In un recente articolo, Rusconi prende in esame la classe dirigente italiana in senso lato e in riferimento allo specifico ceto politico. Mi pare un’analisi inadeguata, direi del tutto erronea, perché sembra riconoscere nei contrasti esistenti, nel non reciproco riconoscimento la sua malattia. Secondo me, l’autore confonde in modo direi grossolano il conflitto di interessi con un conflitto di idee, di visioni della realtà. Egli non sembra cogliere qualcosa che invece appare a me addirittura ovvio, che è proprio l’incapacità di dividersi nelle opinioni di fondo la fonte degli aspri scontri al suo interno. Dobbiamo cioè capire che se non sono le idee a dividere i partiti politici, lo saranno le mire personali. Siamo cioè a mio parere in una società, e segnatamente in una classe dirigente, che vive in una monocultura immobile e soffocante, in cui maggioranza ed opposizione condividono troppe cose, e pertanto si scontrano per chi deve raggiungere lo stesso obiettivo. Rusconi dice invece bene quando riconosce che si tratta di una crisi non confinata ai partiti, ma riguarda anche settori di potere economico, finanziario, amministrativo, giudiziario, e più che mai il settore dell’informazione. Le regole di questa classe dirigente consistono nella difesa dei propri componenti, nella fedeltà reciproca, nel conformismo, in un meccanismo di cooptazione basato su doti come omogeneità e fedeltà verso coloro che devono promuovere. Il risultato di un tale meccanismo è che viene a mancare il principio di responsabilità, perché chi riesce a raggiungere un posto di potere conquista non una responsabilità, ma un titolo che potrà spendere nel seguito della sua vita. Un risultato correlato è che essere più anziano è un vantaggio, perché il trascorrere degli anni comporta il procacciarsi sempre nuovi titoli. Un’altra conseguenza è il degrado nella gestione pubblica, inevitabile una volta eliminata la verifica e l’accertamento dei risultati di gestione.
Così, i giovani vengono tenuti lontano dai posti di potere anche soltanto per motivi anagrafici, mentre il degrado comporta un declino economico, che è ormai diventato un dato strutturale italiano, l’unica economia tra quelle più sviluppate che non riesce ormai da tanti anni a crescere in maniera sensibile. Così, mentre il perseguimento della competitività richiede un continuo aumento della produttività, la sostanziale stagnazione economica si traduce in una decrescente disponibilità di posti di lavoro.
Un altro fattore economico specifico italiano è il peso altissimo del debito pubblico che, a causa del peso degli interessi su di esso, richiede sempre maggiori sacrifici di bilancio. E’ sorprendente la sostanziale cecità degli economisti di ogni colore che, ad ogni difficoltà di bilancio statale, propongono sempre la stessa ricetta: lo spostamento in avanti dell’età di pensionamento. Il punto però che sembra sfuggire loro è che tale provvedimento non ha il semplice effetto di ridurre la spesa pensionistica, ma comporta inevitabilmente un turn over ritardato. Se insomma una donna dovrà aspettare i 65 anni per andare in pensione, il risultato sarà che ella permarrà nel suo posto di lavoro, e ciò comporterà inevitabilmente che ci sarà un giovane che non potrà accedervi. Il ritardare l’età della pensione sarebbe una misura efficace se i posti di lavoro fossero troppi per essere coperti dalle nuove generazioni. E’ un’evidenza lampante invece che lo sbilancio è in senso opposto: troppi giovani che aspirano a un numero di posti di lavoro carente. Possibile allora che a nessuno di costoro venga in mente che stiamo costringendo delle persone nel meglio della loro capacità lavorativa all’inattività, imponendo nel contempo a persone che per loro avanzata età hanno un’efficienza certo minore, sia per stanchezza che per difetto di motivazioni? Mi chiedo se è possibile che coloro che sono chiamati ad assumere decisioni socialmente rilevanti, non riescano ad avere una visione di corto raggio, ma considerando i provvedimenti in un’ottica di lungo periodo. Se dobbiamo spendere meno in pensioni, non ci resta che pagare pensioni più modeste, non v’è altra strada. Ci si lamenta della bassa entità delle pensioni, ma in realtà, soprattutto al sud, sono molti i nonni pensionati che contribuiscono significativamente al mantenimento di nipoti, che spesso hanno già concluso gli studi e non riescono a trovare un’occupazione. Questa è una situazione più che abnorme, direi mostruosa, e che mostra ancora una volta come nell’agenda della classe dirigente nel nostro paese il problema dei giovani stia in fondo, come non sia considerata un’emergenza gravissima: tanto, ci pensano le famiglie! Mi chiedo che genere di classe dirigente sia quella che non si rende conto della priorità che un tale problema dovrebbe avere.
