo questa ricchezza, riducendone l'importo prima che i tentativi di salvarla per intero ne determini l'annullamento, portando eventualmente, se gli stati continuassero a pompare liquidità nel sistema, a determinare una sorte analoga allo stesso denaro. 
Gli scenari che quindi si prospettano in presenza di atteggiamenti dei governi del mondo in continuità con quelli fin qui osservati, e che è giusto considerare del tutto irresponsabili, o, nel caso meno grave un blocco non breve del commercio internazionale, o, nel caso peggiore, un ritorno al baratto (se il denaro smettesse di avere un valore universalmente riconosciuto). 
Mentre scrivo questo pezzo, sopraggiungono le notizie dal G20, e le differenti versioni sull'annullamento della riunione tra USA e paesi europei. La situazione è evidentemente molto grave se i differenti stati non sono neanche riusciti a mettere a punto una versione unitaria dei fatti. Ciò sembra indicare un'accelerazione della crisi, e vedere il ceto dirigente del mondo più sviluppato occuparsi di aspetti che obiettivamente sono marginali, e tutto ciò in una situazione abbastanza calma, senza che ci siano segni significativi di ribellioni, appare comne la fine di una certa organizzazione sociale ed economica senza che si sia sviluppata una reale consapevolezza sul processo in corso. 
In una situazione di questo tipo, è evidente che ad un osservatore attento non resta 
che registrare i fatti senza potere credibilmente prevedere nulla sugli esiti futuri.

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