sabato 25 settembre 2010

OBAMA: UN MITO FALLITO?

Su “La Stampa” di oggi, è apparso un interessante articolo sulla situazione economica statunitense da parte di Francesco Guerrera, caporedattore del Financial Times a New York. La sostanza della tesi dell’articolo, che come al solito vi raccomando di leggere, è che dietro le cifre ufficiali che pretendono che la ripresa negli USA sia ripartita, la crisi è ancora e tuttora galoppante. Poiché, egli dice, prima dei timidi segnali di aumento del PIL, c’è stato un calo clamoroso, la povertà che è sopravvenuta non può essere compensata da questa ripresina. Inoltre, come sempre in questi casi, le imprese si riprendono prima, ma le famiglie dopo, perché dipende dalla crescita dell’occupazione, che richiede un lasso di tempo non trascurabile nel miglioramento dei redditi d’impresa perché si verifichi. La conclusione dell’articolo è la parte che non mi convince, la messianica attesa della crescita del PIL come unica via per migliorare le condizioni di vita della gente. Al solito quindi, i meriti di un certo governo, si misura sulla sua capacità di fare ripartire il PIL. Seguendo questa logica, Guerriera considera comunque positivi il salvataggio delle banche e il sostegno all’industria automobilistica.

E se invece cominciassimo, liberandoci da pregiudizi che per la loro illogicità somigliano ormai ad anatemi di ayatollah, ad immaginare vie differenti? Obama ha rappresentato per coloro che l’hanno votato, ma anche per tanti europei, una speranza, ma, ora che siamo già a metà del suo mandato, non si può più eludere la domanda se si tratta di una speranza ben riposta.

Non è un caso il fatto che Obama sia stato esaltato molto più in Europa che negli stessi USA, sembra come l’ultimo appiglio che una certa opinione pubblica, potremmo dire vagamente di sinistra, alla storia pluridecennale della socialdemocrazia, quella che, pur alternatasi a governi conservatori, ha costituito il vero motore dell’unità europea, costruita sulla valorizzazione di un certo modello di stato sociale. Negli anni ottanta, la potente offensiva lanciata da Reagan e dalla Thatcher nei due versanti opposti dell’Atlantico ha trovato una risposta inadeguata da parte dei partiti socialdemocratici, in cui possiamo tranquillamente includere il PCI di allora. L’impressione che se ne ricavava era che la sinistra affrontasse questo avanzare di idee neoliberiste come un bambino scoperto a rubare la marmellata, un senso di colpa, di sudditanza ideologica, che ha portato alla situazione odierna. Le ultime elezioni politiche europee hanno sanzionato l’incapacità delle formazioni socialdemocratiche di mantenere un rapporto con la maggioranza dell’elettorato, con ciò qualificando questo processo di progressivo declino come grave e probabilmente irreversibile. Obama, a questi delusi europei del proprio partito socialdemocratico, è apparso come la possibilità di una rinascita di un’opzione di sinistra in grado di dare risposte adeguate alle sfide dell’oggi, e pazienza se ciò nasceva dall’amico-nemico americano.

Nei fatti però, in cosa l’amministrazione Obama ha mostrato di costituire una risposta nuova? Le uniche due operazioni che sono andate in porto riguardano la riforma del sistema sanitario da una parte, e dell’altra una legislazione più severa verso gli operatori finanziari. Se però consideriamo questi provvedimenti dal punto di vista dei contenuti, ritroviamo tutte le timidezze osservate nelle socialdemocrazie europee. Io parlerei della sindrome dell’arretramento. Si da’ cioè per scontato, senza quindi entrare nel merito della specifica situazione, che arretrando, si difende più facilmente la posizione: sarebbe da bocciatura per uno stratega militare. Soprattutto, quando ci sono in gioco questioni di principio, o se preferite ideologiche: su queste, non si può arretrare senza così determinare la propria sconfitta senza neanche provare a combattere. Ora, la riforma sanitaria, malgrado il clima di battaglia storica con cui è proceduta, è una microriforma, che modifica solo aspetti di dettaglio rispetto alla situazione ereditata. Allo stesso modo, le regole per il mercato finanziario appaiono del tutto inadeguate a scongiurare una prossima crisi, ma soprattutto lasciano alle grandi istituzioni finanziarie internazionali il governo dei mercati, in tal modo annullando ogni possibile sovranità nazionale.