Sono entusiasta di poter finalmente leggere queste parole.
RispondiEliminaCaro Vincenzo, farei volentieri volantinaggio, perché la gente non capisce queste cose, ma soprattutto sono i politici a NON arrivarci!
Ciao,
Lara
Ancora una volta mi ritrovo a sposare in pieno questo tuo intero articolo-editoriale. Mi chiedo quando capiterà di riuscire a leggere osservazioni come queste, con la stessa lucidità e chiarezza espositiva, nei "grandi organi di stampa"...
RispondiEliminaIn effetti la mancanza di vedute a largo raggio, riducono le manovre finanziarie a tappabuchi inefficaci e distruttivi. Ed è vero che molti dei bisogni dei giovani e delle famiglie giovani vengono addossate alle famiglie di origine - tradizione questa tutta italiana. Nel loro immobilismo politico, la nostra classe dirigente sguazza solamente, in perenne campagna a salvaguardia delle poltrone, relegando i problemi alla legislatura successiva. Che accadrà quando alla fine il meccanismo porterà allo scoppio? Perchè è innegabile che prima o poi scoppierà...
RispondiElimina@Lara
RispondiEliminaInnanzitutto, è un piacere risentirti qui, visto che ti sei data una pausa sul tuo blog. Ti ringrazio della sintonia che senti rispetto a quello che ho scritto, soprattutto perchè so che sei sincera.
@Alessandro
RispondiEliminaTi ringrazio del tuo commento e della tua stima, a cui tengo tanto.
@Daniela
RispondiEliminaSai cosa penso sinceramente? Che tifo perchè questo scoppio avvenga il più presto possibile: forse si aprirà qualche squqrcio nel sistema di potere e quindi qualche opportunità di venire fuori da questo degrado soffocante in cui siamo immersi.
Ci hanno messo in testa che bisognava passare dal sistema retributivo a quello contributivo, adesso stanno anche privatizzando le pensioni.
RispondiEliminaQuesto non lo dicono soltanto i politici, lo dicono i sindacati (confederali), economisti, la Banca d'Italia, Confindustria, banchieri (che sono poi quelli che posseggono la Banca d'Italia) Unione Europea, Banca Mondiale, ecc. ecc. Tutti questi grandi esperti dicono che bisogna lavorare di più, cioè più a lungo sia per più anni che per più ore nell'arco della giornata. Per chi il lavoro ce l'ha, si intende! Non ti dicono però che tutto ciò va a svantaggio dell'occupazione, onde continuare a garantire in misura sempre maggiore quell'"esercito di riserva" del capitalismo pronto per essere arruolato e scaricato all'occorrenza.
Non possiamo chiedere a dei microbi come Bersani e Di Pietro, ammesso (e non concesso) che lo vogliano fare (ma anche a Berlusconi o Fini, sempre se per assurdo lo volessero fare) di andare contro i dettami dell'UE e delle lobby.
"Lavorare tutti, lavorare meno" Un concetto semplice, facile da capire, e logicamente ed economicamente corretto. Ma questi grandi guru dell'economia hanno capito che per non far passare questa idea bisognava colpire i lavoratori, i sindacati. Solo neutralizzando il mondo del lavoro, cancellandone i diritti conquistati e la sua forza di reazione, avrebbero potuto imporre il mantra "lavorare pochi, lavorare tanto". Con una postilla a margine che dice "...e guadagnare meno". Unico segno negativo. Questa è la storia degli ultimi trent'anni.
