giovedì 3 novembre 2011

CHI GIUDICA LE CORPORATIONS?

Come una terza puntata sulla crisi economica, propongo questo ulteriore post.

Nel precedente, ero giunto alla conclusione che il mercato, come del resto dovrebbe essere ovvio, difende sé stesso e solo sé stesso. Questo mercato finanziario ed i suoi grossi operatori fanno i propri specifici interessi come sempre, ma oggi operano in maniera più drastica perché si sono messi in un brutto imbroglio da cui non sanno più come uscire. I loro comportamenti appaiono così incomprensibili. Perché mai l’Italia che ha un debito pubblico quasi inalterato da 15 anni solo ora vede i propri titoli deprezzati dal mercato? L’Italia viene così fortemente attaccata perché i grossi operatori finanziari e lo stesso governo USA devono costringere la Germania ad allargare i cordoni della borsa, mettere da parte il suo tradizionale rigore monetario, e cominciare a creare liquidità nell’area euro; questa liquidità è l’ossigeno indispensabile al mercato finanziario gonfiato da un importo di titoli iperbolico che non si sa come farsi rimborsare.

Ci si potrebbe chiedere perché proprio l’Italia in Europa. Una possibile spiegazione è che l’Italia i soldi li ha davvero, e così è preferibile alla Spagna che non potrebbe resistere a un attacco violento perché i suoi cittadini non avrebbero le risorse per sostenere il proprio bilancio statale. Saprete forse che dal punto di vista della ricchezza detenuta, un italiano è mediamente più ricco di un tedesco, e le grosse finanziarie pretendono appunto di attingere a questa fonte davvero consistente di ricchezza: da molti punti di vista, l’Italia è la vittima ideale, siamo anche così fessi da tenerci uno come Berlusconi e da non capire che ci stanno imbrogliando vergognosamente.

Se questa è la verità, dobbiamo capire allora che gli stessi mercati finanziari globali costituiscono i nostri più feroci nemici. Se smettessimo nei mass media con la favola del mercato come giudice imparziale, se fosse possibile spegnere questo altoparlante atto a prenderci per i fondelli, allora si capirebbe che l’unica urgenza che abbiamo è uscire da questa gabbia di matti rappresentata dai mercati finanziari. Ciò potrebbe tra l’altro contribuire a mettere un po’ d’ordine al loro interno, costringendo gli stati ad uscire da questa passiva sudditanza alle grosse corporations, ad assumere quindi provvedimenti adeguati alla gravità della situazione.

Basterebbe togliere i titoli di stato dalla quotazione, stabilendo quale percentuale del loro ammontare facciale rimborsare alla scadenza. Ciò, voglio che sia chiaro, non implica che non vengano nel contempo assunti i provvedimenti necessari a mettere comunque ordine nei conti. Una patrimoniale straordinaria si impone ugualmente, la lotta all’evasione fiscale va comunque incoraggiata e rilanciata, e il bilancio statale deve presentare un equilibrio tra entrate ed uscite: senza camicie di forza, ma anche senza gonfiare arbitrariamente le spese.

In sostanza, l’uscita dell’Italia dai mercati finanziari va posta come una punizione dei mercati e non dell’Italia: stiamo fuori dai mercati perché siete inaffidabili, mentre noi lo siamo e non vogliamo essere coinvolti nei giochi rischiosissimi, quasi suicidi, delle grosse corporations, ormai divenute delle macchine infernali di distruzione dell’economia.

Se non sono gli stati ad avere l’autorità anche morale per giudicare il comportamento criminale dei grossi operatori dei mercati, chi mai l’avrà? Bisogna capovolgere la pretesa che il mercato ci giudichi: siamo noi che dobbiamo giudicare il mercato, o meglio i suoi principali attori costituiti in fondo da persone fisiche, oggi attente a preservare il più a lungo possibile i privilegi di cui godono: ci sarà un giudice a Berlino?

2 commenti:

  1. Finché si parla della bufala sulla virtù della finanza, mi trovi assolutmente d'accordo.
    Uno Stato che, però, non spende a debito è destinato a non crescere: la favola del pareggio di bilancio nasconde in realtà il suicidio perfetto di un Paese.
    Per semplificare, potremmo dire che niente spese equivale a niente servizi pubblici per i cittadini.

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  2. @BC
    Il discorso è complesso. Schematicamente, il capitalismo può essere descritto come una gigantesca catena di S. Antonio, che per non crollare di colpo è condannata a una continua crescita.
    Per motivi di sostenibilità ambientale, la crescita mondiale è improponibile, e quindi dovremo trovare un meccanismo differente, un'economia in grado di funzionare in condizioni di PIL sostanzialmente stazionario. In tali condizioni, anche il bilancio dello stato potrebbe reggere e fornire i servizi essenziali anche con il pareggio di bilancio.

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