A fronte, in ogni caso, di questi due provvedimenti, Obama sta ancora in Afgahnistan, la distribuzione della ricchezza è sempre più ineguale (aumento della percentuale di poveri negli USA), la pretesa riconversione industriale verso la sostenibilità ambientale è a zero. Infine, il punto che per me rimane centrale, come disgiungere la sorte dell’occupazione da quella del PIL, che, sulla base di qualsiasi previsione scientifica, sarebbe follia allo stato puro volere far ancora crescere.

In queste condizioni, capisco quel signore che dichiara di essere stanco di difendere l’operato di Obama di fronte a tutte le evidenze contrarie.

Volendo trarre le conclusioni da tutto ciò, io penso che esista un’esigenza obiettiva di una nuova radicalità, che io credo vada fondata, piuttosto che sul binomio libertà uguaglianza, ormai improponibile, sul binomio fratellanza-sostenibilità. A volte mi sneto come Giovanni battista che predicava nel deserto: ci sarà infine qualcuno, più giovane e più ambizioso di me, che voglia considerare senza pregiudizi queste semplici idee?

7 commenti:

  1. oddio proprio semplici e alla portata di tutti non mi sembrano. comunque, mi fa sempre piacere leggerti. ben ritrovato!

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  2. Come predicare nel deserto....già, proprio così! Anche perchè non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere! Io ammiro il fatto che tu creda ancora nella possibilità di un futuro migliore, io ormai sono totalmente disincantata e sfiduciata.
    A proposito di Obama, la notte in cui vinse le elezioni io rimasi fino all'alba incollata alla tv perchè sapevo di vivere un evento storico: l'elezione di un presidente nero! Ho pianto calde lacrime di commozione, il cuore mi si è confiato di speranza, l'ho sentito come "mio Presidente" più di tanti Americani. Non mi sento di dargli troppe colpe se non sta riuscendo a realizzare quanto promesso, è che le lobbies americane sono troppo forti e riescono a condizionare non tanto lui quanto i rappresentanti del Congresso, soprattutto i repubblicani ma anche molti democratici.

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  3. Prima di tutto, temo che la chiosa finale possa avere ingenerato un certo timore. Con l'immagine del predicatore nel deserto, in realtà, volevo sottolineare le difficoltà a mettere in discussione l'ideologia dominante, ma mi rendo conto che di ironia su questo blog non è che ne passi tanto, così è meglio precisare.

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  4. @MR
    Ben tornat, da quello che ho letto sul tuo blog, mi sembri in gran forma. Poi certo, le idee che propongono non sono tanto semplici, ma facevo il venditore, sai... :-D

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  5. @Ornella
    Concordo con te che non bisogna caricare Obama di responsabilità che non h, ma d'altra parte la cosa più importante non riguarda l'uomo Barak Obama, ma piuttosot la sua politica, e quindi la praticabilità di una politica gradualistica: a me pare impraticabile in questo momento storico.

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  6. eh vincenzo, e ornella, e gli altri. per me obama non e' mai stato un mito. (scrissi un dossier sul suo primo anno, poco dopo l'assegnazione del nobel, che in parte fu pubblicata da "alla fonte".)
    obama e' un fenomeno mediatico; ed una cortina mediatica e' stata eretta attorno alla sua figura.
    che sia "meglio" di giorgio viandante cespuglietto può anche essere, ma sarebbe ben poca cosa se fosse tutto qui. è più carismatico, più tranqiullizzante e più vendibile. di questo avevano biosogno gli usa. per continuare a fare quel che facevano prima, e con piu' violenza.

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  7. @vp
    Sì, posso testimoniare di persona, ma in verità anch'io (http://ideologiaverde.blogspot.com/2009/03/lembrione-obama.html). Ciononostante, dobbiamo ammettere di essere una minoranza, sia Zapatero che Obama hanno spopolato sui blogs, salvo constatare che si trattava come tu dici di fenomeni mediatici.
    Ciò che io sostengo è che ci troviamo in una fase storica in cui l'umanità richiede una radicalità che la gran parte delle persone rifiuta. Continuare aproporre un'ipotesi gradualistica come quella socialdemocratica, incluse le persone che la rappresentano, è una scelta tragicamente sbagliata.

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