Caro Vincenzo,
RispondiEliminati stai ponendo troppe domande...la classe dirigente pensa solo a mantenere le proprie poltrone...sa che se le cose cambiano la prima ad essere spazzata via sarebbe proprio lei...
Una classe dirigente che non ha capacità ed interesse per cambiare le cose. Una classe dirigente che non vuole perdere terreno e potere e quindi non lancia i giovani e non li incoraggia.
RispondiEliminaCito in proposito l'ottimo libro di Tommaso Padoa Schioppa: "La veduta corta".
RispondiElimina@Matteo
RispondiEliminaLa ricetta la condivido, ovviamente, ma non credo che ci sia il piano strategico dell'esercito di riserva. Credo piuttosto che anch'essi siamo prigionieri dell'idolatria del mercato, e della produttività ad ogni costo. Per me, rimane una questione squisitamente ideologica. Una volta che si accetta il mercato e le sue regole, non lo si può violare in un aspetto fondamentale come quello che deve minimizzare il costo del lavoro ad ogni costo. Ti ricordo che è stato Visco ad introdurre l'IRAP, che tassa proprio in funzione delle spese di personale, un vero mandato ad uccidere l'occupazione insomma. E non è forse vero che si premiano gli investimenti come metodo per aumentare la produttività, cioè espellere forza-lavoro?
Io comunque sono convinto che vada anche perseguita una certa frugalità nei nostri consumi, ma questo è un discorso complesso che merita almeno un altro post appositamente ad esso dedicato.
@Ilpoeta
RispondiEliminaMa sono domande retoriche... :)
@Daniele
RispondiEliminaSapessero almeno i giovani percepire quanto li stanno fregando...
@Kinnie51
RispondiEliminaNon conosco il libro, ma dubito che Padoa Schioppa la pensi come me. Credo piuttosto, sulla base di ciò che ha fatto da ministro dell'economia, che sia tra coloro che ritengono saggio spostare in avanti l'età del pensionamento.
ecco hai detto giusto: ci pensano le famiglie
RispondiEliminaI politici: Il futuro è dei giovani!
RispondiEliminaPurtroppo per noi il presente è loro
mirco
@Zefirina
RispondiEliminaNon per niente siamo tuttora un paese cattolico... :)
@Mirco
RispondiEliminaGià, ma mi sa che anche il passatoe probabilmente perfino il futuro: che tristezza!
Secondo me,sbagli a non considerare le opinioni di chi non la pensa come te.
RispondiEliminaTe lo dico per esperienza personale: se non fosse stato per Padoa Schioppa, che anticipò l'età del pensionamento a cinquantotto anni anzichè a sessanta, io forse non sarei ancora in pensione.
Per tutto il resto che dici riguardo al turn-over,sono d'accordo con te: un ricambio è necessario in tutti gli ambiti lavorativi,a maggior ragione per la classe dirigente.
@Kinnie51
RispondiEliminaMa no, io considero le opinioni altrui con grande attenzione. Ovviamente, avendo a disposizione un tempo limitato, devo per forza avere un criterio di selezione, e Padoa Schioppa non sta in cima a questa lista.
Tu stesso a volte parli di lungimiranza e quindi questo libro può fare al caso tuo.
RispondiEliminaConcordo con il post che esamina perfettamente la situazione italiana, e quindi non aggiungo altro.
RispondiEliminaOsservo solo che, a mio parere, a causa dlle ragioni che hai esposto questo sistema, prima o poi, imploderà. Non so immaginare quando, ma credo che accadrà.
Chiedo scusa, intendevo "delle".
RispondiElimina@Kinnie51
RispondiEliminaVedrò, ti ringrazio per la segnalazione.
@Romina
RispondiEliminaQuando riesco non essere melenso, dico qualcosa di interessante eh :-D
Passavo di qua ed ho letto con interesse.
RispondiElimina@Bruno
RispondiEliminaGrazie della tua visita, sempre graditissima.